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mercoledì 11 maggio 2016

Nel segno di Roma (reg. Guido Brignone - 1958)

La marcia dei Locresi

Da le plaghe ridenti
al sole trionfale
Minacciosa, terribile
una protesta sale
da le rocce, dal mar.
Usciti da castelli,
terribili manieri,
per ubertose zolle,
si son veduti fieri
cavalieri passar …
Ne le strade deserte
per angiporti oscuri
s’aggirano penosi,
spariscono figuri …
Congiuramenti? – Chi sa!
Han sulle facce livide
lo sdegno manifesto;
ne l’occhio si riverbera
un pensiero funesto
che riposo non ha.
“ Non più di Grecia Marina
l’alloro verdeggiante
Non de l’arte la gloria,
d’ogni bellezza amante, …
Tutto da noi perì! …
Freddo l’acciar dei posteri
del fuggito Enea
qui si posava a togliere,
a tagliare cadea
ciò che da noi fiorì.
E’ ver, siam figli immemori
dei valorosi Achei
da che cedemmo ai barbari
i marzial trofei;
Ai quiriti l’allor!
A che l’accordo, il vanto
esser di Roma altera
cittadini non liberi
se libertate mera
ci accorda il difensor?
Passan mani sacrileghe
nei tempii, tra l’are …
L’opime spoglie involano,
Rapiscono le care
Ostie, de lubri … onor! “
…..
…..
In cammino! Son poveri,
ma forti ed eloquenti;
Son laceri, ne l’anime
hanno le febbri ardenti:
Giustizia e Libertà!
E van per la difficile
salita oltre Melia
Del faticoso Dromo
ribattono la via,
Nei piani … eco, di là.
Lasciano di Mamerto
la bellicosa gente;
Toccan foreste vergini
Su l’Aspromonte algente
Reggio compar laggiù.
Avanti, avanti, i Bruzii
v’attendono, o Locresi,
Marciate solitari,
avanti, pei paesi
silani, ancor più su.
E via per la  Lucania
marciate come il vento,
Non ha carezze Sibari,
fandonie Benevento;
avanti, avanti, ancor.
Voi non toccate il Sannio
né la valle funesta
che vide i legionari
sfidare a bassa testa
sotto del disonor.
Ne l’orizzonte fumido
v’appare, ecco, un vulcano.
Partenope magnifica
sorride da lontano,
come perla sul mar.
O generosi, intrepidi,
voltatevi, e passate
fiammeggiante nel vespero
nel vespero d’estate,
Roma laggiù v’appar.
Ecco la meta! Vendichi
l’imparzial senato
della gran Dea Proserpina
il tempio violato,
Dei Locresi l’onor

….
….
E stanno con l’olimpica
Serenità dei numi,
su le tribune auree
son d’eloquenza fiumi
di Roma i senator.
Quando, frementi, lividi,
compaiono i Locresi:
“ Ah, l’invocammo, dicono
nei nostri affetti lesi,
Giove vendicator!
Tutta una terra nobile,
conculcata, avvilita;
La generosa Locride,
di cui siam parte, vita,
ci manda a protestar.
E le proteste, savii
senatori, ascoltate;
Un popolo di liberi
vi chiama; vendicate;
Giustizia,! Quanto il mar “.
Ed al consesso marrano
le storie vergognose
di manomessi tempii
ed altre, ed altre cose,
d’infamia e disonor …


Ombre, gioite! Vindice
aveste voi il Senato.
Per voi corre nei secoli
l’encomio meritato,
cresce su voi l’allor.
E d’esultanza un brivido
vi scorra per le ossa
oggi che nella Locride
Novella, la riscossa
Terribile echeggiò.
Sorgete, ombre magnanime,
Su le sponde Del Rio
un cavalier scalpita,
un Cavalier di Dio
che Giorgio si chiamò.
Non de la dea Proserpina,
Del Vero Dio, Soldato.
Da l’alma Roma, vindice,
tra noi, quaggiù mandato
Ecco, comparve già.
Ma su la fronte nitida
una bontà paterna;
Due raggi la circondano
ci regge e ci governa:
Giustizia e Libertà.
Ma se gli altari cadono
per vile simonia,
Se nuovi infami vendono
Le glorie di Maria
Riparte il Cavalier
E va per la difficile
salita, oltre Melia,
Del Rio riprende subito
la faticosa via.
Solo, tremendo e fier.

Ombre, sorgete, unitevi
dei figli a l’esultanza
E ripeta il plauso
Oggi per questa stanza:
Giustizia e Libertà!

Sac. Ernesto Gliozzi, il vecchio 


Recitata nell’Accademia a Gerace. Pubblicata nella Discussione di Napoli. Riportata da altre riviste letterarie

Nota: La vicenda dei locresi in viaggio verso Roma avvenne intorno al 205 a. C. a seguito delle malefatte di Quinto Pleminio luogotenente di Scipione l'africano, per niente africotu.  
Mons. Delrio fu vescovo di Gerace dal 1906 al 1921. 
Lascio a tutti la libertà di decidere se questa poesia dello zio Ernesto il vecchio sia bella o brutta, per parte mia dico soltanto che in quegli anni che la videro recitata e pubblicata il paese era attraversato da una corrente benefica di autori che meritano una riscoperta.

martedì 10 maggio 2016

Ricorda il mio nome



Strangio Giuseppe (9.11.1856) di Pasquale cingari
Zappia Francesco (1.1.1856) di Antonio cagnolaru
Barbaro Giuseppe (27.12.1857) di Rocco miroci
Catanzariti Elisabetta (6.6.1857) di Giuseppe pitteja
Oliva Saverio (19.1.1857) di Francesco sepio
Romeo Domenico (20.7.1857) di Giuseppant. melissa
Romeo Francesco (10.8.1857) di Giuseppe peppannice
Trimboli Antonio (9.4.1857) di Gaetano bellocco
Trimboli Antonio (28.9.1857) succhero
Trimboli Antonio (4.11.1857) di Giuseppe divico
Catanzariti Antonio (14.3.1858) giomo vir di Trimboli Domenica
Catanzariti Rosario (21.1.1858) di Giuseppe celestino
Cutrì Maria (21.8.1858) di Pasquale luponero.
Zappia Caterina (289.4.1858) di Antonio persica.
Agresta Anna (19.3.1859) di Ant.-moglie di ...Francesco scattagnolo
Papalia mf Caterina (14.7.1859) moglie di Mittiga Rosario brandoro
Staltari Caterina (25.10.1859) di Antonio- moglie di Molluso Francesco rusa
Portulesi Domenico (15.8.1860) pintarello
Romeo Domenica (26.4.1860) di Francesco francise
Staltari Domenico (16.8.1860) gatto
Bartone Bernardina (2.3.1861)da Natile-moglie di Romeo Gius.Ant. vulcano
Carbone Domenico (25.9.1861) cucinata
Catanzariti Domenico (24.3.1862) bono
Romeo Giuseppe (8.2.1862) di Franc. smàchara (ch : pron. come il chi greco)
Carbone Maria (27.10.1863) di Gius. moglie di Trimboli Pasquale Noè
Catanzariti Domenico (14.2.1863) carrau
Catanzariti Domenico (27.7.1863) di Rocco corato 27
Perre Francesco (15.12.1863) di Dom. vir di Romeo Elisab.cicerca
Romeo Antonio (3.10.1863) di Giuseppe e di Jetto Paola cerva o cerza
Romeo Antonio (29.11.1863) di Dom. surìcu
Sergi Giuseppe (9.7.1864) 'mbilli di Pietro mar.di Portulesi Caterina
Treccasi Francesco (19.4.1864) di Domenico patrizzito e Zappia Maria.
Zappia Domenica (20.1.1864) di Giuseppe panazzo
Carbone Giuseppe (12.1.1865) di Saverio santo    

Vi rammento che l'autore del lavoro è lo zio Ernesto il giovane; nella foto, quando andammo in visita pastorale(?) a Marando.                                 

martedì 3 maggio 2016

Amici come prima (reg. Norman Jewison - 1982)



Colla presente scrittura sinallamatica da valere come se fosse pubblico strumento, tra noi qui sottoscritti Sacerdote Don Stefano Oliva e Don Francesco Gliozzi si è conchiuso il seguente contratto di compravendita.
Dichiaro io D. Francesco Gliozzi del fu D. Carlo possedere da vero e legittimo padrone e possessore un fondo in contrada Sfalasi Territorio di questo Comune  di natura aratoria ed alberato con olivi e quercie, limito D. Giuseppe Gliozzi mio fratello da un lato, da un altro D. Carmelo Zappia, ed il resto da me medesimo, pervenutomi per retaggio Paterno; quale Fondo come sopra descritto e confinato, per mie vedute e circostanze ho risoluto venderlo, ed avendo alluopo trattato col Sacerdote D. Stefano Oliva la vendita, quale si è alla fine conchiusa colle seguenti condizioni.
1° Che l’apprezzo debba farsi da’ periti Rosario Marando ed Antonio Trimboli Judici, i quali portatosi sul luogo hanno stabilito il prezzo di docati ottanta nove e grana quaranta, che il compratore Sig Oliva ha sborzato di moneta effettiva corrente in questo Regno e per effetto di ciò gli fo ampia final quietanza immettendolo nel possesso del suddetto Fondo per goderne della proprietà ed usufrutto, restando però per questo anno solo il quinto sul prodotto del grano in favore del venditore Sig. Gliozzi.
2° La vendita suddetta s’intende fatta coll’istesso patto della ricompra fra lo spazio di anni quattro, incominciando da oggi medesimo e terminar debba a tutto il dì venticinque Aprile Mille ottocento cinquant’uno, dappo il quale tempo di sopra stabilito, resta il venditore decaduto da ogni dritto di ricompra, ed il compratore assoluto proprietario; tale ricompra potrassi fare dal dolo venditore e suoi figli ma coll’espressa condizione e che senza della quale  non sarebbe effettoito il presente contratto, dico presente contratto, che qualora questi facendo uso della ricompra non potessero alienarlo ad altra persona tranne al compratore Sig. Oliva o suoi nepoti, i quali un mese prima dovranno essere interpretati se vogliono comprare. Nel caso negativo la proprietà resta libera come prima; nl caso poi affermativo resta stabilito che il perito più probbo si adibberà ds tutti dovrà eseguire la perizia, e questi o suoi eredi restano obbligati pèagarne il prezzo stabilito in moneta corrente di questo Regno. A scanzo di qualunque litiggio resta spiegato, che qualora la ricompra avrà luogo nel mille ottocento cinquant’uno il prodotto del grano dovrà cedere in favore del compratore Sig. Oliva, se prima di detta epoca gli apparterà la rata a raggion di tempo.
3° Che il Fondo suddetto s’inmtenda cederlo franco e libero da qualunque servitù ipoteca o canoni, fuorché del contributo Fondiario che dal dì della presente vendita ceder dovrà a carico del compratore Sig. Oliva. Così ho fatto la vendita, ed in tal modo mi obbligo garentirla sopra i propri miei beni.
Ed io D. Stefano Oliva contento del sopradetto contratto m’obbligo di non contravenire alla parte che mi riguarda.
Fatto oggi venti sei Aprile Mille ottocento quaranta sette in Platì in doppio originale la presente sinallamatica, quali si conservano uno per ciascuno di noi per tutti gli effetti di leggi.
Francesco Gliozzi ho venduto e ricevuto come sopra
Stefano Oliva ho comprato e sborzato

lunedì 2 maggio 2016

Cammina, cammina (reg. Ermanno Olmi - 1982)


19 Aprile 1950
Carissimo papà
Lunedì scorso vi ho fatto spedire un telegramma per farvi sapere che ho fatto un buon viaggio. Domenica sono arrivato qui alle quattro e un quarto. Il viaggio è stato ottimo, solo un pò prima del sanatorio c'è stata una leggera pioggia e per conseguenza mi son riparato' presso il guardiano del Sanatorio. Per circa mezzora, poi, scomparsa la nebbia e cessata la pioggia, mi sono messo di nuovo in cammino. E' inutile dirvi che sono stato accolto bene da tutti e specialmente dal Superiore. Ho a mia disposizione una bella stanza, letto con rete metallica e due materassi di lana ecc. La luce elettrica funziona bene e nella mia stanza ci sono due lampadine da 50 candele l'una. Vedete dunque che sfarzo di luce. Il mangiare è ottimo. Tutti già incominciano a volermi bene
Domani il Superiore partirà per Roma e io gli darò una lettera per Fina, che lui andrà a vedere. Al suo ritorno io verrò a casa per alcuni giorni. Non mi resta che inviarvi i più cari abbracci e baci per tutti in famiglia, comprese Rosina e Cata coi bambini e lo zio Michele, che spero sia già guarito. Saluti agli altri parenti tutti. A voi e alla mamma bacio pure la mano, chiedendovi di benedirmi

Aff.mo
Ciccillo
P.S. Scrivetemi e ditemi come state.

Tra il 1950 ed il 1951 lo zio Ciccillo sostituì, periodicamente, l'allora Superiore Pelle nella conduzione dell'Abbazia di Polsi. L'ultimo platiota che vi fu a capo  era stato mons. Francesco Pangallo tra il 1927 ed il 1939. 



domenica 1 maggio 2016

Io confesso (reg. Alfred Hitchcock - 1953)

L’ultima confessione

L’uomo claudicante che ogni giorno sostava davanti la piazza adiacente, finalmente finì di tentennare e a fatica si recò dentro la splendida e ordinata chiesa matrice in cerca di un prete. Da giorni combatteva con sé stesso sentendosi ora soddisfatto per aver superato la riluttanza causata dall’aspett0 trascurato. La sua lunga e folta barba era stata tagliata in occasione dell’ultima festa della Madonna di Loreto, nove mesi prima; la giacca e i pantaloni laceri che indossava nonché le scarpe rotte, i pezzi del suo guardaroba, erano divenuti rispettivamente covo ideale per i pidocchi e deposito di fango.
Invero, era stata la morte, sgradita consigliera, ogni notte la sentiva sussurrargli all’orecchio, a spingerlo alla sua ultima confessione. Oltre alla dolorosa anchilosi al ginocchio destro, presumeva di essere affetto da una grave sindrome, in termini scientifici non meglio identificata, ma di sicuro patologia incurabile benché sebbene nessun medico l’avesse mai diagnosticata, veniva rafforzata a ogni pubblica occasione, promanata dalla bocca fresca e igienizzata di politici e magistrati, e dalla autorevole penna di giornalisti ed esperti di ogni genere.
Ma tant’e: “Quando arriva l’ora...”, le ultime rassegnate riflessioni dell’uomo sul sagrato della chiesa; oltre a ciò, la spinta decisiva a entrare nelle casa di Dio era frutto di un ragionamento induttivo che d’improvviso li lo colse: anche a voler escludere la malattia, incombevano la sorte e la morte che, vista l’età avanzata, certamente lo avrebbero presto consegnato al camposanto.
All’interno della matrice oltre il sagrestano solamente due donne, Bettina e sua madre, devotissime del Santo Rosario. Don Malatesta, uomo calvo di mezza età, prete da poco destinato in quella parrocchia, attendeva i pochi fedeli al confessionale e vedendo l’uomo avvicinarsi gli fece un cenno ad invito, indicando il posto a lui di fronte. Prima ancora che al peccatore si chiedesse conto dei peccati, il prete vollle sapere del suo aspetto e della sua vita.
“Di cosa vivi? Sono stato un bracciante a giornata, nei campi. Ora vivo di un piatto caldo che i miei figli, a turno, mi porgano a ogni mezzogiorno.
Per questo le tue mani sono casi decrepite? Si. Sono mani indurite e callose, esposte al sole e al vento. Mani che hanno raccolto olive e mietuto grano, mani di villano, di contadino e massaro. H0 avuto una vita di duro lavoro.
Chi sono i tuoi figli? Sono anime in pena, colpevoli per causa mia, per i nomi che portano e per il mio passato. Alcuni non sono riuscito ad educarli, perdendoli, perdendoli. I più vivono una quotidianità stentata. Altri ancora non li ho più rivisti, mi hanno lasciato giovani, facendosi adottare da altre terre, parlando oggi lingue a me incomprensibili.
A queste ultime parole il prete capi di avere davanti un peccatore singolare e curiosamente chiese: “Ne hai tanti di figli? Migliaia. Se avete il tempo di aspettare li conto e saprò dirvi il numero esatto”.
"No, no”, preoccupato Don Malatesta della piega che stava prendendo la confessione, si avviò alla conclusione: “E ora dimmi, quali i tuoi peccati? Nel mio passato ho molto peccato. Ho infranto nove dei dieci comandamenti, rispettandone solo il quarto, onorando il padre e la madre. E perciò ora chiedo al Signore nostro Dio umilmente perdono. Chiedo soprattutto che Egli voglia stendere mani pietose verso di me e i miei figli smarriti.
Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, Don Malatesta diede tempo al penitente di segnarsi con la mano, decidendosi che nessun altro parrocchiano avrebbe per quel giorno chiesto perdono. E tuttavia, a proposito del vecchio appena assolto, una domanda, troppa curiosità per non porla, lo seguiva.
Il vecchio, meditabondo sulle preghiere di espiazione, si alzo per andare e - schiusa la porta della chiesa dalla quale entrò un timido fascio di luce solare – senti domandarsi dal prete quale fosse il suo nome. “Plati” rispose altero il vecchio e a udire quel nome il prelato sbrigativamente scomparve dietro il buio della sacrestia.
Trascorse una serata di preghiere e di speranza e una notte dove la morte non riuscì a perforare i timpani. Sarebbe passato a miglior vita con la convinzione che Dio lo avrebbe perdonato. Si assopì.
L’indomani Platì venne prelevato nella pubblica piazza e trascinato con una catena ai piedi nel vicino penitenziario. Si disse e si scrisse che grazie a una articolata e lunga indagine era stato assicurato alla giustizia uno dei pin pericolosi criminali, da sempre iscritto ai primi posti nelle liste di proscrizione: si trattava per giunta di un malato incurabile di ‘ndrangheta, capace di infettare chiunque e che nessun antibiotico poteva guarire. Si continuo a dire e a scrivere — servisse da monito a quanti avevano avuto a che fare con Platì, presto sarebbero stati trafitti da apposita lancia scagliata dalla dea Giustizia — che, un esempio su tutti, a un macellaio, onest’uomo e padre di famiglia erano state messe le manette, consistendo la sua colpa nell’aver un giorno venduto carne di capra a Platì.
Difatti Platì fu messo in quarantena e i suoi occhi smisero di essere quelli della ragione. Oggi è ancora agonizzante ma vivo, sotto processo per gravi misfatti, sarà giudicato in contumacia. In molti - non solo i rapaci necrofagi ma anche i lupi, le iene, le volpi e ogni altro animale carnivoro e opportunista che gira alle falde dell’Aspromonte - attendono la sua condanna a morte per farne scempio.
Turbate dalla notizia, le due donne, madre e figlia, immancabili, si recarono in chiesa per adempiere al loro atto di fede con le quotidiane quattro poste di rosario da raccomandare all’uomo incarcerato. Presto si accorsero dell’assenza di Don Malatesta, ingiustificata anche per il sagrestano.
A Bettina, guardando gli occhi del giudice inquisitore ripreso in primo piano dalla rete televisiva nazionale, sembrò, anzi ne era sicura, di vedere quelli di Don Malatesta. Il prete, da quel giorno diventato il diavolo nei pensieri della ragazza smarrita, non mise più piede in quella parrocchia e la relativa comunicazione del vescovo: “Partito per ordini superiori da Roma”, non tacitò né lei né gli altri parrocchiani, da quel giorno diffidenti e malpensanti.
Michele Papalia
                                                                                         11 febbraio 2016



Se continua così don Michelino si avvia a diventare il più grande scrittore sorto sulle rive del fiume Ciancio. Con questo racconto, apparso sul mensile in Aspromonte nel mese di marzo dell'anno corrente, egli stacca un ulteriore passo in avanti sulla via della maturità artistica, facendo ben sperare in opere di più ampio respiro. Ecco di cosa ha bisogno il paese, non soltanto di un sindaco ma di un numero sempre crescente di narratori che guardano al passato prossimo platiota al fine di reinterpretarlo per le generazioni future ma anche per quelli di oggi che conoscono una verità distorta dalla propaganda, la verità vista con gli occhi degli altri, che non hanno cuore, per citare Ian Curtis.
Per parte mia, da subito, ho visto in Michele Trimboli, alias Giamba, il volto che spetta al desolato vecchio del racconto.



















giovedì 28 aprile 2016

La fontana della vergine (reg. Ingmar Bergman - 1959)


Hanno fatto una pensata
che tra l’altro è la sovrana
han voluto appiccicata
tra barili e damigiana
una piccola fontana,
perché compiasi ... a rovescio
il Miracolo di Cana...

Giacomo Tassoni Oliva, Municipalia


La foto è su pellicola Ilford Pan F, la camera era una Nikon FM.la veduta è dalla strada che da Natile Vecchio porta a Pietra Cappa, accanto a me lo zio Ernesto il giovane.

mercoledì 27 aprile 2016

Vatel (reg. Roland Joffe - 2000)

Armonia e Contrasto
tra Scilla e Cariddi


I TARALLI
1kg. farina. Impastare 1 kg. Di farina con 300 gr. Di olio, ½ bicchiere di vino bianco, 1 cucchiaio di miele sciolto in un bicchiere di acqua bollente e una manciata di semi di finocchio. Lavorare a lungo per avere una pasta morbida con cui preparare ciambelline di 5 cm. di diametro. Gettarle in acqua bollente, colarle quando tornano in superficie, farle asciugare su un panno e passarle in forno a 180’ finché sono brunite.

PANINI DI CENA
500 gr. di farina bianca. 50+ 25 gr burro – olio. 50 gr zucchero. 230 grammi acqua. 10 gr lievito di birra. 1 pizzico di cannella+ chio9do di garofano. 1 uovo x spennellare – sesamo. 1 pizzico di sale.
Inserire nel boccale acqua, burro, olio e zucchero: 45 sec. 90°c. vel. 4. Aggiungere il lievito: 5 sec. Vel. 5. Aggiungere farina, sale e cannella: 1 min. vel 6 + 1 1,5 min. vel. Spiga. Fare lievitare l’impasto 1 ora!
Poi, formare delle piccole palline e lasciare lievitare 2 ore. Pima di infornare spennellare di uovo e coprire con i semi di sesamo. Infornare a 220° c. x 10 min. Devono presentarsi dorati!!!

La prima ricetta è dello zio Ernesto il giovane. La seconda di Antonella che rimodella la tradizione di famiglia a Barcelona, sebbene i panini di cena siano zanclei.

E come disse don Salvatore (La Rocca): quando l'ora scocca focaccia La Rocca!

martedì 26 aprile 2016

The Prince of Platì

Come potete veder Il Principe è portato in tour urbi et orbi, ora è necessario un Lisa Germano Live in Platì



In quest 'ultimo la canzone parte a 12.56 ed è la versione più emozonante

giovedì 21 aprile 2016

The Prince of Platì - Lisa Germano, 2009

Oh tell me a story
I want to feel better and you're here
Can I cry on your shoulder
Lisa Germano, The Prince of Platì

Per non scemare l’interesse sulla comunità platiota fra Mishawaka e Sout Bend nello stato dell’Indiana, eccovi qualcosa di cui nessuno si aspetta. Per i media il sinonimo Platì è qualcosa di … ditevelo da soli. Per una ragazza figlia di emigrati platioti cresciuta nell’area citata in apertura è un lost world. Solo la casualità poteva farmi scoprire questa canzone e così i natali di Lisa Germano. Ora, accanto ai cognomi tanto oltraggiati affianchiamo quello di Germano. Se cercavate un inno un anthem per la gloria del paese eccovi The Prince of Platì e esorto tutti i feisbuchiani platioti a far passa parola e se volete saperne di più su Lisa (ognuno di noi nella propria famiglia ha una Lisa) non avete che far scrollare il cursore del topo digitando le parole Platì Mishawaka Germano.
Ah, ovvio che per Lisa Germano il principe di Platì è suo padre Rocco (21 maggio 1921 – 29 dicembre 2015) e non quello evocato da Vincenzo Papalia che assomiglia piuttosto al Gille de Rais di Michel Tournier.
Per finire, invito tutti quanti hanno avuto un padre nato in Platì ad eleggerlo “Principe di Plati” … avremo così un paese di Principi, io comincio col mio!





Oh tell me a story
I need to hear
I want to feel better and you're here

Oh can't we be happy
Just, just for today
Can I cry on your shoulder, ok

Hey why so serious, why so blue
Hey let's you and me do what we want to

Oh nobody looking
Oh nobody see
We, we could be laughing
Just you and me

Oh I feel sorry
Oh just sorry for life
Can I cry on your shoulder

You seems so unhappy
I can't take that today
Can I tell you a story, ok

And get away from all this blue, blue, blue
Do the things we did before we thought we knew

Oh nobody looking
Oh nobody see
You could tell me a story
And play with me

Oh can't we be happy
Oh just for today
Oh nobody looking

La canzone è nell'album Magic Neighbor del 2009



 Rocco Germano
May 21, 1921 - Dec. 29, 2015

MISHAWAKA - Rocco, 94 years old, passed away naturally and peacefully at his home early Tuesday morning after a long illness.

He was preceded by his father and mother, Frank and Josephine Germano, his Uncle Tony Germano, and his brother Dominic Germano. He is survived by his wife of sixty five years, Betty (Lemler) Germano, sister Catherine Koscielski, brother Tony Germano (Ann), sisters-in-law, Shirley Muldoon and Jean Jewell, and his six children, Emily Goethals (Kenneth) of Bremen, Dr. Alan Germano (Lesa) of Boise, Idaho, John Germano (Barbara) of Indianapolis, Lisa Germano of Mishawaka, Richard Germano (Nancy) of Indianapolis, and Maria Rhoda (Patrick) of Indianapolis. His grandchildren are Haley Lake (Reuben), Max Germano (Kelsey), Chloe Germano, John Germano, Joe Germano, Brandon Kimes, Danny Rhoda, Gordon Rhoda and many nieces and nephews.
Rocco was born in Plati, Italy and lived there with his mother while his father came to Mishawaka to work at U.S. Rubber Company. He immigrated here with his mother at the age of eight, learned English and was soon found to be a child prodigy on the violin. He graduated from Mishawaka High School, attended Notre Dame and the Chicago Musical College where he earned a Master's Degree in Musical Performance, and met the love of his life, Betty, on the South Shore, during their commute.
Rocco served in World War II in the Office of Strategic Services O.S.S., playing the violin entertaining the troops, and was present at the Potsdam Conference along with Mickey Rooney and pianist, Eugene List. He was also a member of the American Legion.
He played in several orchestras including New Orleans Symphony, Boston Pops, Chicago Lyric Theater, Grant Park Symphony, Chicago Symphony and the South Bend Symphony. He went on to become a pioneer and pillar of the South Bend musical scene and is awarded a place at the South Bend Community Hall of Fame in the Century Center.
Rocco founded the South Bend Youth Symphony with Robert Demaree and Kenneth Geoffroy and was the conductor for the first thirty-five years. He also conducted the Twin Cities Concert Band for years of summer concerts at the local parks and was musical director of many musicals at the Country Playhouse and other venues in the community.
He taught choir at St. Mary's College and Riley High School and orchestra at Adams High School. He was also one of the founders of the South Bend Chamber Music Society and a member and delegate of the South Bend Federation of Musicians. Rocco was a lover of nature and the cook of the house. He taught all six kids the art of mushroom hunting and cooking his many delicacies.

Published in South Bend Tribune from Dec. 30, 2015 to Jan. 2, 2016

http://www.legacy.com/obituaries/southbendtribune/obituary.aspx?pid=177074641

Per la verità Rocco di cognome andava Iermanò, era figlio di Francesco e Barbaro Giuseppa.

Ecco alcuni nomi con cui Lisa Germano ha lavorato: gli Eels, John Mellencamp, i Simple Minds, David Bowie, Sheryl Crow, Iggy Pop e i Crowded House, la possiamo perdonare se è poco.

mercoledì 20 aprile 2016

Al di là delle tenebre (reg. John Stahl - 1935)



“In quanto rappresentata, la morte non obbedisce più alle leggi della natura ma ai desideri degli uomini”.
Franco Fornari, Coinema* e icona, 1970; citato da Francesco Faeta in Le figure inquiete tre saggi sull’immaginario folklorico, Franco Angeli, 1989

Nell’ ultimo passaggio per Platì era mia intenzione, entrando nel cimitero, come guida, novello Virgilio, il buon Michele, cercare la dimora ultima di Pasqualino Perri. Nel percorrere il labirinto, perché questo ora è il camposanto, passammo dinnanzi al marmo che vedete nell'immagine d'apertura. Subito il pensiero è andato al citato testo del professor Faeta. Il supporto marmoreo, per dirla con l'illustre docente, ora perviene a lavagna con cui dialogare con chi dietro è ospitato e ogni oggetto, fiore o ritaglio cartaceo è il ben assunto. Sembra apprezzarli anche Giuseppe Trimboli, accomodato su un ceppo in montagna.
Oggi, il mio intento è riuscire a commuovere anche voi con le parole di un’altra Trimboli

25/02/2014
Oggi due anni
Ti dedico questa preghiera di Sant’Agostino
Se mi ami non piangere!

Se tu conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo,
se tu potessi vedere e sentire quello che io vedo e sento
in questi orizzonti senza fine,
e in questa luce che tutto investe e penetra,
tu non piangeresti se mi ami.
Qui si è ormai assorbiti dall’incanto di Dio,
dalle sue espressioni di infinità bontà e dai riflessi della sua sconfinata bellezza.
Le cose di un tempo sono così piccole e fuggevoli
al confronto. Mi è rimasto l’affetto per te:
una tenerezza che non ho mai conosciuto.
Sono felice di averti incontrato nel tempo,
anche se tutto era allora così fugace e limitato.
Ora l’amore che mi stringe profondamente a te,
è gioia pura e senza tramonto.
Mentre io vivo nella serena ed esaltante attesa del tuo arrivo tra noi,
tu pensami così!
Nelle tue battaglie,
nei tuoi momenti di sconforto e di solitudine,
pensa a questa meravigliosa casa,
dove non esiste la morte, dove ci disseteremo insieme,
nel trasporto più intenso alla fonte inesauribile dell’amore e della felicità.
Non piangere più, se veramente mi ami!
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Ci siamo conosciuti, e voluti bene, ma tutto è stato limitato ... tutto è stato breve...
 Non ho potuto ascoltare la tua voce, eppure parlavamo tutti i giorni...
Non ho potuto passeggiare con te, eppure ho camminato al tuo fianco...
Non ho potuto conoscere ogni cosa, eppure tu avevi già capito tutto…
Tu da quel letto mi hai insegnato la vita!
Tu da quel letto mi hai insegnato ad essere giusta sempre!
Tu con ogni singolo sguardo mi hai insegnato il bene!
Caro zio,
oggi due anni fa il nostro PRIMO INCONTRO...
oggi due anni fa LA TUA debole mano stringeva, con orgoglio e stima, per la prima volta LA MIA…
oggi due anni fa la mia vita prendeva il giusto senso... GRAZIE ATE!
Due anni fa, ieri, oggi, domani e per sempre Stringi la mia mano,
Tendimi una mano TU Tienimi per mano!
Ti voglio bene.... Mi manchi...

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La morte non è niente.
Sono solamente passato dall'altra parte:
è come fossi nascosto nella stanza accanto.
Io sono sempre io e tu sei sempre tu.
Quello che eravamo prima l'uno per l'altro lo siamo ancora.
Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare;
parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce, non assumere un'aria solenne o triste.
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere,
di quelle piccole cose che tanto ci piacevano
quando eravamo insieme.
Prega, sorridi, pensami!
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima:
pronuncialo senza la minima traccia d'ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto:
è la stessa di prima, c'è una continuità che non si spezza.
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista?
Non sono lontano, sono dall'altra parte, proprio dietro l'angolo.
Rassicurati, va tutto bene.
Ritroverai il mio cuore,
ne ritroverai la tenerezza purificata.
Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami:
il tuo sorriso è la mia pace.
Henry Scott Holland

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A Giuseppe Trimboli
Che mi ha insegnato
Come essere umili alla fine verrà ripagato in affetto,
come anche nel dolore ci sia vita e allegria,
come una malattia non deve intaccare ciò che sei e che sei stato,
come si vince anche contro una patologia che non ti lascia speranza,
come la morte non è niente, poiché si vivrà in eterno nei pensieri, nei
ricordi, nel cuore e nell’animo delle persone che si amano!!!
Ti voglio bene
Grazie

Con tutto il mio affetto ti dedico questo traguardo,
so che eri con me quel giorno e so che mi guarderai sempre di lassù…
La tua infermiera, figlia, nipote, gioia (ed adesso anche caposala).
Eleonora Trimboli
23/02/2015

* Il termine coinema è stato introdotto da Fornari per indicare “le unità minime del significato affettivo, intese come competenza affettiva innata comune ad ogni uomo” (1979).La parola, ricavata dal greco koinos, che significa “comune”, e da cui deriva anche la parola “comunicazione”, è l’omologo sul piano affettivo del fonema sul piano linguistico.

La nota di sopra è rubata qui: https://ilpensierononlineare.wordpress.com/2021/11/08/coinema/