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sabato 27 marzo 2021

Stories We Tell [di Sarah Polley - 2012]




"When you're in the middle of a story, it isn't a story at all, but only a confusion, a dark roaring, a blindness, a wreckage of shattered glass and splintered wood, like a house in a whirlwind, or else a boat crushed by the icebergs or swept over the rapids, and all aboard are powerless to stop it. It's only afterwards that it becomes anything like a story at all. When you're telling it to yourself or to someone else.”

Quando sei nel bel mezzo di una storia, non è affatto una storia, ma solo una gran confusione, un oscuro ruggito, una cecità, un relitto di vetro frantumato e legno scheggiato, come una casa in una tromba d'aria, o una barca stroncata dagli iceberg o travolta dalle rapide, mentre tutte le persone a bordo non possono fermarla. È soltanto in seguito che diventa un qualcosa come un racconto del tutto. Quando lo racconti a te stesso o a qualcun altro.

 Margaret Atwood, Alias Grace (L’altra Grace), 1996

Altre volte il cinema è venuto utile per sviluppare un tema. Molto più della novellistica entra in sintonia/sinergia con queste pagine. Ora è la volta di Stories We Tell film canadese del 2012 di Sarah Polley. Sorprendente è il particolare sguardo della stessa autrice/regista, in bilico tra l’estasi e il coinvolgimento. Sarah Polley, quando l’ha girato, di anni ne aveva trenta tre ed era alla ricerca di sé stessa, del suo DNA genetico. Lo fa raccontando la storia di sua madre Diane, una donna impulsiva e poco conforme a quanto la circondava, andando a coinvolgere i propri familiari e quelli che con la madre hanno avuto contatti di lavoro. È un peccato svelare tutto il coinvolgente film, un falso documentario rivestito di finzioni, girato con mani esperte, con la struttura di un classico giallo americano: Raymond Chandler incontra James Ellroy, a dispetto di quanto quest’ultimo pensasse del primo.

Ma ora andiamo a noi e qui sarò breve anzi brevissimo. Sostituite Sara Polley con daplatìaciurrame e la madre con Platì ed i quattrocento anni e passa di storia, fermo-immagini di documenti e immagini relativi a fatti minimali e popolo, che in questo frattempo hanno percorso il paese e le rive del Ciancio diventeranno un libro: I LOVE PLATÌ!

 

In other instances, Cinema has been useful in developing a theme. It comes into tuning/synergy with these pages. And it is the case of Stories We Tell, a Canadian movie by Sarah Polley.  Hers is a striking gaze teetering from extasy to involvement. Thirty-three year old Sarah Polley was, at the time of shooting, in search of herself, of her genetic DNA. She tells her mother Diane’s story, an impulsive ad unconventional woman, and she calls in relatives and work contacts. It would be a shame to unveil the narrative of this captivating movie. It is a false documentary lined with simulations, film with expertise, using the structure of an American thriller where Raymond Chandler meets James Ellroy, no matter what le latter thought of the other.

But let us address our focus in a very short manner: replace Sara Polley wth daplatìaciurrame and her mother with Platì, then the four hundred or more years of history, still-frames of documents related to petty events and people, that have in the meantime crossed the roads of the town and the shored of river Ciancio have become a book: I Love Platì!

AL CENTRO DELLE IMMAGINI TRATTE DAL FILM DIANE E SARA POLLEY.

IL TESTO IN INGLESE E' DI ROSALBA.

giovedì 25 marzo 2021

La lettrice [di Michel Deville - 1988]


Buon giorno Luigi,

Ho letto con interesse il tuo libro (...); mi è parso un lavoro originale anche per il costante richiamo ai titoli dei film che forse meritava qualche delucidazione in più.

Dal testo si coglie il forte amore per il paese natio anche al di là del
tempo, come si evince dai ricordi personali, dalla rievocazione storica
di vari avvenimenti (l'alluvione, la prima guerra mondiale ecc.), dal
divertente recupero della cucina locale fatto da Maria, dal nostalgico
ricordo del 1° maggio, dal desiderio di una rinascita di valori civici 
ed etici auspicato da alcuni concittadini. Mi è anche molto piaciuta la
parte inerente il lavoro delle donne dedite alla tessitura di filati
tratti dalle ginestre e dai bachi da seta. Anche qui in Friuli si è
praticato già anticamente l'allevamento dei bachi da seta che spesso
hanno rappresentato (assieme all'essicamento del tabacco) una forma di
resistenza alla miseria diffusa. Poi, nel corso del '700 iniziò una
vera e propria produzione industriale della seta, sviluppata dall'impero
asburgico dal 1797 fino al 1866 e proseguita sotto i Savoia. Anche qui
il lavoro in questo ambito era prevalentemente femminile.

Il libro quindi mi ha colpito e mi ha fatto trascorrere piacevoli ore di
lettura in questo periodo di reclusione causa Covid! Un solo piccolo
appunto: forse potevi aggiungere un riepilogo storico delle vicende di
Platì da quando è sorta ai giorni nostri per far capire al lettore
l'evoluzione di questa cittadina.

Ti saluto caramente e ti auguro buon lavoro per le tue prossime fatiche
letterarie


Gina

Un contributo della professoressa Gina Misdaris di Udine, altre volte collaboratrice indispensabile per queste pagine.

La foto in apertura è di Giuseppino Mittiga, Medico Chirurgo.




 

martedì 23 marzo 2021

Il tempo ritrovato [di Raùl Ruiz - 1999]

In libreria I Love Platì, un atto d’amore di Luigi Mittiga che ha raccolto testi e fotografie nei confronti di tutto ciò che è luogo e di tutto ciò che è cinema, tra personaggi formidabili e scovati in una terra che è tutta e nessuna e cento adorati film tra uomini a loro modo eterni e le rughe cinematografiche e sapienti di Sergio Leone e del miglior Clint Eastwood attore mitologico e regista straordinario. Mittiga canta e finisce con l’essere coi propri testi, quasi suo malgrado, autore, canta il tempo ritrovato.

Testo e voce: Alessandro Notarstefano
in onda su RTP emittente televisiva della Gazzetta del Sud
23 - 24 - 25 marzo 2021

domenica 21 marzo 2021

Un dramma per televisione [di Clifford Sanforth - 1935]


Malumore a Platì
per la mancata
ricezione televisiva

Da circa un anno l’antenna ripetitrice di Pietrapennata è entrata in funzione. Nei tempi immediatamente successivi alla sua inaugurazione, constatata l’impossibilità di ricevere da Platì i programmi televisivi, si sparse in giro la, voce di larvatissimi progetti riguardanti la sistemazione di questa zona di ombra. Voci evidentemente molto deboli e assolutamente infondate se a distanza di un anno non se ne è fatto nulla; non solo, ma non se ne parla addirittura per niente, come se Platì non esistesse, e il problema della sua zona d’ombra non fosse degno di essere preso in considerazione.
Che i Platiesi siano cittadini italiani ci sembra non sia da dubitare; hanno infatti gli stessi doveri, non ultimo quello di pagare le tasse (e qui non c’è zona d’ombra che tenga); ci sembra ovvio che debbano‘ godere degli stessi diritti di cui gli altri italiani godono! Se, inoltre, lo Stato monopolizza il servizio televisivo, con tutti i vantaggi che dal monopolio gli derivano, ha l’obbligo di servire tutto il territorio nazionale!
La RAI sembra non rendersi conto di questo, anche se numerosissime altre volte le è stato sottoposto lo stesso problema! Che le serve svolgere le campagne degli abbonamenti, se poi lascia intere zone nell’ombra! Perché non si tratta soltanto di Platì: c’è San Luca per esempio, ci sono altri paesi! E’ una situazione irritante e sconcertante, che va sanata al più presto!
GAZZETTA DEL SUD, 15 luglio 1959

Nota. - Testo senza firma, facilmente attribuibile, visto il tono sarcastico, a Michele Fera.



 




 

venerdì 19 marzo 2021

Sette note in nero [di Lucio Fulci - 1977]

FRANCESCO PORTOLESI
1883-1951




BRICCICHE DI CRITICA

RIVALI (1)

La lotta è tenacemente gagliarda.
E nessuno con freddo indifferentismo assistere a questa pugna vitale, a questa battaglia aspramente acre, che si combatte da anni e ne durerà ancora molti, prima che il sole fulgido della vittoria, spunti sul fosco orizzonte sociale. E’ una tenzone che ha interessato e continua ad interessare tutti, da i letterati e pubblicisti agli uomini eminentemente politici, dai cattolici ai miscredenti, dalla Chiesa allo Stato; è una tenzone che chiederà ancora molte vite, molto sangue, molti martiri. I due eserciti che si contendono palmo a palmo il terreno, dovranno sostenere, chi sa fino a quando, le fatiche penose del campo.
Invano le turbe, anelanti alla pace serena, spingono lo sguardo scrutatore lontano nelle tenebre fitte della notte, aspettano se qualche raggio furti qualche raggio furtivo brilli tra le nubbi gravide di tempesta, se qualche lembo d-azzurro accenni, speranzoso dall’alto. E si rivolgono quasi spaventate, quasi atterrite, dal sinistro bagliore dei lampi di sangue, dal cupo rombare del suono d’ imminente infuriare della tormenta.
Di chi sarà la vittoria? Non è lecito dire. Ambo gli eserciti pugnano con ardore e coraggio grande. Dall’una parte e dall’altra non mancano duci animosi, capitani esperti, che si battono da eroi, per il trionfo del loro ideale.
Quale dunque dei due eserciti, intonerà per primo esultante, il peana sublime della vittoria? L'evento dei fatti ci saprà dire con certezza! A noi, non resta che combattere con coscienza di soldati animosi, a cui tornerebbe sommante ignominioso l’appellativo di codardi.
E la questione sociale per l’appunto, ha dato argomento ad uno dei tanti collaboratori de «La croce di Costantino», di scrivere un grosso ed interessante volume di seicento pagine circa.
(1) Eneleo della croce di Costantino – RIVALI - Tip. Giustiniani – Caltagirone, 1903
 
Eneleo — i lettori questa Volta debbono contentarsi dello pseudonimo, ché la grande modestia dell’autore non gli ha permesso di mettere in capite libri il suo vero nome di battesimo — tratta appunto del socialismo e della d. c. in questo romanzo attraentissimo. Egli ha voluto darci (non per il primo) il romanzo addirittura sociale. E dico giustamente «non per il primo» che, se non m’inganno, questa nuova specie di romanzo, era stata tentata con esito felicissimo, da un baldo cavaliere di giustizia figlio della forte Biella. Il cuore sanguina di angoscia e tumultuano nell’alma, profondamente addolorata i palpiti, che ricordano le memorie blande, al semplice e caro nome di D. Guelpa. Questa speranza nera — come spregevolmente l’avrebbe chiamato l’autore di Anticaglie sentiva, nel vergine animo di giovine ventottenne, tutto l’ardore, e l’entusiasmo d’un degno ministro di Dio, e ci aveva dato Ribelli, dove è tutta ritratta la turba immiserita, che chiede tumultuando «pane e lavoro».
Sfogliando «Rivali» mi è passata, come in un gigantesco cinematografo, tutto il mondo sociale moderno. E non rare volte anzi, mi è toccato di accalorarmi talmente nella lettura, che provavo l’illusione d’essere di fronte agli avversari, in carne ed ossa.
Facilmente si riesce a capire, come deve averle viste e sentite, l'A. quelle scene, per ritrarle al vivo sì magistrevolmente. Egli deve essere davvero un animoso paladino per l'Idea, un entusiasta convinto della d. c., per parlarne con tanto calore. Io, francamente, ho sentito battere, dentro l'animo commosso, quasi tutte le corde di che il cuore umano è capace. Ed ho amato e abborrito, e ho palpitato e pregato, ho avuto fremiti di gioia e parole di odio, con tanti personaggi che mi passarono sotto gli occhi, ritratti con fedeltà grande, con perizia somma; messi in una luce sfolgorante, che ce li fa tutti comprendere, in tutto il loro carattere di ributtante cinismo o di sconfinata simpatia.
Lucio Desmeto è una di quelle creature, che si è quasi costretti ad amare per forza; è una di quelle coscienze moderne tutta virilità ed ardore. Egli, forte della fortezza che viene dalla santità della causa difesa, per nulla cede dinanzi ai nemici malignamente isleali, che vorrebbe ad ogni costo atterrarlo. La sua volontà, dalla tempesta d’acciaio, sa resistere anche di fronte alle vigliacche insinuazioni e alle grette utopie di cattolici che non son cattolici. Ed anche allora che uno dei suoi più cari compagni di lotta - il Gentile - osa, non si sa il perché, battere ritirata, Lucio non si scoraggia per questo. I vinti di oggi saranno i vincitori di domani. No, egli non è di quei cattolici, che si rintanano paurosi nel guscio di vecchie tradizioni, e vedono lo zampino del diavolo in ogni opera moderna. Lucio sente nel cuore, potentemente, la religione del Cristo, e per essa e con essa combatte, colla parola del Vangelo sul labbro e l’amore del Nazareno nel petto. E se il suo cuore è già promesso ad una creatura - Maria Dorsoli - non è un amore terreno il suo.
E' un amore santo, che non gli impedisce punto di combattere sempre, con crescente ardore, per il trionfo della sua nobile Idea.
E per l'Idea, Lucio ha fatto e farà dei sacrifizi grandi; per l'Idea non si risparmierà, a fatiche e dolori; per l'Idea non potrà, né vorrà lasciare il cammino intrapreso, lasciando talvolta brandelli sanguinolenti di vita tra rovi e cardi.
E l'avv. Porro – l’avversario di Lucio e direttore del circolo Marx – non è egli la sintesi del socialismo contemporaneo?
Ed anche egli si batte per il trionfo del suo ideale. Ma il suo non è il valore del soldato coraggioso, tutto fuoco pei nemici della sua patria; è il valore del mercenario prezzolato, cui un acuto desiderio di bottino chiama in battaglia.
Anche egli vorrebbe essere un idealista puro sangue, ma non riesce che un volgare impasto d'immoralità e intrighi; è l’uomo-bruto che non sa fissare il sole, pago soltanto di strisciare sulla palude bruna di tutte le porcherie dei bassi fondi cittadini.
Anche Bista Porro ama Maria, ma di quale amore, ognuno può facilmente comprendere. Né dovranno maravigliarsi i lettori, quando egli, abbandonando circolo e compagni prende il volo per ignoti lidi, unitamente alla moglie di un suo carissimo amico.  Per me, in breve, ne l'avv. Porro, ho trovato ritratta tutta l'indole del socialismo odierno: indole apertamente immorale, antireligiosa e antidemocratica.
Altro personaggio di «Rivali» è Maria. Ella è una di quelle giovani, frutto della società laica, senza fede, senza speranza, col riso beffardo e sprezzante dello scetticismo più torvo. Dopo le varie sventure toccatele, Maria, quasi intravede il sentiero delia fede cristiana. E dico quasi, perché l'A. non la fa convertire del tutto, e il perché non dice; Che forse sotto la snella figura di Maria, l'A. voglia adombrare la società moderna? Ebbene oggi - cosi il padre Maltese - le conversioni sono molto rare, e le plebi, che
attendono dinanzi, alle piazze delle nostre Chiese, non sanno decidersi ancora ad entrarvi, per purificarsi nei lavori salutari della fede.
Altre figure minori del romanzo, ci passano dinanzi agli occhi, per ogni pagina, descritte, o meglio ritratte con mestizia grande: sono anzi delle continue fotografie, tutte nitide, tutte luminosissime. Vi sono pagine davvero belle, bellissime proprio, che lasciano un solco grave nel cuore di chi legge e rivelano nell'A. un psicologo profondo. A lui un evviva di cuore, e un augurio sincerissimo.
Lo vorrei, dare ai lettori in saggio, ma mi trovo alquanto imbarazzato nella pelle, fra tante pagine di prosa smagliante ed incisiva. E però - conchiudo col medesimo padre Maltese - li consiglio a prendere fra le mani il volume, per gustarne tutte le bellezze e giudicarne con sincerità, se noi non abbiamo trovato in esso il nostro romanzo sociale.
FRANCESCO PORTOLESI
LA SCINTILLA QUOTIDIANO DELLA DOMENICA  ANNO V – N. 7  Matera 14 febbraio 1904


NOTA - Dubito che questa pubblicazione la leggeranno in molti, per questo sono ricorso all'immagine d'apertura di Giuseppino Mittiga medico chirurgo. Come difficile è stato scoprire l'autore dei libri recensiti dal quasi prete successivamente segretario, Francesco Portolesi: Mario Sturzo (1861-1941) vescovo di Piazza Armerina EN, fratello del più noto Luigi.   

mercoledì 17 marzo 2021

Totò cerca casa [di Monicelli e Steno - 1949]

Bovalino 2 Luglio 1877
Amatissimo Sig.r cognato
Vi dono notizia che la casa è trovata sotto questa marina, e propriamente e un magazzino del Sig.r Longo, ma con le condizioni, cioè il magazzino e disposto dal giorno dieci di questo , e intende essere ivitato dal fumo, e per paga al giorno e di Cent. 75, e che disposto per venti giorni, o meno, che vi bisogna.
Vi prego farmi conoscere se resta per voi, o pure negativa, perché il Sig.r Longo l’attende subito la risposta se poi non vi sodisfa il detto basso, il Sig.r Caltapietra tiene una casa vota che con la vostra venuta vi potete provare, che io ho dato parola se vi sodisfa
Non altro che dirvi e mi resto baciandovi la mano, mi dico
Vostro aff.mo Cognato
Giuseppe Arcuri


Lettera di Giuseppe Arcuri di Bruno marito di donna Elisabetta Gliozzi di don Giuseppe al sacerdote Filippo Gliozzi.

 

lunedì 15 marzo 2021

A Dio piacendo [di Filippo Altadonna - 1996]


Carissimo don Ernesto
Ancora grazie della tua accoglienza fraterna e della possibilità della magnifica esperienza della missione mariana pasquale di Platì. Mantengo un ottimo ricordo di quelle giornate e ricordo tutta la comunità parrocchiale nella preghiera.
Ti restituisco l’Assegno perché la Banca non me l’ha accettato in quanto non trasferibile.
Ti auguro di ristabilirti completamente in salute. Ci vedremo, a Dio piacendo, a Posi: sarà una grande gioia per me.
Saluto cordialmente tua sorella Amalia, così brava in tutto, e tutti gli altri tuoi familiari, così pure le attive e fedeli Suore.
A te un abbraccio fraterno e riconoscente.
Aff.mo P. Stefano De Fiores
Roma, 24 – 4 - 1981

In apertura il P. Stefano De Fiores 1933 - 2012

 

sabato 13 marzo 2021

È permesso maresciallo? - Blood Brotherhoods

(…) non si può non ricordare che la memoria popolare ci ha tramandato come figura simbolo della repressione fascista contro la malavita calabrese quella del maresciallo dei carabinieri Giuseppe Delfino. Complici lo zelo del figlio Antonio497 e un veloce accenno in un racconto di Corrado Alvaro498, si è costruita di lui un’immagine leggendaria e singolare: profondo conoscitore dei paesi aspromontani, sembra, infatti, battesse la campagna travestito da pastore per mimetizzarsi e scovare i latitanti, guadagnandosi il soprannome di “Massaru Peppi”. Giuseppe Delfino non era iscritto al PNF e, dal modo in cui se n’è tramandata la memoria, i suoi arresti sembrano più iniziative individuali che misure repressive inserite in un più ampio contesto di lotta contro la criminalità. Ciò ha creato nell’immaginario collettivo l’idea di una figura eroica, ma anche controversa, come traspare, per esempio, dal famoso episodio secondo il quale “Massaru Peppi”, nel 1940, avrebbe preso accordi con il boss della Locride, Antonio Macrì, affinché non si verificassero incidenti durante i festeggiamenti della Madonna di Polsi, tradizionale momento di riunione dell’intera Famiglia Montalbano e di esecuzione delle sentenze del tribunale di Omertà. Giuseppe Delfino, dunque, sembrava più uno sceriffo che coordinava e gestiva la pubblica sicurezza con iniziative individuali e contingenti che un uomo delle istituzioni. Lasciando da parte la leggenda e i racconti popolari, e basandoci sui pochi documenti a disposizione, viene fuori che Giuseppe Delfino fu sicuramente attivo nelle indagini che portarono alla scoperta delle associazioni a delinquere della Locride e della zona di Platì, ma altre figure, come e più di “massaru Peppi”, sono state protagoniste dell’azione repressiva del periodo fascista, senza, però, sviluppare alcun profilo pubblico.

(…)

il maresciallo Giuseppe Delfino, “massaru Peppi”, nel 1940 prese accordi con la picciotteria per evitare spargimento di sangue nei giorni della festa della Madonna di Polsi; il referente criminale di questo accordo fu proprio il boss di Siderno, che in cambio ottenne la certezza di una certa impunità. Fu in quegli anni che Antonio Macrì si arricchì notevolmente, gestendo il racket delle protezioni e il mercato nero nella locride.

PER SAPERNE DI PIU’

 - Antonio Delfino, Gente di Calabria, presentazione di Saverio Strati, Editoriale progetto 2000, Cosenza 1987, pp. 13-17.
- Corrado Alvaro, Il canto di Cosima, in Id. L’amata alla finestra, Bompiani, Milano 1958.
- Cfr. Giovanni Melardi, Massaru Peppe sequestra il codice della “ndrangheta”, in «Parallelo 38. Settimanale politico d’attualità», n. 3, a. XII, Reggio Calabria, 27 gennaio 1973, pp. 16-17. Enzo Ciconte, Ndrangheta dall’unità a oggi, cit. pp. 231-236.
- Corrado Stajano, Africo. Una cronaca italiana di governanti e governati, di mafia, di potere e di lotta, Einaudi, Torino 1979, pp. 37-38. Cfr. anche John Dickie, Blood Brotherhoods, pp. 346-349.
- Vasta associazione a delinquere, «Cronaca di Calabria», 08 dicembre 1927. Da Platì. Un maresciallo dei carabinieri che si fa onore, «Gazzetta di Messina e delle Calabrie», 03 aprile 1927.  
- Il profilo criminale di Antonio Macrì è ricostruito nella sentenza del Tribunale di Locri emessa contro gli affiliati tratti in arresto in occasione del summit di Montalto del 1969, interrotto dall’irruzione della polizia.La mafia a Montalto. Sentenza 2 ottobre 1970 del Tribunale di Locri, Reggio Calabria. 1971. Su Antonio Macrì si veda anche John Dickie, Blood brotherhoods, cit. pp. 356-358 e sulla sua attività nel secondo dopoguerra cfr. i vari riferimenti in Id. Mafia Republic..   

Fabio Truzzolillo, Fascismo e criminalità organizzata in Calabria, Scuola di Dottorato in Storia, Orientalistica e Storia delle Arti, Università di Pisa, seduta d’esame 23/10/2014.

http://www.icsaicstoria.it/wp-content/uploads/2019/02/Truzzolillo-TESI-Fascismo-criminalit%C3%A0-organizzata-Calabria.pdf

 

mercoledì 10 marzo 2021

YOUNG AMERICANS [di Danny Cannon - 1994]




Platì, giugno 1960, i giovani Tripepi di Mishawaka IN in vacanza.

 

martedì 9 marzo 2021

Il cavaliere implacabile [di Allan Dawn- 1954]


Il cavaliere Trifala, podestà del paese teneva banco al circolo dei nobili. La serata afosa aveva riversato sul marciapiede i radi e scelti avventori assisi su seggiole di vimini. Nel circolo era rimasto soltanto Scevola a preparare scirubette di neve con sciroppo di more. La neve l’aveva portata Mico Scampagno dalla niviera di Misafumera con la mula bizzarra a cui aveva legato sulla coda un fiocco rosso come segnale... stradale. Con una scalciata, Don Matteo, guardia campestre era stato messo al tappeto. Ora, alla fine di una avvampata controra, usciti da palazzi patrizi si trovavano seduti a semicerchio a parlare dei destini della patria e della mosca olearia. 
In paese si respirava un clima diverso. 
I primi reduci erano tornati dalla prigionia. Si formavano le camere del lavoro e monsignore, con l’eterno cappello a tre spicchi con pompon viola, organizzava l’azione cattolica. Quella sera al circolo, come d’incanto, c’erano tutti. Il vecchio conte declassato dai pignoramenti e dalla sifilide, Don Giacinto lo speziale che preparava purghe su ordinazione anzi su prescrizione del cavaliere Trifala. Una vecchia radio «Allocchio Bacchini», grande come un armadio gracidava bollettini di guerra mentre mastro Pasquale l’anarchico dall‘altra parte della piazza al numero degli aerei dell’Asse abbattuti ripeteva sul filo delle labbra; pochi, sempre pochi! Trifala teneva conversazione. Amico di un grosso gerarca era diventato il despota della zona. I rapporti aumentavano ogni giorno sui tavoli dei gerarchi ed i comandanti la stazione dei carabinieri duravano lo spazio di un mattino.
Di notte andava personalmente a controllare in una fetida baracca di ex terremotati del 1908 due operai antifascisti piombati dal nord per il soggiorno coatto. A Reventino fu destinato Massaro Peppe. Le lettere anonime infoltivano il tavolo. I carabinieri non avevano tregua.
Ma quella sera afosa d'agosto dal vicolo delle Monache sbucò un uomo mascherato che assestò con un nodoso bastone un preciso fendente sul capo di Trifala. 
La testa si apri a melograno. Un fuggi fuggi generale. Il vecchio medico Zucco mentre iniziava a suturare le ferite fu interrotto dall'arrivo di Massaro Peppe che provvide a reggere il lume a petrolio tra i lamenti del cavaliere.
In paese la notizia si sparse come un baleno. II commento più benevolo era «finalmente hanno rotto la cornatura al cavaliere». I giovani avanguardisti con il fazzoletto azzurro ed il medaglione con la scritta «se avanzo seguitemi» tennero un raduno dopo aver riempito le
giberne di frutta rubata nell’orto del povero Ceo. Mastro Pasquale al suono della «Comparsita» da un vecchio grammofono, ingurgitava sulla soglia l'o1io di ricino. Tutto 
d’un fiato e senza tapparsi il naso. Iniziarono le indagini. 
Arrivarono i panciuti gerarchi e venne pure i1 procuratore dei re accompagnato da don Pietrino, il cancelliere. Ma non c’era nulla da verbalizzare. Con scrittura a svolazzi sul fascicolo si scrisse come un’epigrafe: ad opera d'ignoti. 
Le lettere anonime finirono d'un colpo ed il podestà smise gradatamente di occuparsi di politica anche perché le sorti dell‘Impero volgevano al termine. I vecchi fascisti aspettavano i cambiamenti per tornare a comandare sotto l‘egida dei partiti.
Dalia camicia nera al saio intero.
Vent‘anni dopo, a Platì, arriva un generale dei carabinieri. Massaro Peppe è sindaco. L'alto ufficiale che da capitano si era interessato del «caso Trifala» disse all'ex brigadiere: “Nella tua carriera hai scoperto tutti i casi più difficili tranne l’attentato al podestà». 
Ed il Massaro Peppe di rimando: «1a testa al podestà gliel’ho rotta io!».
«E l’unica volta rispose il generale — che non ti posso proporre per un encomio».
ANTONIO DELFINO 

NOTA. Tra nomi veri e inventati, la scena platiese durante il ventennio nero è ben tratteggiata, senza risparmio di frecciate dirette. C'è da chiedersi se nel Trifala podestà, Delfino figlio non alluda a Francesco Perone che dominò quella stessa scena per qualche tempo.