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giovedì 18 febbraio 2016

The Road (reg. John Hillcoat - 2009)



Noi qui sottoscritti Ingegnere G. Battista Menniti di Raffaele qual rappresentante l’Impresa di costruzione del Signore Michele Rescigno da una parte,
E dall’altra io Arciprete Filippo Gliozzi fu Giuseppe siamo venuti alla seguente transazione ed aggiustamento finale.
Si premette di accordo da noi contraenti che in base a sentenza del Tribunale Civile di Gerace fu concessa a favore dell’Impresa Rescigno l’espropriazione forzata e temporanea cioè: con occupazione per anni quattro di are cinquanta del fondo Sfalasi. Che essendosi sborzato l’intero prezzo dello esproprio dall’Impresa, questa aveva da un canto il dritto di abbattere e far suoi per legname tutti gli alberi esistenti ancora in detta zona e ciò fino al 17 corrente mese nel quale svolgerasse il quarto anno dalla occupazione; ma dall’altra avrebbe la stessa impresa il dovere di togliere la casetta e la fornace ivi costrutte riprendendo i materiali.
Per fare i vicendevoli interessi e le concessioni a ciascuno più profique si è stabilito w contrattato:
1°. Che gli alberi esistenti in detta zona di terreno e che appartenevano all’impresa, questa li cedesse come col presente atto li cede gratuitamente.
2°. Come corrispettivo di tale concessione oltre i detti alberi ceduti gratuitamente io Arciprete concedo all’Impresa il dritto ed uso di abitazione tanto di detta casetta che della fornace fino al giorno del collaudo definitivo della strada Platì - Zillostro per quale occorse l’espropio, con che però il Rescigno avesse l’obbligo di lasciare a beneficio dell’Arciprete nello stato che si troveranno alla fine del suo godimento la detta casetta e fornace.
3°. Resta facoltato esso Sig. Arciprete di alzare dalla parte della strada qualunque chiusura crederà fin da oggi, a difesa del suo fondo e della zona fin’ora occupata, salvo facendo a favore di detta Impresa il libero accesso alla fornace e casetta.E come piena accettazione dei patti e delle convenzioni di sopra spiegate sottoscrivono il presente contratto in due originali da restare uno a ciascuna delle parti.
  Platì 15 Marzo 1889
      Govanbattista Menniti
      Arcipr. Filippo Gliozzi
      Arcipretura di Natile

Nota: Tutti i documenti e le foto che vengono pubblicati in questo blog, ove non espressamente citati, sono di proprietà esclusiva dell'Associazione Culturale SANTAPULINARA. Si prega pertanto chi trae beneficio rilevando documenti o foto per altri scopi, lavori o studi, di citare l'autore del documento o della foto, l'associazione e l'url o l'indirizzo web del documento.

mercoledì 17 febbraio 2016

La canzone del paese natio (reg. Kenj Mizoguchi - 1925)

Siamo tutti stranieri in terre lontane. Ho visto solo ora il tuo post e gli occhi mi si sono riempiti di lacrime per i meriti che mi attribuisci e per l’amicizia che mi comunichi. Rivivo la nostra fanciullezza e tutto il profumo delle piccole-grandi cose: i comizi, il cinema parrocchiale, la tv dei ragazzi presso la casa dei tuoi zii, i giochi “made in vineje” e mille altre cose. Ora siamo orfani, la nostra amata terra è morta sotto i colpi “terroristici” del progresso. Ora ci sentiamo con i telefoni, ci scriviamo con il computer e non aspettiamo più tre mesi, come un tempo, che arrivi la lettera dall’Australia o dalle Americhe. Io vivo a Roma, ma sono senza lavoro e quindi “non libero” di pensare e dedicare al paese, qualche altra residua energia intellettuale. Ho scritto un libro, ma stento a vendere qualche copia per recuperare le spese di stampa. Il titolo dice tutto: “Gli ultimi resteranno… ultimi”. Se lo vuoi, posso inviartelo gratis, ma devi fornirmi il tuo indirizzo dove spedirtelo.
Ciao 
Mimmo


Com'è accaduto altre volte un commento può diventare il post del giorno e in questo di Mimmo Marando c'è il sentimento che lega i paesani straviati. Da parte mia non posso che ribadire, rifacendomi allo slogan che negli anni ottanta rilanciava nei cinema 2001: odissea nello spazio, che prima e dopo daplatiaciurrame c'era e ci sarà sempre PLATI' di Mimmo Marando.

lunedì 15 febbraio 2016

Ricorda il mio nome

Riprendo la pubblicazione degli alias dalla fine dell'elenco fatto dallo zio Ernesto il giovane, saltando così alla fine del 19° secolo

Sergi Elisabetta(25.9.1888)di Dom. e Oliva Fr.sca, ux.Trimboli Franc.
Grillo Maria (22.11.1888)di Dom., ux.Trimboli Domenico vajana
Iermanò Saverio (6.9.1889/45) di Francesco e Sergi Elisabetta
Musolino Anna (3.1.1882/1) di Francesco bonarrigo ux.Trimboli Antonio iudici
Agresta Francesca (7.3.1882/11) di Giuseppe, ux.Sergi Saverio rumbana
Floccare Teresa (12.10.1882/57) di Saverio. ux.Carbone Michele romigio
Pangallo Giuseppa (20.2.1894/8) di Gius..ux.Murabito  Giuseppe pantaleo
Barbaro Pasquale (3.3.1894/10) di Giuseppe zumpano
Romeo Anna (28.11.1894/88)di Pasq.ux.Staltari Domenico caccianti
Trimboli Francesco (10.4.1895/14) di Michele e Mittica Nicoletta --
Trimboli Caterina (13.7.1896/43) di... papara
Romeo Elisabetta (6.1.1896/2) di Pasq.e Sergi Franc.ux.Perre Franc. cicerca
Portulesi Francesca (28.1.1896/9) di Dom. e Cutrì Elisab.ux.Catanz.G.scemo
Ferraro Vittoria (10.4.1896/21)di Giuseppe e Bruzzaniti Rosa, marro.
Sergi Rosa (3.7.1898/33)di Domenico e Giorgi Anna,ux Garreffa Gius.bottaro
Carbone Elisabetta(25.9.1898/45)di Ant. e Sergi Caterina, ux.Cutrì Pasquale scuparu.
Romeo Maria (5.1.1899/2)di Dom.e Giulia Trimboli,  ux. Catanz.Rosario paja
Romeo Maria (24.4.1899/18) di Antonio buonasera e Staltari Ant.a carijìa
Catanzariti Domenico(16.8.1899/38) di Pasquale e Cutrì Domenica, vir Sergi Elisabetta di Giuseppe, careja.
Pangallo Rosa (6.9.1899/43)di Diego e Romeo Maria,ux.Domenico Oliva sepio
Procopio Antonio (7.10.1899/49) di Antonio e Sergi Anna, vir Anna Caruso jugnone.
Oliva Rosa(31.10.1899/53)di Francesco sepio e Catanz. Pasquale cavallotto.
Cutrì Caterina (6.12.1899/57) di Gius. e Sergi Anna, ux. Catanzariti Domenico pizzata.
Perre Antonio(24.10.1881/58) di Dom.e Caruso Francesca, rrantu
Portulese Maria(23.10.1881/56) di Franc. e Mantegna Anna,ved.Fera Giovanni,saja.
Sergi Francesco (22.3.1881/18) di Domenico e Romeo Domenica,careja
Sergi Francesco(8.8.1881/40) di Domenico,vir Strangio Caterina tiriji.          
Sergi Maria (24.7.1881/36) di Saverio, lirò.
Catanzariti Maria(29.3.1882/14) di Giuseppe carrà e Perre Francesca,ux. Catanzariti Saverio mussubeju.
Miceli Francesco(2.4.1882/15) sartor,di Domenico castagneja,vir  Mittiga Ang.
Romeo Francesco(8.11.1882/56) francise,di Dom.e Brizzi Maria,vir Staltari Elisabetta.
Sergi Giuseppe(15.5.1882/28) filomena,di Michele e Portulesi Anna.
Sergi Anna Rosa(27.5.1882/29) prodeu,di Giuseppe e Cusenza Domenica.
Spagnolo Caterina(7.12.1882/59)di Michele,ux.Cusenza Antonio gottaru.
Zappia Rosa(19.1.1883/1) di Nunzio nunziateju e .... Elisabetta.
Marando Francesco(24.3.1883/23) di Antonio pistola e Chirico Anna,vir  Iermanò Francesca.
Cutrì Pasquale(17.1.1885/5) scoparo, di Saverio, vir Elisabetta Carbone.
Iermanò Rosario(22.10.1885/47) rizzola,di Paolo,vir Pangallo Domenica.
Zappia Giuseppe(30.10.1885/49) cipri, di Domenico e Romeo Rosaria,vir Trimboli Elisabetta.
Zappia Giuseppe(14.3.1887/28),gnurannu, di Pasquale e Mittiga Elisabetta.
Pangallo Rosa (6.9.1899/43)di Diego e Romeo Maria,ux.Domenico Oliva sepio
Procopio Antonio (7.10.1899/49) di Antonio e Sergi Anna, vir Anna Caruso jugnone.
Oliva Rosa(31.10.1899/53)di Francesco sepio e Catanz. Pasquale cavallotto.
Cutrì Caterina (6.12.1899/57) di Gius. e Sergi Anna, ux. Catanzariti Domenico pizzata.
                                                                                                                                                                        

                                                                                                                                                                        

domenica 14 febbraio 2016

Virilità (reg. Paolo Cavara - 1974)

Sono sicuro di mettere a dura prova la vostra attenzione, non mi sento di frammentare l'elegia che pervade questo testo dello zio Ernesto il vecchio. Leggendolo solo una volta gli darete nuova vita. Voglio portare alla vostra attenzione le pertinenti citazioni, esse mi fanno pensare, come già altre volte, che in paese la cultura era viva e diffusa.


In morte
Del Sig. Francesco Callipari
+  Natile 31/1/1921

Signori,
Laggiù, nel vostro camposanto, anni dietro, ho dovuto, in una giornata splendida di maggio, raccogliere fiori e fiori per abbellire una tomba.
Quella tomba, di per se stressa, era un altare.
Quei fiori erano sbocciati ne l’aiuola de l’anima mia, fecondata da l’ardenza de l’amore, fiori di sentimento dunque, di giovanile entusiasmo, di alta e nobile ammirazione.
Scopriamoci!
Rievoco allora la ieratica figura del Teologo Arciprete Giuseppe Ietto; la personalità più nobile, più alta, più pura che sia stata, forse, in Natile.
Ho sbagliato?
Oggi, un compito altrettanto nobile mi lusinga.  Mi si chiedono fiori per coprire la tomba di un Uomo – ahi! Troppo repentinamente scomparso.
Colgo l’occasione quindi di completare il mio lavoro ed asserisco, in massima, che come Peppino Ietto sacrificò la sua vita per il bene delle anime, il Sig. Francesco Callipari fu Antonio sacrificò se stesso per il bene del paese, della famiglia, dei poveri.
Ascoltatemi.

XX

Vi è un luogo, sotto un nembo di cielo sempre nitido e bello. Ivi la poesia dei ricordi, ivi, il sorriso de le persone care, ivi, il verde perenne delle speranze.
 E’ il paese che ci vide nascere!
Amare il proprio paese è di tutti; amarlo con passione è proprio delle nature vigorose e ardenti; amarlo sino al sacrificio è qualche cosa che supera la natura umana.
Signori, se io vi dicessi stamattina che il compianto Francesco Callipari amò il suo paese di quest’ultimo amore – voi pensando agli eroi del carso insidioso o del sacro Piave, simboli di gloria, voi, dico, non fareste altro che sorridere di compatimento per l’audace asserzione. Ebbene, faccio presto a spiegarmi.
Non è la patri grande, l’Italia, il paese di cui vi parlo.
Voi, d’altronde, o combattenti di questa sezione, state certi che se Francesco Callipari fosse stato di una classe giovane, l’avreste veduto accorrere alle trincee, con ardimento, primo fra i primi.  Non pertanto mandò il figlio giovinetto il valoroso tenente del 20° a nome Guglielmo, mandò il genero Prof. Ierrò ed entrambi assolsero tutto ed intiero il loro dovere. Basta!
Il paese, voglio dire, a cui consacrò le sue virili energie. È proprio questo, - in questo estremo lembo d’Italia, in questa Calabria calunniata e forte, -  qui, dove nacque, tra l’incanto del suolo verde e fecondo, presso lo sterminato azzurro del mare, a le falde de l’Aspromonte virile e potente,
-          A  Natile -

XXX

Se nonché, in questo paradiso signoreggiava l’inferno.
Alla generosità della natura, ammirabile, faceva di contrappeso l’indifferenza degli uomini, spietata. Non una via d’accesso, ma chiuso in una selvaggia solitudine, non un mezzo di comunicazione, non un ufficio postale e telegrafico e neppure – (debbo dirlo o taccio? )- neppure una rivendita di generi di privativa! …
La colpevole indolenza dei governanti era secondata da un ultimo residuo di feudalismo imperante che, di fuori, stringeva come un cerchio di ferro la vita di questo paese, impedendogli più che lo sviluppo, il respiro.
Aveva un bel gridare D’Annunzio quando diceva “ Espandersi è necessario, non è necessario vivere “.
Con che cuore il povero Francesco Callipari che aveva una cultura, che leggeva i giornali e vedeva più lontano, con che cuore, dico, andava ripetendo le parole di un grande: “ Popolo, la patria ed il mondo siete voi, e finché voi piangerete sopra la terra, ogni felicità degli altri sarà egoismo, ogni vostro vanto,
vergogna “. 1

XXXX

Per sollevare il paese dall’abiezione in cui era lasciato, da quello stato d’incoscienza remissiva, Francesco Callipari lottò con tutte le sue forze, visse tutti i dolori, sopportò tutte le ansie di questo popolo, si diede tutto a tutti. La sua casa era il ritrovo delle coscienze libere ed evolute; era là che i dubbiosi attingevano dei consigli, i deboli la fortezza, i bisognosi l’aiuto. Vi si trovava non la gonfia albagia,di forma spagnolesca, d’un cosi detto “ galantuomo “ , ma il sorriso franco e sincero de l’amico, la serena dedizione d’un anima fraterna, spoglia di ogni preconcetto o di maligni sottintesi. Ed è una fortuna, credetemi, quando s’incontrano di questi uomini!
Perché bisogna sapere,che “ le avversioni sociali non nascono tanto dalla disuguaglianza della fortuna, quanto dal sospetto reciproco dell’odio e del disprezzo “.2
Ma andiamo avanti
Si rese vindice il Callipari dei dritti di questo comune, alzò la voce potente nel cosiglio comunale dove l’avete mandato più volte come assessore, interpretò i vostri bisogni intercedendo presso le autorità superiori,e fu sua mercé se avete avuto, finalmente l’Ufficio Postale, la rivendita di generi di privativa, le scuole, l’illuminazione,  il telefono.

XXXXX

Fino a questo momento voi mi avete seguito ed io vi ho parlato dei meriti civili di Francesco Callipari fu Antonio. E’ forse questa la prerogativa più interessante per gli altri; è l’esteriore bellezza di un uomo; ma una natura perfetta deve risplendere di luce interna, in latri termini:  “ Non basta andare illustre nella città, col nome scritto sulle colonne; non bastano i meriti in faccia alla patria, quando in faccia ai domestici lari, si oblia la santità delle sue leggi ”. 3
Permettetemi, dunque, o desolata vedova, o giovinetti figli, o figlie, più splendide nelle vostre lacrime; permettetemi ch’io varchi la soglia onorata della vostra casa, perché possa tratteggiare meglio gli ultimi profili del mio quadro. E quando avrò terminato il lavoro, quando una luce blanda s’innalzerà dallo sfondo, come da l’anima,voi vedrete negli occhi suoi rifulgere come una pace arcana, come una bontà serena e mi direte: Oh è questo il genitore nostro che ci ha lasciato da un mese, che non abbiamo visto ritornare la sera … L’avete incontrato qualcuno? Siete stato, forse, suo amico?
-          Si.

XXXXXX

Ordinariamente si dice la casa “ il santuario della famiglia” ed a ragione, perché il padre ne è il sacerdote, la madre la divinità, i figli i fedeli.
Vi si predica la religione de l’amore.
Quando in questo tempio vi regna l’ordine, la pace, l’armonia, sale sino a Dio l’inno della felicità e discende copiosa sopra la casa la benedizione del cielo. La prole numerosa, anticamente, era una prova della divina grazia.
Oggi, ahimè!, come i santuari della Madonna bisogna ricercarli nelle montagne, così le famiglie patriarcali bisogna ricercale nei paesi vergini di corruzione, lontane dalle città.
Fortunatamente la Calabria è ancora ricca di questi santuari. Adoriamo.
Francesco Callipari amò la famiglia da cui era ricambiato con lo stesso amore. Amò la moglie, non come schiava o strumento di basse voglie, ma come una compagna con la quale divideva gioie e dolori. Fedele al giuramento, prestato ai piedi di un sacerdote, considerava ampiezza l’amore non elevato a dignità di sacramento, né venivano a turbarlo, da l’altro lato, i dubbi, le gelosie, i sospetti.
Il fuoco sacro di questo amore non si spegneva, né si copriva di cenere. Si amavano perché si amavano. Non si domanda mai perché si ama quando si è riamati.
Da questo amore nacquero i figli.

XXXXXXX

La casa si riempiva di festa. A mano a mano che venivano al mondo, si apriva il cuore per riceverli; si allargavano le braccia alla fatica.
La corona intorno al capo di Francesco Callipari era già ricca di stelle. Sette figli maschi e tre femmine si assidevano con lui a mensa, sette e tre anime vergini pregavano con lui, a sera, attorno al focolare domestico, sette speranze fremevano dentro il suo cuore!
Ma più di tutti pensava a te, o Guglielmo, amico mio, a te, avviato alla nobile carriera degli strudi, perché voleva dare un  medico a questo paese che ne ha bisogno.
Pensava a voi, Ernesto e Beniamino, emigrati nella lontana America, dove la fortuna vi ha baciati e vi siete creata una posizione invidiabile. Pensava a voi o tenere pianticelle, destinate a coprire coi rami la casa, all’ombra della quale egli si sarebbe assiso da vecchio per riposare.
Sognava!
Ma chi l’ha svegliato così bruscamente?
Chi l’ha fatto balzare nel buio senza potere, ad una ad una, accarezzare tutte le teste piegate attorno al suo letto di morte?
Chi l’ha rapito?
Non so.
“ Date al dolor la parola,
 il dolor che non parla va fremendo
nel cor finché la spezza “ 4

XXXXXXXX

Dinanzi a questo cuore spezzato, attorno a questa quercia abbattuta dal fulmine, si stringono i figli, come un mucchio di naufraghi. Chiamano!
Di la de la tomba, come bagliori di luce arcana vedono i credenti e pregano. Pace! Riposo! Luce!
Ma ditemi, ditemi voi, non rimane proprio nulla di Francesco Callipari, tranne de la spoglia mortale che riposa sotto la terra molle?
Rimane il ricordo ne le menti e nei cuori di questo popolo riconoscente e buono?
Ma che! Il tempo, con le sue fredd’ ali,  vi spazza tutti i ricordi. 5
Rimane ne lo strazio de la ferita aperta di cui grondano sangue i superstiti?
Tutte le ferite sana questo medico pietoso, il tempo!
Rimane nelle opere che ha fatto, ne la casa che ha costruita, ne la fortuna che si è creata?
No!
Dunque che cosa rimane di Francesco Callipari, se tutto è morto, o sta per morire?
Che cosa vive?
L’anima!

XXXXXXXXX

No scriveva Robespierre a Chaumette, no, la morte non è sonno eterno, la morte è principio de l’immortalità.
D’accordo! La santa religione di Cristo rappresenta la morte come una trasfigurazione gloriosa, per cui l’uomo, deposta la frale spoglia ne l’alveo de la tomba, risorge a splendida vita incorruttibile come spirito immortale ed entra ne lo sfolgorante oceano de l’eternità.
“ Io sono la resurrezione e la vita , diceva il Maestro, chi crede in Me, anche se morto, vive, chi crede in Me non morirà in eterno “.
Credi in ciò, anima di Francesco Callipari, assente, ma presente?
Ti seguirono le opere pietose, le pratiche sante, la fede ardente,l’amore?
Oh, non mi dite, no, che la nostra fede sarà coronata da l’ultima illusione, che tutto sprofonda nel nulla e che i nostri cari dormienti del camposanto non si risvegliano più!
 Per carità, tacete: io non vi credo.
Io ho fede, anzi sono certo, che l’anima di mia madre vive e mi ama, come attualmente vive l’anima di Francesco Callipari,venuta dalle interminabili regioni dell’aria, ad assistere al nostro mesto convegno, a ricevere tutti i nostri suffragi.
Ed è per questo che qui, in questa Chiesa, dove Francesco Callipari fu portato, sessant’anni fa, ad essere rigenerato con l’acque del battesimo, dove un giorno, a piedi di quell’altare celebrava le sue nozze; dove, ogni anno, l’avete visto fare la sua Pasqua accostandosi al Ciborio ed ogni domenica ascoltare – attento -  la voce del suo parroco, qui, dico, con la pompa di una funebre cerimonia, offriamo a Dio voti e sacrifizii, affinché, purificata l’anima di Francesco Callipari, con questa divina oblazione, di quel che rimane di lui delle terrene fragilità, possa più presto, cantare nel cielo le misericordie eterne.  No fini  “ Sicut ambulavit in cospectu tuo … custodi e, Domine, misericordiam magnam “.
Come camminò dinanzi a voi, o Signore, riservategli la vostra misericordia grande.
FINE
Sac. Ernesto Gliozzi, il vecchio

Note del curatore
1 Edmondo De Amicis, Sull’Oceano, 1899
2 Edmondo De Amicis La carrozza di tutti 1899
3 Felice Cavallotti, La sposa di Menecle, 1882
4 Shakespeare
5 Ugo Foscolo, Dei sepolcri, 1806


giovedì 11 febbraio 2016

L'ora del lupo (reg. Ingmar Bergman - 1968)


Sera

                                                        Era la notte e sul funereo letto
                                                    Agonizzante il gemito vid’io
                                                                                     Ugo Foscolo

Alla memoria di mio padre

Sonetto

Quando tramonta il sole, e lentamente
Nella penombra si nasconde il prato,
E laggiù nella valle dolcemente,
Canta l’usignoletto accovacciato;
Quando la mesta luna dall’oriente,
Sale tranquilla per il ciel stellato,
Sento scendere in core una potente
Melanconia, di cui sta il pianto a lato.
E piangendo ripenso il padre mio,
Che da quattro anni, in questa ora sinistra
Mi disse dal funereo letto: Addio.
E da  quel di che si partì la festa
Dal povero mio cor, ne la vid’io
Ritornare e allegrar quest’alma mesta.

                                                              Perri Antonio

I poeti a Platì c'erano e di Perri Antonio non ci sono più tracce. Questo scritto era tra le carte di Ernesto Gliozzi il vecchio, ben custodito. Leggendolo ognuno di noi farà rivivere per un momento il poeta ed il padre di cui non sapremo mai il nome.


mercoledì 10 febbraio 2016

Chi è l'altro? (reg. Robert Mulligan - 1972)

Luigi e Palma Mittiga
al centro Timpani Annamaria

Fino ai primi anni novanta del secolo passato ho sempre pensato di essere l’unico Mittiga Luigi nato in Platì. Poi, quando ho cominciato a curiosare nel p. c. dello zio Ernesto e nel suo lavoro di trascrizione dei registri della chiesa che riguardavano i battezzati, i morti e i matrimoni scoprii che prima di me c’era stato un mio omonimo, per altro uno della famiglia. Ad essere cavillosi vi dico che prima c’era stato un altro Mittiga Luigi nato nel 1819 e morto nel 1883.
Il Luigi di cui vi voglio parlare era figlio di Antonio Mittiga sposato con  Creazzo Francesca. Antonio era il fratello maggiore del nonno Rosario. Luigi era fratello di Cicciu u carrarmatu, Ninu chi portava i panini ca lapa e Rosi du bar, tutti cugini in prima di papà. Sposò Palma Mittiga figlia di Francesco  e Timpani Anna Maria. Palma era sorella di Serafina che ho ricordato in un post precedente.
Ora, per merito di Mimmo Perre figlio di Serafina conosco pure i volti di Luigi  e Palma e sono lieto di inserirli nel lavoro che porto avanti.
Per contro, tra il popolo di feisbuc  esiste un Mittiga Luigi napoletano a cui vanno tutte le richieste di amicizia ( si dice così? ) indirizzate a me.
Ora consentitemi una polemica. C’entrano sempre i Mittiga di cui prima.
Il nonno e Antonio, papà di Luigi, avevano una sorella chiamata Rosa  sposata con un altro Timpani, Domenico. Erano i genitori di Stefano Fiorentino alias mastru ihuri. Lo dico perché di loro non c’è traccia in un relativo articolo celebrativo sul mastro, pubblicato da don Ciccillo Violi nel suo santapulinara. wordpress.

Ormai tutte queste persone e le altre che cito spesso fanno parte di un Olimpo personale che non scambierei con nessun’altra  Venere, Diana o Brigitte Bardot.

lunedì 8 febbraio 2016

La città dolente

Vagando in questo mondo di fantasmi, passai da-vanti al ristorante dove avevo gustato il pesce-spada, ora ridotto a un cumulo di pietre e di calcinacci, e giunsi alla cattedrale. Di essa non rimangono che le figure gigantesche che sovrastano l’altare, futilmente benedicenti il caos: insensate, terrificanti. Questa è dunque la casa della feudale Signora del fortiter in re, che inviò un terremoto e lo chiamò Amore. Amava l'oro e le pietre preziose come tutte le donne, e il suo favoloso tesoro fu ricuperato insieme a una copia di una lettera latina da lei inviata ai cattolici di Messina per mano di San Paolo.
E poco dopo, non so davvero come in quella confusione, i miei passi volsero in direzione di una strada assai stretta con le rovine di un palazzo recante, sull'ampio portale d'ingresso smozzicato, un' iscrizione che mi fece sobbalzare. Era un titolo storico che mi era familiare; e subito rivissi un susseguirsi di ricordi sonnecchianti nel profondo della mia mente. Sì, non c’era alcun dubbio: il vecchio «proprietario ›› e i suoi nipoti, quelli del giardino pubblico. . .
Mi chiesi quale fosse stato il loro destino in quella fredda alba invernale. È assai improbabile che, in quello spazio così ristretto, qualcuno sia riuscito a salvarsi: le macerie, ancora intatte, coprivano i loro resti.
Fu ricordando il vecchio e la sua pacata conversazione di quella sera, sotto gli alberi, che il vero significato della catastrofe cominciò ad affiorare in me dai suoi aspetti accidentali e superficiali. Devo confessare che il massacro di una miriade di cinesi mi lascia freddo: fra noi e quelle creature c'è poco più del fragile legame di comune discendenza dalla scimmia; sono troppo lontani in tutti i sensi per la nostra comprensione ristretta. Ma questi italiani sono nostri cugini spirituali: abbiamo radici profonde in questa calda terra d'Italia, che ci ha dato una buona parte di ciò che costituisce il meglio della nostra vita, della nostra arte, delle nostre aspirazioni.
Pensai ai due nipoti, alle loro giovani membra maciullate e distorte sotto un cumulo di vile spazzatura, in attesa di un brutale dissotterramento e di una tomba senza nome. Questa omicida violazione della vita non può considerarsi legittima morte. Immaginare un bel corpo giovane, divino strumento di gioia, ridotto a un informe mucchio di carne; un tempo amato, ora aborrito da tutti, e infine gettato con disgusto in una fossa comune brulicante di vermi. . .
Un tipo nordico - ecco di nuovo un valido legame, un legame di sangue, questa volta, fra la nostra razza e quei sovrani del sud, le cui imprese in questa terra di aranci e di mirto superarono ogni fantasia romanzesca.
Senza l’effimera amicizia stretta quella sera, la Messina di oggi sarebbe forse stata per me poco più di un semplice spettacolo e l'ecatombe dei suoi abitanti non mi avrebbe strappato che un convenzionale sospiro di compassione. Siamo fatti così. Il cuore umano è stato costruito su basi che mancano di generosità. I moralisti (se pure ne esistono ancora) potranno generalizzare con eloquenza, riferendosi alle masse; ma i nostri poeti si sono da tempo arresi al pathos dell'individuo singolo. Si dice che persino gli angeli del Cielo si rallegrino maggiormente per un solo peccatore pentito che per cento giusti; il che, se giustamente inteso, non è che un'applicazione dello stesso principio illiberale.
Una corda di lenzuola annodate era legata a una delle finestre superiori, con l'estremità penzolante a mezz'aria, all’altezza del secondo piano. Sono precauzioni che si prendono spesso a Messina - disperatimezzi di salvezza. Alcuni vasi di gerani e di cacti, tristemente in fiore, adornavano le altre finestre dai vetri intatti. Se non fosse stato per la sinistra luce del sole che le attraversava «dall' interno ››, la facciata sarebbe parsa quasi illesa. Ma l”imponente ingresso attraverso il quale avevo sperato di entrare era ostruito da macerie e fui quindi costretto a compiere una piccola scalata per portarmi nel cortile.
Se una lama gigantesca avesse tagliato il palazzo per il senso della lunghezza, l”operazione non sarebbe potuta riuscire con maggior precisione. Tutto l'interno era crollato, ad eccezione di una parte delle stanze che davano sulla strada, tranciate in due così da rivelare una sezione ideale di economia domestica. La casa, coi suoi inquilini e tutto quello che conteneva, giaceva  fra le alte macerie sotto ai miei piedi - grandi frammenti di muro cosparsi di calcinacci e inframmezzati da sbarre di ferro che si contorcevano in superficie o si tuffavano tetre nel profondo. Nelle macerie si aprivano fetidi squarci dai cui fianchi affioravano vasi rotti, candelabri, cappelli, bottiglie, gabbie per uccelli, quaderni, tubi, divani, cornici, tovaglie e tutto il banale armamentario della vita di ogni giorno. Nessuna stratificazione: né orizzontale, né verticale, né obliqua. Sembrava che gli oggetti fossero stati gettati in aria da un vulcano in vena di scherzi e lasciati depositare a caso. Due immensi blocchi di marmo intagliato (il primo disteso sul fondo di un burrone in miniatura, il secondo fieramente ritto come un monumento druidico) mi ricordarono l”esistenza delle scale, delle diaboliche scale.
Alzai lo sguardo nel tentativo di ricostruire le abitudini degl' inquilini, ma dovetti rinunciarvi quasi subito, l'unica sezione rimasta non essendo sufficientemente profonda. Il loro colore preferito doveva essere l'azzurro cielo. La cucina era chiaramente individuabile col suo focolare, la cassetta del carbone, i tegami di rame appesi in fila ordinata e la credenza aperta, piena di utensili. La stanza adiacente (le porte di comunicazione erano scomparse), con tendine di pizzo alle finestre, possedeva ancora un tavolo, una lampada e un libro, mentre la spalliera di un letto stava in precario equilibrio sull’abisso. Una terza stanza, ricca di tappeti e di quadri, rivelava un grande specchio sbiadito sotto al quale correva una fila di scaffali, gementi sotto il peso di una nutrita collezione di flaconi e di fiale.
I linimenti del vecchio . . .
FINE

Norman Douglas, Old Calabria

domenica 7 febbraio 2016

La cerimonia continua


Circa il post precedente.
Giustamente ho paragonato lo zio Ciccillo ad uno stregone, perché la cerimonia in atto, vista la presenza del fuoco e delle verginelle fuori la chiesa del Rosario, rispondeva ad un culto del tipo delle Rogazioni che si svolgevano subito dopo la Pasqua. Rito propiziatore per la fertilità dei campi e l'abbondanza del raccolto.Le Rogazioni, e l'ho già raccontato in un vecchio post, avevano svolgimento all'alba , un po come accade tuttora con l'accensione dei fuochi durante la novena di Natale. Una contrapposizione di quanto avviene nelle marine dello Scilla e Cariddi la notte della vigilia di San Giovanni Battista. Ora in ambedue i rituali si è perso la funzione originale di culto al dio Sole. E chissà?, forse, le foto potrebbero rimandare a quella notte di solstizio.
Cerimoniali abbandonati dalla chiesa cattolica perché non c'è più niente da chiedere a Dio, al massimo ancora il Paradiso, più realisticamente,  una connessione molto veloce al dio Web.

venerdì 5 febbraio 2016

La cerimonia (reg. Nagisa Oshima - 1971)















 Della cerimonia celebrata nelle immagini si è persa l'usanza, le tracce e la memoria. Lo zio Ciccillo era un officiante magico, mi piace pensarlo quasi come uno stregone alle prese con la magia. Le verginelle ora sono nonne se non bisnonne. Molti i volti conosciuti , moltissimi quelli nell'oblio. Com'è caduta nell'oblio la bellissima chiesa del Rosario, finirà come quella di San Pasquale.

Francesco, Michele, Pasquale diamoci una smossa ...

giovedì 4 febbraio 2016

Amore a prima vista ( reg. Franco Rossi - 1957 )



PARROCCHIA N. S.ra DEL SS. SACRAMENTO
E  SS. MARTIRI CANADESI
PADRI SACRAMENTINI
00161Roma 3 settembre 1990
Via G. B. De Rossi, 46 - Tel.  862.115
Rev.mo Sig. Parroco,
vengo a pregarLa di un grande favore. Una nostra giovane parrocchiana D. C., ha fatto conoscenza con un militare della Sua Parrocchia attualmente di stanza a Roma Si chiama P. C. orfano di padre,il cui fratello si è sposato recentemente.
Come succede, siamo agli inizi di una simpatia mutua,che potrebbe avere sviluppi anche buoni. Ma i genitori si preoccupano di avere notizie,per quanto è possibile,sia sul giovane sia sulla famiglia di lui,per non trovarsi di  fronte ad incognite ed a sorprese,mentre siamo a tempo ed agli inizi.
Oso per questo rivolgermi a Lei,scusandomi del disturbo che Le dò. E' una grande carità che userà. E La ringrazio fin d'ora. Non è raro che capiti che giovani militari già impegnati con qualche ragazza del paese, durante il servizio militare diano qualche illusione a qualcuna di qui. Con grande riservatezza abbia quindi la bontà di darci le opportune informazioni.
Il Signore La ricompensi.
Grato fin dora ossequio PAOLO SIRIO


Platì (RC), 13 settembre 1990
Caro Confratello,
 rispondendo alla lettera da Lei inviatami in data 03 u.s., Le posso dare buone referenze circa la persona di cui mi parla e circa la sua famiglia; è un giovane serio e amante del lavoro. Tanto a me personalmente risulta.
 Naturalmente spetta alla ragazza rendersi conto se si tratta di cosa seria o,di un semplice entusiasmo giovanile che nel termine del servizio di leva svanisce.
Con la speranza di averLa servita, Le porgo distinti saluti.
 Dev.m in Xsto
(sac. Ernesto-Gliozzi - Vic.parr.)
M.R. P. PAOLO SIRIO
Parr. N . S. del SS. Sacramento e SS. martiri Canedesi
vie G.B. De Rossi, 46 - 00161 ROMA,