L’ASSASSINIO
DI DUE NEGOZIANTI E’ L’ULTIMO EPISODIO DI UNA VIOLENZA CHE HA TRASFORMATO UN
PAESE DELLA CALABRIA
L’ ANTICO CUORE PERDUTO DI PLATI’
Dove c’erano contadini e artigiani ora ci
sono banditi e spacciatori
Scomparsi i prodotti della terra come l’olio,
il pane e il formaggio che erano tipici della zona- Una tradizione di malavita
cominciata nell’Ottocento e via via degenerata in una ferocia sempre più
sanguinosa
PLATI’ - Un giallo tutto da
dipanare. Martedì di carnevale, tra le 18 e le 19, a Platì, un paese a ridosso
di una contrafforte dll’Aspromonte orientale, che si innalza minaccioso
sull’abitato, a fianco del torrente Careri che rumoreggia d’inverno con le sue
acque che finiscono, a pochi chilometri di distanza nel Mar Ionio, un fatto
terribile commosse la popolazione del luogo: due anziani coniugi che gestivano
una misera rivendita di tabacchi, nella quale l’incasso non poteva superare nei
giorni comuni, 30 o 40 mila lire, vennero massacrati da ignoti a colpi di scure,
e uccisi. Il marito Francesco Prestia era stato sindaco comunista del paese o
vice sindaco per più anni. Dal 1975 non svolgeva più politica attiva, era
ritenuto da tutti un uomo giusto. La moglie, Domenica Di Girolamo, ufficiale
postale, servizievole e garbata, era da pochi mesi in pensione.
Sono andato ai funerali avvenuti in paese dopo che si era vinta
l’avversione elle tre figlie a celebrarli alla presenza di una folla in mezzo
alla quale verosimilmente si sarebbe nascosto il colpevole (o i colpevoli),
percorrendo in macchina i quindici chilometri di distanza lungo la stradale 112
che da Bovalino porta a Platì. Ero commosso; pensavo al fatto della figlia che
aveva invocato aiuto ai frequentatori di un bar accanto, quando aveva scoperto
la fine dei suoi genitori, e nessuno era accorso. Mi venne in mente un altro
viaggio che avevo fatto a Platì con Filippo Sacchi inviato della “Stampa” di
Torino, dopo l’alluvione del 17 ottobre 1951, che aveva travolto il paese,
provocando 17 morti e ingenti danni alle colture. Allora ci aveva fatto
impressione l’umanità della gente.
Quella data è stata memorabile nella storia di Platì, per le
conseguenze apportate. Allora vivevano a Platì seimila abitanti degli ottomila
e più degli anni precedenti. Cominciò la grande emigrazione che dimezzò la popolazione
ai tremila abitanti di oggi. Gli emigranti che si spostarono a catena.
Richiamandosi tra di loro, si
Sono concentrati nell’Hinterlad milanese e in quello torinese. Gran
parte di essi finì in Australia, quasi sempre sistemandosi in gruppi. Altri andarono
negli Stati Uniti.
In paese le campagne vennero abbandonate. I proprietari terrieri
perdettero il loro potere; scomparvero gli artigiani, bravi e numerosi,
scomparvero i contadini volenterosi nel coltivare la terra. Oggi 280 capi
famiglia lavorano nella Forestale, per 101 giorni all’anno. Ricevendo poi per i
restanti giorni il sussidio agricolo di disoccupazione.
Gli emigranti non sempre si trasformarono in operai delle industrie;
spesso miravano a far gli imprenditori; e tra le imprese risultò per loro più
remunerativa quella del crimine organizzato e della droga. Non c’è stato
sequestro in Lombardia, di cui si siano scoperti i colpevoli, tra i quali non
fosse implicato qualcuno di Platì. In Australia, Saro Trimboli era considerato
un re della droga. Dopo la sua morte, funzionari del governo australiano
arrivarono a Platì, per assicurarsi che la salma fosse stata riportata al luogo
d’origine.
Non la ritrovarono. Dall’Australia arrivarono pure le sementi di
marijuana, perché fosse coltivata sull’Aspromonte, nei campi di granoturco co
le cui foglie si sarebbe confusa.
Non meno intraprendenti si sono dimostrati quelli rimasti in paese. In
questi ultimi anni sono rimasti ignoti gli autori di oltre dieci omicidi; e ora
del povero Prestia e di sua moglie c’è poco da sperare che si scoprano i
colpevoli.
Perché tutto questo? In che modo si è sviluppato l’istinto di ferocia
che si annida nell’uomo, sopraffacendo i buoni sentimenti collettivi che pure
esistono? Sono i molti o i pochi che caratterizzano la società? E’ giusto che i
molti paghino nella considerazione pubblica i delitti dei pochi?
Mi diceva un dottore in chimica del luogo: “ Sono di Platì, se qualcuno
me lo domanda mi vergogno di dirlo”.
Un esattore delle imposte, che già era stato rapinato dell’incasso
nella frazione di Cirella, rispose: “Dispiace molto, è vero; ma i delitti che
avvengono nelle città non sono meno atroci: solo che non fanno spicco nella
massa della popolazione”.
Bisogna ricordare che Platì non fu mai un paese di “agnellini”: la sottigliezza,
sfociante a volte nella furfanteria, era proverbiale nei paesi della locride.
La litigiosità dei suoi abitanti alimentava abbondantemente i lucri degli
avvocati. Un mio avo di Platì lasciò morendo nei primi anni dell’Ottocento
sette cause in corso nei tribunali borbonici. Ma contro chi? Contro i
danneggiatori della sua proprietà. Era un uomo molto ospitale, aveva amici con
i quali si compiaceva di intrattenersi, era avvocato, ma, come il suo lontano
nipote che ora lo ricorda non esercitava la professione: Benché rigido contro i
malviventi, non ebbe mai a subire ritorsioni da coloro che egli denunziava ai
tribunali.
La società del tempo era molto stabile, non consentiva facili
cambiamenti di stato. Vi erano proprietari, le cui terre erano di origine
feudale; e tra questi il più grande, Oliva, che aveva proprietà che da Palmi
arrivavano ininterrottamente a Bovalino e a Locri, sullo Ionio. Quasi tutto il
popolo, composto di contadini e di pastori, viveva delle sue terre. Famosi
erano i formaggi locali che ora non si possono comprare a nessun prezzo, famoso
il pane fatto in casa con una qualità di grano duro detto “dimini” di cui resta
oggi solo il nome. L’olio, spremuto nei torchi a mano dalle olive nere
piccoline, era leggero anche agli stomaci delicati. Vi erano i proprietari di
origine borghese; e poi gli artigiani, numerosi e bravi. Il popolo era molto
devoto alla Madonna di Loreto a cui è intitolata la chiesa del luogo.
Certamente gli spiriti liberali non erano diffusi nemmeno tra gli
esponenti più importanti delle classi civili. Garibaldi li convertì facilmente
al suo passaggio; ma poi, fin dal 1861, sorsero condizioni perché i borbonici
trovassero in Mittica un capo per guidare la guerriglia. A lui si unì il
generale spagnolo Borjes, per raggruppare le forze della campagna anche
risorgimentale, che passò alla storia come brigantaggio politico o comune.
Il Mittica fu preso e ucciso; la sua testa, ficcata su una pertica, fu
portata in giro per il paese.
Anche Platì fu amministrata verosimilmente nell’interesse prioritario
dei suoi dirigenti come il resto della Calabria; mai nei ceti dirigenti di quel
paese, che allora era una piccola città, con maggiore ribalda avvedutezza.
Questa sommandosi alla tendenza attuale della società a privilegiare i beni materiali
a qualunque costo, ha determinato la presente sfrenatezza che stupisce e
preoccupa, fra gli altri, i tutori dell’ordine. E qui torna a concio ricordare
che bastava un uomo, il maresciallo Giuseppe delfino, negli anni precedenti
alla guerra del ‘$0, per tenere a freno i malviventi di tutto l’Aspromonte
orientale, oggi non sarebbe sufficiente un plotone di esperti poliziotti.
Tuttavia sono sempre i pochi che tengono in agitazione i molti della
società. Mi son trovato, confuso tra la folla, ai funerali di quei poveretti.
Tutto il paese accorse; e non solo donne, ma anche uomini, piangevano. Notai
alcune facce cupe di montanari: sarebbero potute sembrare anche dure; ma erano
semplicemente addolorate per quanto era accaduto nel loro paese, di cui
facevano parte. Nessuno, fra i tanti che commentavano i fatti, poteva ricordare
cose nel passato di Francesco Prestia e sua moglie che avessero potuto spiegare
il gesto di una postuma vendetta. No, c’era solo da dubitare che fosse
possibile conoscere il cuore segreto degli uomini.
MARIO LA CAVA, Corriere della Sera 19 febbraio 1986
Note
- E’ un figlio di Platì che scrivendo, confuso per il dissolversi
dell’identità di un paese che aveva attraversato momenti di gloria, ci sprofonda
nel cuore di tenebra conradiano.
Ancora una volta sorge il sospetto che quanto sia accaduto a Platì non fosse
che una strategia elaborata altrove, senza tener conto di un passato che aveva
dato lustro all’Aspromonte. Rivive altresì il dolore provato trenta anni fa
dalla famiglia Prestia, che coinvolse l’intera comunità senza distinzione di
classe, macchiata quest’ultima, se volete, dal mancato soccorso; ma a distanza
di tempo ci macchieremmo anche noi, additando quella comunità, di viltà.
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- L'avvocato antenato di Mario La Cava si
chiamava Raffaele, figlio di Muzio Lentini e Dorotea Roy, come potete notare
dalla attenta genealogia fatta da Francesco di Raimondo. In essa traspare la
parentela, rimossa nell'articolo, di don Raffaele con Ferdinando, Caci,
Mittica/ga, avendo Dorotea sposato in seconde nozze Francesco Mittica/ga, già
messa in luce da Michele Papalia nel suo Caci il Brigante del 2016.