Questo libro era posto negli scaffali inferiori della biblioteca dello
zio Ernesto il giovane, a Platì, soffocato da altri volumi. Quando lo tirai
fuori, dopo una sommaria e frettolosa visione lo riposi subito, snobbandolo. In
quei tempi ammettevo solo la lettura dei classici e qualche causale scoperta da
loro derivata. Ora quei tempi sono passati e i classici pure. Oltretutto
neppure esiste più la biblioteca, solo scansie impolverate che attendono la
resa finale.
Sull’autore del romanzo non vi sono informazioni se non quanto
riportato nella dedica allo zio Ciccillo e per via di questa ho chiesto alla
zia Amalia: “lo si vedeva spesso, a Polsi”,
la risposta. Ecco che un minimo di biografia dobbiamo ricavarla dalla lettura
del testo.
Nativo di un paese posto nel litorale ionico tra Reggio e Bovalino o
forse di uno di quelli collinari, che su quel mare antico si affacciano, ebbe
modo di studiare all’Università di Messina provenendo da una famiglia con
qualche possedimento. Forse si laureò … Il resto … scopritelo da soli se riuscite
ad impossessarvi dell’unica copia in vendita sulla borsa nera eBai, anche quella con dedica.
Roberto il protagonista de Il
ponte sullo Stretto è un’anima in pena. La sua è una ricerca della bellezza
e dell’amore in un periodo che sembra rigettarle. Per non annoiarvi, e senza
nessuna competenza, sarò breve, dopo questa lunga presentazione, attenendomi
soltanto ai tempi ed ai luoghi del romanzo.
Stefano D’Arrigo situerà le gesta del suo Orcaferone proprio in quel lembo di mare descritto dapprima da
Renzo Pettè, sebbene spostandole verso il Golfo dell’Aria, mentre il nostro fa
agire i suoi personaggi fra il Capo d’Armi e la foce del Bonamico, in quel
lembo di costa razziato dapprima dai saracini e successivamente dal corsaro dei
corsari: Ruggero di Lauria. A corollario anche una parte aspromontana che si
estende da Gambarie, Montaldo e attraverso il Sanatorio giunge a Polsi.
La scrittura non ha niente a che vedere con le stelle della calabra letteratura
sebbene qualche passo polsiano possa far pensare a Francesco Perri – a questo
proposito posso dirvi che il Pettè non lo conoscevano neanche quanti,
sotto la spinta di don Giosofattino Trimboli, si radunarono, nel settembre
1988, a discutere su: S. Maria di Polsi
storia e pietà popolare -. Francis Scott Fitzgerald (Roberto è un
controtipo del Grande Gatsby),
Hammett, Chandler, Dos Passos, Ernest Hemingway sono i nomi che mi sorgevano in
mente mentre leggevo; autori che ai nostri odierni conterranei delle belle lettere non hanno mai ispirato un rigo; scrittori, questi citati che avevano
rinnovato la letteratura influenzati dal cinema e da William Faulkner.
Al termine, il romanzo e la sua composizione non sono altro che la
parabola della vita di Pettè: dopo aver condotto una esistenza avventurosa,
portato a temine il libro, a seguito di un viaggio purificatorio a Polsi non
rimane altro che tuffarsi nell’anonimato di una quotidianità comune a tanti,
visti in un primo tempo come un alter da sfuggire.
Fine
No, ancora, lasciatemi dirlo, la nostalgia che mi assaliva mentre leggevo,
da falso messinese: certe descrizioni di una città che risorgeva dopo il
bombardamento per opera degli americani, la vita che riprendeva sul porto, la
nascita di locali alla moda, per quei tempi, adesso passati, come la biblioteca.
Tutte
le cose hanno
il
loro tempo e tutte
passano
sotto il cielo
nello
spazio loro prefissato
sono parole dell’ Ecclesiaste
poste come incipit de
IL
PONTE SULLO STRETTO
Renzo Pettè, Il ponte sullo Stretto, Gastaldi Editore in Milano, 1953
A Don Ciccillo Gliozzi, con il
ricordo affettuoso di tutte le giornate passate insieme, quando scrivevo questo
romanzo, e con i ringraziamenti per l’amicizia, l’affetto, l’aiuto datemi in
quel periodo.
Renzo Pettè, Aprile del 1963
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