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mercoledì 12 febbraio 2020

Fatti corsari - optimis praedita moribus



-Floccari Saverio (Mo.12.2.1883/8) di Dom. e di Furore Maria, mutus a nativitate (muto dalla nascita).
-Ciampa mf Giuseppa (Mo.16.2.1883/9) di Giosof. e Gregoria Mittiga, ux. Violi Pasquale.
-Marando mf Maria (Mo.6.3.1883/17) di Rosario e Ciampa Caterina, ux. Violi Rocco.
-Buccafurni mf Rosa (Mo.25.5.1883/37) di Carmelo e Noto Elisabetta.
-Mittiga Domenico (Mo.16.7.1883/45) di Agostino e Catanziti Elisabetta, vir mf Angela  Morabito.
-Mittiga Rosario (Mo.31.8.1883/47) di Dom. e mf Angela Morabito, vir mf Filomena Marrapodi, sutor (calzolaio).
-Oliva d. Francesco Anselmo (Mo.23.9.1883/63) di d. Michele e di d. Gaetana Empoli.
-Oliva d. Mariantonia (Mo.15.3.1883/68) di d. Michele e d. Gaetana Empoli.
-Gliozzi Rocco Diego (Mo.2.11.1883/73) di d. Ferdinando e mf Elisabetta Pangallo, morì all' età di 20 giorni.                                                                                                        
-Carbone Anna (Mo.5.12.1883/80) di d. Domenico, ved. di Giuseppe Puzzo.
-Furore d. Giosofatto (Mo.5.7.1884/29) di d. Fortunato e d. Paola Portulesi, dottore.
-Oliva d. Giuseppa (Mo.5.8.1884/36) di d. Stefano e d. Elisabetta Speziali, nubilis et optimis praedita moribus (nubile e dotata di buoni costumi).
-Violi Rocco (Mo.8.10.1884/44) di Antonio e Teresa Floccari, loco dicto S.Nicola, fulgure correptus, statim clausit diem supremum (colpito da un fulmine in località detta San Nicola, all’istante andò incontro al giorno supremo).
-Strangio Antonio (Mo.8.10.1884/45) di Giuseppe e Trimboli Francesca, vir  di Sergi Caterina, loco dicto S.Nicola, fulgure correptus eodem quo Violi Rocco, statim obiit (colpito da fulmine come Violi Rocco in località San Nicola è morto).
-Forgione Rosario (Mo.27.11.1884/51) di Giuseppe e Francesca Mosca, vir di Romeo Anna.
-Mittiga d. Teresa (Mo.28.12.1884/56) di Rocco e mf Giuseppa Perre, ved.di d. Domenico Zappia. Morì a 93 anni.
-Bellè Maria (Mo.10.2.1885/11) di Pasq. e Musolino Elisabetta, ved. di Bartone Giuseppe.
-Oliva d. Pasquale (Mo.13.4.1885/18) di d. Giuseppe e d. Teresa Barletta.
-Oliva d. Maria Francesca (Mo.11.9.1885/36) di d. Giuseppe e d. Teresa Barletta.
-Gliozzi Maria Francesca (Mo.5.11.1886/45) di d. Luigi e d. Assunta Lopez; morì ad 1 mese di età.
-Zappia mf Francesco (Mo.22.11.1886/51) di Pasquale e Rosa Sergi, vir d. Domenica Zampogna.
-Papalia d. Rosario (Mo.11.12.1886/54) del dott. fisico d. Vincenzo e d. Filomena Cufari; morì all'età di 3 mesi.

Libro dei morti, Vol. V°

lunedì 10 febbraio 2020

Cielo senza stelle [di Helmut Käutner, 1955]

CHE FINE HANNO FATTO I MERIDIONALISTI MERIDIONALI?
Ho l'impressione che la Calabria viva la situazione peggiore in Europa per quanto riguarda la povertà educativa: abbandono scolastico in costante aumento e analfabetismo strumentale sempre più diffuso (dati Istat, OCSE, Invalsi).
Le opportunità che ha un giovane calabrese nelle città e ancora di più nei paesi di usufruire di esperienze culturali sono sempre più scarse in quanto a lettura, cinema, musica, teatro, pratica sportiva. Sono stati elaborati una quarantina di indicatori che misurano l'assenza della povertà educativa e la media dei giovani calabresi arrivano a malapena a sperimentarne quattro.
Di fronte a questo sfascio la Calabria manifesta una preoccupante povertà della sua classe dirigente e, mafia a parte, l
'assenza di una robusta borghesia capace di comprenderne i problemi, reagire e costruire un diverso futuro. Anche lo Stato nel suo insieme sembra aver abbandonato il Sud al suo destino. Abbiamo di certo le scuole e molte delle quali anche buone, con buoni insegnanti, ma siamo quasi privi di biblioteche vere, librerie, teatri, cinema, musei che vadano oltre il folklore e l'archeologia, attività culturali degne di questo nome. E quelle poche infrastrutture culturali che esistono il più delle volte si rivolgono a gruppi di privilegiati.
La nostra povertà come società si manifesta nella fragilità delle famiglie, delle istituzioni, nei bassi consumi culturali, nella insufficiente spesa degli enti locali per la cultura e il sociale. Abbiamo indici di lettura tra i più bassi in Italia e non è, per esempio, che non si legga per colpa di internet, ma proprio perché mancano le occasioni nella vita di tutti i giorni di avere un contatto con i libri o con pratiche di promozione della lettura.
Si parla tanto di digitale omettendo che il libro tradizionale, che rappresenta ancora più del 70% dell'editoria, in Calabria è un bene raro, molte volte difficile anche da acquistare.
Un altro aspetto che scoraggia è che con tre università pubbliche pochissimi sono quei docenti o quegli intellettuali che rivolgono realmente uno sguardo al di fuori del loro specifico ambito di lavoro o che riescano a preoccuparsi di qualcosa che non siano le loro preziose pubblicazioni, e che la stessa inconsapevolezza manifestano i media nel loro insieme. Viene da chiedersi, che fine hanno fatto i meridionalisti?
Gilberto Floriani*
*Gilberto Floriani è il direttore del Sistema Bibliotecario Vibonese di cui vi evidenzio il seguente post:, Se la Calabria muore:
Il testo è riportato per come l'ho ricevuto, incluso l'evidenziatore.
Il disegno è di Iermanò Luigi che nel 2019 era in V B, particolare di un tema presentato al Premio Ernesto Gliozzi, ultima edizione.

domenica 9 febbraio 2020

I fuggiaschi [di Gustav Ucicky, 1933]




UN PROBLEMA SOCIALE MAI RISOLTO
DALL’800 AD ALVARO FINO AD OGGI
Tra i latitanti
Dell’Aspromonte

I latitanti dell'Aspromonte sarebbero duecento, a detta di Bartolomei, ex procuratore generale del1a Corte di Catanzaro; per venirne a capo non occorrerebbe meno della forza dell'esercito repubblicano. I carabinieri, stando così le cose, non ce la farebbero. L’ipotesi suscitò, qualche tempo fa, ondate di indignazione. Si è voluto riconoscere in essa un indizio di propositi antidemocratici o un segno di sfiducia nei riguardi dei carabinieri e della popolazione. Si sarebbe dovuta vedere invece una constatazione di fatto. 
 Ma perché si è |arrivati a tal punto? Perché i carabinieri non incutono più timore ai malviventi? Il timore nasceva dal rispetto. Perché il rispetto è venuto meno? 
C'è una bella novella di Alvaro, «Il canto di Cosima» nell'«Amata alla finestra», in cui un latitante, il Timpa, alla ricerca di Cosima, la sua infelice amante, anche nei momenti più gravi manifesta il rispetto per chi ha l'impegno di catturarlo, il carabiniere Delfino. Dice l'Alvaro: «Il Timpa pensava che un giorno le sarebbe rimasto accanto a curarla, e nella sua fantasia arrivava a patti col Delfino, sentendo alla fine di volerlo bene perfino a lui che lo cercava per ammanettarlo, come succede talvolta tra nemici aperti».
Erano tempi, quelli, in cui la fantasia di uno scrittore austero, come l'Alvaro, poteva trovare senza romanticherie segni di umanità tanto nel latitante che nel suo persecutore. Oggi le tensioni sociali sono esplose; la perversità he raggiunto estremi raccapriccianti. L’audacia dei malviventi non conosce limiti al suo operare. 
Ma non è detto che i malviventi, di allora - mi riferisco al primo quarto di questo secolo - fossero degli agnellini che non sapessero uccidere. Non è detto che per varie ragioni sociali non trovassero nella popolazione soccorsi più o meno volontari. E’ un fatto però che era possibile tenerli a freno   forze limitate di polizia. 
Può essere interessante risalire dalle notazioni di Alvaro sul carabiniere Delfino, alla figura di lui, ch’era nella realtà il maresciallo Delfino, la cui vita strenua spiega tanto i suoi successi strepitosi nella cattura dei malviventi quanto, la fama di chiaroveggenza e di invulnerabilità che lo distingueva. 
Nacque a Bova, in provincia di Reggio Calabria, nel 1888, e si arruolò carabiniere a vent’anni nel 1908, in risposta al furto di bestiame che la sua famiglia contadina aveva subito. Giurò che l’avrebbe fatta pagare cara ai malviventi; e per tutta la sua vita mantenne l'impegno. Si distinse per la sua opera di soccorso nel terremoto di Reggio e Messina.  Sapeva appena leggere, aveva fatto la terza elementare, ma imparò subito il gergo dei mafiosi e le loro norme in un codice trovato per caso a Platì tra le foglie di granoturco di un giaciglio. Armato di quella cultura, si  introdusse nelle fila dei malviventi.
Nel Nicastrese. sulle montagne della Sila Piccola, camuffandosi da ladro, sgominò una banda che, guidata da un disertore, imperversava.  Una volta fece da palo alle loro imprese. Quando gli fu possibile, comunico ai carabinieri il posto della cattura. 
Venne a capo di associazioni mafiose nel 1927 e nel 1936, nei paesi dell'Aspromonte orientale, con centinaia di arresti ben motivati, che determinarono sempre condanne esemplari. Il maresciallo Delfino non si ingannava sulla sua clientela.
Era collegato con una ditta di Napoli che gli forniva barbe finte, sai di monaco questuante, abiti da pastore, da carrettiere, cenci di mendicante. Una volta si vesti da accattone, girando per il paese di Cirella. Trovava ospitalità nei fienili. Di giorno concentrava la sua cerca nei pressi dell'ufficio postale. Sapeva che un ergastolano evaso - aveva commesso diversi omicidi - intendeva ritirare i risparmi depositati, per emigrare in America, e lo aspettava.
Comparve infatti l’ergastolano su una mula, col fucile a tracolla, davanti all’ufficio postale. Delfino tirò la pistola e impose le mani in alto. L'ergastolano sorpreso si lascia ammanettare. Delfino lo porta, solo, a Platì, attraverso le montagne, delle quali nessun latitante osava contrastargli il passo. La signora soltanto dell'ufficio postale pretese la restituzione dei soldi che gli aveva dato in elemosina.
Venne a capo di un’associazione a delinquere a Platì, lusingando un vecchio «'ndranghetista» che si era messo in testa di cambiare mestiere per fare il carabiniere. Il maresciallo Delfino gli fece intendere che la cosa era possibile e una sera, invitatolo in caserma, gli lesse un telegramma falso del Comando che lo nominava carabiniere ausiliario. Bisognava festeggiare l'avvenimento e il maresciallo Delfino organizzò il banchetto nella stessa caserma. Gli fece indossare la divisa e lo portò davanti allo specchio perché si mirasse. Qui accadde un colpo di scena pirandelliano perché il vecchio «'ndranghetista» sentendosi un altro, rivelò tutti i segreti che aveva, gli abigeati che da lui e dagli altri erano stati commessi, sicuro che ormai in quello stato, non avesse avuto più nulla da temere. Arrestato per primo, fu riconosciuto colpevole e condannato. Ma quando uscì dal carcere, un colpo di lupara alla schiena lo stroncò come traditore, mentre accudiva ad alcune pecore in un ovile. 
Del suo fiuto poliziesco si racconta il seguente episodio. C'era il medico Fera a Platì che aveva accanto alla sua casa un pollaio con ottanta galline. Una notte sparirono. Il medico non aveva alcun sospetto; ma il maresciallo Delfino domanda: «Mi volete dire che cure avete prescritto ai vostri ammalati nei giorni precedenti?».  Il medico Fera si sforza di ricordare e infine assicura che a un tale aveva ordinato pastina con brodo di pollo.
«Basta così», gli risponde il maresciallo Delfino; va nella casa del presunto ammalato e in una stalla contigua scopre settantanove galline; l’ottantesima era stata mangiata.
Scriveva bene i rapporti ai suoi superiori; ma non era forte in grammatica; e della punteggiatura conosceva solo, come certi matematici, il punto. Un tenente novellino gli contesta, nella caserma di Bianco, gli errori.  Il maresciallo Delfino cercò di farsi aiutare da un carabiniere che gli pareva più istruito di lui. Ma questi non trovava nessuna virgola da aggiungere. «Sai come facciamo?», gli propose il maresciallo, «Facciamo così!».  Intinse il pennino nel calamaio e, battendo la cannuccia, spruzzo il foglio con puntini d'inchiostro. «Non potranno dire che non ce li ho messi!». 
Ma si rivolse al padre di Corrado Alvaro, ch’era maestro a San Luca, e prese lezioni di grammatica come uno scolaro. Divenne suo amico le gli offriva i suoi servigi quando andava a Catanzaro, dove il giovane Alvaro era studente al Liceo Galluppi.
Si incontravano sulla piazza di San Luca e il padre di Alvaro domandava: «Maresciallo, novità per Catanzaro?».  
«Preparate il pane per domani».
La madre di Alvaro faceva il pane in casa per il figlio; tagliava il pane in due e metteva dentro la frittata.  Quella era la colazione che veniva portata al figlio studente. 
Nacque così la fiducia di Alvaro per l'umanità di lui, della quale notò poi alcuni tratti nel «Canto di Cosima».
Ma io, scrivendo ancora del maresciallo per suggestione delle parole di Alvaro, posso ricordare altri aspetti della sua umanità: che rifiutò di prendere la tessera fascista, pagando con la mancata promozione a maresciallo maggiore: egli che era stato insignito di medaglia d'argento o di bronzo, nonché di altri riconoscimenti al valore.
Non. so se avesse idee chiare di politica. Probabilmente il buon senso gli avrà fatto le veci della cultura che non aveva. Avvertiva in anticipo gli antifascisti delle perquisizioni che doveva fare. Per delicatezza si rifiutava di controllare la corrispondenza. dei confinati politici. Apriva per dovere di ufficio le lettere arrivate e senza leggerle le consegnava ai destinatari perseguitati. 
Mario La Cava
Gazzetta del Popolo, Mercoledì 30 marzo 1977 
e ripubblicato su:
calabria sconosciuta rivista trimestrale di cultura e turismo
anno XI - n. 40 gennaio-marzo 1988

giovedì 6 febbraio 2020

Il muro di gomma [di Marco Risi, 1991]


UN APPELLO DA PLATI'
Necessario ricostruire
il muro d'argine sul Ciancio
Evitare che il grosso torrente in piena provochi ulteriori rovine per gli abitanti del luogo
__________________________

            Platì, 11 gennaio
(M. F.) La stagione delle pioggie per quest'anno se n'è andata senza lasciare cattivi ricordi. Ma il Ciancio, nel suo corso schizofrenico ha un brontolio di minaccia all'indirizzo delle numerose abitazioni della parte inferiore del nostro centro, abitazioni lasciate in piedi per puro miracolo dalle alluvioni del 51 e del 53, e messe a disposizione, comunque, dei capriccetti autunnali del fiume.
Quei famoso personaggio che parlava di «opere senza né capo né coda», si riferiva con certezza al muro d'argine che in seguito alla alluvione del 1951 fu cominciato a costruire per proteggere il nostro centro dal suddetto fiume Ciancio.
Il destino ai questo muro, fu infatti, quello di non servire a niente: Le due parti essenziali di esso, cioè la terminazione superiore e la termina inferiore, furono lasciate in sospeso, inspiegabilmente, nell'anno 1952, e non furono più costruite.
La stampa dibatté il problema, (gravissimo e urgentissimo per molte centinaia di persone), fino al parossismo, fino alla nausea, ma fece il solito buco nell'acqua. Si rivolse al Prefetto, ai Genio civile di Reggio, a tutte e autorità competenti, ma non ottenne grazia. Ottenne solo la grande soddisfazione di constatare fino a che punto funzioni nel Paese, la cosiddetta «Libertà di Stampa».
Vi fu un momento in cui, durante l'ultima visita, del Prefetto al nostro centro, si sperò che il problema sarebbe stato finalmente risolto: Ma il momento passò e la cosa finì li.
Era fatale.
Ma cosa si pensa, che col andar del tempo il muro si aggiusterà da solo? Che il Ciancio si sceglier un altro letto per rispettare quelle povere abitazioni che le Autorità Provinciali offrono alla sua smania, di distruzione? 0 quanto meno, che i Platiesi si rassegneranno a vedere inascoltate le loro richieste e si metteranno l’animo in pace?
Ci dispiace, ma se queste sono le speranzelle che nutrono le competenti autorità, sentiamo il dovere di avvertire queste ultime che avranno una grossa delusione. Il Ciancio per conto suo, non è disposto a nessuna concessione, e aspetta solo una buona piovuta che gli dia agio di completare l’opera iniziata quel famigerato diciotto ottobre del 51.
(Michele Fera)  
GAZZETTA DEL SUD 12 gennaio 1955

Sarà costruito a Platì
il muro d'argine sul Ciancio

 Platì, 4 maggio
(M. F.) - E' maturata in questi giorni una bellissima realizzazione da tempo intrapresa dalla amministrazione
Zappia: la costruzione di un poderoso muro d'argine a difesa della parte inferiore del nostro centro dalle furie alluvionali del Ciancio.
La realizzazione, oltre che a salvare oleifici, molini le proprietà fondiarie, assicurerà la disposizione di una larghissima zona edilizia che sarà, di particolare importanza quando il progettato trasferimento del 'intero rione Ariella determinerà, l’espansione del nostro centro proprio in quella zona.
(Michele Fera)  
GAZZETTA DEL SUD, 5 maggio 1955


mercoledì 5 febbraio 2020

Caldaie in festa [di Folco Lulli, 1965]

Platì, il giorno della candelora 2020, in contrada Margherita:



Era la festa del maiale, festa di tutti i ghiottoni rispettabili e di tutta la gente del popolo come della borghesia. Non costa nulla allevare un maialino che in capo a un anno arriva anche a pesare un quintale. Verso febbraio, finché dura la stagione fredda, ingrassano in modo da consolare. Si trovano già in gennaio per gli angoli delle strade, distesi davanti al truogolo colmo di crusca, annusare e grugnire gonfi da non potersi alzare sulle zampe. Poi non mangian più e restan così coricati, con gli occhi socchiusi, come uomini disgustati dei grandi pranzi e delle ghiottonerie. Quello è il momento per farne salsicce. Sicché tutto febbraio è pieno di grugniti e di cani in faccende per le strade a cercar dove si possano gustare dei buoni rimasugli. Le bestie, a meno che non siano magre, si ammazzano in pubblica via, il corpo è issato tra gli sforzi esagerati del padrone su una forca e così si comincia il taglio della pancia donde gli intestini scivolano fuori fumando. 
Le caldaie sono in gran lavoro: le donne col piacere loro proprio dell’abbondanza e di quel che ha un segno di ricchezza, impastano la poltiglia di carne pepata e fragrante di sale, i ragazzi di casa soffian dentro gli intestini dove l'acqua gorgoglia ed esce con gli escrementi, vi picchiano con le vesciche gonfiate; il cuore, il fegato, i polmoni appesi danno al sole note di rosso strazianti, e la bestia è lì, bella, rasata che par di cera, con la pelle tagliata verticalmente di tagli non sanguinosi ma candidi di grasso. Le ragazze girano con le ceste nascoste sotto il grembiule, e recano a parenti e ad amici, una parte dei migliori bocconi in omaggio. La cronaca paesana registra i chili, i quintali; e chi ha l'onore di ammazzare il più grande campione gode il suo quarto d’ora di celebrità apparendo ovunque soddisfatto con l’aria di un signore che esca da un pranzo dove ha dovuto di nascosto slacciarsi il corpetto e la cintura.
Corrado Alvaro, Un paese, 1916

giovedì 30 gennaio 2020

Il fidanzamento [di Gianni Grimaldi, 1975]

Shall I say Would it be a sin?
If I can’t help falling in love with you
Weiss, Peretti, Creatore




IL FIDANZAMENTO. Da quella volta la cassata siciliana mi è indigesta

Pina euforica per l'arrivo del futuro fidanzato correva da una parte all'altra della casa non sapendo decidere cosa indossare; la nonna Mariuzza sovrintendeva in cucina, tutto doveva essere pronto per la sera (una cena leggera) e per l'indomani il sontuoso pranzo di fidanzamento di sua figlia Pina con Giovannino antiquario di Messina nonchè già cognato di sua figlia Rosa che aveva sposato Placido il di lui fratello.Tutto era pronto ,era l'estate del 1957, noi bambini facevamo capolino continuamente per vedere se arrivavano... intanto si era fatto buio e niente.La mamma decise che per noi era arrivata l'ora di cenare e andare a letto.Era stato difficile prendere sonno si avvertiva un'aria nervosa in casa e anche il timore che tutto andasse in fumo.Io presi sonno con difficoltà ma...ad un certo punto voci ,risate, abbracci grida: erano arrivati gli ospiti e il fidanzato. Dopo la cena ,  venne servita un'enorme cassata siciliana che doveva essere repentinamente consumata, il caldo e il viaggio non le davano più margini di attesa.
Il ricordo di quella sera/notte è per me indelebile, sarà che avrò mangiato con avidità sarà che la ricotta non si era forse mantenuta freschissima sarà  ... fatto stà che il mal di pancia mi ha fatto vedere quell'alba con due occhiaie a virgola, nere.
Il fidanzamento è stato bellissimo, Pina era raggiante ma riservata come voleva l'educazione delle signorine di allora.
Dopo il grande pranzo dell'enorme tavolata, sotto lo sguardo austero di nonno Rosario e col suo permesso, Giovannino prese un' Ortensia rosa offrendola a Pina, lei fece scattare la molla di questo astuccio che si aprì sotto i nostri occhi incantati, specie i miei e quelli di Angelina, dentro un anello di  luccicanti brillanti era il simbolo di una richiesta d'amore che Pina accettava con la benedizione dei suoi genitori e la felicità dell'intera famiglia.
MARIA

Nella foto il matrimonio a Paola,
dietro gli sposi da sinistra: lo zio Pepè, lo zio Ciccillo, la zia Rachelina, Pino Fedele, lo zio Peppino, le sorelle Lucia e Maria Sciarrone, la mamma e Saro.
Tra tutte le cover del brano di Elvis Presley quella di Beck va avanti a tutti.


mercoledì 29 gennaio 2020

Un mostro e mezzo [di Steno, 1964]



SERPENTE-VITELLO A PLATÌ
Un mostro in Calabria ?
Avvistato da un contadino in contrada Castagnara: sarebbe lungo 8 metri. 

Bovalino – (g. p.). Un grosso serpente lungo circa otto metri e con la testa di vitello è stato notato, l'altro ieri mattina, da un contadino, nelle montagne di Platì, nella zona aspromontana.
È stato esattamente il contadino Francesco Cutrì, 57 anni, che si trovava, per lavoro, in contrada Castagnara, ad avvistare, ad una decina di metri di distanza, il rettile, col capo grosso come quello di un vitello adulto che lo ha letteralmente scioccato. Il contadino, infatti, si è allontanato, in tutta fretta, dalla zona e dopo aver denunciato il fatto ai carabinieri, è stato costretto a mettersi a letto con febbre alta
per lo spavento dovuto alla mostruosità dell'animale.
Il Cutrì ha sostenuto di aver visto fuoriuscire da una “tana” lo stranissimo serpente di grosse proporzioni.
I carabinieri, nonchè alcuni cacciatori armati di tutto punto, hanno effettuato in contrada Castagnara, una zona ulivetata, una battuta ma del serpente con la testa di vitello nessuna traccia.
I più anziani del paese ricordano che, nel 1933, nella stessa zona, dopo il prosciugamento di un laghetto, fu trovato un coccodrillo, che venne regalato al giardino zoologico di Napoli.
Sono in molti a ritenere, a Platì, che Francesco Cutrì non sia un “visionario” e che il serpente con la testa di vitello esista veramente, confortati, in questa loro tesi, dal precedente episodio, risalente ad oltre trentacinque anni addietro, del coccodrillo.
Il nuovo avvistamento, comunque, ha destato enorme impressione a Platì e nelle campagne circostanti.
Il sindaco di Platì, interessato della questione, pare voglia organizzare delle squadre di volenterosi, per dare la caccia al mostro, il cui presunto avvistamento ha creato enorme panico, soprattutto nelle donne che giornalmente sono abituate a recarsi in località Castagnara per raccogliere olive.
GAZZETTA DEL SUD - venerdì 19 Ottobre 1979




 Un mostro in Calabria?


Molti anni fa a Platì, un paese calabrese, venne raccontato a delle ragazze che qualcuno sulle montagne dell’Aspromonte  aveva visto un grosso serpente dalla bocca gigante e i denti affilati, in realtà era un coccodrillo. Quel ragazzo che l’ha visto l’ha detto ai carabinieri che hanno mandato gli operatori dello zoo.
Sono andati ma non l’hanno trovato, perché lui era nel lago e gli operatori non sapendo fosse un coccodrillo non hanno controllato nel lago.
Le ragazze incuriosite da questo essere chiesero ai genitori di portale in montagna in quella via.
I genitori dissero di si.
Una mattina di Domenica prepararono tutto per il pic-nic e partirono a piedi.
Durante il viaggio si sentirono lamenti, ma niente di che. Ad un certo punto dovevano scavalcare un’”armacera” ma una delle ragazze, la più debole cadde a terra. Preoccupati si sedettero sopra una roccia e le controllarono la ferita e le misero un po’ di acqua ossigenata che avevano portato da casa. Si fermarono un po’ e poi continuarono il tragitto.
Una volta arrivati si sedettero e mangiarono quello che avevano portato da casa.
Mangiarono tranquilli, poi quando finirono le ragazze andarono per una passeggiata vicino al lago.
Una delle tre vide qualcosa di verde uscire dall’acqua, quando uscì fuori le fecero una foto con la macchina fotografica che avevano portato con loro. Una volta mostrata ai genitori la portarono ai carabinieri e capirono che era un coccodrillo.
Chiamarono di nuovo gli operatori dello zoo che stavolta controllarono anche nel lago dove lo trovarono e lo portarono in uno zoo di Napoli.
Rosa Catanzariti 5 A
Testo presentato alla seconda edizione del Premio Letterario "Ernesto Gliozzi",2018

lunedì 27 gennaio 2020

Il mio paese [di Daniele Vicari, 2006]



Dall’ ANNUARIO D'ITALIA GUIDA GENERALE DEL REGNO per l’anno 1899

PLATI'

Provincia di Reggio Calabria
Circondario di Gerace.
Mandamento di Ardore.
Collegio elettorale di Gerace.
Diocesi di Gerace.
Abitanti 2468.
Dist. km. 17 da Ardore (Capol. mandam.)
Superficie ettari 694.
Ai piedi orientali dell'Appennino, bagnato dal fiume Ciancio, a maestro di Ardore, a Libeccio di Gerace.
Prodotti Grano, granone, legname, bozzoli e pastorizia.
Uff. post. e ufficio telegr. in Ardore, dist. km. 22
Staz. ferr. Bovalino, dist. Km. 21, sulla linea Bari-Reggio.
Fiere 23 agosto (bestiame).
Sindaco Oliva cav. uff. Francesco.
Segretario Fera Rosario,
Agenti di emigrazione Zappia Filippo di Rosario -– Zappia Rosario di Ferdinando (sub-agenti).
Armaioli Rossi Peppino.
Bestiame (Negoz.) Zappia Gius.
Bozzoli (Negoz.) Marando Francesco, Mittiga Giuseppe fu Domenico – Zappia Carlantonio – Zappia Giuseppe.
Cafettieri Gliozzi Francesco – Mittiga Peppino.
Calzature (Negoz.) Aglirà Luigi – De Marco Rosario – Marando Giuseppe – Mittiga Ferdinando – Mittiga Giuseppe.
Commissionari-Rappresentanti Zappia Pasqualino (seme bachi).
Droghieri Mittiga Domenico.
Fabbri Marando Michele – Pangallo Domenico – Rossi Gius.
Molini (Eserc.) Creazzo Luigi – Marando Antonio – Marando Rosario – Miceli Antonio – Mittica Domenico.
Panettieri Marando Caterina – Marando Rosario – Miceli Antonio.
Pellami (Conc.) Femia Francesco
Pellami (Negoz.) Zappia Francesco fu Domenico
Sarte Gliozzi Assunta, Ricupero Stella,
Sarti (Negoz.) Bartone Pietro – Calabria Giuseppe – Catanzariti Domenico – Mantica Francesco – Mittiga Domenico Antonio – Virgara Rosario.
Tessuti (Negoz.) Riganò Giuseppe – Zappia Ferdinando.
Tintori Mittiga Antonio – Riganò Giuseppe.

PROFESSIONI
Avvocati Oliva Francesco di Luigi.
Farmacisti – Pistoni Domenico,
Medici-Chirurghi Papalia cav. Vincenzo – Zappia Filippo

Nella foto: la Venere platiese del già ricordato scultore fruttivendulu Scarfò Francesco Enrico, Platì 1908 - 1989.

domenica 26 gennaio 2020

giovedì 23 gennaio 2020

Il demone della montagna - Incontro con la morte



 DISGRAZIA O OMICIDIO COLPOSO?
Indagini sulla morte
dell'operaio di Platì
Il comandante della Tenenza CC. di Locri
ha proceduto a numerosi interrogatori

                                                                                                                   Platì, 28 luglio

In seguito al tragico episodio in cui ha trovato la morte l’operaio Antonio Trimboli, da Platì - colpito e ucciso da una pietra - è stata aperta un'inchiesta al fine di chiarire le circostanze in cui si è verificato l’incidente, in quanto si ha motivo di ritenere che possa trattarsi di omicidio colposo.
Sul posto si è recato il comandante la tenenza di Locri il quale ha proceduto all'interrogatorio di molte persone.
Il Trimboli aveva 35 anni ed ha lasciato la moglie e 5 bambini. «Fatalità››, dice la gente, riconnettendo i brani del racconto che fa chi ha avuto modo di essergli vicino nelle sue ultime giornate di vita.
Il Trimboli aveva una bottega di vino, ma si industriava anche in altri modi; circa un mese fa aveva chiesto di essere assunto per lavorare in montagna. I molteplici rifiuti non lo avevano stancato; aveva continuato ad insistere finché non era stato assunto. Il suo lavoro non era difficile né molto pesante: doveva bagnare e tenere pronto il cemento che sarebbe servito ai suoi compagni per i lavori di costruzione. Era contento di averlo ottenuto, dopo tante insistenze, e cercava di non commettere nulla che potesse essergli rimproverato. Ieri alcuni lo hanno visto affrettarsi verso il posto di lavoro; pare che avesse qualche minuto di ritardo. Certamente voleva trovarsi in orario al lavoro; invece si è affrettato all'incontro con la morte.
Mentre ai trovava, con i compagni su uno spiazzo lungo la gola della montagna dove deve sorgere la briglia, una grossa pietra è piombata dall'ulto colpendolo mortalmente alla testa. La contrada Cromati è stata negli anni scorsi una tra le più colpite dalle frane, e ancora oggi sono molti i punti pericolosi.
GAZZETTA DEL SUD, 29 LUGLIO 1959