(…) non si
può non ricordare che la memoria popolare ci ha tramandato come figura simbolo
della repressione fascista contro la malavita calabrese quella del maresciallo
dei carabinieri Giuseppe Delfino. Complici lo zelo del figlio Antonio497 e un veloce accenno in un racconto di Corrado Alvaro498, si è costruita di lui un’immagine leggendaria e singolare:
profondo conoscitore dei paesi aspromontani, sembra, infatti, battesse la
campagna travestito da pastore per mimetizzarsi e scovare i latitanti,
guadagnandosi il soprannome di “Massaru Peppi”. Giuseppe Delfino non era
iscritto al PNF e, dal modo in cui se n’è tramandata la memoria, i suoi arresti
sembrano più iniziative individuali che misure repressive inserite in un più
ampio contesto di lotta contro la criminalità. Ciò ha creato nell’immaginario
collettivo l’idea di una figura eroica, ma anche controversa, come traspare,
per esempio, dal famoso episodio secondo il quale “Massaru Peppi”, nel 1940,
avrebbe preso accordi con il boss della Locride, Antonio Macrì, affinché non si
verificassero incidenti durante i festeggiamenti della Madonna di Polsi,
tradizionale momento di riunione dell’intera Famiglia Montalbano e di
esecuzione delle sentenze del tribunale di Omertà. Giuseppe Delfino, dunque,
sembrava più uno sceriffo che coordinava e gestiva la pubblica sicurezza con
iniziative individuali e contingenti che un uomo delle istituzioni. Lasciando
da parte la leggenda e i racconti popolari, e basandoci sui pochi documenti a
disposizione, viene fuori che Giuseppe Delfino fu sicuramente attivo nelle
indagini che portarono alla scoperta delle associazioni a delinquere della
Locride e della zona di Platì, ma altre figure, come e più di “massaru Peppi”,
sono state protagoniste dell’azione repressiva del periodo fascista, senza,
però, sviluppare alcun profilo pubblico.
(…)
il
maresciallo Giuseppe Delfino, “massaru Peppi”, nel 1940 prese accordi con la
picciotteria per evitare spargimento di sangue nei giorni della festa della
Madonna di Polsi; il referente criminale di questo accordo fu proprio il boss
di Siderno, che in cambio ottenne la certezza di una certa impunità. Fu in
quegli anni che Antonio Macrì si arricchì notevolmente, gestendo il racket
delle protezioni e il mercato nero nella locride.
PER SAPERNE DI PIU’
- Antonio
Delfino, Gente di Calabria, presentazione di Saverio Strati, Editoriale
progetto 2000, Cosenza 1987, pp. 13-17.
- Corrado Alvaro, Il canto di
Cosima, in Id. L’amata alla finestra, Bompiani, Milano 1958.
- Cfr. Giovanni Melardi, Massaru
Peppe sequestra il codice della “ndrangheta”, in «Parallelo 38. Settimanale
politico d’attualità», n. 3, a. XII, Reggio Calabria, 27 gennaio 1973, pp.
16-17. Enzo Ciconte, Ndrangheta dall’unità a oggi, cit. pp. 231-236.
- Corrado Stajano, Africo. Una
cronaca italiana di governanti e governati, di mafia, di potere e di lotta, Einaudi,
Torino 1979, pp. 37-38. Cfr. anche John Dickie, Blood Brotherhoods,
pp. 346-349.
- Vasta
associazione a delinquere, «Cronaca di Calabria», 08 dicembre 1927. Da Platì. Un maresciallo dei
carabinieri che si fa onore, «Gazzetta di Messina e delle Calabrie», 03
aprile 1927.
- Il profilo
criminale di Antonio Macrì è ricostruito nella sentenza del Tribunale di Locri
emessa contro gli affiliati tratti in arresto in occasione del summit di
Montalto del 1969, interrotto dall’irruzione della polizia.La mafia a
Montalto. Sentenza 2 ottobre 1970 del Tribunale di Locri, Reggio Calabria.
1971. Su Antonio Macrì si veda anche John Dickie, Blood brotherhoods, cit.
pp. 356-358 e sulla sua attività nel secondo dopoguerra cfr. i vari riferimenti
in Id. Mafia Republic..
Fabio Truzzolillo, Fascismo e criminalità
organizzata in Calabria, Scuola di Dottorato in Storia, Orientalistica e Storia delle Arti, Università
di Pisa, seduta d’esame 23/10/2014.
http://www.icsaicstoria.it/wp-content/uploads/2019/02/Truzzolillo-TESI-Fascismo-criminalit%C3%A0-organizzata-Calabria.pdf