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giovedì 9 luglio 2020

Mai morire [di Enrique Rivero, 2012]

Long afloat on shipless oceans
I did all my best to smile
'Til your singing eyes and fingers
Drew me loving to your isle
And you sang
Tim Buckley



(...) Io vengo dalla Locride, dalla Magna Grecia, da un paese in cui il “pianto greco” non è un fatto folkloristico: abbiamo imparato già a scuola che tutti gli eroi dell’antichità piangono, gridano e si disperano, ma non c’è memoria di prefiche, nel mio paese. Il dolore con cui si piangevano i morti era autentico, partecipato, vissuto da tutta la comunità, soprattutto quando a morire erano persone giovani, oppure, come capitava di frequente, quando ero bambina, quando si trattava di morti ammazzati. Io però ero tenuta lontana da certi eventi e dai riti collegati alla morte, anche se vedevo spesso donne ammantate di nero che non toglievano il velo dalla testa per anni. La mia relazione con la morte era limitata al 2 novembre, il giorno preposto all’esposizione pubblica del dolore, quando il cimitero si riempiva di donne che urlavano e si strappavano i capelli anche, ricurve sulle tombe dei loro cari, oppure alla processione del venerdì santo, con la statua del cristo morto portata a spalla su un lettino bianco che, durante tutto il resto dell’anno, mi faceva paura dall’angolo della sacrestia della chiesa dove lo zio diceva messa. Il mio primo contatto con la morte l’ho vissuto senza rendermene conto a sette anni: la nonna era molto anziana e costretta a letto da tempo e quando andavo a trovarla, a volte anche malvolentieri, mi sedevo accanto al letto con la zia, con la mamma, con le vicine di casa che aiutavano la zia nell’accudire la nonna come gesto spontaneo, ma non ricordo che lei mi parlasse. Non mi sorpresi, perciò il giorno in cui la zia, sulla porta della stanza, mi disse di entrare a salutarla. “Dai un bacio alla nonna” mi disse, ed io la baciai, senza rendermi conto che era morta, né in quel momento, né per molti anni a venire. Quando morì lo zio, anni dopo, ero un po’ più grande e non volli nemmeno vederlo e per anni continuai a conservare gelosamente la sensazione di vederlo spuntare da dietro l’angolo… 
BETTINA GLIOZZI
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Qui il non presentito addio al MAESTRO che ha segnato, e segnerà, le mie tappe:
mentre mi autografa una copia di NCP.
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Le foto: in apertura il piccolo Ciccillo Gliozzi con la mamma Bettina Mittiga (20 luglio 1893 - 10 luglio 1970) e la zia Iolanda Mittiga. A seguire, tutti Gliozzi: da sinistra: Fina (al cielo Maria Gemma) l'infante Bettina, per il mondo Marilisa, Bettina Mittiga e Amalia.
La cover di Song To The Siren di Tim Buckley, cantata da Bettina Frazer, fece epoca nei primi anni ottanta del passato secolo e il doppio lp è ancora oggi fresco come l'acqua di cromatì.

domenica 5 luglio 2020

Il postino suona sempre due volte [di Tay Garnett, 1946]





BOZZETTO CALABRESE
Il portalettere rurale
E’ una simpatica figura: anche se non indossa – come i colleghi di città – una divisa è riconosciuto da tutti



S. Cristina d'A. 28 giugno
L'arrivo della posta costituisce, per un piccolo centro, qualcosa di veramente importante nel grigiore della quotidiana monotonia
Una piccola folla di disoccupati, di pensionati, e di altre persone cha rimangono in paese vinne a trovarsi puntualmente, all’ora solita, dinanzi all’ufficio postale, in attesa che il portalettere esca per iniziare il suo giro di distribuzione.
E’ il portalettere, a un certo momento, appare sulla soglia dell’ufficio; da un’occhiata al di di sopra degli occhiali che sono scivolati molto giù sul suo naso aquilino e poi, dopo aver notato i presenti, comincia a rovistare, non senza una certa aria d’importanza, tra lettere e cartoline.
Il portalettere rurale non indossa, come i colleghi di città la divisa della categoria; al massimo, come segno distintivo, porta un berretto, ma il forestiero non saprebbe dire, col solo aiuto di quel distintivo, di trovarsi difronte a un portalettere e non piuttosto davanti a una guardia campestre o altro impiegato delle pubbliche amministrazioni.
I paesani, tuttavia, riconoscono la voce di quell’uomo tra mille; quand’egli passa per una via, trova le porte delle case già aperte e qualcuno che attende sulla soglia per averlo sentito da lontano, magari quand’egli ha scambiato, dall’altra parte della strada, un semplice saluto.
Quella del portalettere è indubbiamente una figura simpatica.
La borgata che dista molto dai grandi centri, si tiene in comunicazione col resto del mondo attraverso il servizio postale; è naturale, quindi, che una certa simpatia si riversi du quell’uomo che quotidianamente distribuisce la piccola manna delle notizie tanto attese, anche se tra le altre arrivano pure quelle che per uno od altro verso sono punto gravi (…)
Egli, senza levar gli occhi dalla cartella, dove rovista senza fine le missive che ha già, ordinatamente disposto secondo i rioni, risponde a tutti con garbo ed ha per tutti una parola buona.
Egli è a conoscenza, talvolta, che quella tale famiglia non riceve ormai da tanto tempo notizie del figlio lontano; che la tale sposa non riceve da molto la lettera con la busta variopinta della corrispondenza d'oltremare: e in tal caso, quando ancora una volta deve dare risposta negativa alla rituale domanda, egli assume un'aria sinceramente desolata, quasi sentendosi in colpa di non poter portare la gioia dove ora è la preoccupazione. E quando la sospirata lettera arriva, egli la mostra da lontano, rivolgendo all’accorrente mamma o sposa qualche frase da cui traspare la sua contentezza.
Né a questa figura può negarsi l’aureola dell’eroismo spicciolo. Durante l’inverno, infatti, certe gelide mattine che ci si sente rabbrividire solo a guardare fuori dai vetri delle imposte, egli passa per le vie come tutti gli altri giorni, reggendo la cartella con mani tremanti, imbacuccato alla meglio nell’annoso pastrano. E lo stesso può ripetersi per l’estate, quando la canicola brucia la terra.
E' questa la figura del portalettere rurale: assai diversa. Come ben si vede, da quella dei colleghi di citta; ma la differenza si spiega ove si pensi che in paese ci si conosce meglio, come in una grande affettuosa famiglia.
Forse fra non molto non si potrà più scrivere così del portalettere; da quando, infatti, gli è toccato i dover distribuire, oltre alle innocenti lettere anche la meno innocente letteratura in carta collata, come atti giudiziari e cambiali, tratte, il bravo portalettere è diventato leggermente ... impopolare.  
FRANCESCO ANDOLFINI
GAZZETTA DEL SUD 29 giugno 1957

Nel paese di Platì accanto ai Fera avvocati, Zappia medici, Gliozzi preti, Mittiga calzolai, Violi ferrarioli, mulattieri o vaticali, Romeo falegnami ... c'erano i Iermanò postini. Prima di loro in qualche ricordo c'è stato Iginio Pirelli (nonno di Flora), ma veniva da fuori. Savu Iermanò u postinu generò Rosi (Rosario) e Brunuzzeiu. Essi sono gli storici postini; a seguire c'è stato Antonio Calabria (nella foto) che sebbene iniziò la carriera in paese esercitò altrove il suo incarico. Per il resto ci si è dovuti accontentare di portalettere che se non erano di Careri sono di Natile.
Nei miei infantili ricordi c'è Rosi: al suo apparire mi terrorizzava per l' aspetto rossiccio, il tremore delle mani e forse anche l'alito vinoso. 

mercoledì 1 luglio 2020

Cronache di poveri amanti [di Carlo Lizzani, 1954]



(In terra calabra) - Costumi popolari

La vampa sul focolare scoppiettava con allegra fiammata e i due contadini si riscaldavano le callose mani, fumando la corta pipa di creta. Si - diceva il vecchio Cola scrollando la testa - proprio sul ponte, mentre la portavano al camposanto, due colombelle bianche bianche come la neve andavano a poggiarsi sulla bara. Oh la mia Angiola del paradiso! A queste parole la vecchia Anna, che accoccolata diceva le sue preghiere, si scosse, guardò il marito asciugandosi col grembiule le lacrime: Hai fatto dire a D. Saverio la messa che gli aveva pagato col denaro della filatura? - Si, rispose Cola, quella l’ha detta, dimani dirà un’altra che gli pagherò con una giornata di lavoro nell’orto.
Qui tacquero: si udiva soltanto lo schioppettar della fiamma e il biascichio delle avemarie della donna; di sotto veniva il ruminar dei buoi attaccati alla mangiatoia della stalla.
 - Senti Cola - interruppe Mico - e di Pascaluzzo che notizie mi dai?
- Di Pascaluzzo? Di quel brigante della Sila? Di quello ... as. ....
- Si, ma non era egli lo zito di Angiola? ...
- Che?! Per la Mado. ...!? era egli lupo da rubarmi quell’agnella di Angiola?! Quel figlio di malafemmina!
-  Ma perché l’hai lasciato quella sera cantare sotto le finestre di Angiola
“ Affacciati a la finestra mu ti viju
Ccu ssocchi belli mi perci lu cori “?
-  Senti Mico, io questa sera non avrei tanta voglia di parlare ... ma giacché tu m’hai fatto aprir la bocca, ecco come vanno le cose:
-  Pascaluzzo era figlio ... di chi era figlio ... suo padre era morto in carcere ... suo nonno ucciso con una palla in fronte ... suo fratello fuggito in America per aver ucciso d’un colpo di scure l’innamorata; egli manesco ...senza arte nè parte ... voleva involarmi la mia agnella. Ché io non lo sapeva che sarebbe finito in galera? Eppure quando lo vidi innamorato serio non seppi oppormi. Suo zio gli avrebbe fatto donazione della casa e dell’orto ... io davo duecento ducati a Angiola, e già le cose erano fatte. Avevamo stipulato il contratto di nozze, si era fissato di andare in chiesa dopo la trebbiatura .... insomma tutto era pronto. Ma fa l’anno, il giorno di S. Rocco, Pascaluzzo ha voluto incantare la bara; tu sai che chi più l’incanta avrà l’onore di portare lo stendardo della confraternita. Peppino il figlio del fattore la mise cinque tomoli, Pascaluzzo dieci, quello l’innalza a quindici, questo non potendo di più giurò di vendicarsi dell’offesa, getta gli abiti di confratello, e fugge di chiesa. Ho detto che Pascaluzzo era manesco, era pure geloso; Peppino anche aveva gettato l’occhio su Angiola, tu mi capisci! ... Certo avrei preferito Peppino ... Era una sera come questa nel mese di Marzo io e Anna eravamo a letto (tutto questo me lo raccontò Angiola in fine di vita) Angiola filava al lume della lumiera nella sua stanza, quando ad un tratto sente un legiero picchio alla finestra. Va tutta tremante a vedere chi fosse e indovina chi vede? Vede Pascaluzzo che volgendo uno sguardo d’intorno spicca d’un salto nella stanza.
-  Che pensi che cercava quel tizzone d’inferno?
-  Cercava persuaderlo a volerlo seguire sulla montagna perché nella notte aveva ucciso a colpi di bastone Peppino il figlio del fattore!
-  Assassino, assassino, gridò mia figlia, esci di qua o grido da svegliare tata e mamma!
-  Gridi che (per la M...) ti taglio la gola!
-   E’ questa l’accoglienza che mi fai dopo tante promesse? - Assassino, assassino, replicava Angiola, spingendolo per la finestra.
Svegliato da quel grido mi alzo ed accorro, scassino la porta di Angiola e la trovo svenuta a terra, mi affaccio alla finestra e trovo una scala di corda ... nella via s’udiva n passo concitato ... Nulla più seppi quella sera
La mattina trovarono Peppino in un letto di sangue e l’uccisore si seppe essere stato Pascaluzzo. Egli è latitante, chi dice che sia fuggito in America, chi lo vuole morto perché due erano le colonne che si poggiarono sulla bara di Angiola: Pascaluzzo e Peppino.
ERNESTO GLIOZZI il vecchio

Chi ha confidenza con le opere di Vincenzo Padula o di Nicola Misasi è facile che trovi le dovute influenze e omaggi,


sabato 27 giugno 2020

A me la libertà [di René Clair, 1931]





La libertà


La libertà è questa:
siamo liberi di pensare,
siamo liberi di amare
siamo liberi di fare,
liberi di volare e …
liberi di ascoltare.
Ecco che cosa è la libertà …
Quella cosa chiamata felicità!

Trimboli Anna Lucia 4A





Testo in concorso alla prima edizione del "Premio Letterario E. Gliozzi", 2017

giovedì 25 giugno 2020

Rosso sangue [di Leo Carax, 1986]

I know when to go out
And when to stay in
David Bowie



La cometa «H»
visibile ancora da Platì

Platì, 9 maggio
(MF) - Il giorno quattro ultimo scorso, la cometa «H» è stata perfettamente visibile in Platì, con tutta la sua sbiadita cosa. Questo nonostante le notizie ufficiali che fissavano per il trenta aprile l’ultima data in cui l’astro poteva essere visto. Ignoriamo le ragioni di questa inopportuna proroga.
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD, 10 maggio 1957

In realtà la cometa apparsa nel cielo platiese fu la Arend-Roland.

Il film di Leo Carax parte dall'apparizione della cometa per svolgere la trama dove è inclusa la canzone di David Bowie.

domenica 21 giugno 2020

La spiaggia [di Alberto Lattuada, 1954]


Sulle assolate spiagge joniche tra Brancaleone e Bianco gruppi di famiglie di Ferruzzano e Staiti scendono al mare per la stagione dei bagni. Nascono così, con paletti e  frasche di erbe veri accampamenti con cucine all’aperto e giacigli per riposare. Questa è una usanza veramente pittoresca che consente a numerose famiglie di vivere un paio di mesi a contatto con la natura una vita sana, riposante e - perché no? – particolarmente economica.
Foto e testo : GAZZETTA DEL SUD, 28 luglio 1957

Di questi tempi di villeggiature costose, voglio ricordare una villeggiatura che nessuno ha mai descritto, la villeggiatura dei paesani lungo i monti e i colli che guardano il mare Jonio. Erano venti chilometri per arrivare al mare, ma senza diligenza né autobus la distanza era molta, e a piedi o sulle cavalcature, un viaggio pieno di incontri, di paesaggi diversi, perché c'erano i colli bianchi abbaglianti di creta, ma c'erano pure i giardini di aranci col loro verde umido quasi di musco, gli alti uliveti; e infine si sboccava sul letto del torrente, il mare veniva incontro con le sue onde bianche come un armento, e non arrivava mai, e tornava indietro, e le fronde dure dei pioppi tremavano alla brezza crepitando in un sordo concerto.
Corrado Alvaro, Stagione sull’ Jonio.

"Una voce pulita e democristiana, un look da bravo ragazzo, una dote di scrittura spaventosa e un tale ... agli arrangiamenti":

venerdì 19 giugno 2020

Frutto d'estate [di Raymond Bernard, 1955] & H. D. Thoreau

"The mass of men lead lives of quiet desperation.
Why should we be in such desperate haste to succeed?"
Henry David Thoreau, WALDEN




Secondo Ernesto Gliozzi il giovane
Ggrasciòmulu, deriva dal greco χρυσομηλου, chrysounmelon.

a questo proposito vi segnalo anche ... ma già lo sapete ...
https://ilpaesediplati.blogspot.com/p/dizionario-dei-termini-e-dei-soprannomi.html?fbclid=IwAR069w3w9XYa-Z2RjbopCqCoNo4tcuK6DJLSv9GVC1wjzm3yCFThVW5TcpE

in terra ciurramica (nelle foto le 2020 primizie) tale frutto è detto pricocu: l'antico popolo di quelle contrade lo trasfigurava dal francese invasore dai giorni dei Vespri.
Buon appetito e grazie dell'invito.

Nessuno può competere con Herbert - Führer - von Karajan

mercoledì 17 giugno 2020

Accordo finale [di I.R. Bay, 1939]


Avanti di noi qui sottoscritti testimoni si sono presentati, il Signor Don Francesco Gliozzi fu Domenico possidente domiciliato in questo Comune di Platì, ed i Signori Marando Saverio fu Saverio Sarto, Francesco, Rosa, Giuseppa e Francesco Marando fu Antonio nonché Antonio Marando fu Giuseppe tutti domiciliati in detto comune ed a noi sottoscriventi testimoni ben noti. Essi Marando asseriscono possedere da veri e legittimi padroni, in solidum ed indivisum, un fondarello in contrada Sanello alberato di gelsi bianchi ed alberi fruttiferi, il quale viene limitato dagli eredi Don Francesco Fera, Don Pasquale Oliva, con esso Gliozzi e Fiume Sanello.
Quale fondarello essi sopra detti Marando per loro precisi bisogni si sono risoluti di venderlo, come di fatto lo vendono al detto Don Francesco Gliozzi fu Domenico per il prezzo e valore di Lire Italiane settantadue e centesimi venticinque, tanto valutato dal perito di comune accordo Saverio Murabito fu Tommaso.
Lo vendono perciò franco e libero di qualunque peso, censo, ipoteca o servitù ad eccezione ed contributo fondiario.
Perciò essi più volte detti Marando si obbligano solidalmente garentire l’acquirente Signor Gliozzi da qualunque molestia o pretenzione che si potesse da chiunque avanzare, nonché ai danni ed interesse che le potrebbero venire arrecate.
Quale somma di Lire settantadue e centesimi venticinque, dichiarano essi Marando aversela ricevuta dall’acquirente Signor Gliozzi in tanti biglietti di banco aventi corso forzoso nel Regno e perciò si dichiarano ben contenti e soddisfatti, e cedono da questo momento tutti i loro dritti azione e raggione ad esso ripetuto Signor Gliozzi, immettendolo da questo momento nel legale e pacifico possesso per fare quell’uso che meglio le piace.
Si obbligano infine essi Marando fare la presente per atto Notariale ogni qual volta le viene richiesta dall’acquirente Signor Gliozzi.
                                                                Platì undici Febbraio Milleottocento ottantadue
Papalia Antonio Testimone
Caruso Domenico Testimone
Francesco Marando testimonio per Antonio Marando
Giuseppe Zappia Testimone per Antonio Marando fu Giuseppe

lunedì 15 giugno 2020

La morte sull'alta collina [di Alfredo Medori, 1968]





DOPO CIRCA UN SECOLO DAL CATACLISMA
I ruderi di Pandore
visione apocalittica
Mura divelte, spigoli interi di case capovolte si susseguono rosi
dal tempo e fanno pensare al capriccio terrificante di un gigante

Platì, 21 marzo
Partendo dalla contrada «angelica» si arriva alla zona dove sorgeva Pandore dopo mezz'ora, di marcia su, per una erta, faticosissima. L'argilloso «lacco» rende i piedi gravosi come piombo
I primi gruppi di macerie appaiono a metà del cammino rivestiti dalle ortiche e dai licheni. Mura divelte, spigoli interi di case capovolte, si susseguono rose dal tempo, e fanno pensare al capriccio terribile di un gigante.
Dalla vetta dell'aspra collina di Pandore si domina una grande distesa di questi ruderi dalle pose più strane e più tragiche.
Unico segno di vita il volo silenzioso di qualche farfalla, lo strisciare cauto di qualche lucertola tra le pietre sconnesse.
Scavata in un'enorme roccia sospesa sull'abisso, una vasca di pietra sembra aspettare ancora di essere adibita alle antiche mansioni della pigiatura dell'uva; la improvvisa catastrofe che seminò la morte tutt’intorno, niente ha potuto contro la sua durezza: Solo è riuscito corroderla il gocciare lento e continuo del tempo.
Quale terrificante spettacolo si offrì ai Pandurioti il giorno in cui la gigantesca frana sconvolse la loro dura ma pacifica vita di contadini? Solo lo scrittore Francesco Perri poteva riuscire a descrivere la scena apocalittica di quel momento.
Ecco cosa si legge in «Emigranti», la sua opera più famosa:
«E' caduta la quercia grande -- disse Varvaro; Ma all'invito angoscioso delle donne che rientrasse e chiudesse la porta, rispose con un mugolio che le fece agghiacciare.
Varvaro guardava. intorno in quella oscurità rotta da un chiarore debolissimo che veniva da dietro le nubi addensate, e non credeva quasi ai suoi occhi. Qualche cosa di misterioso avveniva intorno e pareva cambiasse lentamente la disposizione delie cose; Quel paesaggio che egli conosceva in ogni arbusto, quasi in ogni sasso, nel quale si sarebbe mosso ad occhi chiusi, si trasformava. Un'altra quercia accanto a quella caduta si era inclinata su di un fianco e cigolava sinistramente come una barca sul punto di affondare. E intorno quella altri alberi sembrava s'incurvassero a terra, perdendo la loro disposizione verticale. Di alcuni i rami toccavano il suolo. Una macea che si trovava parallela alla casa ora appariva spostata a sinistra e tutta a gobbe.
… Poiché in quel punto la campagna era tutta sparsa di case e di capanne, si udivano giungere col vento delle voci concitate, delle grida lunghe di spavento, dei pianti, e nel buio si vedevano muoversi luci rossastre come di tizzoni agitati! Poi si cominciarono a udire muggiti, e un abbaio lungo di cani che si rispondono e si eccitavano nella notte da ogni angolo della contrada».
Molto probabilmente il Perri, vissuto a Careri, cioè nella ona più instabile della Calabria, fu testimone di qualche scena se non identica, analoga a quella che descrisse con tanta veridicità. Nel brano che abbiamo citato non c’è infatti nessuna esagerazione; Le «filese», le terribili frane dei nostri paesi, quando si muovono provocano effetti stranissimi e paurosissimi.
Si legge ancora nel Perri, op. cit.:
« … la casa di Varvaro sembrava che camminasse; e si sprofondava: il terreno davanti all'uscio che normalmente era all'altezza della soglia, ora era lì un buon palmo più alto. E intanto il crepitio del letto diventava sempre più frequente... ebbero appena il tempo di varcare la soglia che uno scricchiolio potente investì la casa, e i muri si aprirono come un frutto di melograno troppo pieno di chicchi, ingoiando il tetto.

… la campagna intorno si vedeva assai poco e confusamente. Non si udiva che uno scroscio immenso, confuso di acque e di torrenti in piena e in mezzo a quel rovinio si percepiva qualcosa come un movimento strano della terra, come se si spostasse e venisse trascinata in giù da quel rombo tempestoso, con tutti i suoi alberi, le case, le strade, in un caos finale».
Ora la paurosa frana che distrusse la terra dei Pandurioti si è arrestata; ma le crepe dei muri, divelti o sepolti a mezzo nel terreno, sembrano occhi ancora spalancati sulla visione terrificante del cataclisma che circa un secolo fa segnò l’esodo della vita dalla città di Pandore.
Michele Fera
GAZZETTA DEL SUD, 22 marzo 1954

Le foto introduttive fatte nel maggio 1968 sono di Ernesto Gliozzi il giovane, risalgono  quando egli curava la Parrocchia di Careri.
La successiva, recentissima, è una cortesia di Caterina figlia di Bruno Trimboli.

domenica 14 giugno 2020

Il Presidente [di Santiago Mitre, 2017]





I.M.I
L’anno 1936 il giorno due febbraio, in Platì e propriamente nell’oratorio della Madonna del SS. Rosario, regolarmente convocati per procedere alla elezione del governo della Confraternita. Sono intervenuti i seguenti confratelli: Agresta Domenico, Barbaro Rocco, Barbaro Domenico, Ciampa Domenico, Ciampa Antonio, Lentini Nicola, Marando Domenico, Marando Pasquale, Mittiga Domenico, Mittiga Giuseppe, Trimboli Rocco, Perre Giuseppe Antonio, Portolesi Bruno, Pangallo Antonio, Romeo Michele, Sergi Antonio, Sergi Domenico, Timpani Domenico, Timpani Francesco, Timpani Stefano, Timpani Pasquale, Zappia Giuseppe.
Recitato il Veni Creator dal presidente Sig. Arciprete Pipicelli, delegato Vescovile delle presenti elezioni, il segretario fa l’appello dei confratelli: che su ventisei, risultano presenti ventidue.
Riconosciuto legale il numero dei votanti il Presidente dichiara aperta la seduta, invitando i presenti. Riconosciuto legale il numero dei votanti il Presidente dichiara aperta la seduta, invitando i presenti a dare il loro voto per la nomina del governo della Confraternita di M. SS. Del Rosario.
I Si vota per il candidato Timpani Domenico, il quale ha riportato su ventidue votanti: undici voti favorevoli e sedici contrari.
II Si vota per Perri Giuseppe Antonio il quale su ventidue votanti, ha riportato nove voti favorevoli e tredici contrari.
III Si vota per Ciampa Domenico, il quale su ventidue votanti, ha riportato otto voti favorevoli e quattordici contrari.
IV Si vota per Marando Domenico, il quale su ventidue votanti, ha riportato tredici voti favorevoli e nove contrari.
V Si vota per Zappia Giuseppe, il quale su ventidue votanti, ha riportato undici voti favorevoli e undici contrari.
VI Si vota per Timpani Francesco, il quale su ventidue votanti, ha riportato sei voti favorevoli e sedici contrari.
VII Si vota per Mittiga Domenico, il quale su ventidue votanti, ha riportato dodici voti favorevoli e dieci contrari.
Essendosi riconosciuto che Mittiga Domenico non era in regola con i pagamenti, si ripete la votazione per la nomina di vice Priore tra Zappia Giuseppe e Timpani Domenico il quale ultimo ha riportato su ventidue votanti quattordici voti favorevoli e otto contrari, mentre Zappia Giuseppe su ventidue votanti undici voti favorevoli e undici contrari.
Espletate le elezioni il Presidente proclama:
Priore: Marando Domenico
Vice Priore: Timpani Domenico
Primo Assistente: Zappia Giuseppe

Letto, approvato e sottoscritto
Marando Domenico
Timpani Domenico
Zappia Giuseppe
Il Presidente dell’Assemblea: Arciprete Antonio Pipicelli

Visto si approva
Gerace Sup. 12 febbr. 934
+ Giov. Battista Vescovo

I documenti riportati, e gentilmente concessi, sono custoditi presso:
Archivio Storico Diocesano “Mons. Vincenzo Nadile”
Diocesi di Locri – Gerace
ASDLG