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mercoledì 3 febbraio 2016

Il delitto del nonno (reg. Abel gance 1919)

Il vino, il compare e i pregiudizi
di Michele Papalia

   Ogni domenica il nonno li attendeva. Dopo la rasatura, la visita quotidiana al quadretto di orto, che insisteva accanto alla casa seguita da un quarto di vino. Li aspettava seduto su una cigolante sedia a sdraio che mal sopportava il peso di un uomo tozzo, arcigno e dalle ossa dure come pietre. Era domenica 29 settembre, e per i fedeli a Platì alla liturgia dell’Eucarestia si accompagnava la festa in onore dei tre arcangeli.
   Alla spicciolata arrivarono, una dozzina in tutto, per una visita imposta a loro da bambini come doverosa ma col passare degli anni divenuta piacevole rituale.
   Quei nipoti erano avidi di storie e aneddoti, attratti dalla voce narrante del nonno, maestro nell’uso delle brevi pause cadenzate e bastevoli per far perdere gli occhi dei più piccoli nel mare oceano della fantasia. Narrava il nonno di storie dimenticate, di streghe e folletti, di bombe piovute dal cielo e di tesori nascosti negli anfratti d’Aspromonte.
   ‘Ntoni, il più grande di essi e però il più impaziente, chiedeva al nonno la questione del “traffico”, senza risultati giacché il vecchio sembrava non sentire. E attaccava con gli stessi discorsi; quanta merce aveva trasportato dalla Jonica alla Piana, talvolta fino alle Serre o in direzione della Valle Grecanica tanto da conoscere ogni sentiero di montagna e aver stretto tre comparati per ogni paese, tutti dello stesso mestiere “Che se non ci guardavamo tra noi altri mulattieri …”. Questi infatti, alla stregua di una società di mutuo soccorso, non dimenticavano mai i bisogni dei compagni di ventura e sventura e a distanza di anni, abbandonati muli e sentieri, coglievano ogni loro incontro per trasformarlo in una gara di brindisi dove il passaggio dal sobrio all’avvinazzato era intervallato giusto dai primi bicchieri, svuotati quelli gli alticci compari non distinguevano più la corposità né il colore rosso del vino.
    Dietro la continua insistenza di ‘Ntoni, quando i due nipoti più piccoli mossero verso la cucina attratti dal profumo delle melanzane, il nonno stavolta senza ritrosie andò alla questione del “traffico” esordendo con la solita esclamazione: “A ottant’anni chi se lo sognava, manco se me lo avesse detto la zingara!”.Infatti, quando si parlava di carcerati e galera, di cose storte e di ingiustizie, la veneranda età e l’illibata fedina penale del nonno, altero, lo inorgoglivano, sentendosi innocente e fortunato perché salvatosi da certe giri e macchinazioni.
Non sapeva leggere e scrivere, e pur sapendo far di conto inquadrando uomini e cose, aveva con negligenza sottovalutato i nuovi tempi, credendo smaliziata la sua condotta nel ritrovarsi sotto il pergolato di Mico Racina, compare al nonno per avergli battezzato l’ultimogenito.
   Era accaduto due lustri addietro eppure ancora a pensarci il nonno ricordava profumi e sensazioni di quelle giornate, ricordava pure la voce rauca di suo compare che non avrebbe più rivisto. E cominciarono a riaffiorare dettagli e parole.
   “Vi aspetto per sabato mattina. Che così ci facciamo un quarto di vino, di quello nuovo”, fatta l’ultima chiamata di invito che suonava più come imperativo, Mico Racina aveva riposto cornetta e rubrica telefonica, risolvendosi che tutti erano stati invitati sotto la pergola.
   Ma un nuovo sole non fece in tempo a spuntare per i vecchi mulattieri.
   In piena notte dopo il canto del cuculo e prima che il gallo svegliasse il vicinato, divelta la porta di casa i militari se lo portarono a forza per condurlo al penitenziario.Tra imprecazioni e bestemmie a denti stretti, il nonno era e rimaneva ignaro di ogni accusa fino a quando non si trovò di fronte al giudice istruttore: “Voi venite accusato di traffico di stupefacente del tipo cocaina commesso unitamente a vostro compare Mico Racina”. Continuò il giudice a leggere l’ordinanza di custodia cautelare non certo perché sapesse dell’analfabetismo dell’anziano mulattiere, il quale impaurito dagli occhi di diavolo che vedeva in quelli dell’inquisitore, non riusciva a raccapezzarsi.
   Ridestatosi da funesti visioni e fattosi coraggio, adoperando la lingua dei padri come succedeva quasi d’istinto quando il discorso si faceva terribilmente serio, in un dialetto stretto che l’avvocato compaesano si premurò di tradurre, il carcerato fece sentire le sue ragioni: “La signoria vostra deve sapere che i miei traffici li chiusi venti anni fa quando, morto il mio asino, decisi di abbandonare i sentieri”.Un attimo di pausa per guardare l’avvocato a mo’ di conferma e il nonno riprese: ”I miei compari mi chiamano a bere vino, rosso della qualità di Cirò, e l’unico traffico di cui mi potete accusare è per l’appunto questo”.
   Le porte del carcere si schiusero dopo un mese; tanto ci era voluto affinché un altro giudice, vagliati gli incartamenti, decifrasse l’arcano spegnendo l’abbaglio che irradiava gli occhi del collega, giudice incarcerato dal pregiudizio.
Nei dialoghi tra gli indagati, la giara non corrispondeva al carico di cocaina, né il rosso e il bianco ad altre sostanze stupefacenti; e le mangiate e le bevute sotto il pergolato, che il giudice sosteneva celassero l’occasione per spartire illeciti proventi, altro non erano se non un ritrovarsi che compare Mico Racina organizzava periodicamente per riabbracciare i vecchi amici.
   Il nonno tornato a casa emaciato e sbattuta la porta che la nonna aveva fatto riparare, chiesto il solito quarto di vino sentenziò: “Non conosco più a nessuno. Né compari né amici, solo Padre, Figlio e Spirito Santo”.Risoluto si autoassegnò il domicilio coatto, imponendosi di non banchettare più se non con la nonna e i figli.
   Aveva di meglio da fare: un quadretto di orto da curare e dodici nipoti che non mancava bonariamente di ammonire: “Statevi attenti! Che oggi giorno avere amici è delitto”. Non sia mai che a qualche scellerato uomo di legge e figlio del pregiudizio venissero in mente altre diavolerie.

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Questo racconto di Michele è già apparso altrove. Appena letto ho avuto invidia dei miei predecessori che, lasciatelo dire, non hanno riconosciute le novità che lo scritto nasconde,  accanto alla deliziosa scrittura che cela in sé i toni e i colori del quadro di Cézanne che illustrava (lì decolorato) una delle precedenti pubblicazioni. E la novità per me è nel reinventare e trasporre le vicende paesane affinché altri, altrove, possano uscire dai pregiudizi che stampa e media arcaici e moderni hanno riversato traendo spunto dalle cronache e non solo da quelle.
Il cumulo dei miei anni mi hanno disilluso per l’avvenire spettantemi, per chi spera la via è tracciata da Michele che ha il compito, nonché l’invito, di continuare a scrivere.

Affinché non mi si accusi di furto con plag(g)io vi informo che il lavoro di Michele è apparso su:
In Aspromonte- giornale di cultura, ambiente, risorse, eventi del massiccio montano- novembre 2015
e su Platìonline.net il blog di don Ciccillo Violi



martedì 2 febbraio 2016

La terra trema (reg. Luchino Visconti - 1948)




Platì.

Borgata di 3600 abitanti, posta su pendio ripidissimo, in un burrone ove scorre l'acqua che dà origine al torrente di Platì; trovasi sull'eocene, al suo contatto col granito dell'Aspromonte, che ivi è tagliato a picco; il suolo è di argilla scagliosa, nella parte inferiore del paese, coperta da un sottile strato di alluvione del fiume.
La costruzione delle case in generale è vecchia e pessima, fatta con ciottoli rotondi, non passati di mazza, con calce lasciata sventare, e sabbia per lo più terrosa, non lavata: non si fanno scavi per le fondamenta. Però da 10 anni, dopo che si è cominciata la costruzione della via carrozzabile Platì- Santa Cristina e dei relativi manufatti,si è imparato in paese a fabbricare meglio. I pavimenti delle case sono sostenuti da legname, e nelle costruzioni moderne da volte : il numero dei piani è di 1 e 2,talora 3.
I danni prodotti dal terremoto sono stati grandissimi: un sesto delle case del comune sono state demolite, ed erano quelle in peggiori condizioni; un settimo delle case sono puntellate, moltissime sono lesionate, tutte almeno leggermente.
Ad ogni passo nel paese si incontrano case rovinate, o demolite, o ricostruite, specialmente al piano superiore. Certamente ha avuto gran parte a produrre sì gravi effetti la cattiva costruzione, la mancanza di fondamenta, la natura e giacitura* infelice del suolo, ma è altresì sicuro che lo scuotimento dev'essere stato fortissimo, probabilmente per il movimento discordante delle rocce diverse che s'incontrano pressoché verticalmente.
Chiesa parrocchiale. E’ posta in basso presso la riva e nell’alluvione del fiume: fu restaurata prima del terremoto: si erano messe due catene nuove nell'incavallatura del tetto, si era fatto un pavimento con travi di ferro per il coro sospeso; non ha avuto altro danno che la caduta di tre delle pigne poste alla base del pinnacolo: rimase in parte la quarta rivolta ad Est.
Palazzo del Sindaco signor Oliva. Di antica ma buona costruzione: ha lesioni interne gravi, ma poche all'esterno: fra queste il distacco della facciata rivolta a SW.
Casa Mittiga. Di recente e buona costruzione, situata in basso; ha pianta isolata, quadrata; tre piani: vi sono grandi fratture verticali nella facciata di retta N-S: grandi fratture, anche orizzontali, nella faccia diretta E-W, ove sono pure rotti in chiave gli archi delle finestre: indicherebbe oscillazione in entrambe le direzioni.
Alle ore 6. 15 del 16 novembre vi fu una scossa, generalmente avvertita per il tremolìo che produsse dei grandi è piccoli oggetti, ma che non produsse alcun danno. La grande scossa delle ore 18.50 fu fortissima, prima sussultoria e poi ondulatoria nella direzione N-S, secondo il Sindaco; invece il messo municipale, che si era attaccato alle sbarre dell'inferriata di una finestra, dice di avere avvertita la direzione E-W. Fu accompagnata da rombo. Nella casa del Sindaco fece cadere giù e lontano dalla tavola un lume ad olio a becchi, di antica costruzione: il nipote del Sindaco raccolse il lume, scese le scale di 23 gradini e giunto in fondo, il terremoto durava ancora: egli dice di non aver inteso rombo, ma che durante il terremoto avvertì un rumore come di treno. Alle ore 23 altra scossa che produsse nuovi danni: continuarono le scosse nella notte.
Gli animali nelle mandrie (recinti) si agitarono molto, anche durante la giornata del terremoto. 

ANNALI DEL R. UFFICIO CENTRALE METEOROLOGICO E GEODINAMICO Serie Seconda — Vol. XIX — Parte 1 — 1897 

TERREMOTO DEL 16 NOVEMBRE 1894 IN CALABRIA E SICILIA
RELAZIONE SCIENTIFICA DELLA COMMISSIONE INCARICATA DEGLI STUDI DAL GOVERNO

Rapporti di A. Ricco, E. Cabrana, M. Baratta, Di Stefano

Bella, mia foto

lunedì 1 febbraio 2016

I visitatori (reg. Jean-Marie Poiré - 1993)

Leopoldo Franchetti                   Ernesto Nathan



                                        

 Franchetti e Nathan a Platì
                                      Platì 26'
 (Ettore) Ieri, verso le 11, sono arrivati gli onorevoli  Barone Leopoldo Franchetti ed Ernesto Nathan, del Comitato Centrale di Soccorso, accompagnati dall’instancabile cav. Antonino Spagnuolo, nostro cons. Provinciale.
Sono stati ricevuti dal Sindaco cav. Francesco Oliva e dal tenente Ricciardi, insieme col quale e col sig. Spagnuolo hanno girato tutto il paese, soffermandosi dinanzi alle case maggiormente devastate dal terremoto, o chiedendo informazioni intorno alle condizioni morali ad economiche della popolazione.
L' impressione che no hanno riportata è stata assai penosa, non immaginandosi essi di trovare tante rovine.  Sono ripartiti alle ore 14 e 30, senza aver voluto accettare il  pranzo che gentilmente avea offerto loro il cav. Oliva, dovendo trovarsi in Reggio la sera stessa.
Platì spera che la visita onde l’hanno onorata i signori Franchetti e Nathan non rimanga senza risultato, e che pari all’importanza del disastro che l’ha colpito sia il sussidio che gli verrà destinato dal Comitato Centrale di Soccorso. – Le scosse di terremoto continuano incessanti e, mantenendo gli animi in orgasmo, impediscono agli operai di attendere tranquillamente al lavoro; donde l’aumento della miseria che richiede soccorsi solleciti e copiosi.
IL PUNGOLO PARLAMENTARE – GIORNALE DELLA SERA
Napoli, Martedì-Mercoledì 29-30 Gennaio 1895


domenica 31 gennaio 2016

Angeli a sud (reg. Massimo Scaglione - 1991)


Serafina Mittiga
8 febbraio 1919 - 9 novembre 1963


Gino carissimo,
non mi posso mai dimenticare di voi, erevamo vicini di casa e poi c'era un reciprico rispetto tra le famiglie.
Tua sorella e mia sorella Tota erano strettissime amiche, ricordo che mia sorella era sempre a casa tua; Io ho pure frequentato il primo Agrario a Bovalino con tuo fratello Saro.

Il tutto per gentilezza di Mimmo Perri lontano in Australia, vicinissimo col cuore.

giovedì 28 gennaio 2016

La strada verso casa (reg. Zhang Yimou - 1999)


Km
56  Piani di Zillastro
57  Cichi (?)
58  Catanzaro
59  Ciliti
60  Savica
61  Arcopio
62  Rua
63  Pendola
64  Lacco di Torno
65  Valle del Cancellere
66  Edera
67  Castaneto
68  Cromatì
69  Barrosa
70  Sifone
71  Platì centro
72  Pirare
73  Lacchi
74  Bollorino
75  Bosco
76  Stalle
77  Natile centro
78  Mulino Nuovo
79  Pietropapa
80  Trappeto Musolino
81
82  Guardia di Careri

                
Questa toponomastica è stata redatta dallo zio Ernesto il giovane. Non so con quanta precisione. Quei toponimi evocano in chi sta lontano suggestioni mai cancellate. La foto l'ho fatta dalla strada che porta a Pietra Cappa.

mercoledì 27 gennaio 2016

La luna (reg. Bernardo Bertolucci - 1979)




Platì 19 – 9 – 57
         Carissima M. Gemma
Abbiamo ricevuto le valige di Pina nelle quali c’erano anche le cose per noi e ti ringrazio a nome di tutti. Ciccillo ancora non ha visto le calze, dato che ieri è andato a Polsi e tornerà oggi, ma credo che non sono adatte per lui perché troppo corte. Le comprerà a Reggio perché ha portato un paio per vedere se gli stanno bene.
Le immaginette ancora non le hanno fatte, oggi Ernesto è andato a Reggio e se sono pronte le porterà.  Lui viaggia tutti i giorni e torna a casa la sera. Ti mando la lettera di Iola e ti prego di rimandarla indietro perché voglio conservarla assieme alle altre che ci sono pervenute per la morte di papà. Voglio anche trascriverti un sogno che ha fatto  Giulia la quale nella sua lettera  mi dice: ho sognato il tuo babbo e in un modo bellissimo. Mi parve di essere inseguita da due negri e per sfuggirli mi sono riparata in un palazzo lussuosissimo. Ho suonato ed è apparso tuo papà, giovanissimo e in una magnifica divisa. L’ho riconosciuto perché lo chiamai per nome ed egli mi accolse col suo solito sorriso. Curiosa di sapere qualcosa di lui e della sua nuova vita,gli ho chiesto come stava e come si trovava. Mi ha risposto queste testuali parole: sto benissimo, anzi non sono mai stato tanto bene come ora. Poi sli ho chiesto se aveva bisogno di qualche cosa e lui mi ha detto che non gli manca nulla, che ha tutto quello che si può desiderare. Gli ho chiesto pure se voleva far sapere qualcosa alla sua famiglia e mi ha detto. Dica che diano le mie camice al tale, mi ha spiegato a chi ma io non ricordo il nome. Alle altre mie domande ha risposto: fino alla nuova luna non posso dire niente. La mia mamma ( è ancora Giulia che parla) ha attribuito che gli stanno facendo il mese gregoriano e che all’altra luna la sua benedetta anima volerà in Paradiso quindi sarà in grado di darci tutte le spiegazioni che ora non ha potuto.
Certo è stato un bel sogno, tu come lo spieghi. Le messe Gregoriane finiscono davvero il giorno prima che incomincia la nuova luna.
La mamma sta bene è contenta che tu non ritorni a porta Pia. Don Palermo se ne andrà in Alta Italia. Hai ricevuto il suo biglietto?
Noi stiamo tutti bene e tu?
Tanti cari baci da noi tutti
Amalia


lunedì 25 gennaio 2016

Affari di famiglia (reg. Marcello Fondato - 1989)


Posilipo 15 Settembre 1865

Mio caro Sig.r Compare
Ieri l’altro ricevei la vostra gradita del 6 andante, cui rispondo. E vi ringrazio, anche per parte della mia amabile contessina della vostra attenzione e del dispiacere avuto del suo aborto. Ora, grazie a Dio sta bene, egualmente che me, e tutti della famiglia; e vi salutano con tutti della vostra, dei parenti ed amici e domestici, verso i quali io fo lo stesso.
Sento quanto voi dite relativamente ai miei affari de quali parleremo col vivo della voce alla mia prossima venuta.
Partirò lunedì 18 col (…) D. Rosario.
Vi dico solo di fare subito notificare Caminiti, e mi meraviglio come avete ritardato sinora.
Contro Giov. Amedeo e D. Nicola Oliva bisogna agire per via penale per dare un caso di esempio agli altri, diversamente i naturali di Careri, abusando della mia assenza, mi rovineranno.
Non si può fare a meno di acquistare la parte della chiusa di Francesco Trimboli Postino, per me vi autorizzo a farla.
Non altro per mancanza di tempo, vi scrivo da Palmi.
Intanto vi abbraccio coi miei fratelli e soliti cugini, e specialmente D. Ciccio e l’arciprete. E sono
                                                                                                   Vostro aff. Mo Compare

                                                                                                             Filippo Oliva




Posilipo Villa Ricciardi 27 Agosto 1866

Mio caro Sig.r Compare

Ci siamo compiaciuti del vostro miglioramento, annunziatoci colla gradita vostra del 19mdel corrente mese, e vene auguriamo la completa guarigione. Noi qui grazie al Signore stiamo benissimo ad onta della malattia del colera dominate nella Città di Napoli della quale noi poco o nulla ci preoccupiamo, essendo più benigna dell’annopassato, e per la posizione in cui siamo. Dite dunque ai miei ed al mio prediletto fratello D. Ciccio, che stia tranquillo.
Speriamo, ch’egli e gli altri nostri godano pure buona salute.
Sin dall’anno passato io vi esternai la mia opinione per l’affitto del molino di Platì, e non l’eseguì a riguardo del mio fratello che fu di diverso parere. Or ch’egli vi acconsente io con tutto piacere vi annuisco porre, e mi rimetto a quello ch’Egli e voi farete all’ggetto.
Attendo il quadro promessomi, e la somma disponibile, come vi scrissi colle antecedenti mie.
Il Sig. Grillo non mi ha mandato gl’interessi e però mi trovo molto imbarazzato. Compiacetevi dire a mio fratello, che gli facesse premura.
Vi riferisco i saluti della mia buona ed affettuosa Contessina anche per tutti gli altri nostri, che io pure saluto coi domestici e foresi ed abbracciandovi coi miei fratelli e Cugino Arciprete, sono
                                                                                                   Vostro aff. Mo Compare
                                                                                                             Filippo Oliva




domenica 24 gennaio 2016

Acque amare (reg. Sergio Corbucci - 1954)



Guizzan solchi di fanghi d’ogni parte
.............                   E giù a rovescio
Pioggia rovina con ampio fragore

( Scene d’un’ alluvione )

Il cielo s’era coperto di nuvole: qua e la fra gli strappi brillava qualche stella, e tratto tratto il notturno silenzio veniva rotto da l’abbaiare d’un cane.
Ero stato per molte ore a casa di un mio maestro, e me ne ritornavo tardi, in compagnia della mia anima, gittando dietro di me, coi buffi del sigaro, rimembranze, impressioni, pensieri. Ero appena entrato nel portone di casa mia che un rombo cupo e prolungato mi gela il sangue ... seguito da un fragore assordante come scoppio improvviso di musica.
Le cataratte del cielo si sono aperte ... l’acqua vien giù a secchioni come il ciel ce la manda, e un lampeggiar continuo, un continuo rumoreggiare ti fa tremare le gambe.
Il paese dorme. Desti alcuni dall’improvviso frastuono, cacciano la testa fuori dalle lenzuola ... tendono l’orecchio ... piove ... e di bel nuovo la ricacciano sotto per dormire i dolci sonni ... Altri, vedendo luccicare fra gli spiragli delle chiuse imposte il lampo, si coprono la testa con le lenzuola mormorando preghiere. E intanto la pioggia fitta e continua pesta sul tetto ... sui vetri ... sul suolo. Io mi accingevo ad una magnifica descrizione, vedendo il cielo denso, quanto l’anima dell’omicida, fesso, tratto tratto da solchi di fuoco
Un grido mi ferì l’orecchio: La china! la china!
Afferro il lume, m’affaccio alla finestra, ed oh spettacolo! ... Un torrente precipitoso viene giù per la china, sfondando usci, diroccando case, e portando dietro con sé la rovina e la distruzione.
Tutte le finestre s’illuminano, un vociar continuo da tutte le parti: “ Gesù Maria che diluvio ! ... Ci porta a mare! ... I nostri peccati ... Santa Barbara Santa Barbara! “ Un lampo impone loro silenzio. Tutti si segnano invocando la Vergine. Già asciutto dalle loro pettegolezze, stavo per chiudere la finestra e riprendere la descrizione, quando, un nuovo grido, più prolungato e doloroso m’inchioda a vedere ... Vidi ...
Una donna con un bambino al collo, forsennata dibattersi fra le acque che l’avvolgevano, e la trascinavano furiosamente giù per la china. Un giovine contadino, il più bello del paese ... - che io, non so perché, guardavo con occhio torvo - vidi sfidare le vincitrici acque strappar loro la preda e portarla in salvo. Lo vidi, alla giallognola luce della folgore, con la testa alta, col bambino al collo, la donna salva ai suoi piedi, guardare le acque vinte con un sorriso
Meravigliato stavo per continuare la descrizione quando un  pensiero terribile quanto un fulmine mi passò per la mente.. Presi lo scritto lo feci a pezzi e lo gettai sul fuoco dicendo: Quegli è una santa creatura, più nobile, più coraggioso di me; io non sono degno di baciargli le mani
E, andando a letto, gli mandai mille baci con la mente, col cuore, con tutta l’anima mia.

5 Novembre 1899

Ernesto Gliozzi sen




sabato 23 gennaio 2016

Je vous salue, Marie (reg. Jean-Luc Godarrd, 1975)

"GORGOEPEKOOS"
Collegamento Iconografico  tra Loreto – Platì – Polsi – Messina

(uno studio di p. Stefano De Fiores, monfortano,pubblicato sulla  rivista
"Il Messaggio della Santa Casa" del Santuario di Loreto-n° 2-Febbraio 1994)

    Il restauro della statua cinquecentesca della Madonna di Loreto, conservata nella chiesa parrocchiale di Platì (RC), è avvenuto nel corso del 1992 a Firenze per interessamento del parroco can. Ernesto Gliozzi e con  la partecipazione di tutto il popolo. Esso ci offre l' occasione di decifrare il tipo iconografico rappresentato dalla statua e il suo significato teologico.
     Tale statua aveva subìto nell' Ottocento un restauro che ne aveva in parte modificato i connotati. Essa era stata interamente ricoperta di uno strato di gesso che ne addolciva le linee ma insieme velava il primitivo modello ligneo. In particolare Gesù Bambino risultava spostato verso destra e adagiato con il gomito sul petto di Maria, mentre la mano sinistra sorreggente il mondo ( in greco oikoumenikòn) veniva capovolta.
     Questi accorgimenti avevano ovviamente lo scopo di rendere meno esposta ad urti la piccola statua di Gesù Bambino. Giustamente il restauratore fiorentino, per motivi intrinseci alla statua, ha raschiato lo strato di gesso che la ricopriva ed ha spostato in avanti il Bambino, capovolgendogli la mano sinistra in modo da sorreggere con essa l' oikoumenikòn.
     Con queste modifiche la statua ha riacquistato la somiglianza con il prototipo da cui trae popolarmente il nome, cioè Madonna di Loreto (in calabrese " A Madonna du Ritu").
Il prototipo lauretano
                A questo punto si pone il problema dell' icona venerata a Loreto nella Santa Casa nei primi secoli dell' esistenza della chiesetta di S. Maria (1294): un dipinto o una scultura?
                E' risaputo che nell' incendio del 1921 è andata distrutta l' antica statua del secolo XIV, la quale venne sostituita un anno dopo con una di uguale struttura in cedro del Libano dei giardini vaticani dallo scultore Leopoldo Celani su modello di Enrico Quattrini. Le caratteristiche di questa statua, di solito soggiacenti alla ricca dalmatica di cui è rivestita, consistono nell' atteggiamento del Bambino che benedice con la destra mentre con la sinistra sostiene il globo e nella posizione eretta della Madonna, che a sua volta con una mano sorregge il Bambino e con l' altra accompagna la falda del manto.
                Questo ultimo particolare è una probabile contaminatio o modifica della mano della Madre che dovrebbe indicare il Figlio, secondo il modello iconico della Hodigitria (=colei che indica la strada, cioè Cristo). Tale gesto appare chiaramente in un' antica statuetta della Vergine con il Bambino in rame dorato (sec. XIV) conservata nel Museo Pinacoteca di Loreto. Gesù Bambino è raffigurato mentre con la destra benedice e con la sinistra tiene un libretto. E' importante notare con gli studiosi che la statuetta considerata "la più antica immagine della Madonna di Loreto" reca i "segni d' arte bizantina, emergenti dall' arcaismo della figurazione, specie dal sorriso del Bambino e della ieraticità di matrice orientale. Tali indizi sono ancor più evidenti nelle lettere greche incise sul petto della Madonna e sul petto del Bambino, e intessute nell' ampio nimbo di quest' ultimo".
                Siamo così rinviati ad un' icona bizantina dipinta su tavola secondo norme fissate dalla Chiesa d' oriente che avrebbe preceduto la statua, come si evince da alcune testimonianze. Un atto processuale del 1315 documenta che dei ladri asportarono "tutte le ghirlande d' argento con perle e senza sopra l' immagine della Beata Vergine e della sua icona e sopra l' immagine di nostro Signor Gesù Cristo che stava sopra la detta icona". Un altro riscontro si trova nel libro dell' umanista G. Ricci Virginis Mariae Loretae historia (1468-69), scoperto e pubblicato nel 1987 da G. Santarelli, dove l' autore afferma di aver ammirato alla sommità dell' altare una "parva tabella", una "pittura tanto dolce e bella" dal volto "un poco nero, con color rosso". Sia il Ricci che il Teramano e il Mantovano attribuiscono l' immagine di Maria a s. Luca Evangelista, che secondo un' antica tradizione è considerato pittore. Non mancano altri documenti o indizi che sono recensiti da G. Santarelli.
                Mentre la primitiva icona di Loreto era probabilmente del tipo Hodigitria, la tipica composizione attribuita a S. Luca, l' antica statua (e tutta una serie di stampe e di dipinti, a cominciare dalla xilografia dei primi decenni del '500 conservata nel Castello Sforzesco di Milano e raffigurante la traslazione della S. Casa) presenta un sottotipo iconografico da identificare. Il dettaglio più importante apportato da questo modello è il globo sormontato dalla croce, che sostituisce nella mano sinistra il libro o rotolo presente nella Hodigitria.

L' icona della Gorgoepekoos
                Per stabilire l' identità della icona riprodotta dalla statua della Madonna di Loreto (e più ancora da quella di Platì in cui la Vergine indica Cristo con il gesto della mano sinistra), passiamo a un' icona conservata nel Santuario di Polsi in Aspromonte. A parte alcuni particolari propri, come il rotolo spiegato che la Theotokos stringe nella mano sinistra e la scritta Regina coeli laetare alleluja sull' aureola maggiore, la Madre e il Bambino presentano le stesse caratteristiche della Madonna di Loreto. Omologata dallo storico Salvatore Gemelli al tipo della Platitera, l' icona è stata più esattamente ritenuta dall' iconografo Gaetano Passarelii come una Hodigitria, con parecchie varianti e con il titolo Gorgoepekoos (=Veloce ascoltatrice). In realtà questo titolo è scritto in lettere greche sotto i monogrammi MR  QU sotto la forma seguente: H GORGO EPHKOOS.
                Secondo Passarelli l' icona sarebbe stata dipinta nel 1715, data scritta alla base, ma "su un' immagine precedente, più antica, del tipo iconografico dell' Odigitria" e risalente al XIV secolo. La scritta sul rotolo in mano da Maria contiene l' incipit, la datazione e la chiusura della famosa lettera di Maria ai messinesi, per cui siamo rimandati alla Madonna della Lettera di Messina se vogliamo capire l' icona di Polsi e infine la Madonna di Loreto.
                Se prendiamo in mano l' Atlas marianus del Gumppemberg troviamo una bella incisione della Imago B.V. miraculosa de Littera Messanae corredata da notizie riguardanti la tradizione della Lettera che Maria avrebbe indirizzato ai messinesi mentre ancora viveva a Gerusalemme.
                Circa questa icona, che presenta i tipici connotati della mano destra della Madre di Dio che indica il Figlio e del medesimo che benedice con la mano sinistra e sorregge il globo con la destra, l' autore gesuita Gumppenberg asserisce che "è antichissima ed è oggetto di grande venerazione. Comunemente si crede che sia opera di S.Luca, insignita di questa scritta: H GORGO EPHKOOS:Veloce ascoltatrice"
                Nessun commento teologico abbiamo finora trovato che prenda in esame questo titolo mariano. G. Musolino attinge al vol. IV del Nuovo Lessico Enciclopedico, edito in greco ad Atene per offrire alcune notizie storiche: "La devozione alla Gorgoepikoos è di origine bizantina, si fregiavano infatti dello stesso titolo l' attuale tempietto di Santo Eleuterio ad Atene, un monastero del territorio di Mantinea e il monastero di Docheiario, sul monte Athos. Anche a Costantinopoli nel secolo XIV vi era un cenobio che prendeva il nome di Gorgoepikoos".
                A noi viene in mente una frase di Saveriano di Gabala che offre il fondamento del titolo dato alla Madre di Dio, in quanto la presenta non già nello sheol in condizione umbratile, ma dotata delle funzioni vitali di ascolto delle lodi e preghiere dei fedeli: "Maria ogni giorno si sente dire da tutti: "Beata! (...) Ma certo che ode, perché si trova in uno splendido luogo, perché  è nella regione dei vivi, lei che è madre della salvezza, lei che è la sorgente della luce percettibile".
                Del resto anche nella sua vita terrena Maria è stata la "Vergine in ascolto"(MC 17), poiché ha ascoltato la Parola di Dio e anche i desideri perfino inespressi degli uomini, come ha fatto a Cana. Ella è l' attualizzazione personificata dello Shemà Israel: Ascolta Israele. Ora in cielo continua a prestare orecchio sopratutto al clamore umano, perché partecipa all' atteggiamento del Dio d' Israele che sente il clamore degli ebrei in Egitto e decide d' intervenire per liberarli dalla schiavitù (Es.3,7-8).
                Maria resta  orientata essenzialmente verso Cristo, che indica con il gesto della mano come colui che è la Via di accesso al Padre(Gv.14,6), secondo il significato teologico del  tipo fondamentale dell' Hodigitria. Contemplando Gesù tenuto in braccio da Maria occorre sottolineare la sua mano destra benedicente, che non solo ricorda la fonte trinitaria da cui promana ogni dono per gli uomini, ma anche la ricchissima teologia biblica della benedizione. Infatti in Cristo il Padre "ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli" (Ef 1,3). La destra del Bambino che sorregge il mondo indica il suo potere Pantokrator nonostante la sua fragile condizione umana. E' il paradosso del Dio trascendente che nell' incarnazione si fa condiscendente. Adesso la Genitrice del Verbo di Dio secondo la natura umana partecipa al potere misericordioso del Figlio, avendo portato nel grembo colui che tiene il mondo nel piccolo pugno della mano (cf. inno Quem terra, pontus, sidera).
           Sono accenni di una teologia dell' icona che dovrebbe essere portata a maggiori approfondimenti.
           L' icona della Gorgoepekoos, con o senza l'iscrizione, è assai diffusa nel mondo. G. Musolino riporta l' icona della Madonna con Bambino sopra descritto venerata ad Aieta (sec.XIV) e quella della Madonna della Lettera offerta dai messinesi agli abitanti di Palmi nel sec.XVI in riconoscenza per gli aiuti da loro inviati in tempo di carestia. G. Cocchiara da parte sua recensisce per quanto concerne la Sicilia tre immagini di S. Maria Lauretana specificando che il Bambino "tiene sulla manina destra un globo mentre coll' altra fa il segno della s. Benedizione". Inoltre pubblica una Madonna della Lettera del tutto simile a quella di Polsi, ad eccezione del rotolo nella mano sinistra di Maria. Simile come tipo, ma con il Bambino sul braccio sinistro è Maria V. del Bosco di Niscemi, in cui un globo molto evidente è sostenuto dalla mano della Madre e da quella del Figlio. Ricordiamo anche un simulacro ligneo a mezzo busto (che sarà poi affiancato poi da una statua intera) raffigurante la Madonna della Lettera, che dalla Dogana di Messina dove era esposto è finito in mare nel terremoto del 1783, è approdato alla baia di  S. Margherita Ligure e quindi è venerato nella chiesa di S. Giacomo di Corte. Del resto anche la celebre icona del santuario di Jasna Gora (Czestokowa) presenta i connotati della Gorgoepekoos, anche se non ha l' iscrizione.
Sintesi conclusiva                   
                Siamo partiti dal restauro della statua della Madonna di Loreto venerata a Platì e potevamo pensare che si trattasse di una raffigurazione isolata in quel remoto paese della diocesi di Locri-Gerace. Il nostro itinerario iconografico ci ha mostrato una rete di collegamenti in Italia e fuori che rendono la statua di Platì un crocevia di relazioni che comprende Loreto, Messina, Polsi, ma anche Gerusalemme e il  Monte Athos.
                La statua di Platì non è neppure una figurazione generica, ma è veramente la Madonna di Loreto secondo le caratteristiche che essa presenta nell' antica e nella nuova statua venerate nella Santa Casa. Un risultato inedito su cui tacciono le fonti lauretane consiste nell' identificazione del tipo iconografico cui la statua di Loreto si richiama. Non si tratta soltanto del prototipo fondamentale dell' Hodigitria, ma anche del tipo meno noto anche se assai diffuso della Gorgoepekoos, che presenta la Teotockos come colei che è pronta ad ascoltare le preghiere dei fedeli per intercedere per loro le grazie della salvezza: Veloce ascoltatrice, e Gesù come colui che sorregge il mondo e benedice. Si tratta di temi plausibili di approfondimento teologico ricchi di applicazioni vitali.

               La statua di Platì e le raffigurazioni affini collegano le chiese d' occidente e quelle d'oriente, in quanto il loro prototipo è greco-bizantino. Esse invitano la Chiesa "a respirare pienamente con i suoi 'due polmoni': l' oriente e l' accidente" (RM 34) ed a sintonizzare con le Chiese orientali "profondamente unite dall' amore e dalla lode della Theotokos(RM 31). Questo orientamento ecumenico deve essere più intimamente sentito dal popolo calabrese, per vari secoli popolato da monasteri basiliani, centri di preghiera, di cultura e di carità. Sono i monaci basiliani gli iconoduli che hanno promosso il culto alle icone della Madre di Dio. Un monaco del monte Athos scrivendo ai geracesi dopo l' XI incontro di studi bizantini (6-9 maggio 1993) esprime meravigliosamente la comunione che lega la Grecia alla Calabria: "Per noi la Calabria è una parte della nostra storia e un luogo dove rifulsero i santi, e così ogni angolo di questa terra, ogni sentiero, ogni insenatura ed ogni roccia sperduta sono per noi cose tutte venerande e sacre. (...) Abbiamo sentito che qui accanto spadroneggia la cieca violenza. Ma siamo certi che il luminoso e  possente soffio dello Spirito di Pentecoste è capace di trasfigurarla. Ogni Liturgia è una 'Pentecoste', basta che noi sforziamo e  purifichiamo noi stessi uccidendo le nostre passioni a maggiori approfondimenti.


giovedì 21 gennaio 2016

I cacciatori (reg. Theo Angelopoulos - 1976)



Circolo sportivo


E ci volea pur questo! E Sissignori!
Un Circolo Sportivo ... “ Cacciatori “
Non c’era un buco dove andar la sera
a farsi un macaino, una primiera ...
Se andavi in qualche casa di privato
finivi querelante o querelato ...
Se andavi al buio a farti quattro passi
riuscivi di lasciar le suole ai sassi.
Invece nò, con questo circoletto
passi la sera almeno con diletto
e se tu a caccia non sei andato mai
come si mira e tira ... imparerai
ed avrai pur nozioni sulla caccia
come si spara il tordo e la beccaccia.
Insomma, in quel bel luogo sì socievole
l’utile puoi accoppiare al dilettevole.
E poi non paghi troppo! cosa vile!
appena sette lire per mensile ...
Se il camerier ti sbircia alquanto torbo
non paventare ché di un occhio è orbo ...
se nel Circolo vede entrar estranea gente
è per la gran bontà del Presidente.
Fatti socio, se ancora non lo sei,
e nel Circolo vede estranea gente
e paga GLI ARRETRATI    ... CON I MIEI ..

Giacomo Tassoni Oliva