Lo zio Ernesto il giovane compose, con la sua ineguagliabile scrittura, e colorò, queste rose di suffragio.
mercoledì 11 ottobre 2017
lunedì 9 ottobre 2017
Storie di vita e malavita (reg. Carlo Lizzani - 1975)
IL
SIG. ANCHILOSI
Versi inediti
del
Prof. avv. ROSARIO FERA
A cura dell’amico d’infanzia
CICCIO PORTOLESI
Poi ch’ebbe il conte ignavo depredato (1)
lasciò gli umili arnesi del tintore
e assunse il portamento da signore
e mise scarpe di vitel cromato.
Non smise di rubar lo scellerato
(per lui il rubare è un titolo d’onore)
e truffando menò senza rossore
la vita prava da onest’uomo truccato.
Ora agonizza e sconta ché la mano
di Dio lo stringe tra le ferree spire
d’un mal per cui tutto rimedio è vano.
Com’è triste per lui dover morire (2)
inoltrarsi nel buio piano
verso di vampe eterne un avvenire.
Nel manoscritto l’autore à le seguenti varianti:
(1) “ ………………… il conte Oliva
(2) “ Nemmen potrà impedirgli di morire
Del genero l’ingegno sovrumano “.
Nota
Fra le mie carte ho trovato casualmente questi versi inediti del Prof.
Avv. Rosario Fera. Li pubblico volentieri al sol fine di far comprendere agli
ignari la forza del suo ingegno multiforme e poliedrico.
Altro che le mie reminiscenze poetiche!
Questa è … autentica poesia.
Non capisco a chi il prof. Fera alluda con “ Il signor Anchilosi “ e pertanto gli sarei grato se volesse
indicarmelo a generale edificazione, per cui colpisce la sua vittima mentre
agonizza sul letto di morte.
Maramaldo non è solo nella storia!!
Platì 20 agosto 1924
FRANCESCO PORTOLESI
Nota - Quando vide la luce questo testo (non riconosciuto dall’autore) era in
corso una ostinata lotta tra Francesco Portolesi (allora segretario comunale) e
l’avv. Rosario Fera (allora sindaco di Platì) che presto rivivrà su queste
pagine.
domenica 8 ottobre 2017
La corriera dell'ovest (reg. Sam Newfield - 1943)
LA NUOVA CORRIERA
Dopo la prima guerra mondiale, i Braidesi si erano messo in testa di
sostituire con un autobus la diligenza che collegava l’abitato con lo scalo di Vigliatore.
E venne il giorno che la vecchia carrozza dei Davico, trainata da tre cavalli,
dovette andare in ritiro.
La nuova corriera, un camion residuato di guerra adattato a trasporto
passeggeri, faceva due corse al giorno. La prima corsa alle cinque del mattino.
La seconda all’una del pomeriggio. D’estate all’ora della partenza mattutina
era già giorno fatto o quasi, e c’era un’aria fresca e pulita che rincuorava;
ma d’inverno era ancora notte fonda, buio e freddo pungente. I viaggiatori
comparivano alla spicciolata, con forte anticipo, per tema di perdere la corsa,
e in attesa che il vetturone uscisse dal garage sostavano sul marciapiedi del
Monte agrario, davanti a mucchi di bagagli: valige scalcinate, sacchi, ceste,
damigiane impagliate, panieri di frutta, cacciagione, e quando una vecchia
sedia a dondolo, quando una macchina da cucire, quando un sofferente tutto
fasciato diretto all’ospedale. ( … ) Il giorno che partirono i nostri zii per l’America
s’era radunata una vera folla di gente. Zia Concetta e zia Vincenzina avevano
preso posto vicino a un finestrino accanto ai loro mariti. C’era un’animazione e
mestizia, allegria misto al pianto. Nonno Nino parlava alle figlie, raccomandando
loro mille cose, e continuò ad anelare nel gesto dell’addio quando la corriera
era già scomparsa in un nugolo di polvere verso la curva della Pila.
Appena la gente diventava adulta, Braida doveva sembrare un luogo
troppo angusto, troppo chiuso, senza possibilità di avvenire. Perciò molti
cercavano di andarsene, chi per una via chi per un’altra. Per provare poi il
senso della lontananza e il desiderio del ritorno.
Perché, da lontano, i luoghi dell’infanzia
si ricordano e si amano con uno struggimento continuo dell’anima. Specialmente
quando il ritorno non è consentito.
Nicola Terranova, I cari luoghi del delitto, Pan Milano
1971 pag. 42
Nota - Questo testo non lo trovate nello scaffale di
Google. Lo estorto ieri a Montalbano Elicona nella via che porta il nome
dello scrittore citato. In quel paese ci tengono a mettere in luce i loro
concittadini più illustri. Quello che all’istante mi ha più colpito
è lo scrivere elegiaco mai nostalgico, il raccontare le opere e i giorni di un
paese, cosa che goffamente cerco di fare con queste pubblicazioni. Ora per
continuare una disputa ribadisco che non è la sola pubblicazione di una foto,
con allegati commenti, più o meno d’epoca, a far parlare una comunità, è anche
la riproposizione in chiave personale di avvenimenti o personaggi, partendo da
coloro che in questo mondo ci hanno messo, anche con l’idea di rivedere la Storia,
che non è mai come la racconta uno solo.
sabato 7 ottobre 2017
Ricorda il mio nome - massaru Peppi
-Sergi Antonio(23.6.1932/256-67) di Giuseppe tinturi e
Mittiga Elisabetta giallongu.
-Spagnolo Antonio(9.7.1932/257-69) di Francesco e Zappia
Elisab. cagnolaru
-Ciampa Francesca(10.7.1932/257/70) di Giosof. vicenzuni e
Scarfò Anna.
-Calabria Maria(10.7.1932/258-71) di Saverio jhumentaru e
Demarco Teresa jancu.
-Agresta Maria(16.7.1932/258-72) di Saverio cicoreja e
Giorgi Elisabetta.
-Catanzariti Giuseppa(20.7.1932/259-73) di N. e Catanz. Anna
grugnafocu
-Barbaro Michele(23.7.1932/259-74) di Pasquale zumpanu e
Romeo Caterina di Michele ndondulu
-Sergi Domenico(24.7.1932/260-75) di Saverio careja e Romeo
Anna.
-Catanzariti Domenico Ant.(7.8.1932/260-76)di Giuseppe
lìmina e Oliva Domenica.
Grillo Caterina M.Ass.(15.8.1932/261-77) di Domenico ingrisi
e Sergi Maria di Antonio perciasipali.
-Sposato Maria Santa(27.8.1932/261-78) di Antonio zingareju
e Giordano Caterina di Giuseppe culochiatto.
-Portolesi Filomena(20.8.1932/262-79) di Francesco e Romeo
Annunziata di Michele ndondulu.
-Sergi Mariantonia(25.8.1932/263-82) di Domenico filomenaru
e Sergi Maria di Michele petru
-Marando Antonio(28.8.1932/264-83) di Damiano pajuni e
Barbaro Francesca.
-Barbaro Paolo(28.8.1932/265-85) di Saverio babbeo e
Trimboli Anna.
-Schimizzi Maria(1.9.1932/265-86) di Antonio tusina e
Carbone Domenica.
-Parisi Antonio(1.9.1932/266-87) di Domenico e Schimizzi
Maria di Francesco tusina.
-Trimboli Rosario(7.9.1932/267-90) di Antonio piseja e Perre
Caterina di Giuseppe santallino.
-Catanzariti Domenico(18.9.1932/268-92) di Saverio e Peri
Anna di Antonio ciuciu.
-Marando Rocco(22.9.1932/269-93) di Natale pistola e Carbone
Caterina.
-Perre Antonio(25.9.1932/270-95) di Domenico santallino e Stalteri
Maria.
-Riganò Francesca/29.9.1932/271-97) di Rosario e Catanzariti
Maria gajuzzu.
-Trimboli Michelina(5.10.1932/273-101) di Dom. campisotu e
Catanz.Grazia.
-Marando Domenico Paolo(13.10.1932/275-106) di Rosario
testelignu e Sergi Caterina di Saverio presi.
-Amato Maria Rosa Francesca(15.10.1932/276-107) di Alfredo e
Marando Anna di Giuseppe ciciola.
-Sergi Giuseppe(15.10.1932/276-108) di Francesco birrozzu e
Mezzatesta Teresa di Giuseppe.
-Miceli Rocco(22.10.1932/278-111) di Antonio pedimazza e
Mittiga Anna di Rocco zuju.
-Catanzariti Giuseppe(23.10.1932/278-112) di Paolo
gnurasanta e Portolesi Maria.
-Catanzariti Maria(26.10.1932/280-115) di Domenico giarruni
e Papalia Orsola.
-Spagnolo Anna(13.11.1932/281-118) di Francesco servaggiu e
Marando Caterina di Pasquale pistola.
-Violi Rocco(13.11.1932/282-119) di Antonio rigineju e
Ielasi Francesca.
-Marando Domenica(19.11.1932/282-120) di Giuseppe pistola e
Catanzariti Rosa.
Nota -Tra già editi e new entries siamo ancora nel XVI° volume dei battezzati
venerdì 6 ottobre 2017
Il Colosso di Rodi - LA SOLITUDINE DI MIMMO ADDABBO
FAIRFIELD 13 – 11 – 81
Carissimo Don Arnestino Ricordandomi sempre della nostra venerata S.
Lucia io voglio che se è possibile il 13 Dicembre gli dite una messa con
panegirico in mia devozione e una messa letta per la mia defunta moglie Anna
Callipare che io ricordo sempre saluto
tanto vostro Fratello e famiglia in questa lettera troverete un ceco di $ 35
spero che Bastino altrimenti mi scrivete che vi mando la differenza.
Ricordandomi sempre di voi vi saluto assieme tutta la vostra famiglia. Francesco
Callipare Forgiaro.
Con questa occasione voglio anchio che scrivo salutarvi di vero cuore
per dirvi che mai un solo istante mi sono dimenticato di voi, e ora più che mai
in questa terra mi Ricordo dei miei più sinceri amici e del Rispetto Reciproco
che noi avevamo. Si sono io Mimmo Addabbo che non Riesco a Rassegnarmi di
questa solitudine che noi abbiamo ma mi resta sempre la speranza di Ritornare.
Termino salutandovi assieme la signorina vostra sorella, saluto a Micuzzo e
famiglia vostro indimenticabile Mimmo e Teresina Addabbo
giovedì 5 ottobre 2017
La Carne e l'Anima (reg. Wladimir D. Strichewsky - 1943)
Ieri mattina i
carabinieri hanno vietato la vendita della carne di capra
I riti di Polsi
bloccati dai Nas
A poco sono valsi i
tentativi di della Chiesa
POLSI(San Luca) – “...Tra
la calca alcuni armenti sono portati in voto entro la chiesa e gli animali quasi
fossero compresi della grandezza nella quale si trovano piegano le ginocchia
sui gradini dell’altare. I buoi piegano il collo legato da un nastro, e il
timido pastore li guarda ripone il berretto nella tasca e prega anche lui per le
cose più care, per i suoi armenti, e quell'umile vestito di orbace nella
prostrazione si confonde col vello delle agnelle... Per quella turba magna non basta
il convento né le case della comunità, né le capanne e si sceglie ognuno il suo
posto sotto i boschi. Tien bottega ognuno all'aperto, le bestie macellate sono
appese agli alberi”. E' Corrado Alvaro, che scrive da studente ginnasiale,
nei primi decenni del secolo, in uno dei suoi viaggi a Polsi nel Santuario
della Madonna della Montagna. Ed io conosco queste cose sin dall’età della
ragione quando trascorrevo con mio padre, maresciallo dei carabinieri, le
estate infuocate in un paesaggio da orrido, vivificato dalla Madonna dal volto
popolano che viene considerata come ‘espressione della pietà popolare più genuina
in quanto scaturisce dalla devozione di un popolo, di un'etnìa e della sua
cultura. Il preambolo era d’obbligo. Dopo
tre millenni la sacralità di Polsi con i suoi riti, miti, è stata interrotta
dai carabinieri, di cui esiste a Polsi soltanto un rudere della vecchia caserma
con scritta; “Carabinieri reali". Ieri mattina in modo massiccio sono
intervenuti i Nas (Nuclei anti sofisticazioni) per bloccare tutte le attività
relative al commercio della carne di capra. Un intervento estemporaneo che se
applicato in altri contesti avrebbe portato a consensi, si è rivelato, invece,
tra le migliaia di pellegrini come un atto di sottocultura. nei confronti delle
tradizioni di Polsi, oggetto continuo di studiosi a livello mondiale nel campo
etnico, sociologico e culture. Don Pino Strangio, Rettore del Santuario con
incisività dice: “I fatti dimostrano che tutte le soluzioni cercate insieme,
collaborando e convincendo con la pazienza le persone interessate, hanno sempre
trovato un esito del tutto favorevole. Se si fossero messi in chiaro i dati del
problema si sarebbero tempestivamente elaborate soluzioni congrue, coinvolgendo
tutte le componenti della società civile”. Non sono valse neppure le sagge
parole del vescovo Monsignor Giancarlo Bregantini, né del capitano dei
carabinieri, né del comandante la stazione di San Luca. Irremovibili in un'azione
che cancella tradizioni e riti. Questa volta dagli agiografi anticoppole non si
può leggere che “una mangiata di capra a Polsi è sempre un summit”. `
Antonio Delfino
Gazzetta del Sud, 3 settembre, 2002
Nota - Ancora Toto Delfino critico nei confronti della benemerita. C'è di più, ed è don Pino, oggi declassato e sostituito con prestanomi, ma allora distributore di medaglie e gadget a personaggi in tour on Polsi come dimostra la foto che lo vede appuntare al cuore della regina Paola Ruffo di Calabria, allora sovrana del Belgio, la croce di Polsi, made Gerardo Sacco. Infine, il citato Corrado Alvaro era tra gli sceneggiatori del titolo odierno.
mercoledì 4 ottobre 2017
I Delfini (reg. Francesco Maselli - 1960)
Il caso Polsi.
L'ELOGIO DELLA CAPRA
La capra sull’Aspromonte è un animale sacrificale.
Sacrificato anche durante i sequestri di persona quando lo Stato, trattava e
pagava per riavere gli ostaggi, come Casella, Celadon, Fiora e Sestito e tanti
altri, da far dire ad un saggio massaro che viveva da eremita in uno stazzo d’
Aspromonte: Si ficiru amici i lupi e i
cani, poveri pecureji ed affritti capri" (Si son fatti amici i lupi
(anonima sequestri) ed i cani (forze dell`ordine) povere pecore ed afflitte capre).
La capra è antica quanto il mondo, e tutt`ora sull`Aspromonte, vengono divise per età come ai tempi di Polifemo, nell`Odissea di
Omero”... ciascun gruppo era chiuso a parte, da un lato i più vecchi, da uno i
mezzani, da un altro i lattanti... A sera tornò guidando le greggi villose
sedutosi, munse le pecore e le capre belanti, tutto in modo giusto, e sotto
ogni bestia spinse un lattante”.
Dall`operazione "Ariete", condotta dai carabinieri
del Nas a Polsi, si sono salvate le capre più pregiate le cosiddette
"Lastre", le tenere caprette che non hanno mai assaporato l`afrore
del barbuto caprone. E da Materazzelli al Piano dei Reggitani, dai Menti a Pirria è
stato uno scialo di “lastre” arrostite tra le felci e gli odori di erbe fragranti.
La "lastra" chiama vino, in una abbuffata dionistica e paganeggiante
senza precedenti. A Pietra Cappa, massaro Bastiano mi dice: “La buonanima di
vostro padre quando trovava carni di capre rubate dal Timpa, imprendibile
ladro, improvvisava con i carabinieri tra braci ed erbe rare, prelibati banchetti”. Altri tempi. Tempi di carabinieri reali. Ora si
ragiona a ritmo d`intelligence e non si perde il vizio di presentarsi a nome di
uno Stato repressivo come ha sottolineato icasticamente il vescovo di Locri,
Monsignor Giancarlo Bregantini. I carabinieri hanno sequestrato trecento capre
quasi tutte vecchie quasi tutte “lardite”. I tiggì soprattutto di Mediaset, per
far dimenticare agli italiani il giusto processo, si sono abbandonati tra le
braccia dell`Operazione “Ariete”. Macellazione clandestina con rifiuti buttati
nel Vallone della Madonna che poi con il torrente Castanìa forma il Buonamico.
I Nas si sono accorti, soltanto ora che le fiumare sono inquinate, basta
raggiungere il Careri alla foce per tapparsi il naso. Ma nel contesto di Polsi
occorre fare l`elogio alla capra, un animale, che sull'Aspromonte è come la
renna per i Lapponi. Si utilizza tutto, anche le corna. Anni fa a Reggio un
commerciante che faceva incetta di corna di capra, da spedire al nord ad una
fabbrica di bottoni, per il lezzo maleodorante, gli hanno messo sotto il
deposito un paio di candelotti di gelignite. E ricordo quel vecchio direttore
di giornale che mi butta dal letto con destinazione a Reggio. “Vai subito,
perché ad uno gli hanno fatto saltare le corna". E poi un titolo a nove
colonne. La capra è da tutti osannata. Alvaro che villeggiava a Bagnara
impazziva per una pastora dagli occhi verdi che davanti alla porta gli mungeva
in una scodella il latte di una capra che approfittava di un momento propizio
per brucare un cespo di parietaria. E Matilde Serao, ne “Il ventre di Napoli" scrive: "Ad ogni
portone il branco si ferma, si butta a terra, per riposarsi, il capraro
acchiappa una capra, e la trascina dentro il portone, per mungerla innanzi agli
occhi della serva, che è scesa giù; talvolta la padrona è diffidente, non crede
né all'onestà del capraio, né a quella della serva; allora il capraio e capra
salgono sino al terzo piano, e sul pianerottolo si forma un consiglio di
famiglia, per sorvegliare la mungitura del latte”. Mia madre, quando sono nato
non aveva latte e mio padre comprò tre capre da latte, una “minda”, una
“draguna” ed una “martìsa". Poi arrivò anche il latte d'asina per combattere
la febbre maltese. Per questo faccio l`elogio alla capra messa tra tanti
mezzibusti televisivi per cantare l`ode all’Operazione “Ariete”. Ma sono grato
anche all’asino che considero come un fratello. Di latte.
Antonio Delfino
il Quotidiano della
Calabria, martedì 3 settembre 2002
Nota - Questo brano ci riconsegna – se ce ne fosse ancora bisogno –
più caro, il grande, indimenticabile, affabile Toto Delfino, qui esperto conoscitore e buongustaio della capra, incontrastata regina delle nostre montagne. E dire che sembra
andare egli contro se stesso se non contro l’Arma che tanto fece per la sua
famiglia. E nella foto a Polsi, con mons. Pangallo, il capostipite, il leggendario
Giuseppe Delfino (1888 – 1954) alias
massaru Peppi, la frusta per i cattivi, in Aspromonte. A proposito, ho avuto la fortuna di conoscere il citato massaro Bastianu, che di cognome andava Codispote,zio dei miei amici natiloti, proprio a Pietra Cappa con una riottosa mandria di capre poco tempo prima che lasciasse questo mondo.
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Maestri,
Totu Delfino
lunedì 2 ottobre 2017
Ali del futuro (reg. David Lean - 1952)
PLATÌ, ANNO DI
GRAZIA 2040
MICHELE PAPALIA
Gino e
Cugino erano nati e cresciuti in un paese dal passato tristemente famoso.
Essi conoscevano bene i fatti di cronaca grazie alle voci narranti dei nonni
che avevano vissuto quegli anni e che pure avevano conservato i giornali
d’epoca; Gazzetta del Sud, Calabria ora, Il fatto quotidiano: su ogni prima pagina
pure un vecchio sofferente di cataratta avrebbe colto a caratteri cubitali il
nome Platì.
Erano coetanei,
nati nel 2016, ora studenti al corso di laurea di Storia e Statistica, entrambi
laureandi e intenti a indagare il passato del loro paese, oggetto della tesi da
consegnare al relatore da li a poco. “Platì, storia di un popolo irredimibile”,
titolo ambizioso e lavoro immane. Una vasta bibliografia da studiare assieme
alle cartacce impolverate degli archivi di Stato di Locri e Reggio. Percentuali
sull’indice di natalità e ‘ndrangheta, numero di disoccupati e ‘ndrangheta,
matrimoni tra parenti, famiglia intesa come centro di interesse e diffusione di
loschi affari, ancora ‘ndrangheta. E che dire dell’esorbitante numero di reati
commessi durante il Novecento dai cittadini di quella popolazione:
dall’abigeato alla associazione mafiosa passando per l’omicidio, il furto di
galline, di autovetture e persino di arance. E inoltre, ciclicamente, l’amministrazione
comunale veniva sciolta per infiltrazioni mafiose e i vari commissari nominati
dai prefetti poco potevano per ristabilire una democrazia che era come un
prezioso agrume, quale il bergamotto, in altura non poteva attecchire. Terreno
che invece continuava a essere fertile per ladri di polli, narcotrafficanti,
usurai, spietati killer e truffatori tutti accomunati da indissolubili vincoli
di parentela e comparaggio, abbracciati dai tentacoli di mamma ‘ndrangheta.
I due
studenti non ne sarebbero venuti a capo. Di quella popolazione nessuno si
salvava dalla punizione eterna, certo i morti già brancolavano nel girone dei
mafiosi o comunque dei conniventi che poi, stando ai loro studi, erano due
facce della stessa banconota, e in questo caso si, pecunia olet, il denaro
reinvestito in illecite attività infetidiva pure l’aria di montagna. Uno sporco
villaggio di uomini tarchiati che incutevano timore e pretendevano bocche
serrate, era la reticenza dei compaesani netta manifestazione di un silenzio
assenso. Pochissime eccezioni: i parroci, talune donne timorate di Dio e i
bambini. Anzi neanche loro, perché fin da piccoli venivano istruiti su come
bloccare i forestieri che entravano in paese. A dieci anni sui motorini, invece
dei compiti dovevano “taliare” i movimenti dei carabinieri. Erano numerosi e
rispecchiavano l’alto tasso di natalità, facile dedurne che la madre dei
mafiosi fosse sempre incinta.
La prova regina –
stando così le cose ce n’era davvero bisogno? – era rappresentata dalle
manifestazioni antimafia. Perché, se nei paesi della costa, spesso e
volentieri, i cittadini colà residenti avevano dato ampia dimostrazione della
loro onestà e vicinanza allo Stato – memorabile la mobilitazione di centinaia
di studenti all’indomani del truce assassinio di un noto politico freddato
dalla mafia – perché per Platì, anche a scartabellare tutto il materiale
documentario, non si riscontrava niente in tal senso? Mai una presa di
posizione pubblica, una fiaccolata, una civile protesta contro i malavitosi,
una piazza riempita da gente onesta. Tutto faceva ‘ndrangheta nel passato. I
due studiosi rimanevano sorpresi anche e forse più dai cosiddetti soggetti
minori, quelli dalla fedina penale illibata ma che non potevano non sapere o
non volere. Tra i faldoni del Tribunale penale di Locri e nelle relazioni di
servizio redatte dalla locale stazione dei carabinieri, i fedeli servitori
dell’arma davano atto della comprovata mafiosità di svariati soggetti.
Ad esempio, a un
cristo di settant’anni veniva rimproverato l’aver partecipato a una rissa a
Careri nel 1952, quando era ventenne. Poi “Nulla” recitava il casellario
giudiziale ma la pericolosità del predetto veniva agganciata – indiscutibile
lungimiranza degli organi investigativi – all’esser cugino di un
narcotrafficante che stava marcendo in galera. Allo stupore per la gravità dei
fatti riscoperti per Gino e Cugino seguì la contezza del privilegio a non
essere figli di quelle generazioni. Per fortuna Platì era cambiato. Adesso, nel
2040, c’era un cinema in 3D, libero accesso a una moderna biblioteca con
annessa sala computer, un campo sportivo che ogni anno faceva partire giovani
promesse verso il calcio professionistico. Ancora, grazie all’attenzione del
governo regionale, era entrata a regime la fiscalità agevolata per le aziende
aspromontane operanti nell’agro-alimentare e la disoccupazione giovanile un
lontano ricordo, a essa si era ovviato grazie all’emigrazione di ritorno. E il
paese era divenuto strategico crocevia tra lo Jonio e il Tirreno con la
superstrada Bovalino-Bagnara efficiente raccordo di collegamento tra i due
versanti.
Certo, restava
pur sempre quel passato pesante con cui fare i conti e che se studiato faceva
convergere sempre nella stessa direzione: documenti alla mano, il 99% della
popolazione platiese risultava mafiosa o comunque imparentata o connivente,
tutti sinonimi di un arcaico squilibrio sociale. Gino, ricordandosi del suo
filosofo preferito e dei sillogismi, concluse quel lungo lavoro imitando
Aristotele: «Tutti gli aspromontani erano potenzialmente malavitosi. Tutti i
platiesi erano aspromontani. Dunque tutti i platiesi erano malavitosi». Che
ciuchi quei platiesi. Avessero organizzato almeno una manifestazione antimafia!
Intanto i due giovani, all’esito della discussione, si meritarono la proclamazione cum laude.
PUBBLICATO IN HTTP://WWW.INASPROMONTE.IT/RACCONTO-PLATI-ANNO-GRAZIA-2040/ IL 30 GIUGNO 2016.
La Talpa (reg. Tomas Alfredson - 2011)
La targa che vedete sopra era stata conferita allo zio Ernesto
il giovane tanto tempo fa dai benemeriti
citati. Quell’attestato di stima non fermò lo scempio causato dopo da colleghi
più energumeni che, penetrando in casa dello zio, già al cospetto del suo Datore di lavoro, senza motivo fracassarono di tutto alla ricerca
di cunicoli, tane, sotterranei, vie intestine, inseguendo talpe astratte,
inviati com’erano da pubblici ufficiali in cerca di apparizioni mediatiche e
avanzamenti di stipendi e carriera. Dopo tanto tempo soltanto ai primi va il GRAZIE sincero.
domenica 1 ottobre 2017
Lo spirito più elevato (reg. Akira Kurosawa - 1944)
A L’IDEA
Usque dum vivam et ultra
Salve, mia Idea, fra tutte
splendida,
bella fra tutte, che in te compendii
di tutti gli umani ideali,
l’ideale più fulgido e santo.
Tu sola il cuore per sempre
domini,
te sola sogna la mente giovine;
e scorge te l’animo, ovunque
c’è fame e freddo, pianto ed angoscia.
Idea per te, miei figli reputo
tutti i fanciulli gialli e rachitici;
e chiamo fratelli diletti,
tutti i pezzenti scalzi affamati.
Figli e fratelli: gli oscuri
martiri
de l’officine, l’ignote vittime,
sudanti su l’aride glebe,
ne le pozzanghere de le risaie.
Fratelli tutti, pur quei che
muoiono,
ne gli ospedali, reietti e miseri;
che an monche le membra e le carni,
lacere e nere, stillanti sangue.
Fratelli e figli: figli, ne
l’anima,
voi bimbi belli, da li occhi vividi,
chiedenti con fioca vocina,
un soldo solo, di pane un tozzo;
figli, voi bimbi, che ne’ più
rigidi
del verne immite di brevi e torbidi
qui, sotto al balcone, passate
nudi i piedini sanguinolenti,
scoperto il capo, la faccia'
livida;
od al lavoro, le membra tenere
per pochi centesimi, offrite
assiduamente da mane a sera.
E Voi sorelle reputo, povere
donne languenti per cruda inopia;
che il sangue dareste pe’ figli;
chiedenti il pane che non avete;
per voi fanciulle, cui madri
adultere
dal loro seno lange respingono;
cui del mercenario accoglie
la mano losca che sa la sferza;
sorelle chiamo, o infelicissime
o sventurate, cui attende il
vizio,
il vizio più osceno ed infame,
che poi sul volto portate impresso,
Idea, per te, del cor mio i
palpiti,
finché avrò vita, per loro scendono.
Potessi io vederli felici,
felici tanto, per quanto li amo ....
Platì (Reggio Cal.) Maggio '05.
FRANCESCO PORTOLESI
XV MAGGIO DEL RISVEGLIO OPERAIO
CHIESA-ITALIA-POPOLO
Benevento, 15 Maggio 1905
Nota - Forse pochi riusciranno portare a termine la lettura di questo testo. Certamente nessuno farà il copy and paste visto che non c'è una foto, a proposito per me Leni è stata una delle donne più brillanti del secolo della bomba atomica, in ogni modo ... polemiche a parte ...
Francesco Portolesi meglio conosciuto, oggi a pochi, come u segretariu Portolesi è stato anch'egli una mente brillante. Fece di tutto: il chierico, il socialista, il fascista e polemizzò con tutti, amici e nemici. Ciò non toglie che possiamo accettare per elevata questa poesia come accetto per elevato il film La bella maledetta della citata Leni.
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