Viaggio
al termine di Plati
Vincenzo
Papalia, è stato uno scrittore nato e vissuto in terra di Platì autore di Istorosofia
di lividure eteroclite per Vicenzo Papalia Medico Chirurgo
Platì 1896 (1). Un lettore comune lo può a ben diritto bollare come
libello, tale lo definì il suo autore; ma per quei quattro che l’hanno letto è
ben altro.
In
mancanza di un affidabile critico letterario che scandagli a fondo il suo
contenuto come la sua scrittura si tenta qui di riportare delle impressioni,
assolutamente di parte, a seguito di un’attenta rilettura.
La
scoperta del libro risale all’epoca del mio ritorno da profugo a Platì. Erano i
giorni in cui andavo alla scoperta del passato ma soprattutto della casa dei
nonni materni che mi aveva visto gattonare dapprima, quindi sbattere, nella
corsa, nel saio nerissimo dello zio Ciccillo. Passavo dalla parte bassa, dove
erano riposti oggetti e mobili non più in uso, la cui gloria passata nessun
Napoleone o statista odierno eguaglierà mai, allo studio dello zio Ernesto con
la sua libreria in ciliegio che era appartenuta all’arciprete don Filippo
Gliozzi, il quale la lasciò nel testamento al nonno di mia mamma: Francesco
Gliozzi garibaldino. Oltre i libri antichi appartenuti al citato don Filippo vi
erano anche le raccolte di don Ernesto Gliozzi senior, fratello del nonno Luigi
ed arciprete in Casignana, che fu poeta e scrittore anche lui. Apparteneva a
lui la istorosofia papaliana che lì
era custodita e dimenticata, la quale ritornando alla luce ebbe bisogno della
solerte mano del rilegatore messinese.
Come
è riportato sulla copertina del libro Vincenzo Paplia, fu un medico chirurgo –
la laurea la conseguì a Napoli - che prestò la sua opera dapprima in zone anche
molto distanti da Platì per poi farvi ritorno e li restarvi. In anni alterni,
causa l’avvicendarsi delle personalità che assumevano l’incarico di sindaco,
egli fu medico condotto, ufficiale sanitario del paese e giudice conciliatore
del Comune. A cavallo tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento fu il
medico della famiglia Gliozzi e redasse anche il certificato per la domanda di
pensione del mio bisnonno garibaldino.
L’occasione
per scrivere il libro, stampato poi a sue spese a Gerace, fu un episodio che
dire lo sconvolse è poco: fu accusato dai parenti di una sua serva di averla
percossa causandone la morte. Un novizio nonché sollecito medico,
avversario-concorrente per le cariche pubbliche che ricopriva il dottor
Papalia, redasse un certificato poco felice che servì ai parenti della donna
per muovergli contro una causa penale. Fortunatamente l’autopsia sul corpo
della morta portò alla luce il vero motivo del decesso scagionando il medico
definitivamente.
La
causa del trapasso della serva, già avanti con l’età, il dottor Papalia l’aveva
diagnosticata alla stessa sei anni prima, al momento della di lei assunzione,
dovendo la moglie del dottore partorire da lì a poco: “ osservata da
me, l’ammalata offriva all’esame clinico un riacutizzamento di bronchite
cronica, ed un vizio cardiaco, valvolare, in insufficienza della mitrale “.
Le lividure diagnosticate dal medico concorrente-compiacente non erano altro
che peggioramenti a livello superficiale dovute alle “alterazioni organiche
del cuore per la stasi “.
Quello
che a noi oggi interessa dopo circa centoventi anni dalla sua pubblicazione e la scomparsa dei
protagonisti della vicenda è la consistenza letteraria dell’autore e del libro.
Nel avvicendarsi della narrazione, o se volete esposizione dei fatti, Vincenzo
Paplia ci rivela di possedere una cultura classica e moderna da enciclopedista, conosceva addirittura la cultura vedica, insospettabile oggi per un uomo che proveniva da un paese se non arretrato,
distante dai centri culturali del reggino. La sua formazione letteraria
certamente fu dovuta principalmente alla frequenza dell’università di Napoli e
successivamente con gli incarichi in diversi centri tra cui L’Aquila e la
provincia di Reggio Calabria. Ritornato a Platì ebbe modo di frequentare quei
pochi letterati che lì si trovavano, tra cui citiamo, rivelatoci dal libro in
questione, un altro medico, Domenico Zappia autore di un’opera colossale
intitolata L’Eden, andata perduta.
Ne
viene fuori di Vincenzo Papalia una figura controversa. Mosso da una passione
indignata con la sua esplorazione tenebrosa e scettica della natura umana e
delle sue cagionevolezze quotidiane ci appare un rigoroso moralista e qui egli
si accomuna ad un altro medico-scrittore che verrà dopo, molto più famoso,
Luis-Ferdinand Céline. Discostandosi, altresì, dalla narrativa calabrese
dell’epoca come da quella futura, egli non
ha nulla degli ardori esistenziali che soggiogheranno Corrado Alvaro, il quale
muoveva i primi passi negli anni che videro la pubblicazione della Istorosofia.
Quella che può sembrare una discesa negli inferi oppure un’invettiva
personale contro un’intera comunità è un’indagine sulle condizioni di un intero
popolo vessato da poche famiglie nelle posizioni di comando.
A
questo punto ci rammarichiamo del fatto che l’avversario non abbia risposto con
una pubblicazione anch’egli, forse intimorito dall’avviso di Vincenzo
Papalia: “ Ma se a voi verrà il desiderio di rispondere, ed una
risposta avrò avuto intorno quanto v’ho detto e vi dirò in appresso, io
mi sentirò obbligato a raccoglierli tutti, tutti sostenuti da documenti di
fatto, e stampare per essi, un libro di mole più grande di quello presente a
cui ne seguirà un terzo, un quarto, un quinto, e via discorrendo ogni qual
volta continueranno e vostre risposte “. Ma sappiamo, per averlo
divulgato il dottor Papalia con la sua Istorosofia, che
l’avversario in questione era restio ai duelli, con qualsiasi arma offensiva
come con … pennino e calamaio*.
Vincenzo
(Domenico) Papalia nacque a Platì il 14 luglio 1848 da Francesco e Teresa Frascà. All’età di trentasei anni in prime nozze, era il 14
ottobre 1884, sposò la diciannovenne Cufari Vittoria (Filomena) in S. Agata del
Bianco da cui nacquero Rosario, visse solo tre mesi, Maria e Teresa. Abitavano
in via Zoppali quando Vittoria lo rese vedovo il 3 Maggio del 1888. In seconde
nozze sposò Leocani Teresa (Teresita). Dire che non era di Platì è facile,
difficile stabilire la provenienza. La residenza dei novelli sposi fu questa
volta in via Trappeti e da questa unione nacquero due gemelli Candida e
Rosario. Candida visse solo due anni. Il dottor Vincenzo Papalia fu anche
Direttore responsabile, proprietario e amministratore - con il Conte Filippo
Oliva Ricciardi Redattore Capo e l’avvocato Alberto Mercurio Redattore – de Il Circo di Nerone Giornale semi-umoristico
che si pubblicò nei primi anni del 900. A sue spese pubblicò anche sonetti in
versi ed un’orazione funebre dedicata al dottor Domenico Zappia deceduto il 5
marzo del 1894. La zia Amalia ricordava il dottor Papalia ancora vivo
negli anni della sua gioventù, ed in quegli anni è probabile che vivesse nella
villa situata in contrada Lacchi (2).
* Il libro del
dottor Vincenzo Papalia era tale da non andare a genio a tutti e tra questi (forse l'avversario?) un
non identificato Marco Platì da Scazia che pubblicò e distribuì
Ad un dottore che esercita la professione nelle parti
degli Scazziesi (3)
(1) https://iloveplati.blogspot.com/2014/09/dottore-nei-guai-reg-ralph-thomas-1963.html
(2) https://iloveplati.blogspot.com/2014/09/sole-rosso-reg-terence-young-1971.html
(3) https://iloveplati.blogspot.com/2017/05/il-romanzo-di-un-medico-regjurgen-von.html
(1) https://iloveplati.blogspot.com/2014/09/dottore-nei-guai-reg-ralph-thomas-1963.html
(2) https://iloveplati.blogspot.com/2014/09/sole-rosso-reg-terence-young-1971.html
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