-Lentini Giuseppe di Domenico Antonio di Alessandro, il
25.9.1848, in loco dicto licivota, tempore nocturno a fure Dominico Musolino
vulneratus est gladio et ideo in domo sororis suae, post trium Sacramentorum
susceptionem, animam Deo reddidit "Nel luogo
chiamato licivota di notte fu ferito con una spada dal ladro Domenico Musolino
e quindi rese l'anima a Dio nella dimora di sua sorella, dopo l'assunzione dei
tre Sacramenti"(Mo 25.9.1848).
-Lentini Giovanna di Dom. (Mo.13.8.1827) civitatis Oppidi.
-Lentini d. Pasquale (Mo 4.11.1824) sacerdote - vicario
foraneo.
-Trimboli d. Domenico (Mo.11.9.1829) arciprete di Cirella.
-Brizzi Maria (Mo.16.2.1849) da Ardore - vedova di Romeo
Domenico francisi
-Pezzano Maria (Mo.3.12.1849) da Ardore-vedova di Sergi
Carlo careja
-Fera m° Michele (Mo.29.7.1851) vir mf Nirta Candida, padre
dell' Arciprete di Polsid. Domenico
Fera.
-Fera d. Domenico (Mo 2.7.1856) arciprete rettore del Ven.
Santuario di Polsi, morto a 65 anni c., optimus sacerdos, egregius sator, verus
amicus, correptus podagra prope cor, et patientissime toleratis acerbissimis doloribus
per septem menses, praebens firma argumenta virtutis verae "Ottimo
sacerdote, notevole autore, vero amico, il cuore logorato dalla gotta e, sopportati
terribili dolori con grandissima pazienza per sette mesi, offrendo solide
testimonianze di autentica virtù". LIBRO DEI MORTI VOL. V°
Nota: Oscura e dispersa nel tempo e nella memoria il loco dicto licivota.
La traduzione dal latino la devo ancora una volta alla infinita cortesia della professoressa Gina Misdaris, già docente di Lettere Classiche al Liceo classico "Stellini" di Udine.
Next to me is Bobi
Jewell ... mother of Richard Jewell.
By some savage twist
of fate, Richard Jewell has been wrongfully and falsely accused of murder and
mayhem.
Her son's accusers are
two of the most powerful forces in the world today.
The United States
government and the media.
For the past four
weeks, these horrific forces have combined to make her daily existence a living
hell.
As I speak, they
continue to crush the very life out of her and her only son.
I introduce Barbara
Jewell, the 113th victim of the Centennial bombing.
La persona accanto a me è Bobi Jewell, la madre di Richard Jewell.
Per un crudele scherzo del destino, Richard Jewell è stato ingiustamente
accusato di omicidio e lesioni aggravate.
Ad accusare suo figlio sono le due forze più potenti nel mondo di oggi.
Il governo degli Stati Uniti e i media.
Nelle ultime quattro settimane, queste terribili forze hanno reso la
sua vita quotidiana un vero inferno.
Mentre vi parlo, continuano ad annientare la sua esistenza...
E quella del suo unico figlio.
Vi lascio a Barbara Jewell...
La 113esima vittima di Centennial Park.
Clint Eastwood, Richard Jewell, 2019
Oggi senza motivo apparente (forse) mi sono lasciato andare,
con una dose minima di visionaria visione, in uno scambio di parti: qui
leggerete del fil(e)m che doveva essere nel suo sito fratello e viceversa qui
la pubblicazione originaria per questa pagina. Volevo solo colpire al cuore, come direbbe Bettina Cugina.
Oggi inizia quello che prima dell’avvento dell’Olivastro era definito
il mese Mariano. All’asilo sotto il vigile sguardo della Madre Maestra Armida, i
bambini cominciavano a fare i primi colorati fioretti, che appesi all’albero sarebbero stati sacrificati in
onore della Sposa del falegname Pepé e Madre del Cristo risorto. Tutto finito, il tempo sprecato, la festa dei lavoratori cassata! La Madre
Maestra Armida ci guarda dal Cielo e le sue consorelle rimosse sulle pagine di
faccebuck. Con questa pubblicazione terminano anche i virtuali festeggiamenti
per i cento anni dello zio Pepè e la data non è casuale perché oggi è il
compleanno della sua sposa Annina, ultima erede insieme a Tota e Carletto di
quella che fu la nobile famiglia dell’avvocato Lentini "machini e mulini".
“Ti chiedo però di parlare, scriverete tornare in mezzo a noi calabresi. Scusa se la mia parola non è facile: sono un operaio”.
Ulisse – Crotone "Un giudizio netto,interamente indignato". Pier Paolo Pasolini
Pasolini e la Calabria [e Corrado Alvaro]
di Gaetanina Sicari Ruffo
Il giudizio di Pier Paolo Pasolini contenuto nel libro Le belle Bandiere - Editori Riuniti,
1991 – appare un po’ datato, ma essenziale e denso di significato, di forte e
chiara denunzia oltre che veritiero. In effetti si riferisce al 1960, anno in
cui Pasolini fece un viaggio nella regione e ricevette anche il rifiuto di
parlare in un Circolo di Reggio in Calabria che l’aveva prima invitato.
Lo scrittore risponde ad un lettore che gli chiedeva dei suoi rapporti
con la Calabria: “Tra tutte le regioni
italiane, la Calabria è forse la più povera: povera di ogni cosa: anche, in
fondo, di bellezze naturali. Per duemila anni è stata sottogovernata: ma
sottogovernata ancora peggio che la Sicilia o il Napoletano, o le Puglie, che,
in molti periodi storici sono state delle vere piccole nazioni, dei centri di
civiltà, in cui i dominatori risiedevano, almeno, ed avevano rapporti diretti
con la popolazione: gli Arabi in Sicilia, i Normanni in Puglia ecc. La Calabria
è stata sempre periferica, e quindi, oltre che bestialmente sfruttata, anche
abbandonata. Da questa vicenda storica millenaria non può che risultare una
popolazione molto complessa, o per dir meglio, con linguaggio tecnico,
«complessata››. Un millenario complesso di inferiorità, una millenaria angoscia
pesa nelle anime dei calabresi, ossessionate dalla necessità, dall'abbandono,
dalla miseria.
Nel popolo questi «complessi»
psicologici di carattere storico, possono dare, nei casi estremi, i risultati
più opposti: la più grande bontà - una bontà quasi angelica - e una furia
disperata e sanguinaria (la cronaca purtroppo ne parla ogni giorno). Una
popolazione esteriormente umile, depressa, internamente drammatica.
Tu forse sai che i «complessi››
psicologici impediscono uno sviluppo normale della personalità: così i calabresi
sono molto infantili e ingenui - e questo è del resto il loro grande fascino,
la loro più bella virtù. E quel tanto di contorto che c'è in loro è, in fondo,
infantilmente semplice.”
Fermiamoci a considerare questa prima parte del suo giudizio che in
generale riguarda il tracciato identificativo e storico della popolazione e
della terra calabrese all’epoca.
Potrebbe sorprendere l'espressione dello scrittore sul fatto che la
Calabria sia povera di bellezze naturali. Penso che intendesse che le sue bellezze,
innegabili per altro, fossero trascurare: discariche a cielo aperto, vie di
comunicazione precarie, scarsa cura del territorio, nessuna strategia per
rilanciare il turismo. Oggi dovremmo aggiungere pure il giallo dei rifiuti tossici, versati in alcune
località costiere e montane. Non è un delitto che pesa, a carico di chi
amministra, non certo della natura che non e stata generosamente protetta?
È una verità bensì che nell’aspetto dei luoghi resti la traccia profonda
di tanti secoli di abbandono e di malgogoverno. E’ una traccia che dura pure
nelle menti e ne condiziona i comportamenti.
In questo Pasolini rivela d’essere attento conoscitore dei moti d’animo
popolari anche quado parla del carattere dei calabresi che sono egli dice in
fondo molto infantili ed ingenui e quel
tanto di contorto che è in loro è in fondo infantilmente semplice. Ma
creduto ancora in questa semplicità se solo avesse potuto conoscere i numerosi
delitti delle famiglie di 'ndranghetista e la rovinosa diffusione del malaffare
in mezzo mondo? Non credo si possa parlare di fascino della semplicità della
gente Calabra che o era una favola malcelata o s’è definitivamente persa.
S’è detto tante volte da voci diverse dell’immobilismo meridionale, del
senso di stanchezza che sembra opprimere le popolazioni. Su queste componenti
egli ha una sua diagnosi: l’abitudine ad essere dominati ed asserviti ai tanti
dominatori che si sono susseguiti nel passato non ha certo creato stimoli ed
incoraggiato la ripresa in senso dinamico. E’ vero, ma questo retaggio non si
cancella mai? La natura spontanea o acquisita non può essere corretta e
modificata? Verrebbe da rispondere: sì, con la cultura. Ma questa non è una voce vincente e preponderante.
L'unico autore calabrese menzionato è Alvaro che tuttavia serve solo a
confermare l’arretratezza degli abitanti. Pasolini aggiunge: “La borghesia Calabrese, come tu sai, è di
formazione molto recente. Corrado Alvaro dice addirittura, con una boutade che
contiene però molta verità, che essa è nata in quest'ultima guerra, con la
«borsa nera››. E una borghesia recentissima, dunque, e quantitativamente
scarsa. Le forme più moderne di questa borghesia, mi pare si riscontrino a
Crotone: nelle altre grosse città calabresi, la borghesia è forse la peggiore
d'Italia: appunto perché in essa c'è un fondo di disperazione che la
irrigidisce, la mantiene, come per autodifesa, arroccata su posizioni
dolorosamente antidemocratiche, convenzionali, servili. Non è possibilista,
scettica, elastica come in altre regioni del Meridione, dove ciò che la salva,
è proprio la sua corruzione, cioè la sua antica esperienza. In Calabria,
ripeto, è rigida, moralistica: e perciò faziosa.
Sarà forse un caso, ma tutti i
giovani che ho incontrato casualmente o che mi sono stati presentati in Calabria
sono fascisti: dico, naturalmente, gli adolescenti di classe borghese. Questo
mi ha costernato. È un problema, quindi, che passo ai dirigenti politici: esso
mi sembra realmente grave, e da affrontarsi risolutamente. Da tutto quello che
ho detto qui sopra può risultare, infatti, storicamente chiaro che la borghesia
calabrese tende agli estremismi di destra.
Naturalmente c'è il Crotonese che
fa eccezione. Ed è per questo - per questa possibilità, per questa speranza che
il Crotonese autorizza ad avere - che io continuo ad appassionarmi a questo
problema, come se fosse mio, e non perderò certo mai occasione per parlarne: e
dire - sia essa gradevole
o no - quella che a me sembra la
verità.”
I problemi suggeriti da questa seconda parte di considerazioni di Pasolini
riguardano la borghesia, una classe che a sud ha attirato su di sé
prevalentemente le colpe del degrado e dell’arretratezza, non essendo riuscita,
dopo l’Unità, a rivelare autonomia e slancio di iniziative. Si e invece
vincolata con la prestazione dei voti, pur di essere privilegiata, ai gruppi parlamentari
che la sostenevano di volta in volta, senza avere a cuore i veri interessi dei
cittadini. Tutti sanno che l'annosa questione meridionale è cominciata da qui e
inutili sono stati i suggerimenti dei vari economisti e sociologi perché la situazione
mutasse. “La borghesia settentrionale ha
soggiogato l’Italia meridionale e le isole e le ha ridotte a colonie di sfruttamento”,
questa l'accusa di Gramsci per sottolineare l’inerzia di questa classe a sud, mentre
per Dorso la debolezza di tutto il sistema è venuta dall’assenza di una classe
media libertaria capace di risollevare le sorti compromesse dall’impasse di
tutta l’area. La classe operaia, che pure era stata protagonista di memorabili
lotte contro le prevaricazioni feudali negli anni prima e dopo il fascismo, non
ha avuto l'energia e i mezzi necessari per attuare quella rivoluzione
proletaria che era negli auspici del partito comunista.
Alle accuse di ieri si sommano quelle odierne che riguardano il
generale superamento della distinzione delle classi, ma non una pacificazione
sociale promotrice di progresso e di sviluppo. Ancor oggi l’economia è
stagnante e l’industria del turismo, che pure con successo potrebbe essere
impiantata, è solo una pia vocazione astratta. Mancano strumenti bancari adeguati e mezzi di
comunicazione rapidi ed efficienti.
Neppure i giovani che sempre lo scrittore ha considerato come promessa
del futuro spingono a ridenti speranze. Il motivo non nasce solo dalla loro
appartenenza a partiti di destra, com' è detto nella risposta pasoliniana,
quanto dalla dispersione che è intervenuta nei loro progetti, dalla
demotivazione che li caratterizza per carenza di lavoro e per necessità d’espatrio.
A ben vedere quindi il quadro prospettico calabrese, a distanza di decenni
è mutato, ma solo superficialmente. La grande utopia d’un partito comunista che
risana le piaghe e che dà vigore alla classe operaia per renderla matura e responsabile è pur
essa tramontata dopo la caduta del muro di Berlino. Si e generata una
confusione di ruoli e la nuova classe capitalistica ha fallito nelle sue mire
ed una generale grigia ed amorfa gora di sopravvivenza è subentrata. Il
privato ha avuto un gioco più libero di quello pubblico, ma non sempre schietto
e onesto. Si sono infiltrati gruppi di potere malavitoso cui si attribuisce in
maggior parte la stagnante e pericolosa deriva.
Calabria Sconosciuta n. 132
Anno XXVIVottobre - dicembre 2011.
NOTA La risposta di Pasolini al lettore che lo interrogava era apparsa
sul settimanale di attualità “Vie Nuove”, n. 49 a. XV, 10 dicembre 1960, fondato
nel 1946 da Luigi Longo, Pasolini collaborò con una sua rubrica dal 1960 al
1965.
mi scusati e mi perdunati se mi permettu u vi mandu stu' fogghiettu
c'ummè cummàri e p'o tempu chi ndavìti a perdìri p’ammu leghiti.
Dunca, cu volìa u saccíu acchì cosa pa tuttu ssu sdegnu chi ndavìti c’umnìa,
pecchì eu no’mmisentu in trascuransa non cu vvui e no cull'amici i nuja manèra,
ma sa trascuranza ncè vulerrìssi m'a saccìu in modu u mi pozzu scusari
c’uttùtti. Mi staiu magiandu i ciriveja d'a matìna a sira, ma no riesciu u mi
ricordu nenti. Mi ricordu sulu ca mi ndavivivu promettùtu u venìti ogni tantu u
si facití na visiteja a stu povuru malàtu, ma si vidi ca sta promisa vi catti i
menti o vi ndi stafuttìti i mia.
Ma non si faci nenti. Vi mandu o stessu i mei saluti, ma teniti cuntu ca
no’nci tegnu u vi scommutàti i nuja manera, altrimenti mi costringiti u
fazzu a chi mala figùra. Teniti cuntu ca
non ci sugnu.
Tanti saluti. E salutàti a me cummari.
Addio. PGliozzi
A Peppe Rinaldo
La foto con autografo di Fausto Coppi allo zio Pepé è una rarissima testimonianza del Giro della Calabria svoltosi nella primavera del 1950. Qualcuno ricorda che quel giro passò anche da Platì e questo video sembra testimoniarlo.
Di seguito le tre lettere che lareina consorte de España, Maria Cristina,
scrisse al Padre Bonaventura, suo confessore, presso il convento dei Riformati di Bianco
°°°
Padre Bonaventura,
ho ricevuto con sommo piacere il
vostro foglio del 25 nov. e con particolare godimento le due immagini una della
S.S. Vergine del Buon Consiglio e l’altra di S. Francesco e le tre composizioni
in stampa.
Nel farvi giungere i miei più
vivi ringraziamenti per queste vostre dimostranze di affetto verso di me e
tutta la mia famiglia, desidero che il cielo vi ricolmi di ogni bene spirituale
e temporale. Sono ugualmente sensibile alle assicurazioni che mi date di
porgere calde suppliche pel felice risultato del prossimo mio parto e ve ne
sarò molto grata.
P.S. Il giorno della data di
questa lettera alle ore 2 dopo pranzo Dio mi concesse un parto felice dando
alla luce una bambina, l’Infanta Maria Luisa Fernanda.
Madrid, 30 giugno 1832
Padre Bonaventura,
i sentimenti di giubilo che
sperimentate nel sentire il ristabilimento del mio amato sposo, che segue
benissimo nella sua convalescenza, sono per me una prova non equivoca
dell’affetto che portate a tutta la nostra famiglia e le preci fervorose da Voi
dirette all’Altissimo mi fanno sperare che lo vedrò quanto prima del tutto
ristabilito.
Non tralascio di raccomandarvi al
mio amatissimo fratello Ferdinando, perché possiate predicare nella Reale
Cappella Palatina, nel venturo anno 1834, il vostro quaresimale, desiderosa che
le mie raccomandazioni abbiano un effetto felice.
Vi ringrazio per le imploratemi
benedizioni dal cielo e ve ne desidero altrettante.
Maria Cristina
Madrid, 14 febbraio 1833
Padre Bonaventura,
col vostro foglio del 14 aprile
mi è pervenuto l’incenso e le cere che avete avuto l’attenzione di mandarmi
come facenti parte di quelle che lasciarono innanzi al Santo Sepolcro
nell’ultima settimana Santa, per cui mi sono stati questi oggetti altrettanto
grati e ve ne ringrazio moltissimo.
Vi sono altresì riconoscente per
le proteste che mi fate di volermi avere sempre presente nelle vostre orazioni
e potete essere certo che non vi è cosa che mi sia più gradita.
Da parte mia contate sempre sulla
uguale stima e benevolenza.
Maria Cristina.
Madrid, 9 giugno 1833
°°°
Nota di Ernesto Gliozzi
il vecchio. “In detto convento visse quasi tutta
la sua vita Padre Bonaventura da Casignana (al secolo Giuseppe Nicita) religioso di santa vita che era stato confessore
della Regina di Spagna, la beata Maria Cristina (di cui si conservano alcune
lettere dirette allo stesso). Egli fu valente oratore (un volume delle sue
prediche esiste), predicò a Roma, Corfù, Venezia ed in molte città, col
ricavato delle sue prediche arricchì il Convento di suppellettili preziose e di
sette statue. Nel 1860 il Convento fu bruciato per rappresaglia dei bersaglieri
comandati dal tenente Rossi e dal tenente Quadri i quali seguivano le peste dei
22 ufficiali e del Generale Boryers mandati dalla Spagna ad inquadrare e
comandare il grosso brigantaggio di Ferdinando Mittiga da Platì. Il Padre
Samuele da Siderno, al secolo Antonio Vincenzo Mercuri fu Pietro, era in
quell’epoca il Guardiano del Convento ed avendo dato alloggio alle truppe spagnuole,
diede motivo alla rappresaglia per cui il convento fu bruciato. Il 21 Settembre
1861 P. Samuele fu proditoriamente ucciso. Durante l’incendio è andato
distrutto il celebre, antico e artistico Crocifisso che vi si venerava e si
vuole che nel cadere a terra abbia lasciata l’impronta della mano del Cristo”.
Le tre lettere e una nota ricavata da quella scritta, per la Cronistoria della Diocesi di Locri
curata dal Canonico Oppedisano, da Ernesto Gliozzi il vecchio si trovano su Calabria Sconosciuta n. 132 Anno
XXVIVottobre - dicembre 2011. L’autore
di quell’articolo e molti altri più recentemente, definiscono la regina Maria
Cristina di Spagna “Beata”, abbagliandosi con Maria Cristina di Savoia.
Il ritratto in apertura è diVicente López y Portaña (1872 - 1850) e si trova al museo del Prado.
Una sorella del padre Bonaventura, Elisabetta Nicita, sposò a Platì
Domenico Portulise. I due ebbero cinque figli di cui il primo, Rocco nacque nel
1811, Rosario nel 1813, Rosa Maria nel 1822, Domenica nel 1823 e Francesco nel
1826, come risulta dal lavoro compiuto da Ernesto Gliozzi il giovane.
Nel magnifico salone del Centro sociale diocesano ha avuto
luogo la finalissima della Gara diocesana, cui hanno partecipato i vincitori
dell'eliminatoria fra i concorrenti provenienti da Agnana, Ardore superiore,
Bianco, Bovalino, Casignana, Caulonia, Fabrizia, Gerace, Giojosa Jonica, Locri,
Platì, Portigliola, Roccella Jonica, San Giovanni di Gerace, S. Luca.
Alla finalissima hanno partecipato Santino Locandro
(Gerace), Nicola Antonio Randò (Fabrizia), Bruna Costa (Bovalino), Delia
Commisso (Siderno), Vicenzina Chimirri (S. Giovanni di Gerace) Garofolo Ciro
(Gerace) Perri Domenico (Platì) Maiolo Francesco (Fabrizia) Zappia Anna (Locri)
Miceli Francesco (Platì), Montagnese Nazareno (Fabrizia), Pellegrino Maria
(Siderno Marina), Chimirri Giuseppina (S. Giovanni di Gerace).
La gara si è svolta con ritmo serrato, intercalata da
recitazioni e da balletti eseguiti da gruppi di ragazzini dell'Istituto
“Bennati”, garbatamente presentati dall'insegnante Armando Panetta ,alla
presenza del Vescovo della Diocesi Mons. Perantoni, del Sindaco avv. Murdaca,
dalle autorità scolastiche, nonché da un largo stuolo di signore e signorine.
Ha diretto la gara con la solita bravura il can. Ernesto Gliozzi - Penitenziere
della Cattedrale
Ecco i risultati:
Classe 3: Vincitore del titolo: Locandro Santino (Gerace)
Classe 4: Vincitore del titolo: Perri Domenico (Plati).
Classe 5: Vincitore del titolo: Chimirri Giuseppina (S.
Giovanni).
A ciascun vincitore è stata appuntato dal Vescovo la
medaglietta d'oro ricordo e offerti doni, a Licandro due volumi riccamente
illustrati, a Perri un orologio da polso, alla Chimirri una sontuosa bambola.
da salotto.
Queste parole mi sono state estorte con una minaccia, ve lo dico subito.
Per me, “Non mi devi deludere!” è peggio di una pistola puntata sul cuore. Ma è lì che ha mirato Ginocugino quando, giorni fa, mi ha chiamato per ricordarmi quest’anniversario. Che io me lo ricordavo, ma me lo tenevo stretto. Le esibizioni plateali sono quelle che mi fanno distinguere quando c’è da indossare cappelli dalle forme più strane o collane dai colori sgargianti, oppure salire su un tavolo a leggere racconti epici di paese, anche se il fiato mi abbandona ogni tre parole, non quando devo raccontare di un pezzo di cuore. Che anche lì, certe volte mi viene pure bene, anche se poi chi mi ama sul serio mi richiama subito, per dirmi che i sentimenti non si espongono in pubblico e che chi legge potrebbe essere proprio chi mi ha fatto più male al mondo, quello che ha giurato su un letto di morte e poi ha voltato le spalle.
A me non importa. Io sono così. Perciò è da qui che voglio partire, per raccontare papà. Dal momento in cui se n’è andato dal mondo per entrarmi definitivamente nel cuore. Da quella settimana in cui, lentamente si è consumato, permettendoci di maturare il distacco, di desiderarlo quasi, come chiedeva lui al dottore che si avvicinava al suo letto d’ospedale. Fatemi morire, mi sono stancato. E resisteva.
Per chiedere una promessa che non è stata mantenuta.
E per regalarmi un sorriso che non era per me.
Ma che io mi porterò nel cuore per sempre.
Potevo evitare di raccontarvi questo dettaglio, adesso, lo so. Ma ve l’ho già detto che io sono così. Vado a ruota libera, quando scrivo, non seguo una traccia, soprattutto a comando. O se ho pistole puntate sul cuore.
Isabella me lo dice sempre: tu sei figlia di tuo padre!!! E per me non c’è cosa più bella! Perché io lo so che gli somiglio, mi rivedo nell’allargarmi con tutti, nel prendere le cose con leggerezza, nella platealità di certi gesti, nel gustare certi piatti, nella rotondità del corpo e, più che ogni altra cosa, nell’immensità delle orecchie, che sembrano due padelle! Le mie e le sue!
Sì, lo so che adesso tutti, dopo aver versato le dovute lacrime leggendo l’inizio, non vi capacitate che io vi stia mostrando questa fotografia. Eppure io le orecchie me le guardo ogni mattina e lo vedo che diventano sempre più grandi, andando avanti nell’età, esattamente come quelle di papà.
Il naso invece no.
Quando è nato Jacopo, Mimmuzzo, amorevolmente, fece uno strappo alla regola, me lo portò in camera che io ancora non mi ero svegliata dall’anestesia e voleva mettermelo in braccio: io lo guardai e inorridita dissi NO!!!! Ha il naso di papà, dello zio Ciccillo e della zia Rosina messi insieme!!! Mimmo, non capì cosa stessi dicendo e, immaginando che non fossi sveglia, si guardò bene dal mettermelo in braccio…. ma credetemi, io lo so di cosa stavo parlando e tutti i miei cugini che stanno leggendo, lo sanno allo stesso modo.
Non un naso: una campana al posto del naso!
E, infatti, lui mi cantava sempre una canzoncina e la suonava facendolo dondolare e soffiando….
Dormiti bella e facit’u sonnu (ndilin- ndilon)
Se no vaju e vi chianu u Batitonnu (ndilin-ndilon)
U Batitonnu non potìa veniri (ndilin-ndilon)
Ca jiu u scangia cincucentu liri (ndilin-ndilon)
E li tricentu si li tornaru farzi (ndilin-ndilon)
E pe la pena si llordàu li carzi (ndilin-ndilon)
Doppu d’i carzi, si llordau i mutanti (ndilin –ndilon)
E ndeppi mu simmuccia ‘nto caccianti (ndilin –ndilon)
Ma lu caccianti ndavìa jiutu fora (ndilin –ndilon)
U cogghji na minestra di scalora (ndilin –ndilon)
E c’a scalora fici na ‘nzalata (ndilin –ndilon)
E la gugghjiu ‘nta na patamata (ndilin –ndilon)
(ndilin –ndilon)
(ndilin –ndilon)
Sì, lo state immaginando anche voi che se le inventasse su due piedi queste rime becere, e che il ndilin-ndilon servisse a raccogliere i pensieri per la rima successiva, oltre che per l’improvvisato spettacolo del naso che suonava come una campana percossa dalle dita, perché non c’è traccia, nella letteratura di nessun popolo al mondo di una ninna nanna come questa. Eppure questo stornello impietoso e di sicuro poco adatto al sonno di una bambina era l’unica cosa che lui mi sapesse cantare come ninna nanna ed io non l’ho mai dimenticata oltre a non essermi mai addormentata, ascoltandolo.
Ma questo lui cantava.
E a me andava benissimo!
Nota (Gino) - Il 24 aprile del 1920 è la data di battesimo dello zio Pepé, il 24 di quel mese era anche il giorno in cui si festeggiava la sua venuta al mondo.
Alle pendici delle meravigliose
faggete dei Piani di Zervò, quando la vista si apre sul tormentato paesaggio
del versante jonico aspromontano, inizia la valle di Platì (Kmq. 50,01).
Dal ripido versante nord occidentale
del Montalto - la vetta appenninica dal cui orizzonte è possibile vedere i mari
tirrenico ed jonico - si scende lungo la statale 112 a Platì (m. 300; abitanti:
4.060) da dove, dopo una leggera risalita sul monte Panduri, si apre il
fondovalle. Attraverso una strada scorrevole e piana si giunge in pochi minuti
ai larghi e sabbiosi arenili della costa jonica.
La storia di Platì, centro a
prevalente economia agricola e zootecnica, risale al 1557 quando fu fondato
come feudo dei principi di Cariati; l'antico abitato fu quasi interamente distrutto
dal terremoto del 1783: ma la tenacia e la laboriosità dei sopravvissuti fece
rinascere l'antico centro che nel 1799 fu istituito Comune autonomo dai
francesi.
La povertà delle risorse agricole
ed una ineguale distribuzione dei redditi spinse, negli anni delle emigrazioni
oltreoceano, centinaia di famiglie verso le Americhe e l'Australia: si emigra
ancora oggi verso l'Italia settentrionale ed i
Paesi dell'Europa occidentale.
Negli anni del 1951-53, l'abitato
di Platì e le sue frazioni e contrade furono duramente colpiti da disastrose
alluvioni: si ebbero numerose vittime e danni alle attività produttive.
Una piena ripresa economica, la
valorizzazione delle risorse produttive e turistiche, una organica politica di
difesa del suolo sono, oggi, l'impegno costante delle popolazioni di Platì che,
nelle avversità, hanno maturato un forte spirito di lotta ed una coscienza
altamente democratica e civile.
On the slopes, thick with beech
trees, that start from Zervò plateau, where the view opens onto the rugged
landscape of the Ionian side of the Aspromonte, the valley of Platì begins
(50.01 Square km).
From the steep north-western ridge
of Montalto – the Appenine peak from which it is possible to see both the
Ionian and the Thyrrhenian Seas – it is possible to drive down Road 112 to
Platì (300 m height above sea level; population: 4060) from where, after a
short climb on Panduri Mountain, the valley stretches out. The large and sandy
beaches of Ionian shores can be reached with a few minutes long and smooth
drive on a flat road.
Platì’s history, which has an
economy mainly based on agriculture and livestock breeding, goes back to 1557
when it was established as a fief* of Cariati Princes: the ancient town was
almost entirely destroyed by an earthquake in 1783, but the population rebuilt
it with perseverance and hard work. In 1799 Platì was declared independent
Township by the French.
Poor agricultural resources and
unequal distribution of incomes pushed hundreds of families towards North and
South America or Australia in the migration years. Nowadays migration is
towards Northern Italy and Western European Countries.
In the years 1951-53 the town,
together with its surroundings, was hit hard by devastating floods with victims
and damages to production activities.
A full economic recovery, a
promotion of production and touristic resources, a comprehensive policy for
soil conservation are now the constant commitment of Platì’s townsfolk who,
having endured many hardships, have developed a strong fighting spirit anda highly democratic and civic consciousness.
A
fief (/fiːf/; Latin: feudum) was the central element of feudalism. It consisted
of heritable property or rights granted by an overlord to a vassal who held it
in fealty (or "in fee") in return for a form of feudal allegiance and
service, usually given by the personal ceremonies of homage and fealty. The
fees were often lands or revenue-producing real property held in feudal land
tenure: these are typically known as fiefs or fiefdoms. However, not only land
but anything of value could be held in fee, including governmental office, rights
of exploitation such as hunting or fishing, monopolies in trade, and tax farms.
(Wikipedia)
L'autore del quadretto naif è sconosciuto. Il testo qui riportato è incluso in una pubblicazione edita nel 1974 dal Comune di Platì - sindaco Francesco Catanzariti - a seguito della visita del ministro australiano on. Albert J. Grassby. La pubblicazione è conservata presso la Biblioteca "Pietro De Nava" di Reggio Calabria. La foto in apertura e la traduzione sono di Rosalba Perri. La foto che appare nel video è del Cav. Rocco Brancatisano di Bovalino Mare.