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lunedì 15 giugno 2020

La morte sull'alta collina [di Alfredo Medori, 1968]





DOPO CIRCA UN SECOLO DAL CATACLISMA
I ruderi di Pandore
visione apocalittica
Mura divelte, spigoli interi di case capovolte si susseguono rosi
dal tempo e fanno pensare al capriccio terrificante di un gigante

Platì, 21 marzo
Partendo dalla contrada «angelica» si arriva alla zona dove sorgeva Pandore dopo mezz'ora, di marcia su, per una erta, faticosissima. L'argilloso «lacco» rende i piedi gravosi come piombo
I primi gruppi di macerie appaiono a metà del cammino rivestiti dalle ortiche e dai licheni. Mura divelte, spigoli interi di case capovolte, si susseguono rose dal tempo, e fanno pensare al capriccio terribile di un gigante.
Dalla vetta dell'aspra collina di Pandore si domina una grande distesa di questi ruderi dalle pose più strane e più tragiche.
Unico segno di vita il volo silenzioso di qualche farfalla, lo strisciare cauto di qualche lucertola tra le pietre sconnesse.
Scavata in un'enorme roccia sospesa sull'abisso, una vasca di pietra sembra aspettare ancora di essere adibita alle antiche mansioni della pigiatura dell'uva; la improvvisa catastrofe che seminò la morte tutt’intorno, niente ha potuto contro la sua durezza: Solo è riuscito corroderla il gocciare lento e continuo del tempo.
Quale terrificante spettacolo si offrì ai Pandurioti il giorno in cui la gigantesca frana sconvolse la loro dura ma pacifica vita di contadini? Solo lo scrittore Francesco Perri poteva riuscire a descrivere la scena apocalittica di quel momento.
Ecco cosa si legge in «Emigranti», la sua opera più famosa:
«E' caduta la quercia grande -- disse Varvaro; Ma all'invito angoscioso delle donne che rientrasse e chiudesse la porta, rispose con un mugolio che le fece agghiacciare.
Varvaro guardava. intorno in quella oscurità rotta da un chiarore debolissimo che veniva da dietro le nubi addensate, e non credeva quasi ai suoi occhi. Qualche cosa di misterioso avveniva intorno e pareva cambiasse lentamente la disposizione delie cose; Quel paesaggio che egli conosceva in ogni arbusto, quasi in ogni sasso, nel quale si sarebbe mosso ad occhi chiusi, si trasformava. Un'altra quercia accanto a quella caduta si era inclinata su di un fianco e cigolava sinistramente come una barca sul punto di affondare. E intorno quella altri alberi sembrava s'incurvassero a terra, perdendo la loro disposizione verticale. Di alcuni i rami toccavano il suolo. Una macea che si trovava parallela alla casa ora appariva spostata a sinistra e tutta a gobbe.
… Poiché in quel punto la campagna era tutta sparsa di case e di capanne, si udivano giungere col vento delle voci concitate, delle grida lunghe di spavento, dei pianti, e nel buio si vedevano muoversi luci rossastre come di tizzoni agitati! Poi si cominciarono a udire muggiti, e un abbaio lungo di cani che si rispondono e si eccitavano nella notte da ogni angolo della contrada».
Molto probabilmente il Perri, vissuto a Careri, cioè nella ona più instabile della Calabria, fu testimone di qualche scena se non identica, analoga a quella che descrisse con tanta veridicità. Nel brano che abbiamo citato non c’è infatti nessuna esagerazione; Le «filese», le terribili frane dei nostri paesi, quando si muovono provocano effetti stranissimi e paurosissimi.
Si legge ancora nel Perri, op. cit.:
« … la casa di Varvaro sembrava che camminasse; e si sprofondava: il terreno davanti all'uscio che normalmente era all'altezza della soglia, ora era lì un buon palmo più alto. E intanto il crepitio del letto diventava sempre più frequente... ebbero appena il tempo di varcare la soglia che uno scricchiolio potente investì la casa, e i muri si aprirono come un frutto di melograno troppo pieno di chicchi, ingoiando il tetto.

… la campagna intorno si vedeva assai poco e confusamente. Non si udiva che uno scroscio immenso, confuso di acque e di torrenti in piena e in mezzo a quel rovinio si percepiva qualcosa come un movimento strano della terra, come se si spostasse e venisse trascinata in giù da quel rombo tempestoso, con tutti i suoi alberi, le case, le strade, in un caos finale».
Ora la paurosa frana che distrusse la terra dei Pandurioti si è arrestata; ma le crepe dei muri, divelti o sepolti a mezzo nel terreno, sembrano occhi ancora spalancati sulla visione terrificante del cataclisma che circa un secolo fa segnò l’esodo della vita dalla città di Pandore.
Michele Fera
GAZZETTA DEL SUD, 22 marzo 1954

Le foto introduttive fatte nel maggio 1968 sono di Ernesto Gliozzi il giovane, risalgono  quando egli curava la Parrocchia di Careri.
La successiva, recentissima, è una cortesia di Caterina figlia di Bruno Trimboli.

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