Powered By Blogger

domenica 20 novembre 2016

Ombre e nebbia (reg. Woody Allen - 1991)





Polsi oggi pomeriggio 21 ‎novembre ‎2016, ‏‎02:29:58

La roccia incantata ( reg. Guido Morelli - 1949)


‎Ieri ‎19 ‎novembre ‎2016, ‏‎13:46:44, Foto Carannante

venerdì 18 novembre 2016

Vamos a matar compañeros (reg. Sergio Corbucci - 1970)

Pintaremos de rojo sol y cielo
Segio CorbucciVamos a matar compañeros 


Giro d’orizzonte sulla Calabria minore
Il progresso non passa per Platì
LA TRIBUNA DEL MEZZOGIORNO Giovedì 10 gennaio 1963
A cura di Antonio Delfino



Ferdinando Mittiga brigante borbonico

PLATI’, 9 – Cento anni or sono il territorio di Platì fu teatro di azioni brigantesche ad opera di Ferdinando Mittiga. Giovane appartenente a modesta famiglia e dotato di forte coraggio, riuscì a costituire una banda di molte persone reclutate nei paesi vicini.
Le sue imprese brigantesche erano una conseguenza della questione politico-agraria che travagliava il Meridione, sicché erano ben viste dalle popolazioni in disprezzo al nuovo governo italiano che si era reso impopolare aumentando gli oneri fiscali e i prezzi del pane e del sale.
In questo clima di larghe simpatie la banda Mittiga rappresentava il simbolo del defunto regno borbonico.
Il Mittiga riuscì a mettersi in contatto con il Comitato Borbonico clandestino, sovvenzionato dallo stesso Francesco II che non si era ancora rassegnato alla perdita del Regno.
La banda Mittiga fece credere ai legittimisti di Francia e di Napoli che disponesse di forze ingenti sicché questi inviarono in Calabria il generale spagnolo Josè Bories con altri 22 ufficiali per inquadrare queste forze e dare un assetto organico.
Gli spagnoli sbarcarono a Brancaleone e Ferruzzano e, dopo essere stati a Bianco ospiti del convento dei Riformati, proseguirono per Cirella ove si incontrarono col Mittiga. Restarono però delusi alla visita di quelle poche forze male addestrate, alle quali si erano aggiunti delinquenti di ogni risma che assalirono Platì e fecero rubberie.
Il governo, che non voleva distogliere forze militari che si trovavano impegnate al confine con l’Austria, intervenne successivamente, pensando che il brigantaggio nell’Aspromonte potesse divenire pericoloso ed allargarsi alla provincia. Pertanto, inviò un gran numero di bersaglieri, al comando del maggior Rossi, che affrontò la banda e la decimò.
Il Mittiga trovò riparo in un mulino nei pressi del torrente Acone, ma, tradito dal mugnaio, fu ferito dai bersaglieri. Morì dissanguato in montagna dov’era fuggito. La sua test fu portata in giro, affissa ad un palo, per esempio alla popolazione.

Nota
La speranza è che la saga su Ferdinando Mittiga/Mittica non venga ad esaurirsi mai, a detrimento di storici ufficiali e sottufficiali, come diceva il principe De Curtis - magari ora si scopre che Totò era un nostalgico dei Borboni.


giovedì 17 novembre 2016

Morning has broken - Cat Stevens

Sweet the rain's new fall, sunlit from heaven
Like the first dewfall, on the first grass
Praise for the sweetness of the wet garden
Sprung in completeness where his feet pass
Cat Stevens, Mornig has broken

Nell'ombra: il nonno Luigi, la zia Amalia, la nonna Lisa e la mamma
al centro: la zia Gemma, nata Serafina, la zia Serafina e Saro
avanti: Pina e una signorina non identificata



da sinistra: la zia Iola, la mamma, la zia Pina, la zia Gemma, la zia Amalia
al centro: Maria e Luigi



Marilisa e Valentina



Lo zio Pepè

Il fondo Ernesto Gliozzi presso l'archivio diocesano a Locri






mercoledì 16 novembre 2016

Antonio di Padova, il Santo dei miracoli (reg. Giulio Antamoro - 1931)

Festa di S. Antonio

                          Cleppae
                              Celibato ab alterno
                                A puellis damnoto
                                        Et aeterno

Oggi il guercio scaccino dalle celle
Campanarie uno esteso suono effonde
E chiama a festa tutte le zitelle
Nel cui cuore “ il bel sogno “ si nasconde

Sogno d’amor, ma … più di matrimonio
Che avvampa dentro un vecchio o giovin cuore
E che sol può avverare Sant’Antonio
Che d’ogni matrimonio è Protettore

E in lieti gruppi sciaman speranzose
Verso il gran Santo, vergini sognanti
Candidi veli e zagare odorose
E poi collane d’oro scintillanti.

E reca ognuna ai piedi dell’altare
Ove troneggia di tra i ceri il Santo
Il suo cuore è stanco d’aspettare
Perché à aspettato tanto,tanto, tanto.

Timida presso al Santo, Caterina
Mormora trepida: o Antonio Santo
Perché ài fatto sposar la mia vicina
E me lasciasti nubile cotanto?

E un’altra al Simulacro ove si appresta
(è Concettina) o Santo Antonio mio,
anno venturo ti farò una festa
 se Tu fai sposar chi voglio io.

E vien la volta di una zitellona
Che il tempo un po’ sfiorì ma è ancor piacente
Fammi sposare …., a Cremona
A Napoli, a Perugia (…) splendente!

E sussurra una vedova accasciata
Con voce  semi rotta nelle strozze
Sono giovine ancor, fresca, attillata
Fammi passare Tu a seconde nozze.

E mentre un tal ritmo si sgrana
Il rosario di tali postulanti
il pio guercio scaccino alla campana
Si afferra e trae accenti più squillanti

Giù nella chiesa ancor con gran fervore
La folla che il grande Santo ancora osanna
Cercan marito e io pago all’esattore
Il celibato … e l’anima si danna

Giacomo Tassoni Oliva 

Nota
Don Giacomino fa rivivere per noi il paese e le sue devozioni con deliziose quartine, ognuna delle quali costruisce un piccolo filmato fiabesco.
Ovviamente il guercio scaccino era Micu l'orbu, abile campanaro e virtuoso all'armanium.



lunedì 14 novembre 2016

La tomba di Ligeia (reg. Roger Corman - 1964)


Quando i crepuscoli del sole morente mandano i loro ultimi pallidi bagliori, e la sera invita il tardo passeggero, che da lassù apparisce, ad affrettare il passo alla volta del suo ricovero; e l’ala stridente del falco o del nero corvo, che vi passa vicino, rapida fende l’aria, e raccoglie il volo sopra qualche rupe inaccessibile; quando l’ululo del gufo e il sinistro squittire della civetta, fosca abitatrice delle fessure di quelle muraglie, risuona, ad intervalli, lamentoso, il luogo diventa addirittura tragico.
L’ombra crescente, a misura che rende più indistinti i profili di quei vecchi avanzi, fa apparire più tenebrosi i recessi, ed in quelle cave sembra maturarsi qualche cosa di cupo e sinistro da agenti tenebrosi. Il lieve stormire delle foglie sembra il passo misterioso di qualcheduno che s’avvicini, e comunica brividi. Vaghi profili si disegnano nell’oscurità, e in mezzo a quelle ombre fosche l’occhio allucinato vede delinearsi una bianca veste verginale, slanciata e flessuosa che sorge da una tomba, mentre una testa nascosta da lunghissime chiome scomposte, che scendono fluttuanti fino al suolo, si disegna meglio.
Due mani stecchite allontanano lentamente il volume di capelli che nascondono il volto, ed apparisce una faccia pallidissima, di una vaporosa bellezza, i cui occhi sembrano di poco a poco svegliarsi da un sonno lunghissimo, e fissarvi con una espressione indefinibile, sinistra e tragica, mentre la bianca tunica, aprentesi d’improvviso, vi mostra un seno esuberante, su cui rosseggia una lunga striscia di sangue che stilla lentamente fino al suolo.
Vi sentireste tentati, vincendo lo stupore, d’interrogare quella strana vergine, bella di una eterea bellezza, ma la vostra voce non otterrebbe risposta alcuna; la vostra invocazione verrebbe accolta da un silenzio superbo.
L’aspetto di quell’apparizione ha parlato troppo, e nessuna umana favella potrebbero rendervi il senso profondo della sublime tragedia compitasi, più di trecento anni fa, lì, in quel luogo, dove un’anima nobilissima, una candida vergine, rapita all’affetto dei suoi cari dall’amore prepotente del signore di quel forte antico, si trapassava il seno con un coltello, anziché cedere all’amplesso tirannico.
E quella pallida ombra, ogni notte, a quell’ora, suole mostrare quivi il suo dolente aspetto, sorgendo dall’avello, che fra quelle mura medesime ergevale l’innamorato e pentito suo tiranno, tardo ammiratore di inaudita virtù.
E’ irriverenza disturbare quel sublime dolore; esso non vuole la parola umana incapace di descriverlo; il silenzio profondo e riverente del cuore è accettato meglio.
Ed ella si dilegua, mentre gemiti lugubri e repressi le tengono dietro, come di persona che la seguisse, di un altro fantasma che implorasse un perdono chiesto da secoli, e non mai concesso.
E’ verità? È leggenda, a prescindere dalla verità storica, pur vi può rappresentare, sebbene con più pallidi colori, la verace anima del passato.

Domenico Giampaolo,Un viaggio al Santuario di Polsi in Aspromonte, prima edizione 1913, ristampa, Grafiche Marafioti, Polistena 1976

Nota
Questa non è letteratura che si addice, o meglio, che può nascere da penna calabrese o nazionale, solo un visionario come Edgar Allan poteva riuscirvi. Né tanto meno può essere apprezzata dai nativi sanluchesi, meno tra tutti poteva essere gradita a Stefano De Fiores, eterno, contorto, mariologo. Eppure Domenico Giampaolo riuscì di trasfigurala sulle rive del Bonamico come Roger Corman trasfigurava, per conto dell’American International Pictures, Edgar Allan con i colori di Floyd Crosby. E vi dico, che certi passaggi di Domenico Giampaolo - rapito, prematuramente, all’affetto dei suoi cari dall’amore prepotente della Morte - li preferisco a interi racconti di Alvaro.




domenica 13 novembre 2016

Un americano in vacanza (reg. Luigi Zampa - 1945)


                                             DA PLATI’
Italiano che onora la patria all’estero
E’ qui giunto da pochi giorni, per trascorrervi una breve villeggiatura il nostro concittadino Thomas Marando accolto da tutti con le più vive e spontanee manifestazioni di simpatia. Egli ritorna  a rivedere il vecchio padre, la famiglia, i luoghi della sua infanzia irrequieta, dopo 28 anni di permanenza in America, la maggior parte trascorsi a Du Bois  in Pennsylvania. La vita di quest’ottimo  italiano è l’esempio tipico di ciò che l’uomo quando all’ingegno accoppia un cuore onesto e volontà e una volontà inflessibile.
Nato in Platì nel 1879 volle nel 1895 varcar l’oceano in cerca di fortuna.
Aveva sedici anni, un biglietto di terza classe e un desiderio immenso di salire.
Al ragazzo, sbalzato d’un tratto dalla quiete del nido familiare nel turbine babelico del nuovo mondo, i primi anni furono di una durezza indicibile, ma egli aveva in se la tempra del lottatore e seppe vincere con tenacia ogni ostacolo.
Riuscì, magnifico esempio di autodidattica, usufruendo dei ritagli di tempo che gli lasciava liberi il diuturno lavoro, a formarsi una cultura; divenne notaio pubblico, interprete, fondatore d’associazioni politiche, sempre apostolo fervente d’Italianità e di patriottismo. Popolarissimo nella nostra colonia della Pennsylvania, non c’è benefica iniziativa che non lo trovi pronto al valido contributo …
Conquistatasi col suo agile ingegno e col suo tenace lavoro una florida agiatezza, questo forte figlio della Calabria non esita a profonderla in tutte quelle opere da cui possa derivar decoro alla Patria.
Dotò la città di Dubois, ove risiede, di un ottimo concerto musicale che gli costò ben settantamila lire, ma che tien desto tra gli americani il massimo entusiasmo per l’arte italiana.
Con la sua opera sagace egli non si stanca di promuovere le associazioni politiche fra i nostri connazionali convinto che dall’unione e dalla disciplina scaturisce la forza necessaria per essere all’estero rispettati.
Gazzetta di Messina e delle Calabrie  6 Agosto 1924 pag. 2



giovedì 10 novembre 2016

Le fate (reg. Salce, Monicelli, Bolognini, Pietrangeli - 1966)


Caro Ciccillo
Ernesto è a letto con catarro e tosse. Non può né vuole viaggiare. Vi prego di non allarmarvi, perché la cosa è lieve; ma le conseguenze potrebbero essere grandi.
Procedete al fidanzamento come se tutti fossimo presenti e non mancherà il tempo in cui i nostri affetti saranno manifestati verso la buona fata che è Cata.
Augurii e buone cose.
Saluti per tutti ed affettuosità al fidanzato.
                                                                                                        Tuo aff zio
                                                                                                           Ernesto
Lì  19 – 1 – 46

Caro Ciccillo
Immagina se avrei  voluto venire ed assistere alla  cerimonia di oggi; ma Peppe quando è venuto aveva visto e saputo che non stavo tanto bene; poi mi ero rimesso; ma ora da tre giorni ho avuto di nuovo la febbre a … 38; stamane è a 37, ma non posso assolutamente viaggiare, anche per la debolezza: vogliatemi perciò perdonare e tenetemi come presente col mio consenso e coi miei più fervidi auguri. Spero rimettermi subito e venire domani ad otto.
Cara Cata
                  Dico a te quello che dico a Ciccillo, mentre ho negli occhi una lacrima di nostalgia. Ti abbraccio.

                 Tuo Ernesto





il primo

è l’atto di battesimo della mamma redatto il 24 marzo 1913 da

ego Franciscus Mittiga sacerdos aeconomus Ecclesia S. M. Lauretanae:
baptizzavi infantem natam die 20 (ma era nata l’ 1, come potete vedere dal secondo documento)
ex Aloisio Gliozzi
et Elisabetta Mittiga
coniugibus legitimis huius Parochiae
cui imposit fuit nomen Chatarina
Matrina fuit Seraphina Gliozzi
Pro fide, Ego F. Mittiga

Il secondo

È l’atto di matrimonio tra papà (commerciante) e mamma (casalinga) redatto dallo zio Ernesto il giovane (assente giustificato al fidanzamento), il quale officiò il rito
il 16 febbraio 1947 alle ore 16
Testimoni
Mimì Gelonesi fu Francesco di anni cinquantasei
e
Peppantoni Perri figlio di Pasquale di anni quarantatre
Le pubblicazioni ecclesiastiche furono eseguite nei giorni 21 gennaio e 2-9 febbraio 1947
e quelle civili dal 26 gennaio al 2 febbraio 1947.

SDG






Allodole sul filo (reg. Jirì Menzel - 1969)





                                                     ODE
                                 Allora quando, di spineti densa,
                                 -  covo selvaggio di selvagge vite -
                                 regnava questo luogo inospitale
                                                               sola, la morte,

                                 E da le scorze degli acuti pini,
                                 dai larici virenti e dai querceti,
                                 scendevan torme di silvestri ninfe,
                                                               di fauni e fate,

                                 Che qui,  nel terso gorgoglio de l' acque
                                 - sotto la fresca nostalgia de l' ombre -
                                  bagnavano le nere ed ondulate
                                                               capigliature...

                                  Allora appunto fu che ruppe, ansante,                                   
                                             tutto l' incanto d' una vecchia etate
                                  il pio muggito d'un torello in fuga
                                                                lungo, sonante.

                                  E con la forza di lunate corna,
                                 - come se dentro l' incitasse un nume -
                                  dove le fate si posavan prima,
                                                                 scavò la terra.

                                   Poi, quando apparve sulla nera zolla
                                   un Simbolo di Vita... il faticante
                                   suo lavoro sospese e, riverente,
                                                                 cadde in ginocchio.

                                   E non è questa quella Croce apparsa:
                                   ond' io  mi spiro a favellar con lode
                                   di quella gente che seguì le peste
                                                                  del pio torello?

                                  - Non è qui, forse, dove apparve - cinta
                                   d' arcana luce, una Regina quale
                                   voi la vedete e i secoli passati
                                                                   ci tramandaro?
                                   Una soave melodia da l' erme
                                   cime dei monti si partì. Le fate
                                   intesero quel canto e sprofondaro
                                                                     tutte sotterra…

                                   Sola regni Maria ! Come l' eterna                                         
                                   giovinezza d'un popolo t' onora!
                                   Come s' intreccia sulla tua divina
                                                                     fronte la lode!

                                   Palpita ancora, dentro le pareti
                                   di questa chiesa l' anima dei padri;
                                   dei forti padri che la fede ardente
                                                                      rese felici.

                                   E t' innalzaro nel prondo cuore
                                   de l' Aspromonte, viride e possente,
                                   una gentile, di bellezze onusta,
                                                                       mite chiesetta.

                                   Dove la massa dei fedeli scese
                                   ebbra di fede e risonaron queste
                                   valli feconde di sonori canti
                                                                        soavemente.

                                   Regni Maria - di nostra gente orgoglio
                                   Ed or che intorno palpita la vita;
                                   vita feconda di lavori umani 
                                                                        tendi l' orecchio.

                                   - Quali clamori a te portano questi                                       
                                   fili di ferro, (*) che le nevi intatte
                                   sorvolano, e tu senti ed annuisci
                                                                         dolce Regina?

                                  - Oh, non è vero che fratelli tutti
                                   ci vuol la Madre, onde ci cinge e lega
                                   con questi fili, e per sentir le preci
                                                                         di tutto il mondo?

                                   Ed è per questo che le braccia tendo
                                   a l' amplesso soave de l' amore;
                                   a tutti quanti non conosco ed amo
                                                                          dico: Salvete!

                              Ernesto Gliozzi il vecchio


Nota
Quest’ode (con qualche modifica) è già apparsa agli albori di queste pubblicazioni; oggi torna alla luce nell'edizione sua originale apparsa, come la foto, sulla rivista POPSIS Anno III, Numero 1-2, 1912.
Al di là dell’argomento mistico-religioso,che accetta la cultura e la mitologia greco-romana, non posso che farvi notare l’ispirazione, quasi canora, come l’influenza metrica carducciana, che partecipano a far volare in alto, nella volta celeste, l’ode. Come, anche, ricordare quell'epoca di forti influssi intellettuali che travalicava il paese. Passed away, forgot …  all!