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venerdì 20 marzo 2020

Benvenuti in paradiso - Peppino Portolesi

A Documentary in Three Parts 
by Rosalba Perri




Uno degli internati fu Giuseppe Portolesi, classe 1907, barbiere, meglio conosciuto come mastru Peppinu u Piripì. Le sue schede di Internamento ci forniscono tutte le informazioni su di lui e quindi apprendiamo che è nato a Plattì (scritto con 2 t su tutta la scheda), che è di religione cattolica, registrato in Adelaide, “catturato” da ufficiale dell’intelligence a Woodville (uno dei comuni della città metropolitana di Adelaide corrispondente più o meno ad un quartiere) il 22 marzo 1941. È di carnagione scura, alto 1,60 m, ha capelli neri e occhi grigi, segni particolari: una cicatrice sul sopracciglio destro. Viene internato su ordine del Comandante 4MD (4° Distretto Militare). Arriva al campo con una brandina ed una valigia contenente capi di abbigliamento.
La famiglia: - è figlio di Francesco, deceduto, e di Giuseppa Zappia residente in via Filanda a Platì.    
 - è sposato con Elisabetta Gliozzi che abita in Via San Pasquale a Platì ed ha una figlia di nome Giuseppe (invece di Giuseppa), in realtà mastru Peppinu aveva anche un figlio, Francesco come il nonno.

Internato nel campo di Loveday dove possiamo immaginarlo a prendersi cura degli altri internati tagliando loro i capelli e radendoli come nella foto.
Fu rilasciato il 23 ottobre 1943.
La moglie ed i figli lo raggiungeranno nel 1949. Giuseppina sposerà un amico del padre, campano, e avrà cinque figli; Francesco sposerà Caterina di cui il blog ha pubblicato una poesia. https://iloveplati.blogspot.com/2019/04/journey-through-past-neil-young.html
Giuseppe cesserà di vivere all'età di 83 anni.

-          Nota: Il cognome Portolesi, che Rohlfs indica come cognome prettamente di Platì, ha origini spagnole:
Portolesi: Linaje de infanzones aragoneses, residentes en Lanuza, del valle de Tena (Huesca), desde el siglo XIII, con ramas en Barbastro, Luesia, Fraga y Zaragoza.
Apellido muy antiguo en Aragón, que se registra, indistintamente, con las formas de escritura Portolés y Portalés. Moll, en su obra “Els Llinatges Catalans”, señala que es una forma plural de –portaler-, “guardián de la porta”.  (http://www.blasonari.net/apellido.php?id=1538)


Portolesi: Lignaggio di valvassori aragonesi residenti in Lanuza, della valle del Tena (Huesca), fin dal secolo XIII con ramificazioni in Barbastro, Luesia, Fraga e Saragozza. Cognome molto antico in Aragona registrato, indistintamente, con le forme di Portolés e Portalés. Moll, nella sua opera “I Lignaggi Catalani”, segnala che è una forma plurale di -portaler-, ovvero “guardiano di porta”.


One of the internees was Giuseppe Portolesi, born in 1907, barber, known in the community of townsfolk as mastru Peppinu u Piripì. His internment records give us a series of data about him, so we learn that he was born in Platì (actually written Plattì throughout the record), his religion is Roman Catholic, he is registered in Adelaide, he was captured by an Officer of the intelligence Corps in Woodville on 22/03/1941. His complexion is swarthy, his height is 5 ft 3”, he has black hair and grey eyes and a scar on right eyebrow. He is put in internment camp by order of the Commandant 4MD.
Family: - his parents are Francesco, deceased, and Giuseppa Zappia, via Filanda, Platì. – he is married to Elisabetta Gliozzi living in Via San Pasquale in Platì and has a daughter named Giuseppe (instead of Giuseppa). Actually mastru Peppinu also had a son named Francesco after the grandfather.
Held at Loveday where we can imagine him looking after fellow inmates by cutting their hair and shaving them as in the picture. He was released on 23/10/1943.
Wife and children joined him in 1949. Giuseppina married a friend of her father, from Campania, and had five children, Francesco married Caterina: the Blog posted a poem of hers. https://iloveplati.blogspot.com/2019/04/journey-through-past-neil-young.html
Giuseppe passed away at 83 years of age.

-          Note: surname Portolesi, which for Rohlfs is mainly found in Platì, has Spanish origins:
-          Portolesi: Linaje de infanzones aragoneses, residentes en Lanuza, del valle de Tena (Huesca), desde el siglo XIII, con ramas en Barbastro, Luesia, Fraga y Zaragoza.
Apellido muy antiguo en Aragón, que se registra, indistintamente, con las formas de escritura Portolés y Portalés. Moll, en su obra “Els Llinatges Catalans”, señala que es una forma plural de –portaler-, “guardián de la porta”.  (http://www.blasonari.net/apellido.php?id=1538)

Portolesi: lineage of small gentry from Aragon residing in Lanuza in the valley of Tena (Huesca) since the 13th century with branches in Barbastro, Luesia, Fraga and Saragozza. Very ancient surname in Aragon registered equally as Portolés and Portalés. Moll, in his work “Catalan lineages” indicates that it is a plural form of “portaler” that is “gatekeeper”.



Nella foto in apertura Giuseppe Portolesi, nella fila in piedi è il secondo da destra, con la giacca sotto il braccio. Il primo a sinistra, sempre fila in piedi, è Armando De Fazio che sposerà Giuseppina. Segue un particolare della scheda di ingresso nel campo di Loveday e quindi un'immagine del campo stesso. Per saperne di più su Loveday andate qui: https://en.wikipedia.org/wiki/Loveday_Camp_9  e qui: https://lovedayproject.com/about/
FINE
Seconda Parte

giovedì 19 marzo 2020

Benvenuti in paradiso [di Alan Parker, 1990]

A Documentary in Three Parts 
by Rosalba Perri







Alla fine degli anni Trenta, molti platiesi partirono verso l’Australia dove sin dalla fine dell’Ottocento si erano già stabiliti altri compaesani. A partire per primi furono, in genere, gli uomini raggiunti poi dalle mogli e dai figli. Gli immigrati della prima ondata erano quindi riusciti a congiungersi con le famiglie e ad ottenere la cittadinanza quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale che vide Italia e Australia su fronti opposti. Gli immigrati degli anni Trenta furono invece sorpresi dalla guerra prima di poter ottenere la cittadinanza ed il ricongiungimento familiare. Furono, quindi, considerati “enemy alien” ovvero “nemico alieno” che a noi farebbe pensare ad un film di fantascienza ma che semplicemente indicava un cittadino di nazione nemica.
Gli italiani, insieme ai tedeschi, agli austriaci ed ai giapponesi, furono arrestati ed internati in campi di detenzione. Grazie all’intervento di figure rispettabili come l’Arcivescovo di Melbourne, non tutti gli italiani vennero internati. Benché solo gli uomini dai sedici anni in su venissero rinchiusi, le autorità dei vari stati si videro costrette ad ammettere nei campi anche alcune famiglie poiché non riuscivano a sopravvivere senza l’uomo come principale sostegno.
Molti prigionieri catturati dagli Alleati sui campi di battaglia del Nord Africa furono trasferiti dagli inglesi in India o in Australia. Coloro che finirono in Australia furono i più fortunati e spesso incontrarono “paesani” proprio nei campi di internamento. I militari catturati sui campi di battaglia, al loro arrivo, ricevevano un cappotto militare ed una gavetta. Molti di loro si dichiararono non fascisti e leali al re. Dichiarazioni accolte con un certo scetticismo dagli australiani (Video “Italian prisoners down under 1941”). Mentre i soldati tedeschi e giapponesi furono internati in campi di massima sicurezza, i prigionieri italiani entrarono in quelli a più bassa sicurezza e spesso venne dato loro il permesso di lavorare nelle fattorie (Video: “Australian prisoners of War, part 1”). Lì i prigionieri provenienti da Platì, Cirella, Careri, Benestare, Siderno, Casignana, Reggio ed altri paesi della costiera jonica si incontrarono con i “paisani” poiché non si fece distinzione fra “Internee” gli immigrati con cittadinanza di paese nemico e “Prisoner of War” (prigionieri di guerra). Questi ultimi rimasero a lungo in Australia anche dopo l’armistizio contribuendo alla costruzione di strade e di altre opere pubbliche. Fra i rimpatriati molti fecero richiesta di emigrazione una volta in Italia.
Oltre 25000 militari ed un imprecisato numero di civili vennero internati in campi improvvisati. I principali campi di prigionia per gli italiani furono Cowra nel Nuovo Galles del Sud (NSW) e Loveday nell’Australia Meridionale (S.A.).
I campi di detenzione non erano duri campi di concentramento come gli stalag tedeschi. Né assomigliavano a quelli giapponesi descritti in film come Il ponte sul fiume Kwai, né gli internati vennero mai alle prese con carcerieri come Takeshi Kitano in Merry Christmass Mr Lawrence, ragion per cui i nostri emigranti vi si trovarono abbastanza bene. A parte qualche convinto fascista, tutti si dichiararono pronti a lavorare per l’Australia sul fronte interno e alcuni addirittura chiesero di essere arruolati (non furono accettati).
Molti (ma non tutti) degli emigrati di Platì furono internati. Sul sito dei “National Archives of Australia” si trovano le schede relative ad ognuno.

At the end of the Thirties, many people from Platì emigrated towards Australia where, since the end of 1800s, already many others from the same town had settled. Generally, man would leave first to be joined later by wives and children. Most people from first migration wave were naturalized by the time Second World War, in which Italy and Australia were on opposite sides, broke out. Thirties were caught up buy the Second World War as “alien enemies” since Australia and Italy were engaged on opposite sides. Migrants who had arrived around the Thirties were caught by the war in a situation in which they were considered “enemy alien” as citizens of an enemy Country.
Italians, together with Germans and Japanese, were captured and sent to makeshift internment camps. Thanks to the action of some people such as the Archbishop of Melbourne, not all Italians were sent to camps. Although only men from the age of sixteen would be arrested, State Authorities had to admit also some families who were not able to cope without the breadwinner.
Many prisoners captured by the Allies in North Africa’s battle fields were transferred by the British to India or Australia. Those who arrived in Australia were more fortunate and often met with townsfolk in the internment camps. On disembarking they would receive a military coat and a mess tin. Many of them declared they were not fascists but rather loyal to the King, Australians were rather sceptical about this (Video “Italian prisoners down under 1941”). While German and Japanese prisoners were sent to high security camps, Italians entered in low security camps and often had the permit to work in farms (Video: “Australian prisoners of War, part 1”). Prisoners coming from Platì, Cirella, Careri, Benestare, Siderno, Casignana, Reggio and other towns of the Ionian coast met with their townsfolk since there was no distinction between “Internees” and “Prisoners of War”. The latter remained in Australia for some years after the armistice and contributed in road constructions and other public works.  After repatriation some applied to migrate to Australia.
Over 25000 prisoners and an unspecified number of civilians entered makeshift internment camps. Main camps for Italians were Cowra in NSW and Loveday in SA.
Internment camps were not hard concentration camps like the German stalags. Nor were they similar to the Japanese ones as seen in the movie “A bridge over the river Kwai”, nor internees were ever confronted with guards such as Takeshi Kitano in “Merry Christmass Mr Lawrence”. Therefore, our migrants were in a relatively good condition. Except for very few unrepentant fascists, all migrants volunteered to work for the Australian home front and some even asked to be enrolled in the Army (but were not accepted).
Many Platì’s migrants (but not all) were sent to internment camps, their records can be found on The National Archives of Australia.
by Rosalba Perri



In apertura Vito Scotti e Micky Dolenz in un frammento uscito da Head di Bob Rafelson del 1968.

FINE 
Prima Parte

mercoledì 18 marzo 2020

Un'anguilla da 300 milioni [di Salvatore Samperi, 1971]




L’interessante pesca delle anguille

Platì 2 giugno
Quando il sole violento dell’estate fa accartocciare le foglie degli alberi, e l'asfalto delle strade diventa così molle sotto il solleone che il passante vi lascia impresse le sue forme, allora è il momento propizio per dare la caccia alle anguille che sguazzano pigramente nella poca, acqua dei fumi e dei torrenti. Si dimentica completamente, in queste occasioni, il caldo, si lascia a casa l'indolenza, e si parte in comitive più o meno numerose, nel bel mezzo della giornata, verso i fiumi o verso la gora di qualche mulino, (a seconda della «locateia » che si è scelta), armati di tutto punto;
Le armi usate per questa singolare caccia (più propriamente dovrebbe chiamarsi pesca), sono semplicissime e di buon augurio: esse non sono altro che le comuni forchette; Il loro uso, qui è però crudelissimo: con esse, infatti, si trafiggono, vive, le povere bestione, per trarle fuori dall'acqua.
Come tutte le pesche grandi, quella dell'anguilla è uno sport crudele; ma non possiamo fare a meno di riconoscere che le anguille fritte hanno un. sapore squisito. Inoltre, gli spettatori che s’impietosiscono alla sorte delle anguille hanno spesso la soddisfazione di vedere i cacciatori morsicati da qualche anguillone ... fuori serie!!
Alla pesca delle anguille non si va mai da soli; per avere successo bisogna essere ben organizzati, ed essere non meno di quattro o cinque persone.
Si parte, dunque, e si va difilati alla «locateia» (che si è scelta dal giorno prima) a fare la «stag1iata»; arrivati sul posto, i cacciatori si dislocano lungo un corso di acqua (naturale o artificiale) di alcune decine di metri. All’estremità superiore del corso uno qualsiasi della comitiva incomincia ad intorbidire l'acqua con della calce spenta che ci si è portati appresso in grande quantità (la calce è l'unico capitale investito nella caccia); l'acqua cosi i intorbidita scende lungo il canale penetrando in tutti i buchi e gli interstizi di esso;   
Le anguille accecate escono dalle loro tane e corrono disordinatamente all'aperto cercando disperatamente uno scampo dalle feroci forchette dei cacciatori che trinciano velocemente l'acqua in tutte le direzioni.
Qui è la fase movimentata della caccia: ognuno scruta attentamente la propria zona aspettando di veder guizzare sveltissimo il corpo della anguilla; quindi si getta a capofitto dietro quest’ultima, incurante anche di scivolare nell’acqua bianca di calce, e sferra forchettate a destra e a manca.
A volte qualche incauto cacciatore infilza la propria mano al posto dell’anguilla; ma se ne accorge lui solo: gli altri sono troppo occupati per badare a questi piccoli incidenti; magari scambiano per urla di entusiasmo le urla di dolore del malcapitato.
Spesso succede che tre o quattro cacciatori si trovino impegnati tutti dietro una sola anguilla; anzi questo e il caso più frequente, perché le anguille corrono da una parte all'altra con una velocità incredibile.
Acchiapparle con le mani è praticamente impossibile perché scivolano; Non solo, ma prima di scivolare mordono maledettamente, ecco perché aumentando il numero di cacciatori... forchettofori, aumentano le probabilità di una buona caccia; Se appena l'anguilla riesce a guizzare nell'acqua limpida, non la prende più nessuno.
La caccia all'anguilla non sempre da buoni frutti: a volte infatti, o non si indovina la zona, o, questa è stata già sfruttata, ed allora i poveri cacciatori dopo avere sprecato tutta la riserva di calce, tornano a casa con qualche misero «caiale» nelle borse; («caiali» sono dette le anguille piccolissime).
Ma non è detto che vada sempre così: a volte si pescano decine di chilogrammi di anguille; capitò l’anno scorso ad alcuni giovani di Platì di catturare un’anguilla di ben tre chili e duecento grammi di peso, nel fiume Ciancio! 
Un particolare curioso che bisogna ricordare, della caccia all'anguilla, è che le forchette servono una sola volta; dopo la caccia si possono buttar via tanto sono contorte e rovinate.
Col bottino spesso si preferisce organizzare dei banchetti completamente a base di anguille; vengono servite anguille in tutte le salse se soli commensali sono, tradizionalmente, i partecipanti alla caccia. Sovente si preferisce spartire il bottino sul luogo stesso della caccia; si ripartiscono le anguille secondo il merito che ognuno ha avuto nel catturarle e secondo la quantità di calce che ognuno ha portato; quindi ognuno se ne ritorna a casa.
Nell'acqua che va schiarendosi a poco a poco qualche piccolo «caiale» infilzato e successivamente rifiutato dai cacciatori tenta disperatamente un ultimo guizzo …
m. f.
MICHELE FERA
GZZETTA DEL SUD, 3 giugno 1955


lunedì 16 marzo 2020

Altri tempi [di Alessandro Blasetti, 1951]


FESTA DU RITU

Tambura, ciaramejì e tamburini,
pipiti cu frischiotta ed azzarini,
guciati allegri e longhi scampanati
scifalora, giranduli e stijiati.

Putighj chini e chini gucciari
nta chiazza mustazzola e gularì,
mani lesti chi giranu puzzetti
e caccianu gelati a fetti a fetti,

cotrari chi ti fujanu nte pedi
si si fermu, si camini e si ti sedi,
n'orbu chi tira e molla n’organettu
e ti canta la storia du fojettu.

Banda chi sona e passa pe li strati, 
fimmani ali finestri mpiparati, 
cavajucciu, casteju e bumba scura, 
e mbriachi chi vannu mura, mura.

Giacomo Tassoni Oliva

Questa poesia di don Giacomino la devo alla cortesia del senatore Giuseppe Beniamino Fimognari, figlio di Maria di Polsi Tassoni Oliva (1913 - 1976)  e del dottor Filippo Fimognari.

In apertura un'immagine d'epoca della migrata venerazione platiese della Madonna du Ritu in Mishawaka IN per merito della Maria SS Di Loreto Society. 





domenica 15 marzo 2020

In vendita [di Laetitia Masson, 1998]



Con la presente scrittura privata vendo il paracoccio del fondo Calcarella e Filesi ai Signori Gliozzi Luigi e Ante Zizanovic per lire 800 ottocento che mi ricevo e lascio ai suddetti finale quietanza, impegnandomi che fino a giovedì tutte le olive ancora non raccolte dovranno essere abbacchiate, nel caso contrario le olive non ancora abbacchiate vanno comprese nella presente vendita.
      Platì, 12 . 2 . 1940  XVIII.
Giacomo Tassoni Oliva


Nota:
Ante Zizanovic era il genero di don Giacomo Tassoni Oliva avendone sposato in prime nozze la secondogenita Giuseppina. Ante (Antonio), un nazionalista, croato trovò asilo a Platì per opera di Benito Mussolini. Con lui arrivò anche Giuseppina Tassoni Oliva e i due abitarono nella casa paterna. A Platì nacque nel 1939 il loro unico figlio Pasquale Andrea. Ritornato in patria Ante rimase vittima della repressione degli Ustascia.



giovedì 12 marzo 2020

Jurassic Park [di Steven Spielberg, 1993]

In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Vangelo di Giovanni, Gv. 1

FOSSILI CRETACEI
 DEL
BARTONIANO DI PLATI' (CALABRIA)
STUDIO GEO-PALEONTOLOGICO'   
 DEL SOCIO
  DOTT. GIUSEPPE DE STEFANO 
(CON UNA TAVOLA)
MILANO
TIPOGRAFIA DEGLI OPERAI (SOCIETA’ COOP.)
Corso Vittorio Emanuele 12 – 16
1905

Estratto dagli Atti della Società Italiana di Scienze Naturali, Vol. XLIII

Giuseppe Seguenza così scriveva nel 1882 a proposito del cretaceo della provincia di Reggio Calabria: “Senza dubbio oltre dei lembi sinora ricordati alle falde dei monti cristallini, altre porzioni di cretaceo si andranno rinvenendo, e ne son prova evidentissima alcuni fossili cretacei, che provengono da contrade che stanno ai piedi del Laurenziano. Così, alcuni esemplari dell'Alectyonia Syphax Coq., dell'Exogyra oxynthas Coq., ed altre specie, furono raccolte nella contrada d'Anconi nel territorio di Bovalino; una Coquandia italica n. sp. e qualche altro fossile provengono da Cirella(1).
Ora, tanto G. Seguenza, quanto Carlo De Stefani (2), e posteriormente il Cortese (3), trovarono fossili cretacei nelle quattro seguenti località: a Vrica, territorio di Bova, a Brancaleone, alla Portella di Falco, ed infine a Guttà.
Dopo gli studi dei su mentovati geologi nessun altro, a mio credere, si è occupato del sistema cretaceo della Calabria meridionale, se togli una mia nota sull'affioramento di Brancaleone, pubblicata nel 1900 (4).
Il lembo fossilifero del quale adunque mi trattengo in questa memoria scoperto da me quattro anni or sono è nuovo e non può essere confuso con quello citato da Montagna nel 1854 (5), affiorante presso Ciminà,  e che molto più tardi ricordò anche Carlo De Stefani (6), riferendolo con probabilità al lembo di Cirella; il quale, ad ogni modo come l’altro della contrada d'Anconi, accennato dal Seguenza, non è stato ancora oggetto di particolari studi paleontologici, atteso che il citato autore, vale a dire il Montagna, non ci
 diede di Ciminà e degli altri affioramenti che una illustrazione di Citaris e di qualche mollusco.
Lo studio sui fossili cretacei di Platì si compone principalmente di due parti, una stratigrafica e l'altra paleontologica, alle quali ho creduto bene far precedere alcune brevissime notizie storiche sulla formazione cretacea della provincia di Reggio Calabria, acciocché il lettore possa farsi un’idea chiara dei concetti stratigrafici da me espressi. Per le memorie ed Opere Consultate debbo rendere sentiti ringraziamenti al signor commendator U. Botti il quale ha messo a mia disposizione la sua ricca libreria. Sento anche il bisogno di ringraziare il mio egregio amico, ing. G. Tessitore dell’Ufficio tecnico provinciale di Reggio, il quale, oltre ad essermi stato di guida nelle mie escursioni fatte nel territorio di Platì, mi ha anche regalato dei buoni esemplari della località in studio arricchendo di non poco la mia privata collezione di fossili cretacei calabresi.
Avverto, infine, che il presente lavoro, scritto circa tre anni fa, non poté essere pubblicato prima d’ora perché, inviato all’estero dal Ministero della P. I., rimasi assente per molti mesi dalla Calabria e dall’Italia
Nella tavola annessa al lavoro sono figurate le pochissime forme descritte come nuove: le altre trovate a Platì saranno illustrate in una prossima memoria, di revisione generale – alla quale attendo da qualche tempo – su tutti i fossili cretacei della Provincia di Reggio.
Reggio Calabria, gennaio 1904

(1) Sequenza Gius., Studi geologici e paleontologici sul cretaceo (medio dell'Italia meridionale. Mem. d. R. Acc. d. Lincei, pag. 14. Roma, 1882.
(2) De Stefano Carlo, Escursione scientifica nella Calabria. Jejo, Montalto e Capo Vaticano. Mem. d. R. Acc. d. Lincei, pag. 78-79. Roma, 1884.
(3) Cortese E., Descrizione geologica della Calabria, pubblicata per cura del R. Ufficio geologico, pag. 112-114. Roma, 1895.
(4) De Stefano Giuseppe, Il Cenomaniano di Brancaleone Calabro Boll. D. Naturalista ital., Anno XX, N. 1-2. Estratto pag. 8-15. Siena, 1900
(5) MONTAGNA C., Primo rendiconto della Commissione incaricata di esplorare il bacino carbonifero di Gerace. Ann. Civ. del Regno delle Due Sicilie, pag. 6 1854
(6) DE STEFANI CARL0, loc. Cit., pag. 80.

(continua)
Documento conservato presso la Biblioteca Comunale "Pietro De Nava" di Reggio Calabria.

Questo di Giuseppe De Stefano è lo studio sul passato più remoto di Platì. Tutto cominciò come egli ce lo descrive dopo aver risalito in lungo e in largo il Ciancio, la fiumara di Platì e il Bollarino: dopo vennero l'area, le località, gli uomini e la storia. E la storia siamo noi.

mercoledì 11 marzo 2020

Lista d'attesa [di Juan Carlos Tabío, 2000]


A Platì
In occasione del rinnovamento del consiglio comunale, sono state presentate nel nostro centro, due liste contrassegnate rispettivamente con la tradizionale «spiga» e col non meno tradizionale «scudo crociato». Candidati per la lista «Spiga» sono i seguenti cittadini: 1) Catanzariti Francesco; 2) Mittiga Armando; 3) Crea Michele; 4) Marando Giuseppe; 5) Molluso Rocco; 6) Musitano Pasquale; 7) Riganò Antonino; 8) Romeo Bruno; 9) Romeo Giuseppe; 10) Schimizzi Rocco; 11) Trimboli Francesco.
Candidati allo scudo crociato, sono i signori: 1) Zappia Giuseppe, ex sindaco del comune: 2) Gliozzi Francesco Giuseppe sacerdote; 4) Aurelio Domenico Alberto; 4) Catanzariti Rocco; 5) Demarco Rosario, insegnante; 6) Morabito Giuseppe, studente; 7) Miceli Domenico; 8) Stancati Luigi; 9) Taliano Francesco; Timpani Francesco; 11) Tripepi Antonino.
Il clima elettorale si è fino adesso mantenuto calmo; i fautori della lista «Scudo Crociato» che costituiscono certamente la maggioranza dei cittadini, e di cui alcuni elementi, tra cui il sindaco Giuseppe Zappia fecero parte dell’Amministrazione testé caduta si sono astenuti fino a questo momento, dall’organizzare comizi nelle strade. Alcuni comizi sono stati invece organizzati dai fautori della lista «spiga»; ha parlato il signor Francesco Catanzariti di Domenico, da Platì.
GAZZETTA DEL SUD, 28 aprile 1956


PER LA MANCATA COSTRUZIONE DELLA STRADA
Si asterranno dal voto gli abitanti di Cirella
Non hanno designato i sei candidati al consiglio del comune capoluogo
Locri, 28 aprile
(F.T.) Si apprende che gli abitanti di Cirella, frazione di oltre duemila abitanti del comune di Platì, da cui dista sette chilometri ed al quale è collegata attraverso un sentiero accessibile alle bestie da soma, non hanno designato i sei candidati, quale loro rappresentanza separata in seno al consiglio del Comune capoluogo, ai sensi dell’art. 27 bis della legge 23 marzo 1956 n. 136, in segno di protesta per la mancata realizzazione dell’invocata strada carrozzabile che unisca la frazione stessa a Bombile, e quindi alla strada statale106.
Come si ricorderà in occasione di precedenti consultazioni elettorali quella popolazione mite e laboriosa, ma stanca di vedersi negletta, si astenne dall’andare alle urne.
In quella occasione votarono soltanto il presidente del seggio e gli scrutatori.
GAZZETTA DEL SUD, 29 aprile 1956

Da notare la significativa distinzione tra cittadini per la «Spiga» e signori per lo «Scudo Crociato» .

lunedì 9 marzo 2020

Beat the Drum [di David Hickson, 2003]


In memoria di Antonio Richichi, drummer di Careri 

domenica 8 marzo 2020

Fatti corsari - La quattordicesima ora



-Furore d. Francesco (Mo. 19,12.1886/56) di d. Giosofatto e d. Elisabetta Oliva; sacerdote.
-Romeo Domenico (Mo.29.1.1887/6) di Bruno e Pisto Rosa; ruris Cirella.
-Sansalone Angela (Mo.2.5.1887/31) di Antonio e Murdaca Caterina, ved. di Larosa Vincenzo; da Siderno.
-Marrapodi mf Filomena (Mo.21.5.1887/36) di Giov. Batt. e Morabito Francesca, ved. di Rosario Mittiga.
-Raffaele Isabella (Mo.2.7.1887/40) di Giuseppe e Taliano Serafina: morì a 3 mesi.
-Fera mf Concetta (Mo.4.8.1887/46) di Dom. Ant. e Portulesi Caterina; ux di Domenico Portulesi.
-Mottareale d. Concetta(Mo.1.11.1887/68) dalla città di Reggio; moglie di d. Carlo Flesca.
-Fera d. Francesco (Mo.25.8.1872/44) farmacista, di Michele e mf Candida Nirta, marito di d. Giuseppa Taliano.
-Oliva d. Stefano (Mo.25.7.1872/28), doctor legis aetatis suae an. 49 cr., filius q. m d. Michaelis et d.ae Franciscae Speziali, affectus morbo dicto "spleniti subacuta" con infiammo alla milza e tubo intestinale, rurem S. Ilarii petiit obaëris mutationem, patientissime toleratis diri morbi gravissimis doloribus per tres menses, singulari devotione receptis Sacramentis Poenit.,Euch. Et extemae Unct., Divinae Voluntati plene submissus, die 25 m.Julii Divo Jacobo apostolo dicato, inter singultos et amplexus suorum consanguineorum, a semetipso animam suam Deo commendans, dulciter expiravit circa horam XIV eiusdem diei. Vidt ortum solis praedicti diei sed ad eius occasum iam non erat. Anima sua in coelum advolavit ut se coniungeret cum suis Genitoribus, et corpus suum nunc requiescit in Ecclesia  S. Ilarii insepulcro de Familia Speziali. Subscriptus frater defuncti dolenter assistens supremis horis vitae suae, petit humiliter et enixe a Deo pro ipso defuncto pacem et requiem sempiternam, necon gratiam videndi eum post mortem in Paradiso, et haec  pauca verba scribit ad futuram rei memoriam. In q.m fidem etc. Philippus Archipr. Oliva
Il dott. Oliva Stefano (morto il 25/7/1872/28) dottore in legge, 49 anni, figlio di Michele e di donna Francesca Speziale, affetto dalla malattia detta “splenite  subacuta”, con infiammazione della milza e del dotto intestinale, cercò un cambio dell’aria presso la campagna di Sant’Ilario, sopportati con estrema pazienza i terribili dolori della crudele malattia per tre mesi, ricevuti con incredibile devozione i Sacramenti della Penitenza, Comunione ed Estrema Unzione con incredibile devozione. Completamente sottomesso alla Divina volontà, nel giorno 25 di luglio dedicato al divino apostolo Giacomo, tra i singhiozzi e gli abbracci dei suoi parenti, affidando da solo la sua anima a Dio, serenamente morì all’ora quattordicesima di quel giorno. Vide il sorgere del sole del giorno citato ma al suo tramonto già non c’era più. La sua anima volò in cielo per congiungersi con i suoi genitori e il suo corpo ora riposa nella chiesa di Sant’Ilario nel sepolcro della famiglia Speziale. Il sottoscritto fratello del morto che lo assiste nel dolore nelle estreme ore della sua vita, chiede umilmente e con forza a Dio la pace e il riposo eterno per lo stesso defunto e la grazia di vederlo dopo la morte in Paradiso e scrive queste poche parole a futuro ricordo della situazione. In fede Filippo Oliva Arciprete.


La traduzione dal latino la devo alla cortesia della professoressa Gina Misdaris, già docente di Lettere Classiche al Liceo classico "Stellini" di Udine.

giovedì 5 marzo 2020

L'incidente [di Joseph Losey,1967]




Grave caduta d’un platiese
Platì, 3 aprile
(M.F.) – Di un grave incidente è rimasto vittima il nostro concittadino signor Antonio Delfino, segretario di zona dello organismo dei Coltivatori Diretti di Platì e Careri.
Scivolando accidentalmente in una vi di Benestare dove si trovava per ragioni di ufficio, il Delfino riportava una seria frattura al braccio sinistro.
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD, 4 aprile 1957