C’è anche chi ha subito un’aggressione tanto al chiuso che all'aperto.
E il caso capitato nel 1912 a una fanciulla di Cirella, frazione del comune di
Platì. Era andata ad attingere acqua a una fontana cha distava circa duecento
metri dall’abitato quando vanne aggredita da un suo compaesano, un negoziante
di 25 anni. Riuscì a resistere e ad evitare le estreme conseguenze di
quell’assalto.
Ma l'uomo non si diede per vinto. Due giorni dopo, forzata la porta
d’ingresso, penetrò nella casa dove la giovane dormiva con una zia.
Anche questa volta non raggiunse il suo scopo. Frustrato, con un colpo
di rasoio sfregiò il volto dalla donna. Non riuscendo a violare la verginità ne
violò il volto. Perché tanta audacia da parte cli quell'uomo? Perché tanta
insistenza? Lei era “figlia dalla colpa”.
Cosi scrivevano i giudici con una definizione che, normale per quei
tempi, è agghiacciante e orrenda perché era un marchio d'infamia che avrebbe
accompagnato lei e i sui figli per un tempo infinito.
Essere figlia della colpa significa essere già debole sin dalla nascita.
Lui “credevasi forte dell‘impunità fidando sull‘autorità di uno zio che
funzionava da sindaco in quella frazione del comune”.
Sentendosi forte lui e conoscendo la debolezza della fanciulla non è il
caso di parlare di audacia da parte di quel giovane. Quando si arrivò al
processo si cercò di diffamare la ragazza insinuando che avesse avuto degli
interessi a fare quella denuncia. Ma i giudici della Corte di appello scrissero
a questo proposito: “non odio, non risentimento, non scopo di matrimonio, non
speculazione essendoci in atti la pruova della di lui assoluta nullatenenza».
Si insinuò anche che non era credibile perché aveva fatto dichiarazioni
contrastanti. “Ma di chi è la colpa delle aggiunzioni e di qualche leggiera
difformità nelle dichiarazioni della giovane? La colpa certo non è sua, ma del
Pretore cha in modo veramente deplorevole menò innanzi le indagini. Non curò
egli, che pur con molto ritardo si curò di sentire la parte lesa di raccogliere
le minute dichiarazioni”, ma si limitò solo a farsi confermare quelle già rese
al brigadiere dei carabinieri “che certo si limitò ad inserirle sommariamente”
Non è la prima volta che ci imbattiamo in critiche dei tribunali o
della Corte di appello rivolte al modo come erano state condotte le indagini. E
sono sempre casi che rappresentavano un danno per le donne. L'uomo aveva fatto
affidamento su quello zio importante in quella piccola comunità, ma quando il
giorno dopo lo sfregio si disse «pubblicamente» chi ne era fautore, lo zio non
coprì il nipote, anzi, «raccolte le opportune informazioni», lo denunziò ai
carabinieri”
Un sindaco che si comportò bene. Ma non tutti i sindaci
sono uguali, come si sa.
Enzo Ciconte, Storia dello stupro e di donne ribelli, Rubettino 2014