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lunedì 16 maggio 2016

E venne un uomo (re. Ermanno Olmi - 1965)

Sotto il titolo E venne un uomo, pubblico una breve corrispondenza tra lo zio Ernesto il vecchio e Antonio Pipicelli, di origine natilota, parroco a Bovalino Superiore, il quale ereditò la conduzione della parrocchia di Platì alla morte di mons. Saverio Oliva. Dal tono delle lettere si può facilmente arguire che non fu un lavoro facile per il nuovo direttore spirituale viste le lotte che impegnavano i natiloti stessi, i maggioraschi platioti ed il superiore di Polsi mons. Pangallo.





Bovalino Sup. 27 . 9 . 920

Carissimo Ernesto,

Finalmente il Vescovo si è deciso a nominare Saverio Pelle economo di questa mia ex parrocchia: Non so quando questi si potrà stabilire definitivamente a Bovalino, dovendosi prima provvedere di un’abitazione, non molto facile a trovarsi.
Tra qualche giorno comincerò a trasportare costà i miei oggetti, e appena il Pelle si sarà stabilito a Bovalino, me ne verrò a Platì.
Intanto provvedi del panegirista del Rosario e stabilisci per quel giorno che crederai meglio della festa; giacché io non so ancora se potrò essere costà per la ricorrenza, e, in ogni modo, per ragioni che ti dirò a voce, non intendo, pur ringraziandoti sentitamente, salire nel …, il primo giorno di festa che io mi troverò in codesta nuova residenza.
Pregoti annunciarmi se sono sorte altre novità e quanto altro potrebbe, riguardarmi.
Ti abbraccio caramente e saluto gli amici.
Tuo
A. Pipicelli


domenica 15 maggio 2016

Scuola di Babele (reg. Julie Bertucelli - 2014)

Da Platì
Anomalie … platiesi
Platì 10
(Iris) Il comune di Platì con un criterio che non sappiamo come qualificare è stato distaccato dalla circoscrizione scolastica di Gerace ed aggregato a quella di Palmi.
Ad onta della distanza dobbiamo riconoscere che, quell’ispettore non ha mancato di recarsi qui più volte a visitare le nostre scuole, sicché il cennato provvedimento non è andato a detrimento delle stesse. Se non che l’anno scorso si è creduto di modificare nuovamente la circoscrizione scolastica, Platì ha cessato di appartenere a quella di Palmi. Parrebbe naturale che fosse stato aggregato nuovamente a Gerace o magari a Brancaleone, invece fino al momento questo comune e come coloro che stan sospesi non fa parte di nessuna circoscrizione in modo che i nostri maestri non sanno a chi rivolgersi e le nostre scuole non trovano chi si occupi di esse! …
E’ strano eppure è così.
Non sappiamo a che cosa attribuire questa anomalia e se si tratti di dimenticanza o di altro. E’ certo però che bisogna provvedere e subito, non essendo giusto che le nostre scuole siano abbandonate a se stesse, senza avere un Ispettore a cui far capo.
Si capisce ora perché quest’anno non è stata istituita la 4.a elementare!


La Gazzetta di Messina e delle Calabrie 18 marzo 1915

giovedì 12 maggio 2016

Spirito più elevato (reg. Akira Kurosawa - 1944)



È la nostra terra.
La terra del nostro paese.
La terra dell'orto dove aleggia
lo spirito dei nostri antenati.
È la mia terra.
La terra dove sono nato.
Il profumo di questa terra,
mi riporta alla mia infanzia.
Quando cammino sulla mia terra,
sento ancora il calore
dell'abbraccio di mia madre.
E all'improvviso, ritorno
alle origini della mia anima.
Questa è la terra dove aleggia
lo spirito dei miei antenati.
La stessa terra dove sono nato.
Questa è la mia terra. 


Nota: non è una poesia di un autore platiotu, non sono parole mie, è un pezzo di voce fuori campo nel film riportato nel titolo. Ognuno di noi, penso, che vi si possa riconoscere.E la bambina della foto è mia madre,spirito più elevato.

mercoledì 11 maggio 2016

Nel segno di Roma (reg. Guido Brignone - 1958)

La marcia dei Locresi

Da le plaghe ridenti
al sole trionfale
Minacciosa, terribile
una protesta sale
da le rocce, dal mar.
Usciti da castelli,
terribili manieri,
per ubertose zolle,
si son veduti fieri
cavalieri passar …
Ne le strade deserte
per angiporti oscuri
s’aggirano penosi,
spariscono figuri …
Congiuramenti? – Chi sa!
Han sulle facce livide
lo sdegno manifesto;
ne l’occhio si riverbera
un pensiero funesto
che riposo non ha.
“ Non più di Grecia Marina
l’alloro verdeggiante
Non de l’arte la gloria,
d’ogni bellezza amante, …
Tutto da noi perì! …
Freddo l’acciar dei posteri
del fuggito Enea
qui si posava a togliere,
a tagliare cadea
ciò che da noi fiorì.
E’ ver, siam figli immemori
dei valorosi Achei
da che cedemmo ai barbari
i marzial trofei;
Ai quiriti l’allor!
A che l’accordo, il vanto
esser di Roma altera
cittadini non liberi
se libertate mera
ci accorda il difensor?
Passan mani sacrileghe
nei tempii, tra l’are …
L’opime spoglie involano,
Rapiscono le care
Ostie, de lubri … onor! “
…..
…..
In cammino! Son poveri,
ma forti ed eloquenti;
Son laceri, ne l’anime
hanno le febbri ardenti:
Giustizia e Libertà!
E van per la difficile
salita oltre Melia
Del faticoso Dromo
ribattono la via,
Nei piani … eco, di là.
Lasciano di Mamerto
la bellicosa gente;
Toccan foreste vergini
Su l’Aspromonte algente
Reggio compar laggiù.
Avanti, avanti, i Bruzii
v’attendono, o Locresi,
Marciate solitari,
avanti, pei paesi
silani, ancor più su.
E via per la  Lucania
marciate come il vento,
Non ha carezze Sibari,
fandonie Benevento;
avanti, avanti, ancor.
Voi non toccate il Sannio
né la valle funesta
che vide i legionari
sfidare a bassa testa
sotto del disonor.
Ne l’orizzonte fumido
v’appare, ecco, un vulcano.
Partenope magnifica
sorride da lontano,
come perla sul mar.
O generosi, intrepidi,
voltatevi, e passate
fiammeggiante nel vespero
nel vespero d’estate,
Roma laggiù v’appar.
Ecco la meta! Vendichi
l’imparzial senato
della gran Dea Proserpina
il tempio violato,
Dei Locresi l’onor

….
….
E stanno con l’olimpica
Serenità dei numi,
su le tribune auree
son d’eloquenza fiumi
di Roma i senator.
Quando, frementi, lividi,
compaiono i Locresi:
“ Ah, l’invocammo, dicono
nei nostri affetti lesi,
Giove vendicator!
Tutta una terra nobile,
conculcata, avvilita;
La generosa Locride,
di cui siam parte, vita,
ci manda a protestar.
E le proteste, savii
senatori, ascoltate;
Un popolo di liberi
vi chiama; vendicate;
Giustizia,! Quanto il mar “.
Ed al consesso marrano
le storie vergognose
di manomessi tempii
ed altre, ed altre cose,
d’infamia e disonor …


Ombre, gioite! Vindice
aveste voi il Senato.
Per voi corre nei secoli
l’encomio meritato,
cresce su voi l’allor.
E d’esultanza un brivido
vi scorra per le ossa
oggi che nella Locride
Novella, la riscossa
Terribile echeggiò.
Sorgete, ombre magnanime,
Su le sponde Del Rio
un cavalier scalpita,
un Cavalier di Dio
che Giorgio si chiamò.
Non de la dea Proserpina,
Del Vero Dio, Soldato.
Da l’alma Roma, vindice,
tra noi, quaggiù mandato
Ecco, comparve già.
Ma su la fronte nitida
una bontà paterna;
Due raggi la circondano
ci regge e ci governa:
Giustizia e Libertà.
Ma se gli altari cadono
per vile simonia,
Se nuovi infami vendono
Le glorie di Maria
Riparte il Cavalier
E va per la difficile
salita, oltre Melia,
Del Rio riprende subito
la faticosa via.
Solo, tremendo e fier.

Ombre, sorgete, unitevi
dei figli a l’esultanza
E ripeta il plauso
Oggi per questa stanza:
Giustizia e Libertà!

Sac. Ernesto Gliozzi, il vecchio 


Recitata nell’Accademia a Gerace. Pubblicata nella Discussione di Napoli. Riportata da altre riviste letterarie

Nota: La vicenda dei locresi in viaggio verso Roma avvenne intorno al 205 a. C. a seguito delle malefatte di Quinto Pleminio luogotenente di Scipione l'africano, per niente africotu.  
Mons. Delrio fu vescovo di Gerace dal 1906 al 1921. 
Lascio a tutti la libertà di decidere se questa poesia dello zio Ernesto il vecchio sia bella o brutta, per parte mia dico soltanto che in quegli anni che la videro recitata e pubblicata il paese era attraversato da una corrente benefica di autori che meritano una riscoperta.

martedì 10 maggio 2016

Ricorda il mio nome



Strangio Giuseppe (9.11.1856) di Pasquale cingari
Zappia Francesco (1.1.1856) di Antonio cagnolaru
Barbaro Giuseppe (27.12.1857) di Rocco miroci
Catanzariti Elisabetta (6.6.1857) di Giuseppe pitteja
Oliva Saverio (19.1.1857) di Francesco sepio
Romeo Domenico (20.7.1857) di Giuseppant. melissa
Romeo Francesco (10.8.1857) di Giuseppe peppannice
Trimboli Antonio (9.4.1857) di Gaetano bellocco
Trimboli Antonio (28.9.1857) succhero
Trimboli Antonio (4.11.1857) di Giuseppe divico
Catanzariti Antonio (14.3.1858) giomo vir di Trimboli Domenica
Catanzariti Rosario (21.1.1858) di Giuseppe celestino
Cutrì Maria (21.8.1858) di Pasquale luponero.
Zappia Caterina (289.4.1858) di Antonio persica.
Agresta Anna (19.3.1859) di Ant.-moglie di ...Francesco scattagnolo
Papalia mf Caterina (14.7.1859) moglie di Mittiga Rosario brandoro
Staltari Caterina (25.10.1859) di Antonio- moglie di Molluso Francesco rusa
Portulesi Domenico (15.8.1860) pintarello
Romeo Domenica (26.4.1860) di Francesco francise
Staltari Domenico (16.8.1860) gatto
Bartone Bernardina (2.3.1861)da Natile-moglie di Romeo Gius.Ant. vulcano
Carbone Domenico (25.9.1861) cucinata
Catanzariti Domenico (24.3.1862) bono
Romeo Giuseppe (8.2.1862) di Franc. smàchara (ch : pron. come il chi greco)
Carbone Maria (27.10.1863) di Gius. moglie di Trimboli Pasquale Noè
Catanzariti Domenico (14.2.1863) carrau
Catanzariti Domenico (27.7.1863) di Rocco corato 27
Perre Francesco (15.12.1863) di Dom. vir di Romeo Elisab.cicerca
Romeo Antonio (3.10.1863) di Giuseppe e di Jetto Paola cerva o cerza
Romeo Antonio (29.11.1863) di Dom. surìcu
Sergi Giuseppe (9.7.1864) 'mbilli di Pietro mar.di Portulesi Caterina
Treccasi Francesco (19.4.1864) di Domenico patrizzito e Zappia Maria.
Zappia Domenica (20.1.1864) di Giuseppe panazzo
Carbone Giuseppe (12.1.1865) di Saverio santo    

Vi rammento che l'autore del lavoro è lo zio Ernesto il giovane; nella foto, quando andammo in visita pastorale(?) a Marando.                                 

martedì 3 maggio 2016

Amici come prima (reg. Norman Jewison - 1982)



Colla presente scrittura sinallamatica da valere come se fosse pubblico strumento, tra noi qui sottoscritti Sacerdote Don Stefano Oliva e Don Francesco Gliozzi si è conchiuso il seguente contratto di compravendita.
Dichiaro io D. Francesco Gliozzi del fu D. Carlo possedere da vero e legittimo padrone e possessore un fondo in contrada Sfalasi Territorio di questo Comune  di natura aratoria ed alberato con olivi e quercie, limito D. Giuseppe Gliozzi mio fratello da un lato, da un altro D. Carmelo Zappia, ed il resto da me medesimo, pervenutomi per retaggio Paterno; quale Fondo come sopra descritto e confinato, per mie vedute e circostanze ho risoluto venderlo, ed avendo alluopo trattato col Sacerdote D. Stefano Oliva la vendita, quale si è alla fine conchiusa colle seguenti condizioni.
1° Che l’apprezzo debba farsi da’ periti Rosario Marando ed Antonio Trimboli Judici, i quali portatosi sul luogo hanno stabilito il prezzo di docati ottanta nove e grana quaranta, che il compratore Sig Oliva ha sborzato di moneta effettiva corrente in questo Regno e per effetto di ciò gli fo ampia final quietanza immettendolo nel possesso del suddetto Fondo per goderne della proprietà ed usufrutto, restando però per questo anno solo il quinto sul prodotto del grano in favore del venditore Sig. Gliozzi.
2° La vendita suddetta s’intende fatta coll’istesso patto della ricompra fra lo spazio di anni quattro, incominciando da oggi medesimo e terminar debba a tutto il dì venticinque Aprile Mille ottocento cinquant’uno, dappo il quale tempo di sopra stabilito, resta il venditore decaduto da ogni dritto di ricompra, ed il compratore assoluto proprietario; tale ricompra potrassi fare dal dolo venditore e suoi figli ma coll’espressa condizione e che senza della quale  non sarebbe effettoito il presente contratto, dico presente contratto, che qualora questi facendo uso della ricompra non potessero alienarlo ad altra persona tranne al compratore Sig. Oliva o suoi nepoti, i quali un mese prima dovranno essere interpretati se vogliono comprare. Nel caso negativo la proprietà resta libera come prima; nl caso poi affermativo resta stabilito che il perito più probbo si adibberà ds tutti dovrà eseguire la perizia, e questi o suoi eredi restano obbligati pèagarne il prezzo stabilito in moneta corrente di questo Regno. A scanzo di qualunque litiggio resta spiegato, che qualora la ricompra avrà luogo nel mille ottocento cinquant’uno il prodotto del grano dovrà cedere in favore del compratore Sig. Oliva, se prima di detta epoca gli apparterà la rata a raggion di tempo.
3° Che il Fondo suddetto s’inmtenda cederlo franco e libero da qualunque servitù ipoteca o canoni, fuorché del contributo Fondiario che dal dì della presente vendita ceder dovrà a carico del compratore Sig. Oliva. Così ho fatto la vendita, ed in tal modo mi obbligo garentirla sopra i propri miei beni.
Ed io D. Stefano Oliva contento del sopradetto contratto m’obbligo di non contravenire alla parte che mi riguarda.
Fatto oggi venti sei Aprile Mille ottocento quaranta sette in Platì in doppio originale la presente sinallamatica, quali si conservano uno per ciascuno di noi per tutti gli effetti di leggi.
Francesco Gliozzi ho venduto e ricevuto come sopra
Stefano Oliva ho comprato e sborzato

lunedì 2 maggio 2016

Cammina, cammina (reg. Ermanno Olmi - 1982)


19 Aprile 1950
Carissimo papà
Lunedì scorso vi ho fatto spedire un telegramma per farvi sapere che ho fatto un buon viaggio. Domenica sono arrivato qui alle quattro e un quarto. Il viaggio è stato ottimo, solo un pò prima del sanatorio c'è stata una leggera pioggia e per conseguenza mi son riparato' presso il guardiano del Sanatorio. Per circa mezzora, poi, scomparsa la nebbia e cessata la pioggia, mi sono messo di nuovo in cammino. E' inutile dirvi che sono stato accolto bene da tutti e specialmente dal Superiore. Ho a mia disposizione una bella stanza, letto con rete metallica e due materassi di lana ecc. La luce elettrica funziona bene e nella mia stanza ci sono due lampadine da 50 candele l'una. Vedete dunque che sfarzo di luce. Il mangiare è ottimo. Tutti già incominciano a volermi bene
Domani il Superiore partirà per Roma e io gli darò una lettera per Fina, che lui andrà a vedere. Al suo ritorno io verrò a casa per alcuni giorni. Non mi resta che inviarvi i più cari abbracci e baci per tutti in famiglia, comprese Rosina e Cata coi bambini e lo zio Michele, che spero sia già guarito. Saluti agli altri parenti tutti. A voi e alla mamma bacio pure la mano, chiedendovi di benedirmi

Aff.mo
Ciccillo
P.S. Scrivetemi e ditemi come state.

Tra il 1950 ed il 1951 lo zio Ciccillo sostituì, periodicamente, l'allora Superiore Pelle nella conduzione dell'Abbazia di Polsi. L'ultimo platiota che vi fu a capo  era stato mons. Francesco Pangallo tra il 1927 ed il 1939. 



domenica 1 maggio 2016

Io confesso (reg. Alfred Hitchcock - 1953)

L’ultima confessione

L’uomo claudicante che ogni giorno sostava davanti la piazza adiacente, finalmente finì di tentennare e a fatica si recò dentro la splendida e ordinata chiesa matrice in cerca di un prete. Da giorni combatteva con sé stesso sentendosi ora soddisfatto per aver superato la riluttanza causata dall’aspett0 trascurato. La sua lunga e folta barba era stata tagliata in occasione dell’ultima festa della Madonna di Loreto, nove mesi prima; la giacca e i pantaloni laceri che indossava nonché le scarpe rotte, i pezzi del suo guardaroba, erano divenuti rispettivamente covo ideale per i pidocchi e deposito di fango.
Invero, era stata la morte, sgradita consigliera, ogni notte la sentiva sussurrargli all’orecchio, a spingerlo alla sua ultima confessione. Oltre alla dolorosa anchilosi al ginocchio destro, presumeva di essere affetto da una grave sindrome, in termini scientifici non meglio identificata, ma di sicuro patologia incurabile benché sebbene nessun medico l’avesse mai diagnosticata, veniva rafforzata a ogni pubblica occasione, promanata dalla bocca fresca e igienizzata di politici e magistrati, e dalla autorevole penna di giornalisti ed esperti di ogni genere.
Ma tant’e: “Quando arriva l’ora...”, le ultime rassegnate riflessioni dell’uomo sul sagrato della chiesa; oltre a ciò, la spinta decisiva a entrare nelle casa di Dio era frutto di un ragionamento induttivo che d’improvviso li lo colse: anche a voler escludere la malattia, incombevano la sorte e la morte che, vista l’età avanzata, certamente lo avrebbero presto consegnato al camposanto.
All’interno della matrice oltre il sagrestano solamente due donne, Bettina e sua madre, devotissime del Santo Rosario. Don Malatesta, uomo calvo di mezza età, prete da poco destinato in quella parrocchia, attendeva i pochi fedeli al confessionale e vedendo l’uomo avvicinarsi gli fece un cenno ad invito, indicando il posto a lui di fronte. Prima ancora che al peccatore si chiedesse conto dei peccati, il prete vollle sapere del suo aspetto e della sua vita.
“Di cosa vivi? Sono stato un bracciante a giornata, nei campi. Ora vivo di un piatto caldo che i miei figli, a turno, mi porgano a ogni mezzogiorno.
Per questo le tue mani sono casi decrepite? Si. Sono mani indurite e callose, esposte al sole e al vento. Mani che hanno raccolto olive e mietuto grano, mani di villano, di contadino e massaro. H0 avuto una vita di duro lavoro.
Chi sono i tuoi figli? Sono anime in pena, colpevoli per causa mia, per i nomi che portano e per il mio passato. Alcuni non sono riuscito ad educarli, perdendoli, perdendoli. I più vivono una quotidianità stentata. Altri ancora non li ho più rivisti, mi hanno lasciato giovani, facendosi adottare da altre terre, parlando oggi lingue a me incomprensibili.
A queste ultime parole il prete capi di avere davanti un peccatore singolare e curiosamente chiese: “Ne hai tanti di figli? Migliaia. Se avete il tempo di aspettare li conto e saprò dirvi il numero esatto”.
"No, no”, preoccupato Don Malatesta della piega che stava prendendo la confessione, si avviò alla conclusione: “E ora dimmi, quali i tuoi peccati? Nel mio passato ho molto peccato. Ho infranto nove dei dieci comandamenti, rispettandone solo il quarto, onorando il padre e la madre. E perciò ora chiedo al Signore nostro Dio umilmente perdono. Chiedo soprattutto che Egli voglia stendere mani pietose verso di me e i miei figli smarriti.
Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, Don Malatesta diede tempo al penitente di segnarsi con la mano, decidendosi che nessun altro parrocchiano avrebbe per quel giorno chiesto perdono. E tuttavia, a proposito del vecchio appena assolto, una domanda, troppa curiosità per non porla, lo seguiva.
Il vecchio, meditabondo sulle preghiere di espiazione, si alzo per andare e - schiusa la porta della chiesa dalla quale entrò un timido fascio di luce solare – senti domandarsi dal prete quale fosse il suo nome. “Plati” rispose altero il vecchio e a udire quel nome il prelato sbrigativamente scomparve dietro il buio della sacrestia.
Trascorse una serata di preghiere e di speranza e una notte dove la morte non riuscì a perforare i timpani. Sarebbe passato a miglior vita con la convinzione che Dio lo avrebbe perdonato. Si assopì.
L’indomani Platì venne prelevato nella pubblica piazza e trascinato con una catena ai piedi nel vicino penitenziario. Si disse e si scrisse che grazie a una articolata e lunga indagine era stato assicurato alla giustizia uno dei pin pericolosi criminali, da sempre iscritto ai primi posti nelle liste di proscrizione: si trattava per giunta di un malato incurabile di ‘ndrangheta, capace di infettare chiunque e che nessun antibiotico poteva guarire. Si continuo a dire e a scrivere — servisse da monito a quanti avevano avuto a che fare con Platì, presto sarebbero stati trafitti da apposita lancia scagliata dalla dea Giustizia — che, un esempio su tutti, a un macellaio, onest’uomo e padre di famiglia erano state messe le manette, consistendo la sua colpa nell’aver un giorno venduto carne di capra a Platì.
Difatti Platì fu messo in quarantena e i suoi occhi smisero di essere quelli della ragione. Oggi è ancora agonizzante ma vivo, sotto processo per gravi misfatti, sarà giudicato in contumacia. In molti - non solo i rapaci necrofagi ma anche i lupi, le iene, le volpi e ogni altro animale carnivoro e opportunista che gira alle falde dell’Aspromonte - attendono la sua condanna a morte per farne scempio.
Turbate dalla notizia, le due donne, madre e figlia, immancabili, si recarono in chiesa per adempiere al loro atto di fede con le quotidiane quattro poste di rosario da raccomandare all’uomo incarcerato. Presto si accorsero dell’assenza di Don Malatesta, ingiustificata anche per il sagrestano.
A Bettina, guardando gli occhi del giudice inquisitore ripreso in primo piano dalla rete televisiva nazionale, sembrò, anzi ne era sicura, di vedere quelli di Don Malatesta. Il prete, da quel giorno diventato il diavolo nei pensieri della ragazza smarrita, non mise più piede in quella parrocchia e la relativa comunicazione del vescovo: “Partito per ordini superiori da Roma”, non tacitò né lei né gli altri parrocchiani, da quel giorno diffidenti e malpensanti.
Michele Papalia
                                                                                         11 febbraio 2016



Se continua così don Michelino si avvia a diventare il più grande scrittore sorto sulle rive del fiume Ciancio. Con questo racconto, apparso sul mensile in Aspromonte nel mese di marzo dell'anno corrente, egli stacca un ulteriore passo in avanti sulla via della maturità artistica, facendo ben sperare in opere di più ampio respiro. Ecco di cosa ha bisogno il paese, non soltanto di un sindaco ma di un numero sempre crescente di narratori che guardano al passato prossimo platiota al fine di reinterpretarlo per le generazioni future ma anche per quelli di oggi che conoscono una verità distorta dalla propaganda, la verità vista con gli occhi degli altri, che non hanno cuore, per citare Ian Curtis.
Per parte mia, da subito, ho visto in Michele Trimboli, alias Giamba, il volto che spetta al desolato vecchio del racconto.



















giovedì 28 aprile 2016

La fontana della vergine (reg. Ingmar Bergman - 1959)


Hanno fatto una pensata
che tra l’altro è la sovrana
han voluto appiccicata
tra barili e damigiana
una piccola fontana,
perché compiasi ... a rovescio
il Miracolo di Cana...

Giacomo Tassoni Oliva, Municipalia


La foto è su pellicola Ilford Pan F, la camera era una Nikon FM.la veduta è dalla strada che da Natile Vecchio porta a Pietra Cappa, accanto a me lo zio Ernesto il giovane.

mercoledì 27 aprile 2016

Vatel (reg. Roland Joffe - 2000)

Armonia e Contrasto
tra Scilla e Cariddi


I TARALLI
1kg. farina. Impastare 1 kg. Di farina con 300 gr. Di olio, ½ bicchiere di vino bianco, 1 cucchiaio di miele sciolto in un bicchiere di acqua bollente e una manciata di semi di finocchio. Lavorare a lungo per avere una pasta morbida con cui preparare ciambelline di 5 cm. di diametro. Gettarle in acqua bollente, colarle quando tornano in superficie, farle asciugare su un panno e passarle in forno a 180’ finché sono brunite.

PANINI DI CENA
500 gr. di farina bianca. 50+ 25 gr burro – olio. 50 gr zucchero. 230 grammi acqua. 10 gr lievito di birra. 1 pizzico di cannella+ chio9do di garofano. 1 uovo x spennellare – sesamo. 1 pizzico di sale.
Inserire nel boccale acqua, burro, olio e zucchero: 45 sec. 90°c. vel. 4. Aggiungere il lievito: 5 sec. Vel. 5. Aggiungere farina, sale e cannella: 1 min. vel 6 + 1 1,5 min. vel. Spiga. Fare lievitare l’impasto 1 ora!
Poi, formare delle piccole palline e lasciare lievitare 2 ore. Pima di infornare spennellare di uovo e coprire con i semi di sesamo. Infornare a 220° c. x 10 min. Devono presentarsi dorati!!!

La prima ricetta è dello zio Ernesto il giovane. La seconda di Antonella che rimodella la tradizione di famiglia a Barcelona, sebbene i panini di cena siano zanclei.

E come disse don Salvatore (La Rocca): quando l'ora scocca focaccia La Rocca!