LETTERA APERTA AL DIRETTORE DEL “CORRIERE DELLA SERA"
Egregio Signor Direttore, siamo un gruppo di sacerdoti della
Locride, che abbiamo letto, esaminato e meditato insieme l'articolo "Un
Ateneo anche nel deserto" di Antonio Spinosa, apparso sul "Corriere della
Sera" del 16 luglio 1973, pag.3, a proposito della presunta patologica
proliferazione delle piccole Università in Calabria.
Sebbene non direttamente chiamati in causa, dato che il
"miscuglio di pensionati, di istituti privati (quali?...) o riconosciuti o
parificati di Africo Nuovo dipende giuridicamente dalle Suore Cappuccine del S. Cuore, che ne sono le uniche ed esclusive responsabili, e
dato che la eventuale erezione di un "Ateneo nel deserto" sarebbe
anch'essa di esclusiva giuridica dipendenza e responsabilità delle medesime,
sia pure col beneplacito dell'autorità ecclesiastica diocesana, desideriamo
tuttavia rendere nota la nostra precisa presa di posizione in merito ai vari
temi toccati dallo Spinosa nel predetto articolo, almeno per quel tanto che ne
siamo indirettamente coinvolti, in qualità di membri della Comunità ecclesiale,
della quale fanno parte le Cappuccine del S. Cuore e il prete che, alle loro
giuridiche dipendenze, ne dirige le varie attività scolastiche "come preside
unico e assoluto" (sic).
Poiché dall'articolo di Spinosa sembra risultare chiaro lo scopo
di spezzare una lancia in difesa dell'Università di Cosenza, noi vogliamo
anzitutto far sapere che non ci sentiamo di solidarizzare con le gelosie e con
i timori concorrenziali dei numi “tutelari dell'Ateneo Cosentino”, che son
detti allarmati, forse perché tuttora ancorati alla vieta mentalità
liberale-laicista di altri tempi, gelosa di conservare per sé il monopolio
della cultura, senza peritarsi di definire poco seria e patologica la
proliferazione e il decentramento degli Istituti Superiori, prima di poterne
dare le prove.
Noi vogliamo inoltre dissociarci dal comportamento non del tutto
corretto del giornalista Spinosa che, pur di arrivare al suo scopo ricorre ad
ogni mezzo, rivangando accuse vecchie e nuove su don Giovanni Stilo (che, tra
parentesi, non è il parroco di Africo), per screditare la persona al fine di
boicottarne le iniziative, carpendone la buona fede e le confidenze in un'amichevole
intervista, per poi tradirne la fiducia e mettere tutto in pubblico,
definendolo "un prete assai noto, discusso e senza scrupoli", mentre
tra un sorriso e l'altro si accettano "due bottiglie di vino greco (il
nettare degli dei), due flaconi di colonia 'Calabresella' e due salami".
E giacché "le carte, quelle buone e quelle false",
vengono offerte alla pubblica opinione dal tanto diffuso e letto "Corriere
della Sera", vorremmo anche noi attraverso le pagine del medesimo
"Corriere", se con equanimità e gentilezza ci sarà concesso,
informare la stessa opinione pubblica che un gruppo di sacerdoti e membri
qualificati della Chiesa Locrese dissocia pubblicamente la propria
responsabilità e solidarietà da chiunque (prete o frate o suora o laico),
appartenga alla base o al vertice, agendo di propria ed esclusiva iniziativa o
in coalizione con altri, dia motivo a farsi definire "un
prevaricatore" o "un capomafia, un capo-'ndràngheta" o uno
"che ordina sparatorie e spedizioni punitive ai danni degli
avversari", senza con ciò pronunziare alcun giudizio su simili
qualificazioni.
Noi ci dissociamo nel modo più assoluto da chiunque, negli Istituti
privati o parificati o statali, specialmente poi in quelli diretti da persone o
enti alle dipendenze dell'autorità ecclesiastica, dispensi lauree o diplomi
squalificati o li venda a qualsiasi prezzo, convinti come siamo che le scuole
cosiddette confessionali o siano tali da rendere veramente testimonianza della fede
che professano, e servano, per la serietà dell'impegno formativo, di modello e
di stimolo a tutte le altre, quelle dello Stato comprese, o è preferibile
chiuderle.
Noi ci dissociamo; nel modo più chiaro ed esplicito, dal malcostume
imperante di tutte le cosiddette manovre clientelari qualunque ne sia lo scopo,
da qualunque parte provengano, dal basso o dall’alto, dai laici o dagli
ecclesiastici di qualsiasi ordine e grado, dai singoli o dai gruppi, siano essi
in contrasto o in combutta tra loro.
Coscienti della missione propria della Chiesa di portare a tutti
il messaggio evangelico nella sua genuinità e integrità e di testimoniarlo con
la coerenza della propria vita, dichiariamo apertamente la nostra
non-solidarietà con chiunque tenti di strumentalizzare gli ideali più nobili,
umanitari o religiosi, al solo scopo di affermare se stesso e la propria mania
di potere o di prestigio personale o per trarne vantaggi personali, familiari,
clientelari di qualsiasi genere.
Noi vogliamo dissociarci ancora da quei membri della
Comunità ecclesiali, preti o religiosi o laici, che col silenzio rendono la
Chiesa complice dei mali sociali del nostro tempo, mentre, sull’esempio di Cristo,
ci sentiamo in dovere di levare alta e unanime la nostra voce non solo per
denunziare con pari energia il flagello del comunismo totalitario e la piaga
del capitalismo monopolistico, a difesa dei veri valori umani, sociali e
religiosi di tutti, ma anche contro il dilagare della delinquenza e della
violenza, contro gli estremismi di qualunque provenienza, a difesa dei beni e
della persona umana, e soprattutto dell’invadente fenomeno della mafia,
consapevoli come siamo di dover pagare anche di persona, ove lo esiga la nostra
missione di difensori dei poveri e dei
deboli.
Pur affermando il nostro irrinunciabile diritto di essere considerati/e
trattati nella comunità nazionale quali cittadini con funzioni di pubblica
utilità al servizio della medesima comunità civica e religiosa, vogliamo
contribuire a che la Chiesa non venga a collusione coi ricchi e coi potenti,
onde conservare o ottenere privilegi e favori, perché sia libera e coraggiosa
nel far sentire la sua voce di madre e di maestra, non solo ai semplici fedeli,
ma anche e soprattutto agli amministratori della cosa pubblica, a qualunque
livello (nazionale, regionale, provinciale e comunale), stigmatizzando - ove
occorra - l'inerzia o la corruzione di chi liberamente e volontariamente
ricerca e si assume il compito e la responsabilità di promuovere il bene comune
a servizio e vantaggio delle rispettive comunità civiche, nella giustizia e nel
rispetto verso tutti.
Noi, pur onorando e rispettando ogni legittima autorità come
proveniente da Dio, sia pure attraverso la designazione democratica della base,
ci dissociamo da qualsiasi esercizio dell'autorità stessa che fosse inteso come
paternalismo o come semplice strumento di manovra e di dominio, e non come
servizio degli altri, ridotti talora a semplici pedine, senza rispetto della
persona, delle idee e delle specifiche competenze, sia negli ambienti civili
che ecclesiastici.
Ci dissociamo ancora da tutti coloro, membri del clero compresi,
che, con scopo di interessi o di prestigio personale, abdicando all'impellente
missione di contribuire al risanamento morale della società, a cominciare dal
settore nevralgico della scuola, non si facciano scrupolo, specie in occasione
di esami di Stato, dei propri aderenti, di circuire e vincolare le Commissioni
esaminatrici o con donativi delle specialità locali o col tranello delle amichevoli
colazioni o con pressioni di altro genere poco dignitose, rendendosi scientemente
e palesemente complici dell'imperversante malcostume della corruzione attiva e
passiva.
Questi, Egregio Signor Direttore, i motivi ispiratori della nostra
chiara e precisa presa di posizione dinanzi alla nostra coscienza e di fronte
all'opinione pubblica; grati al Suo Giornale per avercene fornita l'occasione e
più grati ancora, se ci verrà concessa gentilmente ospitalità sulle pagine del
medesimo Quotidiano.
Distinti ossequi.
9 agosto 1973.
UN GRUPPO DI SACERDOTI DELLA LOCRIDE
Nota - Non so se in quel tempo il "Super Quotidiano" milanese abbia accettato di pubblicare il presente documento. Sta di fatto che il film citato e la lettera al "Corriere" sono degli stessi anni, quando diversi sacerdoti, presenti in realtà come quella cilena o calabrese cercavano comunque di affrontare diversamente i temi spinosi che li accerchiavano. Quindi, doverosa, questa pubblicazione, anche perché i rapporti tra le comunità della locride e la stampa nazionale non mi sembrano cambiati.
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