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lunedì 6 marzo 2017

La grande abbuffata (reg. Marco Ferreri - 1973)



MACCHERRONCINICA ……………
JOSEPHO ARCHIPRESBITERO MINNITI in die sui adventus, hoc carmen dicatus est

Cave, amice, Gassum cave
Qui ab albore usque ad ave
Cum riso ac suave
Verbo, abscendit suae pravae

Omnia mala animae

Si scondinzolat, suo more,
juxta tecum, in livore
facit hoc; inde ab ore
contumelia vomitat.

Ad mensam longe tuam
Sit semper famam suam,
Tuae navis ab illo pruam
Alieno lito, dirigat.

Salus Cleppa Miceque orbus
Sciunt illum et morbus
Cuius patet … Tamquam cervus,
Dicunt … aedendo, gracidat.

Fuit ille in Sancutuarium
Et votavit caseiarium
Quare hoc anno, Seminarium
In Jeracio manet.

Giorgi, Cutis et Asprea
Cum vidissent sua nomea
Superata factis, … diarrea
Invocaverunt illo.

Et Episcopo in Jeracis
Non tulerunt roteas cacis
Aeremitae contumacis
Fuit mula claudicans.

Quare, igitur, tantus homo
Rimpatriatus fuit in domo
Ubi Ecclesia MAJORDOMO
Voluisset facere …

 Ab Oppidum cacii, decimaquinta die mensis Augusti.

(NASONIS AUCTOR)

MACCHERRONCINICA.........
Questa poesia è dedicata all'ARCIPRETE GIUSEPPE MINNITI nel giorno del suo arrivo

Bada, amico, bada a Gasso
Che dall'alba fino all'Ave
Con riso e soave
Parola, trascende/si allontana (?) 

Tutti i mali della sua
Anima malvagia

Si scodinzola,secondo la sua abitudine,
Davanti a te, nel livore
Fa questo; quindi dalla bocca
vomita offese.

Dalla tua mensa sia sempre
Lontana la sua fama,
La tua nave diriga la sua prua
Verso altro lido.

Solo Cleppa e Mico orbo
Lo conoscono e il morbo
di cui è palese.... Come un cervo,
dicono ....... mangiando gracida.

Lui fu nel Santuario
E vuotò il caseario (caseificio)
Per cui quest'anno il Seminario
Rimane a Gerace.

Giorgi, Cutis e  Asprea
Avendo visto la sua nomea
Superata dai fatti, .... con la diarrea
Lo invocarono.

E col Vescovo in Gerace
Non portarono le ruote dei caci
Dell’Eremita contumace
Fu la mula fu zoppa.

Per cui, dunque, un così grande uomo
Fu rimpatriato in casa
Dove la Chiesa MAGGIORDOMO
 volle farne.........

 Città di Caci, il 15 Agosto
(AUTORE DI NASONE)


Il 16/nov/2016 09:47, "Giuseppe Frappa"  ha scritto:
Ciao Maria!
Mi dispiace di doverti dire che non sono proprio in grado di fornirti una traduzione comprensibile del testo che mi hai spedito. Non riesco a comprendere il significato di moltissime parole né la struttura del testo "latino". 
Bisogna ammettere che, chiunque sia l'autore, il Latino non lo conosceva perfettamente!!! Le desinenze sembrano appiccicate a caso; molte parole non sono né latine né italiane. Le allusioni a fatti e situazioni locali mi risultano incomprensibili.
Ti mando comunque il risultato del mio tentativo

Nota
Avevo chiesto aiuto per la traduzione a Maria, mia sorella. Lei stessa l'ha inoltrata a Giuseppe Frappa, cultore delle lettere classiche di chiara fama,http://www.poesialatina.it/. Alla traduzione, un misto di latino e dialetto platiotu, ho apportato qualche modifica per rendere comprensibile il testo di don Giacomino Tassoni Oliva, oggi a distanza di anni e con il venir meno dei protagonisti di quelle vicende, difficile a decifrarsi. Devo dire che la figura dell'arcipreviti Minniti è abbozzata con la sua solita garbata ironia. Ironia che si rinnova firmandosi Nasone e definendo Platì Città di Caci.


domenica 5 marzo 2017

Il Piave mormorò ...(reg.Vico D'Incerti, Guido Guerrasio - 1964)


Trovata addosso a Taliano Antonio - morto a San Martino il 24 - 6 - 1916 e restituita dal Cappellano Militare. Ricordo di EG


L'anima e il volto (reg. Curtis Bernhardt - 1946)


Domenico Giampaolo
1876 - 1911


E all’anima nostra, puramente ellenica arrivano tutti questi ingenui incanti; all’anima nostra scende tutto il fascino di questa nostra terra sacra, il cui amore ci tiene ad essa strettamente legati a dispetto di ogni vicissitudine contraria di uomini e di natura.

. .. e se qualcosa di vero si volesse appurare, bisognerebbe aver tempo ed opportunità per consultare all’uopo i polverosi documenti dell’archivio napoletano.
Ma pur restando ignorati i veri particolari storici … niuna prova abbiamo che il regime feudale degli antichi signori … sia stato dissimile degli altri regimi di ferocia e di tirannide di quei tempi di tenebre e di barbarie.
Povero popolo! Cercava fra’ monti ripararsi dalle frequenti invasioni saracine, riparandosi all’ombra del castello feudale, e fra’ monti vedeva ergersi il baluardo della tirannide, quel baluardo da cui si aspettava protezione ed aiuto, e che lo assoggettava invece al suo ferreo comando; di guisa che, preso fra due fuochi, doveva, costretto dalle crudeli circostanze dei tempi, accettare sottomesso le catene del servaggio.
Così, dunque ci volgiamo in questa nostra classica terra  d’Italia, dai centri più luminosi e più celebri, alle plaghe più umili e dimenticate, scorgiamo i medesimi vestigi d’oppressione e di schiavitù, di padronanza e di servilismo, l’eterna storia di tutti i tempi; che se col passare dei secoli il diritto del più forte contro il più debole venne spogliandosi della sua rozza ferocia, continuò sempre in sostanza a mantenersi tale, vestendo apparenze più miti e gentili, e nell’interesse di continuare ad esistere e a dominare, trasformando la maschera della ferocia in maschera di sorridente ipocrisia.

Si, questa profonda, complessa, vigorosa anima calabra che, sapendosi esclusa dai mutui rapporti di civiltà e di azione agitanti febbrilmente i popoli, cerca crearsi un nuovo modo di vivere in una sfera di mistici bagliori e di sogni, sente di dovere e di poter tendere verso i più alti destini, e venendole conteso spiegare il volo superbo verso i sublimi orizzonti di luce, di civiltà e di vita, attende l’ora di resurrezione finora indarno invocata, si, l’attende col cuore gravato da un’ambascia suprema, da un dolore ineffabile, la chiede al suo genio mistico.

Domenico Giampaolo,Un viaggio al Santuario di Polsi in Aspromonte, prima edizione 1913, ristampa, Grafiche Marafioti, Polistena 1976

La foto è tratta dal libro di Fortunato Nocera, San Luca in Aspromonte del 2015

giovedì 2 marzo 2017

Fibre e Civiltà (reg. Ermanno Olmi - 1957)

Object Name
Cottage Industry Textiles Collection.
Object/Collection Description
Range of hand woven and hand embroidered items:


1. Woven blanket. (Pezzara) Cotton thread with multi-coloured strips of poplin cotton recycled fabric Woven on a hand loom in two sewn together strips (each 680mm being the width of the loom). Made by Catarina Oliva c1955 in Plati’, Reggio Calabria. Brought out to Australia in 1959.

2. Silk coverlet. Fine hand woven “raw” silk coverlet c.1946, Woven by Joe’s grandmother, Elisabetta Romeo, from silk “leftovers”. The silk worms were grown in the weaver’s household, and the cocoons boiled up in a pot to soften. When the silk was ready, the right strand could be pulled and would keep coming to form a continuous fine thread for spinning. This particular coverlet was mustard coloured, dyed by one of the town’s dyers. Joe thought the dye was made from broom flowers.

3 Bath towel, made of Ginestra (broom) fibre. This is a very fine piece, although most broom fibre was used for coarse weaving. Ginestra (broom) was a shrub that grew in the countryside of Plati’. The whole community helped to gather broom branches, which grew wild on the mountains. The women would harvest the spikes of the plant, bunch them together and secure each bunch with string. The bunches would then be placed in a copper full of boiling water for about an hour then the ginestra bunches would be removed and taken to the river and placed at the edge of the flowing water and secured with rocks to soften for a week. The next stage was that the women would strip the green outer layer exposing the inner fibre. After the soaking, the bark came off easily, and the stripped branches were thrashed with rods and pounded on rocks at the river to release the fibres and rewashed to bleach the fibres. The fibre strips would then be thrashed. In the last stage, the dried fibres were combed through between nail-studded boards to split the fibres and produce a fibrous mass like wool. The fibre would be then put through the spindle ready to be woven into very coarse fabric. The fibrous mass was then spun and woven to make items like mats for wrapping and carrying things in, blankets, bags for wheat etc. During the war, when things were tough, and Joe was a small boy, his family made him a pair of Ginestra (broom) fibre shorts. They stood up by themselves, but he was happy to have them and wore them proudly to school – returning home somewhat raw at the end of the day – but not to be deterred, a bit of lining was added and they did the job.

4. Coloured table cloth. A tablecloth embroidered on white hemstitched linen, with brightly coloured floral designs, was typical of the area. It was made for Cath’s trousseau by her cousin, Marietta Oliva, a full time embroiderer, and took four weeks full time work to complete. Nuns taught the traditional designs at the convent and passed on the skill of embroidering.

5. Set of two cotton pillow shams made by Concetta Catanzariti (Cath Catanzariti’s mother-in-law). Such “fancy-work” was embroidered by a sewing machine. White work was popular and typical of Plati’. It was mainly used for bed linen – crisply starched pillow shams, and a long strip which ran the length of the bed over, but not covering, the blankets. It was placed on the bed during the day and carefully folded at night.

6. Set of two pillow shams and decorative sheet cover. Hand embroidered linen. Made for Cath Catanzariti’s trousseau by Marieta Oliva.

7. A woven blanket, in an intricate pattern done in bright red, ruby red and yellow, was made by Cath’s grandmother, Caterina Oliva. After the wool was obtained from the shepherds, it was spun using a small spindle – not a spinning wheel – then taken to a dyer for colouring. Cotton used for the warp may also have been homespun. The looms were relatively narrow, so the blankets were woven in three strips, which were sewn together to make a very heavy blanket. It was bound with taffeta, but this was only done for special occasion blankets – most were unbound.

These fine examples of Calabrian handcraft that are among the things brought to Australia by the Catanzariti family (Joe, Cath and Cath’s mother, Mrs Zirilli). Both the Catanzariti and Zirilli families came from the town of Platì’ in Calabria, about 400 kms south of Rome, located in a picturesque valley. Earlier this century the town had a population of around 7,000. It is now down to around 1,500 with approximately 70,000 Platì’ descendants overseas. Like other Calabrian towns, its citizens were not wealthy, with the surrounding land owned by a “lord”, who controlled use of the land and taxed the inhabitants.
Many of the inhabitants of the town depended on cottage industries for their livelihood. There were specialist embroiderers, spinners and dyers. Joe’s grandmother Elizabetta Romeo was a weaver, as was his mother Concettina Catanzariti.
Cath’s grandmother Caterina Oliva and her mother’s sisters Concettina Iermano and Caterina Schimizzi were also weavers and embroideresses. Cath can remember sitting next to her grandmother while the wool was “combed” and listing to the rhythmic click clacking of the loom in motion. Most of the Items were made for a daughter’s trousseau. Often, a daughter’s trousseau would begin from birth. The trousseau was a very important part in preparation for marriage. A week before the wedding the mother of the bride would display the bride’s trousseau in her home and invite the future mother in-law, sisters in-law and all the women in the neighbourhood.
This collection is of historic significance as a family craft handed down from mother to daughter.
...
This collection of items is an example of a craft brought to Australia from Italy by Italian women. It is significant to Italian women as evidence of a cottage industry, once prominent in Calabria, passed down from mother to daughter. The collection is also evidence of the high level of skill.

Written by Peter Kabaila
March 2008

Edited by Stephen Thompson
Migration Heritage Centre NSW
March 2008


L'immagine:
Bath towel, made of Ginestra (broom) fibre. This is a very fine piece, although most broom fibre was used for coarse weaving. Ginestra (broom) was a shrub that grew in the countryside of Plati’.
Foto by Peter Kabaila

L’originale è qui:
http://www.migrationheritage.nsw.gov.au/exhibition/objectsthroughtime/cottage/

Nota
Chi trattiene l’immagine originale, perduta irrimediabilmente, di una comunità con i connessi valori, è l’emigrante che dal momento del distacco crea un lavoro di ricordi che si protrarrà per tutta la sua futura esistenza. Per questo motivo i lavori riportati sono preziosi per chi vuole ricostruire il tempo ed il passato, qui in particolare, di Platì. Questi testi sono anche una rivalsa contro quanti ancora si ostinano a negare a quel territorio la sua Cultura che ha avuto origine al momento della sua fondazione. E qui non mancheremo mai di ringraziare chi in quelle nuove terre porta avanti la ricerca e la conservazione di lingua, usi e costumi come di oggetti significanti un passato aureo.

L’immagine meravigliosa (reg. Richard Brooks - 1951)

Object Name
Lady of Loreto statue.

Object/Collection Description
Calabrian Painted plaster statue of the Lady of Loreto mounted on a carved wooden stand with concealed wheels, topped with an arch of electric light bulbs, decorated with plastic flowers. Holy Card depicting the original statue in Plati (captioned, published photograph of the Lady of Loreto statue in Plati) Catholic community.
……..


Cath Catanzariti’s conversation with Pasqualino Mittiga provided much of the background to the statue. In 1948, Pasqualino’s uncle Saverino Mittiga wanted to reproduce the tradition of the Festa delia Madonna di Loreto from Plati, his town of origin in Calabria. On behalf of the Calabrian Catholic community in Hanwood, he commissioned an artisan in Sydney to make a statue after the original in his home town of Plati, in a church at Parochia Oi Madonna Oi Loreto. A published holy card with a photograph of the statue was provided to the artisan as a basis.
In that same year, the completed statue was delivered to Griffith and the Calabrian community celebrated the feast of the Madonna to celebrate the Catholic mystery of the Assumption of Our Lady (held in September of that year). From 1948 until the late 1960s, the yearly festa was celebrated, coinciding with the feast day in Calabria. There would be a sung mass as soon as the mass was finished there was a two kilometre procession with the Madonna placed on a float, carried by the faithful, led by the priest and altar boys. The procession was heralded by musicians, playing bagpipes (ceramei) and drums. The role of the musicians was to let the faithful know that Our Lady was moving forward. Once the Madonna returned from the procession, she would be left outside the church, draped with a ribbon around the neck. The women would then approach and venerate the statue, pinning cash donations to the ribbon. This was followed by festivities (festa) at which the parish committee would hold a raffle (pesca). The evening ended with fire works.
The veneration of the Lady of Loreto underwent a war-time revival in Plati. Plati oral tradition, as retold in Hanwood, was that the German Air Force had attacked Plati, but bombed the river, which they had mistaken for a major road going through the town. The town was thus saved from aerial bombing raids and the Lady of Loreto was venerated for saving the town. Lady of Loreto, the patron saint of aviators, had saved her devotees and her statue in Plati from enemy aviators. The holy card identifies the Lady of Loreto as the patroness of Plati.
People still remembered observance of Good Friday in Plati’, recalling the torture and crucifixion of Jesus Christ after a political trial. The town of Plati’ observed the sombre atmosphere of mourning in respect of the death of Christ. The faithful would assemble in the church at about 9 am to commence a procession with the carrying of a wooden cross. During the procession the Stations of the Cross were re-enacted on a three km journey ending on the hill overlooking the town. The hill was called Calvario; the cross that had been carried would be placed upright with two other crosses places on each side representing the two thieves. On Saturday morning the Madonna, would be carried on a float, clothed in black, to meet her son as a re-enactment of Easter morning with the Risen Christ. A statue of her son, Jesus, would be placed on a separate float. The climax of Easter morning was La Confrontata, at which the floats would be moved quickly as if running towards each other, for an instant, and then separated, before meeting again. La Confrontata was accompanied by outpouring of devotion and of grief for the suffering of Christ and his mother.
After the late 1960s the yearly festa was dropped, possibly affected by a period of rapid social change (reflected in reforms to the Catholic liturgy by the Second Vatican Council), However the festa was revived for a time in c1995 and conducted up to c 2003. This transfer of devotional practice of Mary from Plati in Calabria to Hanwood in Australia has an interesting historical parallel with the transfer of devotion to Mary from Ephesus in Turkey to Loreto in Italy.

Written by Peter Kabaila
March 2008

Edited by Stephen Thompson
Migration Heritage Centre
March 2008

Questo testo è parte di uno più esteso che trovate qui:
http://www.migrationheritage.nsw.gov.au/exhibition/objectsthroughtime/statue/

mercoledì 1 marzo 2017

Uomini e lupi (reg. Giuseppe De Santis - 1957)


TURI, LA MANDRIA E IL CONTO APERTO

Platì, 1831. Nonostante i soli ventiquattro anni, ormai da tempo Turi era garzone al servizio di don Giosefatte, e ne aveva contate di pecore e capre! Per colpa dei lupi sempre il garzone aveva fatto, e ora, ogni notte che udiva gli ululati dei due capibranco provenienti dalla sommità delle rocce d’Aspromonte, proferiva ogni sorta di bestemmia e maledizione. Era stata quella creatura famelica a complicargli maledettamente la vita e a fargli perdere il rispetto dei compaesani quando in una notte gli scannò le sole tre pecore che era riuscito ad avere, dopo anni di duro lavoro alle dipendenze di don Giosefatte. Ecco perché riteneva di avere un conto aperto con il lupo d’Aspromonte.
Da don Giosefatte
Così, era tornato insieme a Tito, fedele cane da pastore silano, entrambi con la coda in mezzo alle gambe a chiedere un nuovo impiego al don che non perse l’occasione di ricordargli la sua condizione: «Chi nasce garzone non muore massaro. Ricordatelo, Turi!». Il garzone non osò replicare e mestamente si sistemò con i pochi abiti ancora nella stanza vicino alla mandria, fatta di tavolacci e frasche all’interno del recinto – da lui stesso costantemente ordinato per impedire ai lupi di fare banchetto – che abbracciava tutta la masseria del barone. Lì, nell’ampio serro di Santa Barbara dove nessuno poteva essere colpito dai fulmini schivati dalla fede nella Santa, nel tempo della transumanza capre e pecore potevano liberamente brucare. Quell’anno i lupi avevano invaso quasi tutte le mandrie, tralasciandone poche tra le quali quella di don Giosefatte, barone ricco e anche fortunato. Ma in una notte di settembre accadde. Era quella la notte precedente alla monticazione, il trasferimento del gregge in montagna, notte di acquazzoni ininterrotti, di tuoni e lampi; come era solito fare, Turi contò le pecore per tre volte uscendo sempre lo stesso numero: trentatré. Per fortuna non ne mancavano e zuppo di pioggia rincasò sotto la protezione della Santa che lo preservò dalle saette piovute dal cielo.
L’assalto al gregge
Il giovane, accigliato nella sua solita stanza, cadde in un sonno profondo tanto da non sentire quello che successe alle capre: i lupi scesero dai costoni rocciosi, riuscirono a violare l’altezza del recinto e a conquistare la mandria, sgozzando le trentatré pecore, recidendone la carotide ad ognuna. Il garzone non sentì nulla della cruenta lotta tra Tito, custode di greggi e il branco di lupi, bramosi di sangue. Alle prime luci dell’alba, Turi fu svegliato da Tito che al debole ringhiare accompagnava il graffio sull’uscio della stanza a richiamare il padrone. Si precipitò fuori il garzone, spettatore di raccapricciante tragedia nel vedere pecore e agnelli accatastati, come a formare una piccola piramide.
La fine di Tito

Con occhi disperati e interrogativi cercò quelli di Tito e solo allora si accorse che il muso del cane era unto di sangue. Lo sgomento e la rabbia pervasero l’animo del garzone che riteneva il suo fido colpevole di quella mattanza; si infuriò così tanto da percorrere Tito a bastonate, fino a finirlo. Don Giosefatte, che seppe subito, non tardò ad arrivare e senza degnare di uno sguardo Turi, ordinò a un suo servo di sgomberare gli animali morti: sotto la piccola piramide delle pecore giacevano due lupi, sgozzati da Tito che, se non riuscì a salvare il gregge, rimase fedele al padrone. Il sangue delle pecore che Turi trovò a terra non fu lavato nemmeno dalle piogge autunnali che seguirono, e lì nel serro di Santa Barbara quel luogo divenne per tutti “la mandria del lupo” mentre il giovane garzone, fucile a tracolla, passò la vita a regolare i conti con il nemico.
Michele Papalia, testo e foto

lunedì 27 febbraio 2017

WE SHALL OVERCOME








Nota
E' diffusa la voce che a Platì non si sia mai fatta una marcia per la pace, ecco accontentati gli eterni denigratori a cui bisogna dichiarare guerra.



domenica 26 febbraio 2017

Verso il sole (reg. Gustaf Molander - 1936)




Accusiamo recenzione, sebbene tardivamente, per esclusivo motivo di mancanza di spazio di un opuscolo intitolato “ Polsi nell’arte, nella leggenda, nella storia "del giovane studente liceale sig. Corrado Alvaro da S. Luca (Calabria).
Facciamo i nostri rallegramenti col neo scrittore che ha bellamente esposto l’origine e le molteplici vicissitudini del Vetustissimo Santuario.
Nel porgere Vivi ringraziamenti al sig. Alvaro gli auguriamo prosperi successi nella cultura dei suoi studi, dei quali avremo agio intrattenerci più diffusamente e come meritano in prossimo articolo.
POPSIS, Anno IV, 1913, n. 1



Quest’ultimo piano
a cura di  Monsignor Giosofatto Mittiga
Arciprete Superiore
fu elevato
Anno 1908



Questo vetustissimo cenobio
più che per le ingiurie del tempo
dal terremoto reso malfermo e crollante
mercé la munificenza di S. S. Pio X
 e l’obolo dei ferventi devoti
alla VERGINE DEI POLSI
Monsignor Giosofatto Mittiga Superiore
ampliando restauro riedificò
Leuzzi Domenico e Figli da Delianuova costruirono
Anno 1910




DA QUESTA TERRAZZA 
RICORDO PERENNE 
DELL' OPERA RESTAURATRICE 
COMPIUTA 
DA MONS. GIOSAFATTO MITTIGA 
SUPERIORE ZELANTISSIMO 
L’EMIN. CARD. FILIPPO GIUSTINI 
PREFETTO DELLA CONG. DEI SACRAMENTI 
IL GIORNO 2 SETT. .1919 
DOPO AVER PRESO POSSESSO DEL SANTUARIO 
COME PROTETTORE INSIGNE 
IN NOME DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XV 
CON COMMOZIONE PATERNA 
BENEDICEVA I POPOLI 
ACCORSI NUMEROSI 
IN QUESTA VALLE 
DOVE DAI SECOLI REMOTI 
SOVRANA POTENTE 
REGNA MARIA

Nota
Oggi si vuole ricordare il debutto artistico di Corrado Alvaro e attraverso le lapidi Mons. Giosafatto Mittiga anch'egli ricordato in quell'esordio letterario. 
Le foto sono cortesia di Sandro Messina.

giovedì 23 febbraio 2017

Nel nome del Padre - reupload



Es Sacerdos in aeternum
Su l’onda grigia dei secoli
la voce del Cristo ripete
( si come un giorno sul Golgota )
Sitio! Di anime ho sete.

E tu, rigoglioso germoglio
di gente volata al Signor,
a sete così inestinguibile
per nappo gli dasti il tuo onore.

E tu Gesù -  in contraccambio
di tale purissima offerta –
del Sangue suo preziosissimo
per te la sua vena fu riaperta

Ed ogni dì, e per lungo ordine
d’anni nel calice d’oro,
il Sangue suo che  fortifica
ti appresta di angeli un coro

O Te beato! Da l’aeree
sue azzurre soglie eternali,
discende il Cristo a riprendere
per Te le sue spoglie carnali

Tu lo vedesti! I suoi glauchi
occhi nei tuoi si fissaro!
Tu gli parlasti nel mistico
linguaggio ch’è agli angeli caro

Tu gli dicesti: nel numero
Dei molti chiamati, me eletto
Volesti nel Santo tuo Tempio
E in tempio mutasti il mio petto.

Così tu parlasti. Il Gran Martire
a faccia a faccia con te
li stette, si come un dì Jeova
soleva ristar con Mosè.

Dimani, nel santo colloquio,
ricordati, o fresco Levita,
di dirgli che un dì – quando il voglia –
sia l’anima nostra a Lui unita.

Digli nel muto linguaggio
- che è tutto un poema d’amore –
che sol da Lui, in ansia fervida,
 aspettiamo la quiete del cuore .


Tu vivi a lungo e inistancabile
sia la tua santa fatica
in mezzo la vigna sua mistica
sorretto da l’ombra sua amica.

Con questo candido augurio
Il vate d’appoco v’invita:
a più alto sollevasi il cantico
in segno di festa, al Levita.

Al Neo Sacerdote
Don Rocco Salinitro

 Sac. Ernesto Gliozzi sen.  29 – 7 – 1946  



Nota
Questa poesia era stata pubblicata il 24 ottobre del 2012. Oggi ritorna per il rinvenimento della foto di apertura contenuta nel libro di mons. Raschellà Nuove Luci sul Santuario di Polsi. Don Rocco fu ordinato a Polsi il 21 luglio del '46. La sua missione sacerdotale la compì interamente a Grotteria, dove venne a mancare nel 1998.


Anno Domini



Il discepolo ignoto
di  Francesco Perri

( … combatte la sua bella battaglia contro le smilze letterature amorose dei salotti e degli alberghi …)

Francesco Perri, l’autore di quel romanzo Emigranti che rappresentò anni or sono la ribellione contro la letteratura ammalata di salotto provinciale e di albergo internazionale, ritorna dopo un lungo silenzio al pubblico con un altro romanzo Il discepolo ignoto pubblicato per la Casa Editrice Garzanti di Milano. Il romanzo, per tempo, colore e respiro è diverso dal primo che ha dato la fama al Perri: ma la sua ribellione continua.
Il tenace e sereno scrittore calabrese cammina lento e duro nel solco già tracciato, scavando più profondamente e guardando al cielo che si inazzurra, come i vecchi padri della sua terra ripassavano con l’aratro sul solco dei maggiori, pregando ed aspettando l’alba. In queste pagine, ora lente, ora impetuose, ma sempre dritte e precise, in questo tumulto di popolo nuovo, balzante dal vecchio mondo e dalla morente grandezza d’un popolo antico, il sapore acre di terra, il calore vivo del cielo, il respiro profondo che viene dal mare lontano, vivono ancora come nelle pagine degli Emigranti, e provano che lo scrittore continua nella sua opera di ribelle – letteralmente parlando – e di fedele alle tradizioni spirituali del nostro popolo. Perché da noi, il popolo che viene chiamato, quando si è sinceri, protagonista e, quando dà qualche disturbo, comparsa, è stato escluso da troppo tempo dalle pagine dei nostri romanzi. Per ritrovarlo e sentirne la voce lontana, bisogna risalire al vecchio ottocento e passare dai lavori guerrazziani – sferraglianti a gran furia contro le ingiustizie – a quelli miti e ben educati dal D’Azeglio, per riposare poi nella vasta zona creata dai Promessi Sposi e da lì, tendere l’orecchio al brusio del popolo del Verga e del De Roberto. Dopo ciò, il silenzio.
La folla con il suo dramma eterno che la sconvolge e la placa, cede il posto di protagonista alla piccola borghesia incerta tra il peccato d’amore di marca italiana e le variazioni dell’amore di marca internazionale, alle figure solitarie di uomini-simboli e di donne complicate che soffrono senza molti disturbi veri: escano essi dalla passione generosamente teatrale di Gabriele D’Annunzio o da quella devotamente contrita di Antonio Fogazzaro. Il romanzo italiano, dall’ultimo ottocento al primo novecento, chiude la porta in faccia alla folla sonnolenta e stracciona, per girare intorno al giovin signore e alla moglietta in cerca di problemi afrodisiaci e religiosi, riducendo tutta l’esistenza a un giro di valzer, tetro come quello di Sibelius o languido come quello di Strauss.
Per ritrovare la folla, balenante di volti e di passioni, bisogna proprio piegarsi sulle pagine di questo tenace scrittore calabrese, e dal mondo rozzo e fiero degli Emigranti risalire verso le vette ancora oscure di questo Discepolo ignoto. Siamo ancora nel solco dei suoi padri aratori: e, come essi, con gli occhi fissi sul cielo che oramai s’azzurra. L’alba è vicina.
Il romanzo ci riporta ai tempi di Gesù e rievoca il morente impero romano nato all’ombra della spada, mentre dal profondo delle anime nasce l’impero di Cristo, all’ombra vicina della croce. Protagonista del lavoro è il popolo. Non importa che il vasto racconto e le vicende drammatiche che lo compongono mettano in prima linea la giovinezza di Marco Adonia, la sognante figuretta di Varilia e numerose altre figure di patrizi, di consoli, di cavalieri, di matrone: cioè di tutto quel mondo decrepito neppure ancora pugnace che è la Roma di Tiberio. E non importa se nella prima parte del romanzo – degna di un grande scrittore – Tiberio, il solitario di Capri, domini cupamente e sconvolga con il suo respiro gagliardo, il gaudente e sospettoso mondo romano. Il vero protagonista del Discepolo ignoto è il popolo. Sempre il popolo.
Come, lungo i tratti della costa ligure, passa sotto gli archi sonori delle gallerie, rombando, lampeggiando il piccolo treno, protagonista della corsa;  e il mare – entrando impetuosamente dalle arcate – lo segue, lo avvolge, lo sommerge nella sua luce, nelle sue collere, nel suo continuo balenio facendolo diventare a poco a poco un dettaglio qualunque; così intorno ai protagonisti del Discepolo ignoto appare, scompare, vive, freme e si ribella il popolo: il popolo senza Dei, perché sotto l’impero, gli dei erano patrizi; il popolo senza Dio, perché _ per i credenti nei profeti _ Dio non era ancora apparso sulla terra. Marco Adonia e Varilia scompaiono perciò con il loro dramma; scompare Roma dominatrice davanti alla ignota capanna di Bethlemme; scompare il volto truce del solitario di Capri davanti al viso ineffabile di Gesù; l’ombra della corta spada romana viene sopraffatta dall’ombra lunga della Croce e protagonista vero rimane il popolo, la fede del popolo, la ribellione del popolo.
Francesco Perri cammina ancora sul solco tracciato, a notte, con gli Emigranti, scavando più profondo.
Raccontare il romanzo? Seguirlo nella sua vasta vicenda come il mare segue il convoglio lungo le coste liguri? Secondo me è inutile. Ciò che conta in un lavoro di grande respiro come questo è l’impressione che lascia nell’anima man mano che procede, e l’impressione definitiva quando si giunge all’ultima pagina- Se il lavoro è mediocre, dopo l’ultima pagina, rimangono in noi pochi lampi come quelli di un uragano che muore a poco a poco. Ma se il lavoro è vivo, anche tra le manchevolezze inevitabili, risale dall’ombra un flotto ancora confuso di figure e di sagome che si riallacciano per vie ignote sotto i lampi insistenti delle pagine più belle, così che tutto il lavoro si ricompone sotto i nostri occhi come un panorama lontano, ma presente. Nel Discepolo ignoto questo avviene. Pagine bellissime, pagine magre, capitoli che potrebbero trovare posto in un’antologia e capitoli che anche se non ci fossero non guasterebbero, scene come quelle del battesimo di Gesù di una bellezza pura e perfetta e scene incerte come quelle che tentano di afferrare la sfuggente figura di Giuda, espressioni sobrie e incisive come quelle che sfiorano le parabole, e vocaboli spaesati usciti dalla consuetudine della nostra modernità, si alternano in una continua successione, avvincendo però sempre, non stancando quasi mai, anche quando la fantasia dello scrittore si lascia portare dal suo stesso impeto sfiorando l’artificio e facendo pensare – per un attimo – a un lavoro d’intreccio. Attimi d’incertezze che ogni artista lascia nella sua opera, anche quando è veramente artista. Ma attimi.
Il Discepolo ignoto rimane con la sua struttura, col suo respiro possente, con il suo generoso e appassionato impiego del popolo uno dei romanzi italiani più tipicamente italiani del nostro tempo, combatte la sua bella battaglia contro le smilze letterature amorose dei salotti e degli alberghi e riafferma in Francesco Perri uno scrittore dal quale si può aspettare domani l’opera che lo completi e lo riveli interamete.
ARTURO ROSSATO
LA GAZZETTA,  4 maggio 1940 XVIII

Nota
Manca poco meno di un mese all'entrata dell'Italia in guerra ... bah ... vorrei scrivere quello che penso ma forse è meglio tenere a freno il fastidioso brontolio di fondo che potrei germinare.