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giovedì 8 settembre 2016

Madadayo il compleanno (reg. Akira Kurosawa - 1993)



Otto settembre
La memoria storica comune dell’8 settembre di certo non coincide con la mia storia di bambina.
La notte precedente la passavo in uno stato di dormiveglia misto di tensione e sicurezza. Non dormivo profondamente perché mi piaceva ascoltare, nella via non illuminata, il passaggio e il vociare sommesso e le cantilene votive dei pellegrini che andavano a Polsi.
Quei pellegrini che camminavano nella notte mi facevano un po’ paura e quindi mi dava sicurezza il dormire nella camera dei nonni.
A volte dormivo abbracciata a mia nonna.
Mia nonna che quel giorno festeggiava il suo compleanno.
Tutti festeggiavamo il suo compleanno.
Venivano le zie da Messina e da S Eufemia con i cugini, si cominciava a cucinare la mattina presto, a friggere melanzane e arrotolare involtini. Era l’ultima festa dell’estate nella nostra famiglia.
Nel solaio già si diffondeva il profumo delle sorbe e dei fichi d'india che avremmo consumato in inverno, le giornate non erano avvampate, l’aria era di solito più fresca e in chiesa dove andavamo per la messa mia nonna non usava più il ventaglio e non odorava la boccettina della “Violetta di Parma”


Questo è un contributo di mia sorella Maria, nella foto con lo zio Pepè, che ha alle spalle, il portone, ancora non lo sapeva, da dove sarebbe uscita Annina la sua sposa. Poche righe per un mondo di immagini che permangono nonostante una realtà evaporata. Come il paese che non è più!

mercoledì 7 settembre 2016

Fiori d'equinozio (reg. Yasujiro Ozu - 1958)


Lo so... Una foto, qualsiasi foto, forse poco c'entra con la storia del Seicento calabrese ma non resisto al bisogno di parlarne dal lato dell'umanità, di quello che una foto da e che, forse, addirittura riceve.
Un paio di giorni fa mi invitano a Platì a vedere una mostra sull'emigrazione dei platiesi. Un diluvio di foto, una quantità incalcolabile di occhi, cravatte, case, aratri, giardini, scarpe e calandrelle, benessere e malessere, vissuto qui e altrove... Calabria, Merica e Austraglia. Calau a hiumara, questo ho pensato. E' una fiumara in piena che porta a valle ricordi a migliaia sciolti nella lava della nostalgia, del rimpianto, dell'estraneità, dell'oblio, della trascuranza e del pianto. Poi mi fermo davanti a una foto. Una foto trattata per essere esposta con il tracciato di una associazione culturale che la attraversa e poi colle, cartoncino. Quella foto mi guarda, mi impressiona come fossi un vecchio rullino, mi acchiappa lo stomaco e non mi molla. Quella foto mi trasferisce come un modem emotivo dolori, speranze, illusioni, desideri, volontà. Non hanno un nome ma io le sento. E' una fiumara che cala. Cala verso di me. Nove persone e un bambino. Un'infante che si agita inconsapevole forse della rotazione planetaria che ha attorno. Sua madre mi guarda. E' lei la mediatrice, l'ambasciatore emozionale. Il suo sguardo rappresenta quello di tutti gli altri, li raccoglie li racconta. Io sento di sapere tutto di lei. Di nulla vi saprei parlare ma io tutto so. Quello sguardo non perdona un allontanamento, non tollera l'abbandono, non accetta lontananze, vuole portarmi dentro un mondo che è vivo ma è là dentro.
"Ettore... Veni... Mbivimu  'acchi cosa..." E' Mimmo che mi sveglia. Mi chiama fuori. Platì è il suo paese. Il mio è in quella foto

Il testo, mediato da Francesco di Raimondo, è di Ettore Castagna, gioviale antropologo culturale e pubblicato su Facebook il 23 agosto con il titolo Il deogramma note per un romanzo.
Tutto è accaduto il 20 agosto scorso nella sala che fu Cinema Loreto di Platì. Per parte mia restai meravigliato a scoprirlo rifotografare la foto in oggetto - quello sguardo non perdona un allontanamento, non tollera l'abbandono, non accetta lontananze - che per me è il simbolo del mio DNA. A Ettore Castagna quella sera ho voluto regalare, sotto una fioca luce, la visione del teatro di posa, e quel che rimane, dove la foto venne scattata.

Nell’alba di questi lavori la foto, con altre era stata pubblicata qui:

martedì 6 settembre 2016

Fuochi di gioia (reg. Jacques Houssin - 1938)

Mentre a Polsi esplodevano luci e rumori di tutti i generi, io scoprivo questo testo, conservato nella biblioteca Gliozzi, dove la magia della festa era ricreata con i colori vividi della scrittura.

Ma nell’occorrenza della solennità del settembre ogni contemplazione, all’arrivo, è fugata dal rimbombo dei continui spari assordanti, e dai mille rumori confusi e indistinti che salgono fin lassù, da un mare di esseri umani formicolanti in quel fondo e sotto l’ombra degli ampi castagni, mentre la lunga via serpeggiante dalla parte opposta, e proveniente da Platì e dai paesi del versante di là, si mostra all’occhio brulicante di muli carichi e di passeggeri, che scendono al Santuario come una lunga processione di formiche, la cui coda e ancor sulla cresta del monte, mentre il capo sta per arrivare al Convento, noi, all’estremo della compagnia di quest’altro lato, vediamo la testa della nostra comitiva discendente arrivare e confondersi con l’immensa folla delirante laggiù, a guisa della testa di un fiume che mette foce sulle onde di un mare fremente.

Domenico Giampaolo,Un viaggio al Santuario di Polsi in Aspromonte, prima edizione 1913, ristampa, Grafiche Marafioti, Polistena 1976


mercoledì 31 agosto 2016

Ricorda il mio nome




PARROCCHIA S. MARIA DI LORETO
piazza Duomo 3     P L A T I'    ( RC )

         

Il Parroco di S. Maria di Loreto in Platì (RC), visti gli Atti Ufficio,

C E R T I F I C A

che, nei riguardi di TRIMBOLI  DOMENICO, nato a Platì ( RC ) il                                          
sposato a                con PELLE MARIANTONIA, nata a Benestare ( RC ) il,            
nell' Atto di Battesimo di TRIMBOLI PASQUALE, nato a Platì il                                              
si legge essere figlio di TRIMBOLI DOMENICO di Pasquale, VAJANA e di Pelle Mariantonia di Giuseppe (Lib. Batt. XV, 146).
La medesima annotazione di VAJANA si legge, fra gli altri, nell' Atto di Battesimo dei figli ANNA ( ib. XV, 283), GIUSEPPA (ib. XVI,86), MARIA (ib. XVI,192), NATALE (ib. XVI, 293), ROSA (ib.XVII,21).
     Donde legittimamente si desume che il citato TRIMBOLI DOMENICO, secondo l'usanza tuttora vigente a Platì, aveva il soprannome di  V A J A N A, poi tramandato  ai suoi discendenti.
        Il presente certificato, redatto in carta libera, viene rilasciato per uso consentito dalla legge.

          In fede......

        Platì, 28.12.1995.

                                                                   IL PARROCO
                                                             (sac. Ernesto Gliozzi )                       


lunedì 29 agosto 2016

Fra Diavolo - redux - (reg. Roberto Roberti Leone - 1925)


Il figlio del diavolo

Lo chiamavano Caci
Novella

 Egli è un personaggio misterioso. I monelli del paese gli affibbiarono un nome strambo d’un significato tutto proprio che un poliglotta coi fiocchi non ti saprebbe dire a quale lingua appartenesse.
 Lo chiamavano Caci.
 Le mamme si servivano del suo nome per tenere a freno i figliuoli, come ne la Spagna una volta i comprachicos erano lo spauracchio dei bimbi. – Veh ti porto da Caci – dicevano. E i bimbi strillavano, si nascondevano, piangevano i poverini! Ed avevano ragione .
 Sul conto del povero Caci s’era fatto un monte di corbellerie: lo dicevano ateo, scomunicato, Makammetta in persona e non mancavano delle lingue di fuori che lo battezzavano figlio del Diavolo addirittura.
 Io queste cose non le credo.
 Una volta su l’Ave Maria lo videro con una canna in mano prendere la via del fiume: andava a far pesca d’anguille. I maligni non si orizzontarono su questo punto e dissero che andava a contrattare con suo padre il  Diavolo.
 La paura dei bimbi cresceva, Caci vedeva sempre più ingigantirsi il vuoto d’intorno e le donne avevano imparato un’altra: si segnavano quando lo vedevano passare.
 Eppure Caci in fondo in fondo non era malo. Se non andava in chiesa aveva le sue millanta ragioni a non andarvi… Egli una volta era dalla camicia rossa, non aveva imparato a trattare i santi da suoi pari, né si lasciava posare mosca a naso. – Se i santi non mi rispettano – diceva – io non li rispetto.
E un giorno mise alla porta un tale che questuava per la festa di San Rocco, perché il santo non l’aveva liberato d’un ascesso. – Va via, - gli disse – mascalzone, non ti do niente. Il popolino rimase sbigottito da questo fatto aspettando sospeso il castigo del santo.
 Due giorni dopo Caci era agonizzante:
 Le donne gioivano, i monelli passavano fuggendo e lanciando sassi sulla porta dell’ammalato che si dibatteva tra i tentacoli della morte.
 Don Saverio il parroco si decise d’andare.
 Di  fatti una mattina i monello lo videro entrare nella casa dell’ammalato e a bocca aperta rimasero ad aspettarlo per vedere se uscisse sano.
 Don Saverio uscì raggiante di gioia.
 Un momento dopo le campane suonavano a storno, i ragazzi in chiesa si bisticciavano; chi voleva l’ombrello, chi le lanterne per accompagnare il S.S. – Si portava il viatico a Caci.
 Quando la processione arrivò alla porta dell’ammalato tutti s’inginocchiarono; don Saverio entrò accompagnato dai bimbi con le lanterne che ancora tremavano a verga.
 A l’apparire del parroco Caci, con uno sforzo, si rizzò in mezzo al letto, le lacrime gli rigavano il viso: era calmo, sereno, ispirato. - Padre, - disse con voce fiacca, - io non son degno di ricevere nel mio petto il re del cielo. – Figlio – rispose il prete appressandosi – Iddio ama la pecorella smarrita.
 Il figlio del Diavolo diveniva figlio della Grazia.

Sac. Ernesto Gliozzi senior

Questo testo dello zio Ernesto il vecchio era stato pubblicato, ben prima dei clamori odierni, il 20/09/2011 e allora e ancor prima Caci era già una leggenda pastorale.

sabato 20 agosto 2016

Together (reg. Val Guest - 1970)

Sempre nel luglio scorso queste pagine e i pulinaroti hanno meritato la benevolenza del mensile in Aspromonte ed in particolare di Francesco di Raimondo.

La memoria viaggia sospesa tra Platì e Ciurrame

Prima degli svariati e spesso ripetitivi gruppi su facebook, prima del boom di instagram e degli sporadici twit platiesi, Gino Mittiga attingeva all'archivio di famiglia e ai suoi ricordi di gioventu per consegnare (qui potrei dire ai posteri) oggi, in questo presente, a noi, la storia di Platì. Non alcuni racconti di famiglia (non solo), non singoli episodi e fatti ma la storia vera e propria. Quando ancora grandi fondazioni e istituti culturali disputavano se e come digitilazzare il proprio patrimonio storico letterario, Gino (Luigi alla fonte battesimale, nome del nonno materno) creava nel 2012 il primo ed unico blog su Plati. Tutto l'800 e prima metà del 900 viene raccontato nei post attraverso la pubblicazione di un vasto repertorio di foto antiche e un’attenta analisi e quindi trascrizione di documenti, lettere, ritagli di quotidiani e altro.  Buona parte del materiale a cui Gino attinge lo si deve in particolare a tre zii del ramo materno (Gliozzi) che appartengono alla storia di Platì, in ordine cronologico: Don Ernesto senior, Don Ciccillo e Don Ernesto junior. Tre sacerdoti, zio il primo e fratelli gli altri due, appartenenti a un’epoca dove l’istruzione a Platì era privilegio di pochi e molti cittadini si affidavano ai tre “don" per la stesura di documenti, lettere e quant’altro fosse necessario riportare su carta. Anche molti signorotti consegnarono alcune memorie soprattutto all’Ernesto senior, eccelso poeta e cultore delle lettere classiche. Vi è molto di più in daplatiaciurrame.blogspot.com il cui contenuto oggi appartiene all’Associazione etnoculturale Santa Pulinara fondata da Francesco Violi, Pasquale Catanzariti, Michele Papalia e lo stesso Luigi Mittiga. Non svelerò della bellezza del viaggio nel passato che si intraprende attraverso la lettura di quei centinaia di post ma invito ad accingersi avendo cura di quanto contenuto essendo frutto non solo di una passione ma di un attento e paziente lavoro di recupero.

Come nasce l'Associazione Santa Pulinara

Nasce nel 2012 dal desiderio di un gruppo di ragazzi di condividere Ia passione verso Ia storia e, in particoIare, della cittadina Platì. Le attività deII’Associazione sono incentrate sul recupero delle radici storico-culturali del paese aspromontano e hanno I ’obiettivo di diffondere cultura e conoscenza, idee e valori positivi e di coinvoIgere un numero sempre maggiore di persone. II nome é dato da quella che tutti riconoscono come Ia parte più antica del paese, cioé Santa Pulinara. Grandi studiosi, come il professore Domenico Minuto, voglio che tale appellativo richiami Ia possibilità di un antico cenobio, forse di matrice greca, dedicato appunto a Sant’ApoIIinare.
La frase dello scrittore Guareschi, “E se I’avvenire deIl’aIbero e il suo progresso verso I’aIto sono sopra Ia terra, Ie radici sono sotto Ia terra. E ciò significa che I’avvenire è alimentato dal passato. Guai a coloro che non coltivano il ricordo del passato: sono gente che seminano non sulla terra ma sul cemento”, ha ispirato il logo.

 





mercoledì 10 agosto 2016

Ferdinando il duro (reg. Alexander Kluge - 1976)



Tutto può succedere. Tutto è possibile e probabile. Tempo e spazio non esistono. Sul  terreno fragile della realtà l’immaginazione viene fuori e tesse nuovi modelli. August Strindberg
citato da Ingmar Bergman in Fanny e Alexander, 1982

Con questo mio testo, qui riveduto in alcune parti, apparso sulla rivista in Aspromonte del luglio c. a., non ho inteso ascendere a mero o futile critico, quanto presentare il lavoro di un giovane amico, arrivato nell’alba del mio tramonto, diventato, nell’arco di pochi giorni, padre e scrittore, in una Platì dove è arduo e da coraggioso essere entrambe queste figure, perché negate dalla politica degli asserviti ufficiali.

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L’uomo comune è poco, l’eroe è troppo!
Sergio Leone, Il Colosso di Rodi, 1961

Tutto non è che un ritorno nel ritorno. Ancora indolente per il riposo pomeridiano ricevo l’annuncio di Michele che la domenica successiva ci sarà la presentazione del suo libro. Eppure non erano passati che pochi giorni da quando sotto la veranda di casa sua c’era stata una gradevole discussione, presente Bettina, se Natale andava promosso o meno. Sorpreso, il pensiero si concretizza come precipitazione. E’ un istante perché, per mezzo della mente che è un grande morphing, sopraggiunge la gioia per quello che sarà il più bel giorno della vita del paese da cinquecento anni a questa parte. La cronaca di quell’evento è affidata ora all’etere. Rientrato nella città dello Stretto, sfogliando gli usuali, pochi, indirizzi web vengo a sapere che Mimmo Palmara non è più. Di colpo ecco che mi ritrovo in quella sala, erano appena trascorse ventiquattro ore, che fu il Cinema Loreto di Platì dove si impresse per sempre nella fantasia il volto di Mimmo Palmara: appeso ad una trave cerca di schivare le frecce del nemico ne Il Colosso di Rodi. Molti anni passarono prima di scoprire chi firmava la regia, ma quel film generò tutti i miei sogni fanciulleschi che saranno spazzati solo con la visione del lavoro successivo sempre dello stesso artefice, involontariamente annunciato con insistenza da Mimmo Addabbo, quando per farci accorrere al cinema usava proprio la musica di quel secondo film. Ecco che sento il bisogno di vedere Il Colosso di Rodi mai più rivisto. Cominciata la visione, dopo le prime sequenze, in un colloquio tra Lea Massari e Rory Calhoun, l’attrice italiana afferma il testo riportato in apertura. All’istante la frase mi anticipa quelle che saranno le intenzioni di Michele attraverso il suo libro, di cui avevo letto solo la prefazione ed il primo capitolo. Allora, lo vogliamo rimettere in piedi questo Cinema Loreto di Platì!

Qui siamo nel West dove quando la leggenda incontra la realtà stampiamo la leggenda.
John Ford, L’uomo che uccise Liberty Valance, 1961

Il Regno delle due Sicilie è il solo, assieme al west americano, dove visioni di grandezza, avventura, ferocia e cataclismi si danno la mano.  Vorrei che questo mio commento al libro di Michele lo pensaste come fatto ad un film per il grande schermo; non il 16:9 sebbene il 2.35, insomma, quello di C’era una volta il West. La materia la possediamo tutta: la lotta tra il bene e il male, la storia d’amore, i personaggi intagliati “ca cugnateja” che poi sarebbe la piccola scure portata appesa al braccio dal lato tagliente, i duelli all’ultimo sangue e, su tutto il magnifico, grande paesaggio che si estende ai piedi dell’Aria del Vento  fino ai serri di Acone e dove il Ciancio borbotta la sua indolenza a confluire nel Careri. Ma il Cinema è morto. E alla Calabria è sempre mancato il suo grande autore in 35 mm.


“ E’ una reliquia, un residuo di un’altra epoca e di un’altra terra”
Sidney Pollack, The Yakuza, 1973

Michele Papalia da subito si lascia alle spalle Corrado Alvaro per incontrare Saverio Strati. E’ un attimo, perché anche lo scrittore di Sant’Agata del Bianco viene superato per mezzo di una prosa agile e avventurosa che innalza il fatto di cronaca a momento senza tempo, conducendoci dalle viuzze platiote popolate di donne, trecce a corona in testa, nero vestite e bambini mal nutriti, rovinati molto spesso dal vaiolo se non dalla poliomelite, a ridosso di un Aspromonte verde come mai, dove un manipolo di uomini combatte una battaglia insensata, persa in partenza. L’amarezza dell’autore è pari a quella vissuta da Umberto  Zanotti Bianco per l’abbandono in cui versava la Magna Grecia.Il suo è un neorealismo ritornato verismo.  E forse Caci il brigante non ha mai afferrato perché è capitato proprio a lui, figlio benestante, aspettato e perduto per sempre . Il ritratto che Michele incide per noi, come su una lastra fotografica, è quello di un ribelle con una causa, sicuro di sé, che incontra la morte col sorriso in bocca;condensando in questo l’idea che molti di noi si sono fatta attraverso i racconti di genitori e nonni, rivissuti attraverso le sequenze che uscivano dallo schermo del Cinema Loreto. C’è da chiedersi come mai un personaggio della levatura di don Ferdinando Mittiga sia nato, vissuto e svolto la sua saga nelle terre di Platì. La risposta è facile se alla vostra attenzione ritorna quanto vado riproponendo nel web da un pò di anni a questa parte. Platì in quei tempi  non era  “il buco del culo del mondo” che certi mal informati storici e inquisitori ben pagati ci vogliono trasmettere, era un paese aperto in tutte le latitudini e longitudini per mezzo dei commerci che creavano legami familiari; commerci e legami creavano a loro volta benessere e malessere e dove il benessere fa fronte col malessere nascono disagi per molti, ricchezza per pochi, cosa che io chiamo col suo vero nome: strozzinaggio in un primo momento, emigrazione il passo  successivo. Si dava ad usura la propria moglie, la figlia, i propri bambini, la terra per avere pochi ducati onde comprare sementi dal cui raccolto, scarsamente redditizio, non sarebbe uscito il riscatto ma ancora usura. La praticavano tutti: dal signorotto al parroco al ceto medio borghese. Questo stato di fatto durerà sino alla fine della seconda guerra mondiale quando allora, e, pensateci,veramente allora, tutto cambierà per restare com’era, gettando Platì  in pasto ai forestieri ed alla politica figlia di quel conflitto.
Caci il  brigante è il libro atteso e sperato per anni e consegnare Ferdinando Mittiga alla storia o alla leggenda non è che il pretesto per richiamare la storia più recente di Platì: ancora sangue, ancora lutti, mai più ritorni.


Michele Papalia, Caci il brigante, Leonida Edizioni, 2016

Al centro della foto, di Salvatore Carannante, Michele appare tra i due Catanzariti, figlio e padre, e lo stempiato blogger.

lunedì 1 agosto 2016

Il Commissario (reg. Luigi Comencini - 1962)



Al Commissario di Platì Avv. G. D. FOTI

e p. c. al dott. Rosario Sergi


Caro Don Giandomenico,

Leggo nel N.° 205 della Gazzetta di Messina, un articoletto in cui, con un’enfasi degna di miglior causa vi si attribuisce “ la soluzione di tutti i problemi che interessano la vitalità nostra “ e il meraviglioso avviamento del Comune alla sicura resurrezione.
Calunnie, don Giandomenico mio caro, niente  altro che calunnie!
I problemi di Platì, quando veniste nel nostro ameno e salubre paesello, erano i seguenti:
1.° Problemi finanziarii (Ammanco negli incassi della gestione annonaria; sparizione degli utili in essa consegnati; ricupero materiale baracche; ricupero rendite patrimoniali  distrutte; debito Distretto militare; debitio a vari fornitori del Comune ecc. ecc.)
“.° Problemi edilizi. (Costruzione degli edifizi municipale e scolastico; Cimitero di Cirella; acquedotto; Vallone ecc. ecc.)
3.° Problemi giudiziari. (Liquidazione lite demaniale Cirella-Ciminà; rendiconto rendite Castro; rendiconto generale: quali somme furono emesse dai Cirellesi? Quali furono le spese effettive sostenute dagli incaricati? Ecc. ecc.)
Manco a farlo apposta, oggi dopo la vostra lunghissima permanenza fra noi, i problemi son sempre quelli, sempre minacciosi, sempre esasperanti, sempre lontani mille mila miglia dalla soluzione. Gli unici vostri brillanti risultati quelli ottenuti nel campo della dieta lattea. Io sfido formalmente quel mattacchione di corrispondente cirellese a citarmi uno solo (anche mezzo!) dei problemi da voi affrontati e risoluti, una sola (anche mezza!) delle vostre benemerenze ch’egli afferma numerose e gli dico senz’altro che i pistolotti uso quello che vi riguarda han le gambe corte come le bugie.
A voi, se volete tra un sorso e l’altro di latte ascoltarmi, voglio ricordare, a proposito di articoli e articolisti, il notissimo proverbio che ammonisce:
“ Quando il diavolo t’accarezza, vuole l’anima “
Arrivederci.

Napoli 7 settembre 1924.
Zappia Pasquale di Carlo


P. S. Vi prego di farmi sapere, se nei giorni in cui restate assente dal Comune vi occupate sempre di problemi … insolubili o se quando vi recate a Reggio per, motivi professionali o a Bova per motivi di famiglia, percepite diaria. Ciao.

mercoledì 27 luglio 2016

America paese di Dio (reg. Luigi Vanzi - 1966)

BRUNO GELONESI

L’ America è l’avvenire

Quell’inverno del 1909 fu molto rigido. Nella baracca faceva freddo e il maestro fumando una sigaretta dopo l’altra, stava leggendo le pagine più commoventi de “L’uomo che ride” a cinquanta alunni di quinta elementare, quasi tutti scalzi e con i geloni ai piedi. L’ambiente esterno sembrava quello descritto da Victor Hugo.
   La voce del maestro, all’improvviso, venne interrotta da una frettolosa bussata alla porta. Era Il padre di Francesco, il primo della classe, non solo nello studio.
   Buon giorno, signor maestro. Perdonatemi se vi disturbo. Ho ricevuto, proprio in questo momento, la lettera che aspettavo da mesi. Mio fratello, l’americano, ha inviato l’atto di richiamo per Francesco.
Entro un mese, Dio piacente, potrà partire per Boston. Oggi per la mia famiglia è un gran giorno.  Si apre una strada non solo per Francesco, ma per tutti i suoi fratelli. Ho dieci bocche da sfamare e le mie braccia non possono durare a lungo e qui, per noi braccianti, tra terremoto e angherie degli “gnuri” la nostra vita si fa sempre più difficile. L’America, l’America è l’avvenire per la mia famiglia e Francesco, oltre ad aiutarmi a sfamare i fratelli, sarà il loro avvenire, perché mio fratello mi ha sempre scritto che l’America è un paese dove c’è pane bianco per tutti. Questa notizia siete il primo ad averla. Dopo voi vado dal suo “mastro” don Peppino, il sarto. Vi chiedo ancora scusa se mi sono permesso di disturbarvi e vi ringrazio per quanto avete fatto in questi cinque anni per mio figlio.
   La bussata, l’entrata e le parole del padre di Francesco piombarono nell’aula come una fiondata turbando il maestro e trasecolando i fanciulli.
   Dopo qualche istante, il maestro, con la sua flemmatica voce, intervenne:
   Non so, caro Domenico, se debbo essere contento di quanto dici. So che Francesco è nato per studiare e se studia ha davanti a sé un grande avvenire. L’America non è poi come si crede. Di certo il pane bianco non si trova per strada, bisogna sudare per procurarselo. Non ti illudere! Per te, poi, posso dirti che quanto prima il governo dovrà pure ricostruire il paese. Ormai sono passati due anni dal terremoto! Ci sarà tanto lavoro che dovranno rientrare tutti gli emigrati. Pensa a quello che fai! Non farti abbindolare.
   E’ perché non mi illudo che mando Francesco in America! – rispose con convincente forza, il padre di Francesco. – Non credo alle chiacchiere dei governanti; sono troppo lontani da noi e non conoscono i fatti nostri. Al massimo daranno i contributi ai signori per rimodernare i loro palazzi, i soli rimasti intatti. Che importa a loro delle nostre case di fango e pietra. Tanto noi non possiamo votare. Tra non molto verranno a smontare anche le baracche. Non offendetevi signor maestro, ormai la fortuna non me la faccio sfuggire.


Nota di Francesco di Raimondo: Abitava in via Umberto primo ... Aveva una cultura immensa. è morto a 91 anni e recitava a memoria i classici greci e latini .. cantava,a memoria le opere liriche. Era maestro e contemporaneamente fiduciario, nella scuola elementare per 40 anni. ..Cioè i vari direttori abitavano a Reggio e lui faceva il vice.

 Il testo e la foto si trovano nell'ingresso della scuola media di Platì, dove sono stati rilevati.

mercoledì 20 luglio 2016

Sulle ali dell'arcobaleno (reg. Francis Ford Copppola - 1968)

Saluto  Convegno Giornata per la Pace

 Platì 13.1.1996

   Come sacerdote senior, incaricato della cura della Comunità Parrocchiale " Santa Maria di Loreto" di Platì, ho il piacere di rivolgere il mio cordiale saluto a tutti voi qui convenuti per questa manifestazione in favore della PACE:
a S.E. Mons. Giancarlo Bregantini,  nostro amato Vescovo,
alle Autorità ecclesiastiche, civili e militari qui presenti,
a tutti i gruppi rappresentanti le varie comunità della Locride e a tutti voi, amanti della pace, che riempite della vostra presenza le navate di questa chiesa, ma soprattutto di gioia e di speranza i nostri cuori.
   Ringrazio S. E. per  aver voluto scegliere questo luogo come sede della manifestazione in favore della pace nell' incipiente anno 1996.
   Come voi ben sapete, Platì, è, al presente, sulla bocca di tutti, ma sopratutto sulle assetate antenne dei  mezzi  di  comunicazione    sociale  ( televisione, radio, giornali) quando si tratta di fatti di colore nero, giustamente o ingiustamente a noi attribuiti, e mai se ne parla quando questi fatti sono di colore che ci fa luce e onore.
   Forse non tutti sanno che quell' albero, il cui ramoscello, fin dai primordi dell' umanità, è il simbolo della pace, voglio dire l' ulivo, qui prospera rigoglioso ed abbondante ed è la prima fonte delle nostre risorse economiche.
   Ma se il simbolo affonda le sue radici nella nostra terra, l' ideale simboleggiato, a cui tutti oggi inneggiamo, è ben radicato -statene sicuri - ( e ci auguriamo che lo sia sempre più per l' avvenire ), nel cuore di questa gente  pia, onesta, laboriosa ed ospitale.
    A tutti,  AUGURI  DI  BUON  LAVORO !

Canonico Ernesto Gliozzi