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lunedì 1 ottobre 2018

L' ombra del passato [di Alberto Giaccone, 1905]






Non è campo dell’uom la solitudine,
Chi non pugnò, non visse
Rapisardi

Il tempo – minaccioso titano – passa … e con le sue fredd’ali vi spazza fin le rovine!” Foscolo

Passò tanto tempo quanto basta a ridurre dissolvere un cadavere e se voi scavaste la terra che copre il pio che compiangete, altro non troverete che polvere e putridume.
La, vi dicono i materialisti, ogni grandezza umana si serra, la s’infrangono dolori e speranze, affetti e virtù …
SE così fosse oggi le vostre lagrime sarebbero una vanità; le vostre preci follie.
Il credereste? – No. - Oggi vi sentite aleggiare intorno, angelica farfalla, lo spirito del vegliardo che accompagnaste alla tomba, che qui forse venne lasciando il soglio dorato degli angioli, per sentirsi ricordare il suo passato, le sue lotte, i suoi trionfi. L’anima dell’Arciprete Nicola Ferrò chiede alle vostre preghiere l’eterna parola di Pace – Pace nel Signore.

Qual sia stata la sua giovinezza nessuno mal potrebbe dire. Forse i suoi compagni d’infanzia lo precedettero al gran passo …ed egli rimase ad aspettare l’ora fidente in Dio, fermo, impassibile, tranquillo. Guardò il passato, le lotte sanguinose, e si vide nella pugna non ultimo soldato; guardò l’avvenire, la fulgida meta, la palma della vittoria e sorrise … E voi me l’additate accasciato dagli anni, dai capelli bianchi, curvo sul bastone, aggirarsi per le stanze guardando forse dietro i vetri, la vecchia torre che lo aveva visto bambino. Anche quella torre minacciosa lo vide nascere, lanciarsi nel mondo e ritornare vittorioso, e forsegli sorrideva in quel punto. E riviveva di quei giorni, quando i suoi occhi volgeva al sole, al cuore la Fede, alla mente l’ideale!

Nato nel 1810, starei per dire che intese la baraonda francese minacciante tiare e corone. Forse il motto “Dalli ai preti” gli era giunto, quando quattordicenne indossava l’abito talare per farsi campione di Cristo, in quei tempi dalle galliche labbra “Bestemmiato e deriso un’altra volta”. Unto le mani del Sacro Crisma dal vescovo Armentano di Mileto, eccolo, novello sacerdote, uscire nel mondo a predicare la divina Parola. – Oh Salve novello apostolo di fede, t’avanza, campione di Cristo, combatti al sole della gloria! Corazza è la tua fede, la parola di Cristo la tua spada, “campo di battaglia è la terra intiera e la vittoria è la civiltà umana”.
Egli comprese l’altezza della sua missione e si lanciò nel mondo con ardore apostolico. Chiamato a Casignana, per quattordici anni spezzò il pane di pace e di amore a quel popolo, e per ben ventinove in Ardore predicò la fede, dispensando conforti e balsami, di cui abbonda il Vangelo. Oh se parlassero tanti traviati rimessi sulla dritta via, tanti infelici spiranti col sorriso sulle labbra, tanti forsennati disarmati colla bella parola “Perdona!”

Disse Victor Hugo “Il vecchio è una rovina che pensa”. Non so quali pensieri potevano passare per la testa a l’A. N. Ferrò … So che novanta aprili vide, che combatté delle battaglie nella vita, e vincitore si assise ad aspettar la morte, foriera della vittoria. Un sol pensiero era in lui; un solo ideale gli splendeva nella mente: Dio! Quest’ideale ora l’abbagliava, l’assorbiva, l’attirava a sé come la calamita il ferro. Quale colomba dal desio chiamata, spiccò il volo per riposarsi in Lui, sitibondo e fremente d’amore.
Godi dunque oh spirito beato. Io ti addito alla gente: “Beneditelo”. Ai sacerdoti: “Imitatelo”.
                                                                               Gliozzi Ernesto

Nota- Dell'abate Nicola Ferrò non si ricorda nessuno, in Casignana come in Ardore, in Curia; eppure visse quasi cento anni, passando dai Francesi ai Borboni, ai Piemontesi, agli Italiani. Ci pensiamo noi, anzi, Ernesto il vecchio che lo consegna all'eternità con questo epitaffio letto davanti a quel che di lui restava. Il volto del Vescovo Vincenzo Maria Armentano si trova a Vibo e in rete.

domenica 30 settembre 2018

Ida [di Paweł Pawlikowski, 2013 ]

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venerdì 28 settembre 2018

Riders on the storm - THE DOORS

Ricordo di un ottobre funesto del 1951 nel piccolo centro aspromontano

Quell’alluvione che segnò Platì

I servizi degli inviati del tempo che fecero riscoprire agli italiani la montagna reggina - Arrivarono i soccorsi dopo una gara di solidarietà umana ma la stranezza di alcuni indumenti smessi fece arrivare in anticipo un ben strano Carnevale – tremila persone verso l’Australia in pochi anni: un’emorragia umana di dimensioni bibliche – Un articolo di Corrado Alvaro nel 1953 – Una relazione geologica di Alberto Ducci


di Antonio Delfino

"Per farsi una idea dei disastri che l’alluvione ha prodotto in Calabria, bisogna andare a Platì. Non è facile raggiungere Platì, un piccolo presepio di seimila anime a 300 metri sul mare, e annidato in una gola di montagna, ma e interessante andarvi, prima perché, come vi dicevo, i danni dell’alluvione sono stati, in questa zona, enormi, e poi perché in questi paesini di montagna, che vivono sempre nel tragico presentimento di una sciagura, si trova la Calabria, la più semplice e la più rude, quella che in fondo è la più vera e dove il tempo pare si sia fermato in una estetica, contemplazione degli avvenimenti i quali si susseguono per loro conto senza che queste popolazioni si affatichino a rincorrerli".
Cosi iniziava il suo servizio Vittorio Ricciuti il 9 novembre del 1951 sul -Mattino- di Napoli. In quell'ottobre funesto io frequentavo la seconda classe del Liceo Classico di Locri e bloccato dalle frane a Platì, mi misi a raccogliere gli articoli più significativi di quell'evento calamitoso che aveva portato devastazioni e morte. Sono andato a sfogliarli. “Il fango ha inghiottito tutto: agrumeti, frantoi, un oleificio di cui non si vede più nulla: anche una piccola centrale elettrica, che era stata costruita ad opera di un privato è andata distrutta ed il paese è rimasto al buio. Tra qualche ora, mentre le ultime luci avranno abbandonato la valle, Platì non avrà più nulla che ricordi la vita. Anche il sonno dei morti – conclude Rizzuti - a Platì non è stato rispettato: il mostro delle acque ha attraversato li cimitero, lo ha sommerso e quando l’acqua si e ritirata si sono visti tibie, femori, crani che la corrente portava alla deriva, e i vecchi resti umani si mescolavano ai morti recenti. Questa è la tragica sorte di Platì, un povero paese destinato a sparire dalla faccia della terra perché sotto di lui il terreno frana e slitta verso una corsa paurosa alla morte”.
E Filippo Sacchi il 28 marzo del 1952 scriveva sulla “Nuova Stampa”: “Le scuole di Platì! Una casupola di tango, a cui si arriva ciampicando per una viuzza che è tutta una fetida pozzanghera, piena di bucce, di detriti e di spurghi. Si sale scaletta, e sopra, nell’unico piano, ci sono le aule, tre stanzini soffocati, che quasi si tocca con la testa, senza vetri alle finestre (erano giorni freddissimi), con i pavimenti divelti, naturalmente senza luce, e già alle tre del pomeriggio quasi non si vedeva. Pigiati a cinque e cinque stavano gli scolaretti nel rozzi e miseri banchi. Era la mostra della denutrizione. La maestrina, me li chiamava fuori uno ed uno, bimbette e ragazzi, perché vedessi meglio da vicino quei visini patiti, quelle braccine, quel piedini nudi e scarni incrostati di mota. Non mi diceva niente, solo li chiamava fuori a uno a uno per nome, cosi semplicemente come se fosse la presentazione dei modelli.”
L’Aspromonte veniva riscoperto. In passato, per i briganti ed i terremotati, ora, per le alluvioni. Arrivarono i primi soccorsi. Fu una gara di solidarietà umana con sottoscrizioni e raccolte di fondi. Il sud doveva essere assistito. Interi camion riversarono sulla piazza dei paese indumenti smessi che crocerossine con tocchi di civetteria elargivano a tutti. Quell'anno il carnevale arrivò in anticipo. Rocco P., un anziano contadino padre di dieci figli all'ennesima distribuzione arrivò in ritardo. Era rimasto un vecchio frac dalle code lise e stazzonate che mi ricordavano i camerieri della Nuova Messina a Locri. Nel mesi estivi sotto un sole cocente indossò il frac per zappare sulla fiumara asciutta che mesi prima aveva portato lutti, e cercando di ricavare una “fiumarina”, un pezzo d'orto per sfamare i figli. Gli interventi furono d’assistenza. Si costruì qualche muro d 'argine e la gente stanca di aspettare prese la nave per l’Australia. Tre mila persone in pochi anni. Una emorragia umana senza precedenti, da dimensioni bibliche. Mentre si curavano le prime ferite arrivò l’alluvione del 1953. IL 24 ottobre del 1953, Corrado Alvaro pubblicava, sul Corriere della Sera, un articolo sferzante per la classe politica. «E' la stessa zona colpita due anni fa da una prima alluvione di meno orride proporzioni, pochi giorni prima delle devastazioni del Polesine. Come allora, su quei lutti, una amara ironia: si disse che la Calabria aveva avuto la sventura d'un disastro come una buona occasione per attirare l'attenzione sui suoi mali, ma, un'altra regione dei Nord ne aveva una più grande, concentrando su di sé la solidarietà dei mondo. E, difatti, fino a ieri, arrivano in Calabria gli ultimi scarti di vecchi panni, alcuni ponti erano ancora di legno, e uno in costruzione, sul torrente più feroce che sbuca dalle gole dell'Aspromonte e che ingoia annualmente giardini e vittime umane, il Bonamico, era già crollato nuovamente. Il più moderno studio organico – prosegue Alvaro - sulle condizioni della Calabria è del 1834, ed è una relazione del Governo borbonico. I problemi che esso esamina sono ancora attuali, ma, bisogna aggiungervi, per il secolo che è trascorso da allora, la distruzione che si è operata, da speculatori senza cinismo e da municipi bisognosi e inesperti, del suo mantello arboreo, cioè della sua difesa naturale. La furia delle acque sul versante più spoglio, lo Jonio, allarga i letti dei torrenti d’anno in anno, divora ettari di terra di colture ricche. Tali fenomeni non si registrano fino a quando le alluvioni grandiose non compiono l’opera creando un cataclisma come quello attuale, che muta addirittura la configurazione del terreno, spiana monti, copre valli prepara il crollo dei paesi sulla pendici. Lo Stato interviene   spendendo somme ingenti a fortificare i paesi pericolanti. A distanza d pochi anni, le crepe già segnano e rompono I bastioni che trattengono la terra”.
E mentre Corrado Alvaro scriveva queste cose, nel Polesine la senatrice Lina Merlin (quella delle case chiuse) pretese che gli elicotteri militari salvassero dalle acque migliaia di tacchini che la furia del Po aveva spinti su strisce di terra e che sarebbero morti affogati. E quando intervenne nella Commissione parlamentare per i provvedimenti straordinari a favore della Calabria un mordace deputato commentò: Povera Calabria, che casino!
A distanza di oltre un secolo si ha la prima relazione geotecnica su Platì. E' Alberto Ducci, insigne geologo a compilarla, affermando che lo spettacolo che si offre è quello tipico di un fenomeno di grandiosa erosione in fase di piena attività. E' un vero sfasciume geologico che dipende - secondo Ducci - dallo stato di particolare e profonda fratturazione delle rocce costituenti l'intero versante orientale dell'Aspromonte orientale, dall'alterazione profonda dovuta a processi geo-chimici e dalla montagna in rapida fase di sollevamento. Le argille divenute rocce metaforfiche sono ritornate, per alterazione, argille. E dalle profonde rughe dell'Aspromonte sgorgano colate imponenti come manifestazioni di un astro appena nato. Ecco perché il problema di Platì si pone, passata la prima emergenza, in termini drammatici. Platì rappresenta il polso impazzito di una montagna che erutta argille. L’intero territorio va studiato da geologi. Allo stato attuale la regione Calabria (unica in Italia) non dispone di un servizio geologico. L'on. Pastore, nel 1961, invitato a Reggio Calabria dal presidente del Consiglio, Fanfani, a dire le sua, sulla legge speciale per le Calabria disse che, approvata nel 1955, divenne operante nel 1957 perché della Calabria mancavano persino le carte geografiche e geofisiche.
A Platì questa volta, bisogna andare con le carte in regola. E’ nell’interesse di tutti.

GAZZETTA DEL SUD, Anno XXXIV – Martedì 29 gennaio 1985

Nota - Questo articolo, come quello citato di C. Alvaro, era apparso su queste pagine il 7 ottobre 2011 come immagine, senza trascrizione ed un titolo diverso. Oggi, nel 67° anniversario di quel tragico evento, è un tributo alla penna di Antonio Delfino, che i pulinaroti si apprestano a commemorare. La  foto, tramite Francesco di Raimondo, appartiene alla famiglia Delfino.



mercoledì 26 settembre 2018

The Great Passage [di Yuya Ishii, 2013]

Non erano trascorsi che otto anni dall’inizio del nuovo millennio quando Platì perse i suoi due ultimi figli più illustri: Antonio Delfino e Ernesto Gliozzi il giovane; il braccio secolare e quello metafisico-religioso di un paese altrimenti noto. Lo zio il giorno della candelora, Delfino allo scoccare dell’equinozio d’autunno. Nei cicli ricorrenti dell'anno sono due momenti importanti, l'inizio del risveglio e l'inizio del riposo della natura, un grande passaggio, che non è dato a chiunque poter scegliere, solo a chi lo merita. Per un paese come il nostro è molto importante, visto che ancora il legame con la terra permane. Tutti e due ampiamente ricordati per mezzo delle loro opere e giorni. Tutti e due con un background familiare difficile da nascondere. Antonio Delfino era figlio, del secondo, cronologicamente, uomo più famoso tra quelli che cavalcarono per le terre e le montagne di Platì: Giuseppe Delfino, meglio noto con l’alias massaru peppi; il primo era stato Ferdinando, Caci, Mittiga. Come nei migliori John Ford, l’uomo della legge ed il bandito. Per buona parte, la storia di Platì, quella ancora arcaica, la vissero loro due. Tra gli intellettuali platioti Antonio, Totò, Totu Delfino è stato il più completo: docente, politico, letterato, giornalista, fotografo e chissà quant’altro. Il matrimonio lo condusse fuori dal paese ma non per questo lo perse, anche grazie alla complicità della sua sposa. Platì e la Calabria, la loro gente e i luoghi, le leggende e la storia furono il suo chiodo fisso, da proteggere, conservare, tramandare. E questo fece, grazie anche alla sua dote di uomo sociale e ben voluto, accettato nelle mense ludiche siano esse intellettuali che conviviali. Ogni platioru ha un Totu Delfino suo, anche io ho il mio che non dimenticherò mai: amico di papà, dello zio Ciccillo, dello zio Ernesto, dello zio Pepé. Una sera dei miei anni di mezzo squilla il telefono, Ginu sugnu Totu Delfinu, ndi sperdimmu, chi ta passi? Oggetto della telefonata era una cosa naturale per quegli anni: una raccomandazione agli esami di licenza liceale. Io li avrei promossi tutti, ma, gli dissi, se la doveva vedere con mia sorella, membro della commissione in un liceo messinese, che era più irremovibile di me. Come finì non lo so, quello che mi rimane ancora nelle orecchie è quella sua voce gioviale, smagliante. Non lo rividi mai, la sua testimonianza rimane anche grazie a queste pagine in cui egli ritorna e rinasce.
La macchina con dentro i pulinaroti si è mossa. Loro cozzano e si scherniscono da platioti. La loro meta e che il 1° Antonio Delfino tribute & award non vada sprecato.

lunedì 24 settembre 2018

Demolition [Jean-Marc Vallée, 2015 ]



Colla presente scrittura privata in doppio originale da valersi per ogni effetto di legge si obligano i sottoscritti sig.r Luigi Gliozzi e Romeo Domenico fu Rocco di demolire una parte del palazzo della sig.ra Concetta ved.va Fera , che vi accetta con le seguenti condizioni:
1° - Demolire le due stanze superiori nonché la parte ce riguarda la scala.
2° - Demolire le scale fino al livello del primo piano.
3° - Ricostruire le scale che mettono l’ingresso nell’attuale cucina nonché al solajo tutto in legno.
4° Sistemare il tetto come in atto si trova.
5° - Per questi lavori la sig.ra Fera si obbliga pagare la somma di lire milleduecento (1200) nonché lasciare al beneficio dei sig.ri Gliozzi e Romeo il supero dei materiali: cioè: trave, tavole, aperture (interni e esterni), balconi in ferro, soglie, passamani della scala, mattoni, pietra ed altro.
E’ per memoria
Platì 22 – 10 – 1928
Gliozzi Luigi accetto
Romeo Domenico accetto
Concetta Hyeraci ved. Fera accetta

Nota - La Signora Concetta Hyeraci era nativa di Roccella Ionica. In paese la portò il suo sposo Signor Michele Fera, padre di Mimì, Colonnello, Fera. Gli eredi di quest'ultimo sono i propretari della foto in apertura.



domenica 23 settembre 2018

Appuntamento con la morte [di Hugo Fregonese, 1950]



-Fera d. Francesco Saverio (Mo.16.10.1874/34) del mf Giuseppe e mf Maria Mittiga,  all' età di 30 anni, novizio, di buon ingegno e costumi, incaute et temere attrectans igneam ballistam, contra seipsum explosit in proximo horto d.Josaphat Furore, et sic letaliter vulneratus, a suis in domum paternam portatus, mira pietate et religiose receptis Sacramentis Poen. Euch.et Extr.Unct., post triginta horas acerbissimorum dolorum patientissime toleratorum,  fervide commendans animam suam Deo et precibus Sanctorum, saepe recitans illud s. Pauli "cupio dissolvi etc.", complicatis manibus per modum crucis, et incessanter recitans illa verba "in manus tuas, Domine, commendo spiritum meum"  placidissime expiravit.

Don Francesco Fera Saverio del mf Giuseppe e mf Maria Mittiga, morto all’eta di 30 anni il 16.10.1874, novizio, di buon ingegno e costumi, imprudentemente e avventatamente raggiunto da un pezzo di legno che lo colpì nelle vicinanze dell’orto di don Giosofattino Furore, e gravemente lo ferì; trasportato in casa paterna, amabilmente assistito ricevette i Sacramenti della Penitenza, Eucaristia e l’Estrema Unzione, passata la trentesima ora, sopportando pazientemente i mortali dolori, con fervore rimise a Dio la sua anima e con l’intercessione dei Santi, continuamente recitando la massima di San Paolo “ sono messo alle strette ecc.”, incrociate le mani, ininterrottamente recitando quelle parole “nelle tue mani, Signore, affido l’anima mia” spirava serenamente.

Dal Libro dei Morti Vol. V, come riportato da Ernesto Gliozzi il giovane. Mia è la traduzione letterale. Come la foto, shooting in Modica (RG), Chiesa San Pietro, pensando al Mantegna e a Pasolini. 

giovedì 20 settembre 2018

La grande festa [di Allan Dwan,1934 ]







LE FESTE PATRONALI

Terminate le feste Patronali, celebrate quest'anno il 19 AGOSTO (in onore della Madonna di Loreto) e il 23 SETTEMBRE (in onore di san Rocco), è bene dare uno sguardo riflessivo sul loro aspetto religioso, sociale e amministrativo.

Sotto il profilo RELIGIOSO, si può senz'altro affermare che i fedeli hanno segnato un crescita in senso cristiano.
La sacra predicazione tenuta da p. Calogero Andaloro O.P.P. (festa di Loreto) e dai p. Gregorio Volpe O.F.M. e Agatangelo Romaniello Capp. (festa di S. Rocco) è stata seguita con attenzione e profitto dai numerosi uditori.
P. Calogero Andaloro si è soffermato sull'insegnamento dato dalla case di Nazareth e sul significato della presenza della casa della Madonna in Italia.
Descrivendo la vita di san Rocco, p. Gregorio Volpe ha sottolineato le molteplici virtù cristiane esercitate dal Santo: la Carità prima fra tutte, e poi la pietà, l'umiltà, il disprezzo dei beni terreni, la Pazienza.
P. Agatangelo ha visto in quella vita, principalmente, la risposta efficace ad una "VOCAZIONE" di Dio, tanto da parte del Santo come da parte dei suoi familiari, specialmente della virtuosa madre, che assecondo la volontà del figlio. Particolari consensi, manifestati con un insolito prolungato applauso, ha ottenuto il tema dell'impegno della famiglia nella educazione dei figli.

Sotto il profilo SOCIALE, per quello che riguarda le manifestazioni civili, è degno di lode l'impegno della Commissione, presieduta dal Sindaco, dott. Mimmo De Maio, coi suoi collaboratori sig. Luigino Zappia, sig. Crupi Giuseppe e prof. Lillo Barbaro, per l’ottima riuscita dei festeggiamenti. Un sondaggio sul gradimento della popolazione fa ritenere che tutti sono rimasti soddisfatti dei numeri in programma. Particolare elogio ha riscosso la ditta Cutullè per gli eccezionali fuochi d'artificio; gradita, per la sua garbatezza, la presenza del celebre cantante TV Aurelio Fierro; mentre non ha ottenuto pieno successo il lodevole tentativo di un ritorno alla musica classica da parte dei complessi bandistici "Città di Gimigliano" e "Città di Siderno“; incantevole cornice all' ultimo tratto della processione sono state le arcate luminose del Corso XXIV Maggio e del Corso Umberto 1°.

Per quanto riguarda l'aspetto AMMINISTRATIVO, anche se si è riusciti ad ottenere un pareggio, raro negli anni precedenti, è doveroso da parte del Parroco far riflettere ancora una volta sulla possibilità di evitare inutili sprechi di denaro, specialmente coi doppioni di orchestre, bande ed altro, tenendo conto delle necessità materiali e sociali della Chiesa.
Il diversivo delle feste, specialmente nei paesi come il nostro, è giusto e necessario; ma lo spreco inutile di denaro - a parte i bisogni sempre ricorrenti per la manutenzione del sacro edificio - appare a molti un insulto a tanta gente nel mondo che soffre la fame e le malattie.
Mentre tutti sollecitano, giustamente, interventi del Governo a favore di tante necessità del "Terzo Mondo" (vedi profughi del Vietnam e della Cambogia), manchiamo al nostro dovere di carità e ci chiudiamo in un deplorevole egoismo, quando andiamo alla ricerca del divertimento, costi quel che costi. Quanto sarebbe bello che, tra le voci di uscita nel bilancio ci fosse un'offerta a pro di quelli che soffrono mentre noi ci divertiamo.

LA MADONNA DI LORETO
foglietto di Pastorale Parrocchiale della Comunità cristiana dì P L A T I'
n° 6 - R o c c o - festa di S. Rocco - Platì (RC), 23 settembre 1979


Nota. Stavo per fare un breve descrizione dei festeggiamenti 2018 quando mi venne in aiuto quella fatto dallo zio Ernesto per i festeggiamenti del 1979. Oggi il suo testo può apparire datato per come si è cambiati. E' fuori moda parlare di Terzo Mondo, Vietnam, Cambogia … predicatori, musica classica (una fissazione dello zio), spreco, povertà e divertimento. Come fuori moda è oggi Aurelio Fierro con la sua garbatezza. Da ricordare (presenze perdute) Mimmo De Maio, Gino Zappia, Peppino Crupi e Lillo Barbaro.
L’immagine venerabile, in Casignana, anch'essa demodé, di San Rocco, apparteneva allo zio Ernesto il vecchio, che lo celebrò in qualità di parroco fino al 1948, anno della sua morte. Il santo sullo zio non esercitò per niente “le molteplici virtù cristiane” portandogli l’avversione dei casignani e del chiappetta di turno!

lunedì 17 settembre 2018

Ekusute [di Sion Sono, 2007 ]




Difficilmente accade oggi, ma una volta l'affetto per i propri cari era così profondo che diventava una lotta contro l'oblio. Come nel caso dello zio Michele che conservò una una ciocca di capelli di sua sorella Jolanda (nella foto), morta ancora giovane il 28 gennaio 1959, a Oppido Mamentina. Ciocca che ancora, dono della natura, oggi è in perfetta conservazione

domenica 16 settembre 2018

NATIVE LAND [di Leo Hurwitz, Paul Strand,1954 ]



IL MIO PAESE
Antonio Catanzariti
5a elem.

Nascosto dietro i monti
C’è un piccolo paese,
è il paese del mio cuore
la sera la gente dopo una giornata
in campagna, anche se stanca
di sicuro non si lagna
ma è sempre pronta ad aiutare
chi non riesce a lavorare
purtroppo tanta gente
è costretta ad emigrare
l’emigrante và pensando al mio paese
che più non rivedrà

dal Premio Letterario "E. Gliozzi" ed. 2017

Così appariva la mattina del 21 agosto a quelli dal passu cantandu.


mercoledì 12 settembre 2018

Le foglie d'oro [di Michael Curtiz, 1950 ]



L’avvocatu Lentini ndavia machini e mulini e li so terri jivunu i panarefru a cuccumeiu


In nome di Sua Maestà
Umberto Primo
Per grazia di Dio e per volontà della Nazione
Re d’Italia
La Regia Pretura del Mandamento di Ardore
Ha emesso la presente Sentenza. In nome di Sua Maestà
Umberto Primo
Per grazia di Dio e per volontà della Nazione
Re d’Italia
Il Sig. Giacomo Avv. Raso Pretore del Mandamento di Ardore ha emesso la presente Sentenza
nella causa civile
Tra
Il Sig. Raffaele Lentini fu Muzio legale e proprietario, domiciliato in Platì, attore comparente in persona
Contro
Saverio Marando fu Saverio parte domiciliato pure in Platì, convenuto comparente di persona.
L’attore conchiude che sen’attendere all’eccezioni e difese contrarie, piaccia alla giustizia accogliere e far pieno dritto alla sua domanda giustificata colla prova accolta e con documenti esibiti.
Il convenuto conchiude rigettarsi la domanda dell’attore perché non provata e condannarsi alle spese.
Rilevasi in fatto che il Sig. Raffaele Lentini con atto dei 4 Settembre ultimo, conveniva in questa Pretura Saverio Marando per sentirsi condannare al pronto pagamento di lire novantanove prezzo di sacchi 14 ½ di fronda serica, cioè sacchi otto di fronda serica, alla ragione di £ 4, 2 per ogni sacco e sacchi sei di mezze di fronda nera, al prezzo di Lire dieci al sacco venduta ad esso convenuto in Maggio ultimo, restringendo la sua domanda sole sudette Lire novantanove. Asseriva il medesimo istante che per patto si stabilì che il prezzo doveva essere quello che egli stesso avrebbe stabilito diffinitivamente. Chiedeva pure le spese del giudizio e gli interessi legali. Postasi la causa all’udienza l’attore insisté alla sua domanda. Il convenuto però confessando aversi ricevuto otto sacchi di fronda bianca e soli sei di fronda nera impugnò che si fosse convenuto che dovesse pagarla al prezzo che avesse diffinitivamente stabilito l’attore stesso, ma che invece era pronto a pagarla ai prezzi fatti nella vendita della fronda del Sig. Francesco Oliva nella decorsa industria serica. Eseguitasi la prova diretta e contraria l’attore non giustificò punto che nel Maggio scorso, nel fare il contratto per la vendita della fronda al convenuto si stabilì per patto che il prezzo doveva essere quello fissato difinitivamente dall’attore. Solo si assodò che verso gli ultimi giorni dell’industria stante la scarsezza della fronda esso Sig. Lentini vendé qualche sacco di fronda nera a Lire dieci il sacco, che i prezzi della fronda nell’anno decorso che fece il Sig. Francesco Oliva furono a L. £4,40 la foglia bianca, a Lire 4,25 la fronda cappuccina ed a Lire tre a nera. E ch’essendo esso Sig. Oliva un grosso proprietario di fronda serica generalmente in Platì i contratti si stabilirono ai prezzi ch’egli farà nei contratti da lui stipolati. Riprodottasi la causa all’udienza le parti conchiusero come sopra leggesi.
In dritto poi
Considerando che nel pronunziare un giudizio devesi tener presente ciò che si alliga e ciò che si prova. Or l’attore avendo assunto nel suo atto introduttivo che nel fare il contratto col convenuto si stabilì per patto che il prezzo della fronda doveva essere quello che il medesimo attore avesse stabilito difinitivamente, patto ch’egli colla sua prova ha affatto dimostrato, e quindi che la sua domanda in quanto al prezzo della fronda dev’essere rigettata, non essendo neppure il caso di deferire giuramento di Ufficio perché le sue pretenzioni per tale riguardo sono totalmente sfornite di prove art. 1312 e 1323 codice civile.
Considerando però che il convenuto Marando confessa di aver ricevuto dall’attore otto sacchi di fronda bianca e sei di fronda nera il prezzo del quale deve pagare = Considerando che i prezzi che generalmente si fissano nel Comune di Platì si è quello che stabilisce il Sig. Francesco Oliva nei suoi contratti e che in questo anno furono di £. 3,40 per la fronda bianca e a Lire Tre per la nera, ed a simili prezzi confessa pure il convenuto di essere obbligato a pagare la fronda in parola = Considerando che la confessione giudiziaria facendo piena prova contro colui che la fa, ne consegue che la dimanda dell’attore si deve accogliere per quanto è di ragione Art. 1356 Cod. C. = Considerando che il convenuto è tenuto a pagare gli interessi legali sulla somma da lui dovuta perch’è incorso nelle mora dal giorno della giudiziale domanda Art. 1231 C.
Civile = Considerando che l’attore dovendosi ritenere soccumbente in parte nelle sue pretenzioni è giustizia che le spese del giudizio fossero proporzionalmente compensate Art. 370 C. Civile=
Per questi motivi
Noi Avv. Giacomo Raso Pretore del Mandamento di Ardore diffinitivamente pronunziando in contraddizione delle parti condanniamo Saverio Marando al pagamento in favore del Sig. Raffaele Lentini della somma di Lire quarantacinque e centesimi venti prezzo della fronda sericada costui a quello venduta nel Maggio 1885. Agl’interessi legali su tale somma dal dì della domanda fino all’integrale sodisfo ed alla metà delle spese del giudizio fino alla presente sentenza e suo registro che in totale sono liquidate per Lire trentanove e centesimi trenta. L’altra metà rimane compensata.
Pronunziato in Ardore all’udienza del dì nove Aprile 1886. Il Pretore firmato G. Raso. Pubblicato alla stess’udienza nove aprile 1886 fuori la presenza delle parti. Il Cancelliere firmato Antonio Portaro. Repertorio N 18. Registrato ad Ardore lì ventisette Aprile milleottocentottantasei  N 24 fol 176.
Comandiamo
a tutti gli Uscieri che ne siano richiesti ed a chiunque spetti di mettere ad esecuzione la presente; al ministero pubblico di darvi assistenza; a tutti i Comandanti ed Uffiziali della forza pubblica di concorrervi con essa quando siano legalmente richiesti.

Nota - Nel testo sopra riprodotto ritroviamo due dei protagonisti di Caci Il Brigante, libro del 2016, di Michele Papalia. In quel tempo le norme per i buoni affari derivate da don Francesco Oliva erano in auge e con esse ci si affrontava. Quello che qui inoltre viene fuori è lo stato dell’economia platiota legata oltre che alla produzione olearia a quella, molto diffusa, serica. Ambedue stagionali, la prima difficilmente mieteva vittime, di contro la seconda non guardava in faccia le donne, specie se giovani, e i bambini. Su tutto questo nessuno ancora ha scritto un rigo benché i Registri delle Morti di quegli anni parlino chiaro.
L'epigrafe in apertura, la ricorda e la ripete ancora, Tota Zappia di Pasquale e Lentini Caterina, born 1927, tra le ultime discendenti l'Avvocato. La foto è l’unica esistente con il volto dell’Avvocato Raffaele Lentini di Muzio ed appartiene agli eredi di Mimì, Colonnello, Fera. Probabilmente è uno dei pochi dagherrotipi fatti ad un platiotu di sangue.