Questa è un'istantanea di poche ore addietro. Come il precedente
post della serie Ricorda il
mio nome, un certificato, unico nel suo genere, redatto dallo zio Ernesto
il giovane, questo è un attestato, estremo. E’ un’intera tribù, e spero che
nessuno mi fraintenda, che viene riconosciuta e che si riconosce intorno ad un
iperonimo, secondo la Treccani. Ed in questo momento tutta la famiglia Gliozzi
è accanto al dolore dei Sergi perché ultimi abili coltivatori del fondo Sfales.
domenica 11 settembre 2016
venerdì 9 settembre 2016
Vittime del peccato (reg. Emilio Fernandez - 1950)
Platì
9 Settembre 1938 – XVI°
Sig/ OLIVA PASQUALINO fu FILIPPO
P L A T I’
In merito alla richiesta fattami non posso dirvi altro che questo:
Ricordo benissimo che nel Gennaio dell’anno 1933, allorché ero
Commissario Prefettizio di questo Comune, mi venne dalla R. Prefettura rimessa,
con lettera di raccomandazione portante il N° 44081 Prot/ una vostra istanza
diretta al Duce con la quale lamentavate di essere voi ed i vostri fratelli vittime
di pressioni e di molestie contro di voi esercitate dal Sig/ Mercurio Alberto e
dalla Sig/ra Lentini Rachele.
Ricordo pure che, avendo assunte le necessarie informazioni, le vostre
lagnanze mi risultarono fondate e giuste le vostre apprensioni e preoccupazioni;
per la qual cosa, non avendo potuto diffidare personalmente il Sig/ Mercurio,
perché in quei giorni si era allontanato da Platì; incaricai il Maresciallo
Delfino dei RR: CC: di sorvegliare il Mercurio e di diffidare anche la Sig/ra
Lentini, onde evitarvi ulteriori noie da parte dei medesimi i quali
forzosamente volevano interessarsi ed intervenire nei fatti della vostra
amministrazione.
Non posso assicurarvi oggi se la risposta data alla R. Prefettura in
copia nell’ufficio Comunale; ma solo posso dirvi che il vostro esposto fu ad
Essa restituito con le relative informazioni richiestemi. Saluti fascisti.
f.to Francesco Perone
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Once upon a time in Platì
giovedì 8 settembre 2016
Madadayo il compleanno (reg. Akira Kurosawa - 1993)
Otto settembre
La memoria storica
comune dell’8 settembre di certo non coincide con la mia storia di
bambina.
La notte precedente la passavo in uno stato di dormiveglia misto di
tensione e sicurezza. Non dormivo profondamente perché mi piaceva ascoltare,
nella via non illuminata, il passaggio e il vociare sommesso e le cantilene
votive dei pellegrini che andavano a Polsi.
Quei pellegrini che camminavano nella notte mi facevano un po’ paura e
quindi mi dava sicurezza il dormire nella camera dei nonni.
A volte dormivo abbracciata a mia nonna.
Mia nonna che quel giorno festeggiava il suo compleanno.
Tutti festeggiavamo il suo
compleanno.
Venivano le zie da Messina e da S Eufemia con i cugini, si cominciava a
cucinare la mattina presto, a friggere melanzane e arrotolare involtini. Era
l’ultima festa dell’estate nella nostra famiglia.
Nel solaio già si diffondeva il
profumo delle sorbe e dei fichi d'india che avremmo consumato in inverno, le
giornate non erano avvampate, l’aria era di solito più fresca e in chiesa dove
andavamo per la messa mia nonna non usava più il ventaglio e non odorava la
boccettina della “Violetta di Parma”
Questo è un contributo di mia sorella Maria, nella foto con lo zio Pepè, che ha alle spalle, il portone, ancora non lo sapeva, da dove sarebbe uscita Annina la sua sposa. Poche righe per un mondo di immagini che permangono nonostante una realtà evaporata. Come il paese che non è più!
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u satturi
mercoledì 7 settembre 2016
Fiori d'equinozio (reg. Yasujiro Ozu - 1958)
Lo so... Una foto,
qualsiasi foto, forse poco c'entra con la storia del Seicento calabrese ma non
resisto al bisogno di parlarne dal lato dell'umanità, di quello che una foto da
e che, forse, addirittura riceve.
Un paio di giorni fa mi invitano a Platì a vedere una mostra sull'emigrazione dei platiesi. Un diluvio di foto, una quantità incalcolabile di occhi, cravatte, case, aratri, giardini, scarpe e calandrelle, benessere e malessere, vissuto qui e altrove... Calabria, Merica e Austraglia. Calau a hiumara, questo ho pensato. E' una fiumara in piena che porta a valle ricordi a migliaia sciolti nella lava della nostalgia, del rimpianto, dell'estraneità, dell'oblio, della trascuranza e del pianto. Poi mi fermo davanti a una foto. Una foto trattata per essere esposta con il tracciato di una associazione culturale che la attraversa e poi colle, cartoncino. Quella foto mi guarda, mi impressiona come fossi un vecchio rullino, mi acchiappa lo stomaco e non mi molla. Quella foto mi trasferisce come un modem emotivo dolori, speranze, illusioni, desideri, volontà. Non hanno un nome ma io le sento. E' una fiumara che cala. Cala verso di me. Nove persone e un bambino. Un'infante che si agita inconsapevole forse della rotazione planetaria che ha attorno. Sua madre mi guarda. E' lei la mediatrice, l'ambasciatore emozionale. Il suo sguardo rappresenta quello di tutti gli altri, li raccoglie li racconta. Io sento di sapere tutto di lei. Di nulla vi saprei parlare ma io tutto so. Quello sguardo non perdona un allontanamento, non tollera l'abbandono, non accetta lontananze, vuole portarmi dentro un mondo che è vivo ma è là dentro.
"Ettore... Veni... Mbivimu 'acchi cosa..." E' Mimmo che mi sveglia. Mi chiama fuori. Platì è il suo paese. Il mio è in quella foto
Un paio di giorni fa mi invitano a Platì a vedere una mostra sull'emigrazione dei platiesi. Un diluvio di foto, una quantità incalcolabile di occhi, cravatte, case, aratri, giardini, scarpe e calandrelle, benessere e malessere, vissuto qui e altrove... Calabria, Merica e Austraglia. Calau a hiumara, questo ho pensato. E' una fiumara in piena che porta a valle ricordi a migliaia sciolti nella lava della nostalgia, del rimpianto, dell'estraneità, dell'oblio, della trascuranza e del pianto. Poi mi fermo davanti a una foto. Una foto trattata per essere esposta con il tracciato di una associazione culturale che la attraversa e poi colle, cartoncino. Quella foto mi guarda, mi impressiona come fossi un vecchio rullino, mi acchiappa lo stomaco e non mi molla. Quella foto mi trasferisce come un modem emotivo dolori, speranze, illusioni, desideri, volontà. Non hanno un nome ma io le sento. E' una fiumara che cala. Cala verso di me. Nove persone e un bambino. Un'infante che si agita inconsapevole forse della rotazione planetaria che ha attorno. Sua madre mi guarda. E' lei la mediatrice, l'ambasciatore emozionale. Il suo sguardo rappresenta quello di tutti gli altri, li raccoglie li racconta. Io sento di sapere tutto di lei. Di nulla vi saprei parlare ma io tutto so. Quello sguardo non perdona un allontanamento, non tollera l'abbandono, non accetta lontananze, vuole portarmi dentro un mondo che è vivo ma è là dentro.
"Ettore... Veni... Mbivimu 'acchi cosa..." E' Mimmo che mi sveglia. Mi chiama fuori. Platì è il suo paese. Il mio è in quella foto
Il testo, mediato da Francesco di Raimondo, è
di Ettore Castagna, gioviale antropologo culturale e pubblicato su Facebook il 23 agosto con il titolo Il deogramma note per un romanzo.
Tutto è accaduto il 20
agosto scorso nella sala che fu Cinema Loreto di Platì. Per parte mia restai meravigliato
a scoprirlo rifotografare la foto in oggetto - quello sguardo non perdona un allontanamento, non tollera l'abbandono,
non accetta lontananze - che per me è il simbolo del mio DNA. A Ettore
Castagna quella sera ho voluto regalare, sotto una fioca luce, la visione del
teatro di posa, e quel che rimane, dove la foto venne scattata.
Nell’alba di questi lavori
la foto, con altre era stata pubblicata qui:
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Once upon a time in Platì
martedì 6 settembre 2016
Fuochi di gioia (reg. Jacques Houssin - 1938)
Mentre a Polsi esplodevano luci e rumori di tutti i generi, io scoprivo questo testo, conservato nella biblioteca Gliozzi, dove la magia della festa era ricreata con i colori vividi della scrittura.
Ma nell’occorrenza della solennità del settembre ogni contemplazione,
all’arrivo, è fugata dal rimbombo dei continui spari assordanti, e dai mille
rumori confusi e indistinti che salgono fin lassù, da un mare di esseri umani
formicolanti in quel fondo e sotto l’ombra degli ampi castagni, mentre la lunga
via serpeggiante dalla parte opposta, e proveniente da Platì e dai paesi del
versante di là, si mostra all’occhio brulicante di muli carichi e di
passeggeri, che scendono al Santuario come una lunga processione di formiche,
la cui coda e ancor sulla cresta del monte, mentre il capo sta per arrivare al
Convento, noi, all’estremo della compagnia di quest’altro lato, vediamo
la testa della nostra comitiva discendente arrivare e confondersi con l’immensa
folla delirante laggiù, a guisa della testa di un fiume che mette foce sulle
onde di un mare fremente.
Domenico Giampaolo,Un viaggio al Santuario di Polsi in
Aspromonte, prima edizione 1913, ristampa, Grafiche Marafioti, Polistena
1976
mercoledì 31 agosto 2016
Ricorda il mio nome
PARROCCHIA S. MARIA DI LORETO
piazza Duomo 3 P L A T I' ( RC )
Il Parroco di S. Maria di Loreto in Platì
(RC), visti gli Atti Ufficio,
C E R T I F I C A
che, nei riguardi di TRIMBOLI
DOMENICO, nato a Platì ( RC ) il
sposato a con PELLE MARIANTONIA, nata a Benestare ( RC ) il,
nell' Atto di Battesimo di TRIMBOLI PASQUALE, nato a Platì il
si legge essere figlio di TRIMBOLI DOMENICO di Pasquale, VAJANA e di
Pelle Mariantonia di Giuseppe (Lib. Batt. XV, 146).
La medesima annotazione di VAJANA si legge, fra gli altri, nell' Atto
di Battesimo dei figli ANNA ( ib. XV, 283), GIUSEPPA (ib. XVI,86), MARIA (ib.
XVI,192), NATALE (ib. XVI, 293), ROSA (ib.XVII,21).
Donde legittimamente si
desume che il citato TRIMBOLI DOMENICO, secondo l'usanza tuttora vigente a
Platì, aveva il soprannome di V A J A N
A, poi tramandato ai suoi discendenti.
Il presente certificato, redatto in
carta libera, viene rilasciato per uso consentito dalla legge.
In fede......
Platì, 28.12.1995.
IL PARROCO
(sac.
Ernesto Gliozzi )
lunedì 29 agosto 2016
Fra Diavolo - redux - (reg. Roberto Roberti Leone - 1925)
Lo chiamavano Caci
Novella
Egli è un personaggio misterioso. I monelli del paese gli affibbiarono un nome strambo d’un significato tutto proprio che un poliglotta coi fiocchi non ti saprebbe dire a quale lingua appartenesse.
Lo chiamavano Caci.
Le mamme si servivano del suo nome per tenere a freno i figliuoli, come ne la Spagna una volta i comprachicos erano lo spauracchio dei bimbi. – Veh ti porto da Caci – dicevano. E i bimbi strillavano, si nascondevano, piangevano i poverini! Ed avevano ragione .
Sul conto del povero Caci s’era fatto un monte di corbellerie: lo dicevano ateo, scomunicato, Makammetta in persona e non mancavano delle lingue di fuori che lo battezzavano figlio del Diavolo addirittura.
Io queste cose non le credo.
Una volta su l’Ave Maria lo videro con una canna in mano prendere la via del fiume: andava a far pesca d’anguille. I maligni non si orizzontarono su questo punto e dissero che andava a contrattare con suo padre il Diavolo.
La paura dei bimbi cresceva, Caci vedeva sempre più ingigantirsi il vuoto d’intorno e le donne avevano imparato un’altra: si segnavano quando lo vedevano passare.
Eppure Caci in fondo in fondo non era malo. Se non andava in chiesa aveva le sue millanta ragioni a non andarvi… Egli una volta era dalla camicia rossa, non aveva imparato a trattare i santi da suoi pari, né si lasciava posare mosca a naso. – Se i santi non mi rispettano – diceva – io non li rispetto.
E un giorno mise alla porta un tale che questuava per la festa di San Rocco, perché il santo non l’aveva liberato d’un ascesso. – Va via, - gli disse – mascalzone, non ti do niente. Il popolino rimase sbigottito da questo fatto aspettando sospeso il castigo del santo.
Due giorni dopo Caci era agonizzante:
Le donne gioivano, i monelli passavano fuggendo e lanciando sassi sulla porta dell’ammalato che si dibatteva tra i tentacoli della morte.
Don Saverio il parroco si decise d’andare.
Di fatti una mattina i monello lo videro entrare nella casa dell’ammalato e a bocca aperta rimasero ad aspettarlo per vedere se uscisse sano.
Don Saverio uscì raggiante di gioia.
Un momento dopo le campane suonavano a storno, i ragazzi in chiesa si bisticciavano; chi voleva l’ombrello, chi le lanterne per accompagnare il S.S. – Si portava il viatico a Caci.
Quando la processione arrivò alla porta dell’ammalato tutti s’inginocchiarono; don Saverio entrò accompagnato dai bimbi con le lanterne che ancora tremavano a verga.
A l’apparire del parroco Caci, con uno sforzo, si rizzò in mezzo al letto, le lacrime gli rigavano il viso: era calmo, sereno, ispirato. - Padre, - disse con voce fiacca, - io non son degno di ricevere nel mio petto il re del cielo. – Figlio – rispose il prete appressandosi – Iddio ama la pecorella smarrita.
Il figlio del Diavolo diveniva figlio della Grazia.
Sac. Ernesto Gliozzi senior
Questo testo dello zio Ernesto il vecchio era stato pubblicato, ben prima dei clamori odierni, il 20/09/2011 e allora e ancor prima Caci era già una leggenda pastorale.
Questo testo dello zio Ernesto il vecchio era stato pubblicato, ben prima dei clamori odierni, il 20/09/2011 e allora e ancor prima Caci era già una leggenda pastorale.
sabato 20 agosto 2016
Together (reg. Val Guest - 1970)
Sempre nel luglio scorso queste pagine e i pulinaroti hanno meritato la benevolenza del mensile in Aspromonte ed in particolare di Francesco di Raimondo.
La memoria viaggia sospesa tra Platì e Ciurrame
Prima degli svariati e spesso ripetitivi gruppi su facebook,
prima del boom di instagram e degli sporadici twit platiesi, Gino Mittiga
attingeva all'archivio di famiglia e ai suoi ricordi di gioventu per consegnare
(qui potrei dire ai posteri) oggi, in questo presente, a noi, la storia di
Platì. Non alcuni racconti di famiglia (non solo), non singoli episodi e fatti
ma la storia vera e propria. Quando ancora grandi fondazioni e istituti
culturali disputavano se e come digitilazzare il proprio patrimonio storico
letterario, Gino (Luigi alla fonte battesimale, nome del nonno materno) creava
nel 2012 il primo ed unico blog su Plati. Tutto l'800 e prima metà del 900
viene raccontato nei post attraverso la pubblicazione di un vasto repertorio di
foto antiche e un’attenta analisi e quindi trascrizione di documenti, lettere,
ritagli di quotidiani e altro. Buona
parte del materiale a cui Gino attinge lo si deve in particolare a tre zii del
ramo materno (Gliozzi) che appartengono alla storia di Platì, in ordine cronologico:
Don Ernesto senior, Don Ciccillo e Don Ernesto junior. Tre sacerdoti, zio il
primo e fratelli gli altri due, appartenenti a un’epoca dove l’istruzione a
Platì era privilegio di pochi e molti cittadini si affidavano ai tre “don"
per la stesura di documenti, lettere e quant’altro fosse necessario riportare
su carta. Anche molti signorotti consegnarono alcune memorie soprattutto
all’Ernesto senior, eccelso poeta e cultore delle lettere classiche. Vi è molto
di più in daplatiaciurrame.blogspot.com il
cui contenuto oggi appartiene all’Associazione
etnoculturale Santa Pulinara fondata da Francesco Violi, Pasquale
Catanzariti, Michele Papalia e lo stesso Luigi Mittiga. Non svelerò della
bellezza del viaggio nel passato che si intraprende attraverso la lettura di
quei centinaia di post ma invito ad accingersi avendo cura di quanto contenuto
essendo frutto non solo di una passione ma di un attento e paziente lavoro di
recupero.
Come nasce l'Associazione Santa Pulinara
Nasce
nel 2012 dal desiderio di un gruppo di ragazzi di condividere Ia passione verso
Ia storia e, in particoIare, della cittadina Platì. Le attività deII’Associazione sono incentrate sul recupero delle radici storico-culturali
del paese aspromontano e hanno I ’obiettivo di diffondere cultura e conoscenza,
idee e valori positivi e di coinvoIgere un numero sempre
maggiore di persone. II nome é dato da quella che tutti riconoscono come Ia parte più antica del paese,
cioé Santa Pulinara. Grandi studiosi, come il professore Domenico Minuto, voglio
che tale appellativo richiami Ia possibilità di un antico cenobio, forse di
matrice greca, dedicato appunto a Sant’ApoIIinare.
La frase dello scrittore Guareschi, “E se I’avvenire deIl’aIbero
e il suo progresso verso I’aIto sono sopra Ia terra, Ie radici sono sotto Ia
terra. E ciò significa che I’avvenire è alimentato dal passato. Guai a coloro
che non coltivano il ricordo del passato: sono gente che seminano non sulla
terra ma sul cemento”, ha ispirato il logo.
mercoledì 10 agosto 2016
Ferdinando il duro (reg. Alexander Kluge - 1976)
Tutto
può succedere. Tutto è possibile e probabile. Tempo e spazio non esistono. Sul terreno fragile della realtà l’immaginazione
viene fuori e tesse nuovi modelli.
August Strindberg
citato da Ingmar Bergman in Fanny e Alexander, 1982
Con questo mio testo, qui
riveduto in alcune parti, apparso sulla rivista in Aspromonte del luglio c. a., non ho inteso ascendere a mero o
futile critico, quanto presentare il lavoro di un giovane amico, arrivato nell’alba
del mio tramonto, diventato, nell’arco di pochi giorni, padre e scrittore, in
una Platì dove è arduo e da coraggioso essere entrambe queste figure, perché
negate dalla politica degli asserviti ufficiali.
-.-.-.-.-
L’uomo comune è poco, l’eroe è
troppo!
Sergio Leone, Il Colosso di Rodi, 1961
Tutto non è che un ritorno nel ritorno. Ancora indolente per il riposo
pomeridiano ricevo l’annuncio di Michele che la domenica successiva ci sarà la
presentazione del suo libro. Eppure non erano passati che pochi giorni da
quando sotto la veranda di casa sua c’era stata una gradevole discussione,
presente Bettina, se Natale andava promosso o meno. Sorpreso, il pensiero si
concretizza come precipitazione. E’ un istante perché, per mezzo della mente
che è un grande morphing, sopraggiunge la gioia per quello che sarà il più bel
giorno della vita del paese da cinquecento anni a questa parte. La cronaca di
quell’evento è affidata ora all’etere. Rientrato nella città dello Stretto,
sfogliando gli usuali, pochi, indirizzi web vengo a sapere che Mimmo Palmara
non è più. Di colpo ecco che mi ritrovo in quella sala, erano appena trascorse
ventiquattro ore, che fu il Cinema Loreto
di Platì dove si impresse per sempre nella fantasia il volto di Mimmo
Palmara: appeso ad una trave cerca di schivare le frecce del nemico ne Il Colosso di Rodi. Molti anni passarono
prima di scoprire chi firmava la regia, ma quel film generò tutti i miei sogni fanciulleschi
che saranno spazzati solo con la visione del lavoro successivo sempre dello
stesso artefice, involontariamente annunciato con insistenza da Mimmo Addabbo,
quando per farci accorrere al cinema usava proprio la musica di quel secondo
film. Ecco che sento il bisogno di vedere Il
Colosso di Rodi mai più rivisto. Cominciata la visione, dopo le prime
sequenze, in un colloquio tra Lea Massari e Rory Calhoun, l’attrice italiana
afferma il testo riportato in apertura. All’istante la frase mi anticipa quelle
che saranno le intenzioni di Michele attraverso il suo libro, di cui avevo
letto solo la prefazione ed il primo capitolo. Allora, lo vogliamo rimettere in
piedi questo Cinema Loreto di Platì!
Qui siamo nel West dove quando la
leggenda incontra la realtà stampiamo la leggenda.
John Ford, L’uomo che uccise Liberty Valance, 1961
Il Regno delle due Sicilie è il solo, assieme al west americano, dove visioni
di grandezza, avventura, ferocia e cataclismi si danno la mano. Vorrei che questo mio commento al libro di
Michele lo pensaste come fatto ad un film per il grande schermo; non il 16:9
sebbene il 2.35, insomma, quello di C’era
una volta il West. La materia la possediamo tutta: la lotta tra il bene e
il male, la storia d’amore, i personaggi intagliati “ca cugnateja” che poi
sarebbe la piccola scure portata appesa al braccio dal lato tagliente, i duelli
all’ultimo sangue e, su tutto il magnifico, grande paesaggio che si estende ai
piedi dell’Aria del Vento fino ai serri di Acone e dove il Ciancio
borbotta la sua indolenza a confluire nel
Careri. Ma il Cinema è morto. E alla Calabria è sempre mancato il suo grande
autore in 35 mm.
“ E’ una reliquia, un residuo di
un’altra epoca e di un’altra terra”
Sidney Pollack, The Yakuza, 1973
Michele Papalia da subito si lascia alle spalle Corrado Alvaro per
incontrare Saverio Strati. E’ un attimo, perché anche lo scrittore di
Sant’Agata del Bianco viene superato per mezzo di una prosa agile e avventurosa
che innalza il fatto di cronaca a momento senza tempo, conducendoci dalle
viuzze platiote popolate di donne, trecce a corona in testa, nero vestite e
bambini mal nutriti, rovinati molto spesso dal vaiolo se non dalla poliomelite,
a ridosso di un Aspromonte verde come mai, dove un manipolo di uomini combatte
una battaglia insensata, persa in partenza. L’amarezza dell’autore è pari a
quella vissuta da Umberto Zanotti Bianco
per l’abbandono in cui versava la Magna Grecia.Il suo è un neorealismo
ritornato verismo. E forse Caci il
brigante non ha mai afferrato perché è capitato proprio a lui, figlio
benestante, aspettato e perduto per sempre . Il ritratto che Michele incide per
noi, come su una lastra fotografica, è quello di un ribelle con una causa,
sicuro di sé, che incontra la morte col sorriso in bocca;condensando in questo
l’idea che molti di noi si sono fatta attraverso i racconti di genitori e
nonni, rivissuti attraverso le sequenze che uscivano dallo schermo del Cinema
Loreto. C’è da chiedersi come mai un personaggio della levatura di don Ferdinando
Mittiga sia nato, vissuto e svolto la sua saga
nelle terre di Platì. La risposta è facile se alla vostra attenzione
ritorna quanto vado riproponendo nel web da un pò di anni a questa parte. Platì
in quei tempi non era “il buco del culo del mondo” che certi mal
informati storici e inquisitori ben pagati ci vogliono trasmettere, era un
paese aperto in tutte le latitudini e longitudini per mezzo dei commerci che
creavano legami familiari; commerci e legami creavano a loro volta benessere e malessere
e dove il benessere fa fronte col malessere nascono disagi per molti, ricchezza
per pochi, cosa che io chiamo col suo vero nome: strozzinaggio in un primo
momento, emigrazione il passo successivo.
Si dava ad usura la propria moglie, la figlia, i propri bambini, la terra per
avere pochi ducati onde comprare sementi dal cui raccolto, scarsamente
redditizio, non sarebbe uscito il riscatto ma ancora usura. La praticavano
tutti: dal signorotto al parroco al ceto medio borghese. Questo stato di fatto
durerà sino alla fine della seconda guerra mondiale quando allora, e,
pensateci,veramente allora, tutto cambierà per restare com’era, gettando Platì in pasto ai forestieri ed alla politica figlia
di quel conflitto.
Caci il brigante è il libro atteso e sperato per
anni e consegnare Ferdinando Mittiga alla storia o alla leggenda non è che il
pretesto per richiamare la storia più recente di Platì: ancora sangue, ancora lutti,
mai più ritorni.
Michele Papalia, Caci il brigante, Leonida Edizioni, 2016
Al centro della foto, di Salvatore Carannante, Michele appare tra i due Catanzariti, figlio e padre, e lo stempiato blogger.
lunedì 1 agosto 2016
Il Commissario (reg. Luigi Comencini - 1962)
Al Commissario di Platì Avv. G. D. FOTI
e p. c. al dott.
Rosario Sergi
Caro Don Giandomenico,
Leggo nel N.° 205 della Gazzetta di Messina, un articoletto in cui, con
un’enfasi degna di miglior causa vi si attribuisce “ la soluzione di tutti i
problemi che interessano la vitalità nostra “ e il meraviglioso avviamento del
Comune alla sicura resurrezione.
Calunnie, don Giandomenico mio caro, niente altro che calunnie!
I problemi di Platì, quando veniste nel nostro ameno e salubre
paesello, erano i seguenti:
1.° Problemi finanziarii (Ammanco negli incassi della gestione
annonaria; sparizione degli utili in essa consegnati; ricupero materiale
baracche; ricupero rendite patrimoniali
distrutte; debito Distretto militare; debitio a vari fornitori del
Comune ecc. ecc.)
“.° Problemi edilizi. (Costruzione degli edifizi municipale e
scolastico; Cimitero di Cirella; acquedotto; Vallone ecc. ecc.)
3.° Problemi giudiziari. (Liquidazione lite demaniale Cirella-Ciminà;
rendiconto rendite Castro; rendiconto generale: quali somme furono emesse dai Cirellesi?
Quali furono le spese effettive sostenute dagli incaricati? Ecc. ecc.)
Manco a farlo apposta, oggi dopo la vostra lunghissima permanenza fra
noi, i problemi son sempre quelli, sempre minacciosi, sempre esasperanti,
sempre lontani mille mila miglia dalla soluzione. Gli unici vostri brillanti
risultati quelli ottenuti nel campo della dieta lattea. Io sfido formalmente
quel mattacchione di corrispondente cirellese a citarmi uno solo (anche mezzo!)
dei problemi da voi affrontati e risoluti, una sola (anche mezza!) delle vostre
benemerenze ch’egli afferma numerose e gli dico senz’altro che i pistolotti uso
quello che vi riguarda han le gambe corte come le bugie.
A voi, se volete tra un sorso e l’altro di latte ascoltarmi, voglio
ricordare, a proposito di articoli e articolisti, il notissimo proverbio che
ammonisce:
“ Quando il diavolo t’accarezza, vuole l’anima “
Arrivederci.
Napoli 7 settembre 1924.
Zappia Pasquale di Carlo
P. S. Vi prego di farmi sapere, se nei
giorni in cui restate assente dal Comune vi occupate sempre di problemi …
insolubili o se quando vi recate a Reggio per, motivi professionali o a Bova
per motivi di famiglia, percepite diaria. Ciao.
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