Polsi oggi pomeriggio 21 novembre 2016, 02:29:58
"Sono come un ontano del fiume, le mie radici sono fisse e profonde" Mikio Naruse, 1958
domenica 20 novembre 2016
venerdì 18 novembre 2016
Vamos a matar compañeros (reg. Sergio Corbucci - 1970)
Pintaremos de rojo sol y cielo
Segio Corbucci, Vamos a matar compañeros
PLATI’, 9 – Cento anni or sono il territorio di Platì fu teatro di azioni brigantesche ad opera di Ferdinando Mittiga. Giovane appartenente a modesta famiglia e dotato di forte coraggio, riuscì a costituire una banda di molte persone reclutate nei paesi vicini.
Le sue imprese brigantesche erano una conseguenza della questione politico-agraria che travagliava il Meridione, sicché erano ben viste dalle popolazioni in disprezzo al nuovo governo italiano che si era reso impopolare aumentando gli oneri fiscali e i prezzi del pane e del sale.
In questo clima di larghe simpatie la banda Mittiga rappresentava il simbolo del defunto regno borbonico.
Il Mittiga riuscì a mettersi in contatto con il Comitato Borbonico clandestino, sovvenzionato dallo stesso Francesco II che non si era ancora rassegnato alla perdita del Regno.
La banda Mittiga fece credere ai legittimisti di Francia e di Napoli che disponesse di forze ingenti sicché questi inviarono in Calabria il generale spagnolo Josè Bories con altri 22 ufficiali per inquadrare queste forze e dare un assetto organico.
Gli spagnoli sbarcarono a Brancaleone e Ferruzzano e, dopo essere stati a Bianco ospiti del convento dei Riformati, proseguirono per Cirella ove si incontrarono col Mittiga. Restarono però delusi alla visita di quelle poche forze male addestrate, alle quali si erano aggiunti delinquenti di ogni risma che assalirono Platì e fecero rubberie.
Il governo, che non voleva distogliere forze militari che si trovavano impegnate al confine con l’Austria, intervenne successivamente, pensando che il brigantaggio nell’Aspromonte potesse divenire pericoloso ed allargarsi alla provincia. Pertanto, inviò un gran numero di bersaglieri, al comando del maggior Rossi, che affrontò la banda e la decimò.
Il Mittiga trovò riparo in un mulino nei pressi del torrente Acone, ma, tradito dal mugnaio, fu ferito dai bersaglieri. Morì dissanguato in montagna dov’era fuggito. La sua test fu portata in giro, affissa ad un palo, per esempio alla popolazione.
Nota
La speranza è che la saga su Ferdinando Mittiga/Mittica non venga ad esaurirsi mai, a detrimento di storici ufficiali e sottufficiali, come diceva il principe De Curtis - magari ora si scopre che Totò era un nostalgico dei Borboni.
Giro
d’orizzonte sulla Calabria minore
Il progresso
non passa per Platì
LA TRIBUNA DEL MEZZOGIORNO Giovedì 10 gennaio 1963
A cura di Antonio
Delfino
Ferdinando Mittiga brigante borbonico
PLATI’, 9 – Cento anni or sono il territorio di Platì fu teatro di azioni brigantesche ad opera di Ferdinando Mittiga. Giovane appartenente a modesta famiglia e dotato di forte coraggio, riuscì a costituire una banda di molte persone reclutate nei paesi vicini.
Le sue imprese brigantesche erano una conseguenza della questione politico-agraria che travagliava il Meridione, sicché erano ben viste dalle popolazioni in disprezzo al nuovo governo italiano che si era reso impopolare aumentando gli oneri fiscali e i prezzi del pane e del sale.
In questo clima di larghe simpatie la banda Mittiga rappresentava il simbolo del defunto regno borbonico.
Il Mittiga riuscì a mettersi in contatto con il Comitato Borbonico clandestino, sovvenzionato dallo stesso Francesco II che non si era ancora rassegnato alla perdita del Regno.
La banda Mittiga fece credere ai legittimisti di Francia e di Napoli che disponesse di forze ingenti sicché questi inviarono in Calabria il generale spagnolo Josè Bories con altri 22 ufficiali per inquadrare queste forze e dare un assetto organico.
Gli spagnoli sbarcarono a Brancaleone e Ferruzzano e, dopo essere stati a Bianco ospiti del convento dei Riformati, proseguirono per Cirella ove si incontrarono col Mittiga. Restarono però delusi alla visita di quelle poche forze male addestrate, alle quali si erano aggiunti delinquenti di ogni risma che assalirono Platì e fecero rubberie.
Il governo, che non voleva distogliere forze militari che si trovavano impegnate al confine con l’Austria, intervenne successivamente, pensando che il brigantaggio nell’Aspromonte potesse divenire pericoloso ed allargarsi alla provincia. Pertanto, inviò un gran numero di bersaglieri, al comando del maggior Rossi, che affrontò la banda e la decimò.
Il Mittiga trovò riparo in un mulino nei pressi del torrente Acone, ma, tradito dal mugnaio, fu ferito dai bersaglieri. Morì dissanguato in montagna dov’era fuggito. La sua test fu portata in giro, affissa ad un palo, per esempio alla popolazione.
Nota
La speranza è che la saga su Ferdinando Mittiga/Mittica non venga ad esaurirsi mai, a detrimento di storici ufficiali e sottufficiali, come diceva il principe De Curtis - magari ora si scopre che Totò era un nostalgico dei Borboni.
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I Love Platì,
Totu Delfino
giovedì 17 novembre 2016
Morning has broken - Cat Stevens
Sweet the rain's new fall, sunlit from heaven
Like the first dewfall, on the first grass
Praise for the sweetness of the wet garden
Sprung in completeness where his feet pass
Cat Stevens, Mornig has broken
Nell'ombra: il nonno Luigi, la zia Amalia, la nonna Lisa e la mamma
al centro: la zia Gemma, nata Serafina, la zia Serafina e Saro
avanti: Pina e una signorina non identificata
da sinistra: la zia Iola, la mamma, la zia Pina, la zia Gemma, la zia Amalia
al centro: Maria e Luigi
Marilisa e Valentina
Lo zio Pepè
Il fondo Ernesto Gliozzi presso l'archivio diocesano a Locri
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Ciurrame,
Once upon a time in Platì,
u satturi
mercoledì 16 novembre 2016
Antonio di Padova, il Santo dei miracoli (reg. Giulio Antamoro - 1931)
Festa
di S. Antonio
Cleppae
Celibato ab
alterno
A puellis
damnoto
Et
aeterno
Oggi il guercio scaccino dalle celle
Campanarie uno esteso suono effonde
E chiama a festa tutte le zitelle
Nel cui cuore “ il bel sogno “ si nasconde
Sogno d’amor, ma … più di matrimonio
Che avvampa dentro un vecchio o giovin cuore
E che sol può avverare Sant’Antonio
Che d’ogni matrimonio è Protettore
E in lieti gruppi sciaman speranzose
Verso il gran Santo, vergini sognanti
Candidi veli e zagare odorose
E poi collane d’oro scintillanti.
E reca ognuna ai piedi dell’altare
Ove troneggia di tra i ceri il Santo
Il suo cuore è stanco d’aspettare
Perché à aspettato tanto,tanto, tanto.
Timida presso al Santo, Caterina
Mormora trepida: o Antonio Santo
Perché ài fatto sposar la mia vicina
E me lasciasti nubile cotanto?
E un’altra al Simulacro ove si appresta
(è Concettina) o Santo Antonio mio,
anno venturo ti farò una festa
se Tu fai sposar chi voglio io.
E vien la volta di una zitellona
Che il tempo un po’ sfiorì ma è ancor piacente
Fammi sposare …., a Cremona
A Napoli, a Perugia (…) splendente!
E sussurra una vedova accasciata
Con voce semi rotta nelle
strozze
Sono giovine ancor, fresca, attillata
Fammi passare Tu a seconde nozze.
E mentre un tal ritmo si sgrana
Il rosario di tali postulanti
il pio guercio scaccino alla campana
Si afferra e trae accenti più squillanti
Giù nella chiesa ancor con gran fervore
La folla che il grande Santo ancora osanna
Cercan marito e io pago all’esattore
Il celibato … e l’anima si danna
Giacomo Tassoni Oliva
Nota
Don Giacomino fa rivivere per noi il paese e le sue devozioni con deliziose quartine, ognuna delle quali costruisce un piccolo filmato fiabesco.
Ovviamente il guercio scaccino era Micu l'orbu, abile campanaro e virtuoso all'armanium.
martedì 15 novembre 2016
lunedì 14 novembre 2016
La tomba di Ligeia (reg. Roger Corman - 1964)
Quando i crepuscoli del sole morente mandano i loro ultimi pallidi
bagliori, e la sera invita il tardo passeggero, che da lassù apparisce, ad
affrettare il passo alla volta del suo ricovero; e l’ala stridente del falco o
del nero corvo, che vi passa vicino, rapida fende l’aria, e raccoglie il volo
sopra qualche rupe inaccessibile; quando l’ululo del gufo e il sinistro
squittire della civetta, fosca abitatrice delle fessure di quelle muraglie, risuona,
ad intervalli, lamentoso, il luogo diventa addirittura tragico.
L’ombra crescente, a misura che rende più indistinti i profili di quei
vecchi avanzi, fa apparire più tenebrosi i recessi, ed in quelle cave sembra
maturarsi qualche cosa di cupo e sinistro da agenti tenebrosi. Il lieve
stormire delle foglie sembra il passo misterioso di qualcheduno che s’avvicini,
e comunica brividi. Vaghi profili si disegnano nell’oscurità, e in mezzo a
quelle ombre fosche l’occhio allucinato vede delinearsi una bianca veste
verginale, slanciata e flessuosa che sorge da una tomba, mentre una testa
nascosta da lunghissime chiome scomposte, che scendono fluttuanti fino al
suolo, si disegna meglio.
Due mani stecchite allontanano lentamente il volume di capelli che
nascondono il volto, ed apparisce una faccia pallidissima, di una vaporosa
bellezza, i cui occhi sembrano di poco a poco svegliarsi da un sonno
lunghissimo, e fissarvi con una espressione indefinibile, sinistra e tragica,
mentre la bianca tunica, aprentesi d’improvviso, vi mostra un seno esuberante,
su cui rosseggia una lunga striscia di sangue che stilla lentamente fino al
suolo.
Vi sentireste tentati, vincendo lo stupore, d’interrogare quella strana
vergine, bella di una eterea bellezza, ma la vostra voce non otterrebbe
risposta alcuna; la vostra invocazione verrebbe accolta da un silenzio superbo.
L’aspetto di quell’apparizione ha parlato troppo, e nessuna umana
favella potrebbero rendervi il senso profondo della sublime tragedia compitasi,
più di trecento anni fa, lì, in quel luogo, dove un’anima nobilissima, una
candida vergine, rapita all’affetto dei suoi cari dall’amore prepotente del
signore di quel forte antico, si trapassava il seno con un coltello, anziché
cedere all’amplesso tirannico.
E quella pallida ombra, ogni notte, a quell’ora, suole mostrare quivi
il suo dolente aspetto, sorgendo dall’avello, che fra quelle mura medesime
ergevale l’innamorato e pentito suo tiranno, tardo ammiratore di inaudita
virtù.
E’ irriverenza disturbare quel sublime dolore; esso non vuole la parola
umana incapace di descriverlo; il silenzio profondo e riverente del cuore è
accettato meglio.
Ed ella si dilegua, mentre gemiti lugubri e repressi le tengono dietro,
come di persona che la seguisse, di un altro fantasma che implorasse un perdono
chiesto da secoli, e non mai concesso.
E’ verità? È leggenda, a prescindere dalla verità storica, pur vi può
rappresentare, sebbene con più pallidi colori, la verace anima del passato.
Domenico Giampaolo,Un viaggio al Santuario di Polsi in
Aspromonte, prima edizione 1913, ristampa, Grafiche Marafioti, Polistena
1976
Nota
Questa non è letteratura che si addice, o meglio, che può nascere da penna
calabrese o nazionale, solo un visionario come Edgar Allan poteva riuscirvi. Né tanto meno può essere apprezzata
dai nativi sanluchesi, meno tra tutti poteva essere gradita a Stefano De Fiores,
eterno, contorto, mariologo. Eppure Domenico Giampaolo riuscì di trasfigurala
sulle rive del Bonamico come Roger Corman trasfigurava, per conto dell’American International Pictures,
Edgar Allan con i colori di Floyd Crosby. E vi dico, che certi passaggi di
Domenico Giampaolo - rapito, prematuramente, all’affetto dei suoi cari dall’amore prepotente della Morte - li preferisco a interi racconti di Alvaro.
domenica 13 novembre 2016
Un americano in vacanza (reg. Luigi Zampa - 1945)
DA PLATI’
Italiano che onora la patria all’estero
E’ qui giunto da pochi giorni, per trascorrervi una breve villeggiatura
il nostro concittadino Thomas Marando accolto da tutti con le più vive e
spontanee manifestazioni di simpatia. Egli ritorna a rivedere il vecchio padre, la famiglia, i
luoghi della sua infanzia irrequieta, dopo 28 anni di permanenza in America, la
maggior parte trascorsi a Du Bois in Pennsylvania. La vita di quest’ottimo italiano è l’esempio tipico di ciò che l’uomo
quando all’ingegno accoppia un cuore onesto e volontà e una volontà
inflessibile.
Nato in Platì nel 1879 volle nel 1895 varcar l’oceano in cerca di
fortuna.
Aveva sedici anni, un biglietto di terza classe e un desiderio immenso
di salire.
Al ragazzo, sbalzato d’un tratto dalla quiete del nido familiare nel
turbine babelico del nuovo mondo, i primi anni furono di una durezza
indicibile, ma egli aveva in se la tempra del lottatore e seppe vincere con
tenacia ogni ostacolo.
Riuscì, magnifico esempio di autodidattica, usufruendo dei ritagli di
tempo che gli lasciava liberi il diuturno lavoro, a formarsi una cultura;
divenne notaio pubblico, interprete, fondatore d’associazioni politiche, sempre
apostolo fervente d’Italianità e di patriottismo. Popolarissimo nella nostra
colonia della Pennsylvania, non c’è benefica iniziativa che non lo trovi pronto
al valido contributo …
Conquistatasi col suo agile ingegno e col suo tenace lavoro una florida
agiatezza, questo forte figlio della Calabria non esita a profonderla in tutte
quelle opere da cui possa derivar decoro alla Patria.
Dotò la città di Dubois, ove risiede, di un ottimo concerto musicale
che gli costò ben settantamila lire, ma che tien desto tra gli americani il
massimo entusiasmo per l’arte italiana.
Con la sua opera sagace egli non si stanca di promuovere le
associazioni politiche fra i nostri connazionali convinto che dall’unione e
dalla disciplina scaturisce la forza necessaria per essere all’estero
rispettati.
Gazzetta di Messina e delle
Calabrie 6 Agosto 1924 pag. 2
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Once upon a time in Platì
giovedì 10 novembre 2016
Le fate (reg. Salce, Monicelli, Bolognini, Pietrangeli - 1966)
Caro Ciccillo
Ernesto è a letto con catarro e tosse. Non può né vuole viaggiare. Vi
prego di non allarmarvi, perché la cosa è lieve; ma le conseguenze potrebbero
essere grandi.
Procedete al fidanzamento come se tutti fossimo presenti e non mancherà
il tempo in cui i nostri affetti saranno manifestati verso la buona fata che è
Cata.
Augurii e buone cose.
Saluti per tutti ed affettuosità al fidanzato.
Tuo
aff zio
Ernesto
Lì 19 – 1 – 46
Caro Ciccillo
Immagina se avrei voluto venire
ed assistere alla cerimonia di oggi; ma
Peppe quando è venuto aveva visto e saputo che non stavo tanto bene; poi mi ero
rimesso; ma ora da tre giorni ho avuto di nuovo la febbre a … 38; stamane è a
37, ma non posso assolutamente viaggiare, anche per la debolezza: vogliatemi
perciò perdonare e tenetemi come presente col mio consenso e coi miei più
fervidi auguri. Spero rimettermi subito e venire domani ad otto.
Cara Cata
Dico a te
quello che dico a Ciccillo, mentre ho negli occhi una lacrima di nostalgia. Ti
abbraccio.
Tuo
Ernesto
il primo
è l’atto di battesimo della mamma redatto il 24 marzo 1913 da
ego Franciscus Mittiga
sacerdos aeconomus Ecclesia S. M.
Lauretanae:
baptizzavi infantem natam die 20
(ma era nata l’ 1, come potete vedere dal secondo documento)
ex Aloisio Gliozzi
et Elisabetta Mittiga
coniugibus legitimis huius
Parochiae
cui imposit fuit nomen Chatarina
Matrina fuit Seraphina Gliozzi
Pro fide, Ego F. Mittiga
Il secondo
È l’atto di matrimonio tra papà (commerciante) e mamma (casalinga)
redatto dallo zio Ernesto il giovane (assente giustificato al fidanzamento), il quale officiò il rito
il 16 febbraio 1947 alle ore 16
Testimoni
Mimì Gelonesi fu Francesco
di anni cinquantasei
e
Peppantoni Perri figlio di
Pasquale di anni quarantatre
Le pubblicazioni ecclesiastiche furono eseguite nei giorni 21 gennaio e
2-9 febbraio 1947
e quelle civili dal 26 gennaio al 2 febbraio 1947.
SDG
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Ernesto Gliozzi Jun,
Ernesto Gliozzi Sen
Allodole sul filo (reg. Jirì Menzel - 1969)
ODE
Allora quando,
di spineti densa,
- covo selvaggio di selvagge vite -
regnava questo
luogo inospitale
sola, la morte,
E da le scorze
degli acuti pini,
dai larici
virenti e dai querceti,
scendevan torme di silvestri
ninfe,
di fauni e fate,
Che qui, nel terso gorgoglio de l' acque
- sotto la
fresca nostalgia de l' ombre -
bagnavano le
nere ed ondulate
capigliature...
Allora
appunto fu che ruppe, ansante,
tutto l' incanto d' una vecchia etate
il pio
muggito d'un torello in fuga
lungo, sonante.
E con la
forza di lunate corna,
- come se
dentro l' incitasse un nume -
dove le fate
si posavan prima,
scavò la terra.
Poi, quando
apparve sulla nera zolla
un Simbolo
di Vita... il faticante
suo lavoro
sospese e, riverente,
cadde in ginocchio.
E non è
questa quella Croce apparsa:
ond' io mi spiro a favellar con lode
di quella gente che seguì le peste
del pio torello?
- Non è qui,
forse, dove apparve - cinta
d' arcana
luce, una Regina quale
voi la
vedete e i secoli passati
ci tramandaro?
Una soave
melodia da l' erme
cime dei monti si partì. Le fate
intesero
quel canto e sprofondaro
tutte sotterra…
Sola regni
Maria ! Come l' eterna
giovinezza
d'un popolo t' onora!
Come s'
intreccia sulla tua divina
fronte la lode!
Palpita
ancora, dentro le pareti
di questa
chiesa l' anima dei padri;
dei forti
padri che la fede ardente
rese
felici.
E t'
innalzaro nel prondo cuore
de l'
Aspromonte, viride e possente,
una gentile,
di bellezze onusta,
mite chiesetta.
Dove la
massa dei fedeli scese
ebbra di
fede e risonaron queste
valli feconde di
sonori canti
soavemente.
Regni Maria
- di nostra gente orgoglio
Ed or che
intorno palpita la vita;
vita feconda
di lavori umani
tendi l' orecchio.
- Quali
clamori a te portano questi
fili di
ferro, (*)
che le nevi intatte
sorvolano, e
tu senti ed annuisci
dolce Regina?
- Oh, non è
vero che fratelli tutti
ci vuol la
Madre, onde ci cinge e lega
con questi
fili, e per sentir le preci
di
tutto il mondo?
Ed è per
questo che le braccia tendo
a l'
amplesso soave de l' amore;
a tutti
quanti non conosco ed amo
dico: Salvete!
Nota
Quest’ode (con qualche modifica) è già apparsa agli albori di queste
pubblicazioni; oggi torna alla luce nell'edizione sua originale apparsa, come
la foto, sulla rivista POPSIS Anno III, Numero 1-2, 1912.
Al di là dell’argomento mistico-religioso,che accetta la cultura e la mitologia greco-romana, non posso che farvi notare
l’ispirazione, quasi canora, come l’influenza metrica carducciana, che
partecipano a far volare in alto, nella volta celeste, l’ode. Come, anche, ricordare
quell'epoca di forti influssi intellettuali che travalicava il paese. Passed
away, forgot … all!
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