In morte
Del Sig. Francesco Callipari
+ Natile 31/1/1921
Signori,
Laggiù, nel vostro camposanto, anni dietro, ho dovuto, in una giornata
splendida di maggio, raccogliere fiori e fiori per abbellire una tomba.
Quella tomba, di per se stressa, era un altare.
Quei fiori erano sbocciati ne l’aiuola de l’anima mia, fecondata da
l’ardenza de l’amore, fiori di sentimento dunque, di giovanile entusiasmo, di
alta e nobile ammirazione.
Scopriamoci!
Rievoco allora la ieratica figura del Teologo Arciprete Giuseppe Ietto;
la personalità più nobile, più alta, più pura che sia stata, forse, in Natile.
Ho sbagliato?
Oggi, un compito altrettanto nobile mi lusinga. Mi si chiedono fiori per coprire la tomba di
un Uomo – ahi! Troppo repentinamente scomparso.
Colgo l’occasione quindi di completare il mio lavoro ed asserisco, in
massima, che come Peppino Ietto sacrificò la sua vita per il bene delle anime,
il Sig. Francesco Callipari fu Antonio sacrificò se stesso per il bene del
paese, della famiglia, dei poveri.
Ascoltatemi.
XX
Vi è un luogo, sotto un nembo di cielo sempre nitido e bello. Ivi la
poesia dei ricordi, ivi, il sorriso de le persone care, ivi, il verde perenne delle
speranze.
E’ il paese che ci vide nascere!
Amare il proprio paese è di tutti; amarlo con passione è proprio delle
nature vigorose e ardenti; amarlo sino al sacrificio è qualche cosa che supera
la natura umana.
Signori, se io vi dicessi stamattina che il compianto Francesco
Callipari amò il suo paese di quest’ultimo amore – voi pensando agli eroi del
carso insidioso o del sacro Piave, simboli di gloria, voi, dico, non fareste
altro che sorridere di compatimento per l’audace asserzione. Ebbene, faccio presto
a spiegarmi.
Non è la patri grande, l’Italia, il paese di cui vi parlo.
Voi, d’altronde, o combattenti di questa sezione, state certi che se
Francesco Callipari fosse stato di una classe giovane, l’avreste veduto
accorrere alle trincee, con ardimento, primo fra i primi. Non pertanto mandò il figlio giovinetto il
valoroso tenente del 20° a nome Guglielmo, mandò il genero Prof. Ierrò ed
entrambi assolsero tutto ed intiero il loro dovere. Basta!
Il paese, voglio dire, a cui consacrò le sue virili energie. È proprio
questo, - in questo estremo lembo d’Italia, in questa Calabria calunniata e
forte, - qui, dove nacque, tra l’incanto
del suolo verde e fecondo, presso lo sterminato azzurro del mare, a le falde de
l’Aspromonte virile e potente,
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A Natile
-
XXX
Se nonché, in questo paradiso signoreggiava l’inferno.
Alla generosità della natura, ammirabile, faceva di contrappeso
l’indifferenza degli uomini, spietata. Non una via d’accesso, ma chiuso in una
selvaggia solitudine, non un mezzo di comunicazione, non un ufficio postale e
telegrafico e neppure – (debbo dirlo o taccio? )- neppure una rivendita di
generi di privativa! …
La colpevole indolenza dei governanti era secondata da un ultimo
residuo di feudalismo imperante che, di fuori, stringeva come un cerchio di
ferro la vita di questo paese, impedendogli più che lo sviluppo, il respiro.
Aveva un bel gridare D’Annunzio quando diceva “ Espandersi è necessario,
non è necessario vivere “.
Con che cuore il povero Francesco Callipari che aveva una cultura, che
leggeva i giornali e vedeva più lontano, con che cuore, dico, andava ripetendo
le parole di un grande: “ Popolo, la patria ed il mondo siete voi, e finché voi
piangerete sopra la terra, ogni felicità degli altri sarà egoismo, ogni vostro
vanto,
vergogna “. 1
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Per sollevare il paese dall’abiezione in cui era lasciato, da quello
stato d’incoscienza remissiva, Francesco Callipari lottò con tutte le sue
forze, visse tutti i dolori, sopportò tutte le ansie di questo popolo, si diede
tutto a tutti. La sua casa era il ritrovo delle coscienze libere ed evolute;
era là che i dubbiosi attingevano dei consigli, i deboli la fortezza, i
bisognosi l’aiuto. Vi si trovava non la gonfia albagia,di forma spagnolesca,
d’un cosi detto “ galantuomo “ , ma il sorriso franco e sincero de l’amico, la
serena dedizione d’un anima fraterna, spoglia di ogni preconcetto o di maligni
sottintesi. Ed è una fortuna, credetemi, quando s’incontrano di questi uomini!
Perché bisogna sapere,che “ le avversioni sociali non nascono tanto
dalla disuguaglianza della fortuna, quanto dal sospetto reciproco dell’odio e
del disprezzo “.2
Ma andiamo avanti
Si rese vindice il Callipari dei dritti di questo comune, alzò la voce
potente nel cosiglio comunale dove l’avete mandato più volte come assessore,
interpretò i vostri bisogni intercedendo presso le autorità superiori,e fu sua
mercé se avete avuto, finalmente l’Ufficio Postale, la rivendita di generi di
privativa, le scuole, l’illuminazione,
il telefono.
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Fino a questo momento voi mi avete seguito ed io vi ho parlato dei
meriti civili di Francesco Callipari fu Antonio. E’ forse questa la prerogativa
più interessante per gli altri; è l’esteriore bellezza di un uomo; ma una
natura perfetta deve risplendere di luce interna, in latri termini: “ Non basta andare illustre nella città, col
nome scritto sulle colonne; non bastano i meriti in faccia alla patria, quando
in faccia ai domestici lari, si oblia la santità delle sue leggi ”. 3
Permettetemi, dunque, o desolata vedova, o giovinetti figli, o figlie,
più splendide nelle vostre lacrime; permettetemi ch’io varchi la soglia onorata
della vostra casa, perché possa tratteggiare meglio gli ultimi profili del mio
quadro. E quando avrò terminato il lavoro, quando una luce blanda s’innalzerà
dallo sfondo, come da l’anima,voi vedrete negli occhi suoi rifulgere come una
pace arcana, come una bontà serena e mi direte: Oh è questo il genitore nostro
che ci ha lasciato da un mese, che non abbiamo visto ritornare la sera …
L’avete incontrato qualcuno? Siete stato, forse, suo amico?
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Si.
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Ordinariamente si dice la casa “ il santuario della famiglia” ed a
ragione, perché il padre ne è il sacerdote, la madre la divinità, i figli i
fedeli.
Vi si predica la religione de l’amore.
Quando in questo tempio vi regna l’ordine, la pace, l’armonia, sale
sino a Dio l’inno della felicità e discende copiosa sopra la casa la
benedizione del cielo. La prole numerosa, anticamente, era una prova della
divina grazia.
Oggi, ahimè!, come i santuari della Madonna bisogna ricercarli nelle
montagne, così le famiglie patriarcali bisogna ricercale nei paesi vergini di corruzione,
lontane dalle città.
Fortunatamente la Calabria è ancora ricca di questi santuari. Adoriamo.
Francesco Callipari amò la famiglia da cui era ricambiato con lo stesso
amore. Amò la moglie, non come schiava o strumento di basse voglie, ma come una
compagna con la quale divideva gioie e dolori. Fedele al giuramento, prestato
ai piedi di un sacerdote, considerava ampiezza l’amore non elevato a dignità di
sacramento, né venivano a turbarlo, da l’altro lato, i dubbi, le gelosie, i
sospetti.
Il fuoco sacro di questo amore non si spegneva, né si copriva di
cenere. Si amavano perché si amavano. Non si domanda mai perché si ama quando
si è riamati.
Da questo amore nacquero i figli.
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La casa si riempiva di festa. A mano a mano che venivano al mondo, si
apriva il cuore per riceverli; si allargavano le braccia alla fatica.
La corona intorno al capo di Francesco Callipari era già ricca di
stelle. Sette figli maschi e tre femmine si assidevano con lui a mensa, sette e
tre anime vergini pregavano con lui, a sera, attorno al focolare domestico,
sette speranze fremevano dentro il suo cuore!
Ma più di tutti pensava a te, o Guglielmo, amico mio, a te, avviato
alla nobile carriera degli strudi, perché voleva dare un medico a questo paese che ne ha bisogno.
Pensava a voi, Ernesto e Beniamino, emigrati nella lontana America,
dove la fortuna vi ha baciati e vi siete creata una posizione invidiabile.
Pensava a voi o tenere pianticelle, destinate a coprire coi rami la casa,
all’ombra della quale egli si sarebbe assiso da vecchio per riposare.
Sognava!
Ma chi l’ha svegliato così bruscamente?
Chi l’ha fatto balzare nel buio senza potere, ad una ad una,
accarezzare tutte le teste piegate attorno al suo letto di morte?
Chi l’ha rapito?
Non so.
“ Date al dolor la parola,
il dolor che non parla va
fremendo
nel cor finché la spezza “ 4
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Dinanzi a questo cuore spezzato, attorno a questa quercia abbattuta dal
fulmine, si stringono i figli, come un mucchio di naufraghi. Chiamano!
Di la de la tomba, come bagliori di luce arcana vedono i credenti e
pregano. Pace! Riposo! Luce!
Ma ditemi, ditemi voi, non rimane proprio nulla di Francesco Callipari,
tranne de la spoglia mortale che riposa sotto la terra molle?
Rimane il ricordo ne le menti e nei cuori di questo popolo riconoscente
e buono?
Ma che! Il tempo, con le sue fredd’ ali, vi spazza tutti i ricordi. 5
Rimane ne lo strazio de la ferita aperta di cui grondano sangue i
superstiti?
Tutte le ferite sana questo medico pietoso, il tempo!
Rimane nelle opere che ha fatto, ne la casa che ha costruita, ne la
fortuna che si è creata?
No!
Dunque che cosa rimane di Francesco Callipari, se tutto è morto, o sta
per morire?
Che cosa vive?
L’anima!
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No scriveva Robespierre a Chaumette, no, la morte non è sonno eterno, la
morte è principio de l’immortalità.
D’accordo! La santa religione di Cristo rappresenta la morte come una
trasfigurazione gloriosa, per cui l’uomo, deposta la frale spoglia ne l’alveo
de la tomba, risorge a splendida vita incorruttibile come spirito immortale ed
entra ne lo sfolgorante oceano de l’eternità.
“ Io sono la resurrezione e la vita , diceva il Maestro, chi crede in Me,
anche se morto, vive, chi crede in Me non morirà in eterno “.
Credi in ciò, anima di Francesco Callipari, assente, ma presente?
Ti seguirono le opere pietose, le pratiche sante, la fede
ardente,l’amore?
Oh, non mi dite, no, che la nostra fede sarà coronata da l’ultima
illusione, che tutto sprofonda nel nulla e che i nostri cari dormienti del
camposanto non si risvegliano più!
Per carità, tacete: io non vi
credo.
Io ho fede, anzi sono certo, che l’anima di mia madre vive e mi ama,
come attualmente vive l’anima di Francesco Callipari,venuta dalle interminabili
regioni dell’aria, ad assistere al nostro mesto convegno, a ricevere tutti i
nostri suffragi.
Ed è per questo che qui, in questa Chiesa, dove Francesco Callipari fu
portato, sessant’anni fa, ad essere rigenerato con l’acque del battesimo, dove
un giorno, a piedi di quell’altare celebrava le sue nozze; dove, ogni anno,
l’avete visto fare la sua Pasqua accostandosi al Ciborio ed ogni domenica
ascoltare – attento - la voce del suo
parroco, qui, dico, con la pompa di una funebre cerimonia, offriamo a Dio voti
e sacrifizii, affinché, purificata l’anima di Francesco Callipari, con questa
divina oblazione, di quel che rimane di lui delle terrene fragilità, possa più
presto, cantare nel cielo le misericordie eterne. No fini
“ Sicut ambulavit in cospectu tuo … custodi e, Domine, misericordiam
magnam “.
Come camminò dinanzi a voi, o Signore, riservategli la vostra
misericordia grande.
FINE
Sac. Ernesto Gliozzi, il
vecchio
Note del curatore
1 Edmondo De Amicis, Sull’Oceano,
1899
2 Edmondo De Amicis La carrozza di
tutti 1899
3 Felice Cavallotti, La sposa di
Menecle, 1882
4 Shakespeare
5 Ugo Foscolo, Dei sepolcri, 1806