ECHI DELLE
CELEBRAZIONI PASQUALI NEI COMUNI DELLA PROVINCIA REGGINA
La passione di Cristo
rivive ogni anno
nella mistica
tradizione dei Calabresi
A PLATI'
Platì, 14 aprile
Quando il Signore girava per il mondo seminando i paesi, i mari,
i monti, presso Platì, dove aveva piazzato un immenso «serro». Gli cadde dal
sacco un granello di «Monte boscoso». Il Signore non se ne accorse e continuò
il suo cammino; ma dal granello sorse una tozza, impervia montagna di circa
quattrocento metri d'altezza, tutta ricoperta da una fitta selva di ulivi e di
rovi intrecciati.
La montagna, che si trova all'ingresso, di Platì e si nota
subito in mezzo alla macchia gialla ed uniforme del «serro» rimasta presso a
poco come la lasciò Nostro Signore, date le insuperabili difficoltà che si
incontrerebbero nella coltivazione del suo fondo prevalentemente granitico.
Essa si anima soltanto per un giorno dell’anno: il Venerdì
di Passione, quando per le stradette scoscese e per i dirupi si snoda la lunga
processione che riproduce l’ascesa di Cristo al Calvario.
Calvario è infatti la denominazione ufficiale della montagna;
e sulla sua sommità si stagliano contro il cielo tre grandi croci nere.
Il Venerdì di Passione è dunque l'unico giorno dell'anno, in
cui centinaia di persone si arrampicano, per una mistica tradizione, lungo i
fianchi del monte Calvario; precede la processione una fitta schiera di
fotografi dilettanti, armati di macchine di ogni genere: obiettivi di ogni specie,
dai semplici ai grandangolari, fissano l’immenso pittoresco corteo in centinaia
di fotogrammi che verranno spediti ai platiesi disseminati nelle varie regioni
del mondo come ricordo graditissimo della loro terra.
Si parte dal paese alle sette circa; un uomo vestito di
bianco, curvo sotto il peso di una enorme, autentica croce di legno (che
trascinerà da solo e senza esitare durante tutto il faticosissimo tragitto)
rappresenta Gesù condotto al Calvario; Quest'uomo cadrà per tre volte, durante
il viaggio in tre punti del «serro».
Segue la pesantissima bara che contiene una artistica statua
in grandezza naturale, di Cristo Morto. Non stupisce il fatto che gli uomini sopportino
l’enorme peso di questa bara, ma il fatto che la portino con disinvoltura e senza incidenti fino in cima alla montagna
attraverso sentieri strettissimi e rocciosi per i quali riesce a malapena a passare
una sola persona; sembrerà anche curioso il fatto che si portino al Calvario e
il Cristo vivo e quello morto. Ma, la processione è solo simbolica e giustifica
pertanto questa specie di «Contaminazione» tra due momenti affatto differenti.
Seguono il corteo le statue della Madonna e di San Giovanni;
viene infine la folla immensa dei fedeli, dei curiosi e dei forestieri in cerca
di emozioni artistiche.
Dopo circa due di cammino si arriva sulla sommità del monte.
Una breve sosta e si ritorna indietro.
La cerimonia e finita verso mezzogiorno del Venerdì di Passione,
il monte Calvario è di nuovo deserto, con le sue croci nere che si tendono
verso il cielo.
Michele Fera
GAZZETTA DEL SUD, 15 aprile 1955