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lunedì 8 febbraio 2016

La città dolente

Vagando in questo mondo di fantasmi, passai da-vanti al ristorante dove avevo gustato il pesce-spada, ora ridotto a un cumulo di pietre e di calcinacci, e giunsi alla cattedrale. Di essa non rimangono che le figure gigantesche che sovrastano l’altare, futilmente benedicenti il caos: insensate, terrificanti. Questa è dunque la casa della feudale Signora del fortiter in re, che inviò un terremoto e lo chiamò Amore. Amava l'oro e le pietre preziose come tutte le donne, e il suo favoloso tesoro fu ricuperato insieme a una copia di una lettera latina da lei inviata ai cattolici di Messina per mano di San Paolo.
E poco dopo, non so davvero come in quella confusione, i miei passi volsero in direzione di una strada assai stretta con le rovine di un palazzo recante, sull'ampio portale d'ingresso smozzicato, un' iscrizione che mi fece sobbalzare. Era un titolo storico che mi era familiare; e subito rivissi un susseguirsi di ricordi sonnecchianti nel profondo della mia mente. Sì, non c’era alcun dubbio: il vecchio «proprietario ›› e i suoi nipoti, quelli del giardino pubblico. . .
Mi chiesi quale fosse stato il loro destino in quella fredda alba invernale. È assai improbabile che, in quello spazio così ristretto, qualcuno sia riuscito a salvarsi: le macerie, ancora intatte, coprivano i loro resti.
Fu ricordando il vecchio e la sua pacata conversazione di quella sera, sotto gli alberi, che il vero significato della catastrofe cominciò ad affiorare in me dai suoi aspetti accidentali e superficiali. Devo confessare che il massacro di una miriade di cinesi mi lascia freddo: fra noi e quelle creature c'è poco più del fragile legame di comune discendenza dalla scimmia; sono troppo lontani in tutti i sensi per la nostra comprensione ristretta. Ma questi italiani sono nostri cugini spirituali: abbiamo radici profonde in questa calda terra d'Italia, che ci ha dato una buona parte di ciò che costituisce il meglio della nostra vita, della nostra arte, delle nostre aspirazioni.
Pensai ai due nipoti, alle loro giovani membra maciullate e distorte sotto un cumulo di vile spazzatura, in attesa di un brutale dissotterramento e di una tomba senza nome. Questa omicida violazione della vita non può considerarsi legittima morte. Immaginare un bel corpo giovane, divino strumento di gioia, ridotto a un informe mucchio di carne; un tempo amato, ora aborrito da tutti, e infine gettato con disgusto in una fossa comune brulicante di vermi. . .
Un tipo nordico - ecco di nuovo un valido legame, un legame di sangue, questa volta, fra la nostra razza e quei sovrani del sud, le cui imprese in questa terra di aranci e di mirto superarono ogni fantasia romanzesca.
Senza l’effimera amicizia stretta quella sera, la Messina di oggi sarebbe forse stata per me poco più di un semplice spettacolo e l'ecatombe dei suoi abitanti non mi avrebbe strappato che un convenzionale sospiro di compassione. Siamo fatti così. Il cuore umano è stato costruito su basi che mancano di generosità. I moralisti (se pure ne esistono ancora) potranno generalizzare con eloquenza, riferendosi alle masse; ma i nostri poeti si sono da tempo arresi al pathos dell'individuo singolo. Si dice che persino gli angeli del Cielo si rallegrino maggiormente per un solo peccatore pentito che per cento giusti; il che, se giustamente inteso, non è che un'applicazione dello stesso principio illiberale.
Una corda di lenzuola annodate era legata a una delle finestre superiori, con l'estremità penzolante a mezz'aria, all’altezza del secondo piano. Sono precauzioni che si prendono spesso a Messina - disperatimezzi di salvezza. Alcuni vasi di gerani e di cacti, tristemente in fiore, adornavano le altre finestre dai vetri intatti. Se non fosse stato per la sinistra luce del sole che le attraversava «dall' interno ››, la facciata sarebbe parsa quasi illesa. Ma l”imponente ingresso attraverso il quale avevo sperato di entrare era ostruito da macerie e fui quindi costretto a compiere una piccola scalata per portarmi nel cortile.
Se una lama gigantesca avesse tagliato il palazzo per il senso della lunghezza, l”operazione non sarebbe potuta riuscire con maggior precisione. Tutto l'interno era crollato, ad eccezione di una parte delle stanze che davano sulla strada, tranciate in due così da rivelare una sezione ideale di economia domestica. La casa, coi suoi inquilini e tutto quello che conteneva, giaceva  fra le alte macerie sotto ai miei piedi - grandi frammenti di muro cosparsi di calcinacci e inframmezzati da sbarre di ferro che si contorcevano in superficie o si tuffavano tetre nel profondo. Nelle macerie si aprivano fetidi squarci dai cui fianchi affioravano vasi rotti, candelabri, cappelli, bottiglie, gabbie per uccelli, quaderni, tubi, divani, cornici, tovaglie e tutto il banale armamentario della vita di ogni giorno. Nessuna stratificazione: né orizzontale, né verticale, né obliqua. Sembrava che gli oggetti fossero stati gettati in aria da un vulcano in vena di scherzi e lasciati depositare a caso. Due immensi blocchi di marmo intagliato (il primo disteso sul fondo di un burrone in miniatura, il secondo fieramente ritto come un monumento druidico) mi ricordarono l”esistenza delle scale, delle diaboliche scale.
Alzai lo sguardo nel tentativo di ricostruire le abitudini degl' inquilini, ma dovetti rinunciarvi quasi subito, l'unica sezione rimasta non essendo sufficientemente profonda. Il loro colore preferito doveva essere l'azzurro cielo. La cucina era chiaramente individuabile col suo focolare, la cassetta del carbone, i tegami di rame appesi in fila ordinata e la credenza aperta, piena di utensili. La stanza adiacente (le porte di comunicazione erano scomparse), con tendine di pizzo alle finestre, possedeva ancora un tavolo, una lampada e un libro, mentre la spalliera di un letto stava in precario equilibrio sull’abisso. Una terza stanza, ricca di tappeti e di quadri, rivelava un grande specchio sbiadito sotto al quale correva una fila di scaffali, gementi sotto il peso di una nutrita collezione di flaconi e di fiale.
I linimenti del vecchio . . .
FINE

Norman Douglas, Old Calabria

domenica 7 febbraio 2016

La cerimonia continua


Circa il post precedente.
Giustamente ho paragonato lo zio Ciccillo ad uno stregone, perché la cerimonia in atto, vista la presenza del fuoco e delle verginelle fuori la chiesa del Rosario, rispondeva ad un culto del tipo delle Rogazioni che si svolgevano subito dopo la Pasqua. Rito propiziatore per la fertilità dei campi e l'abbondanza del raccolto.Le Rogazioni, e l'ho già raccontato in un vecchio post, avevano svolgimento all'alba , un po come accade tuttora con l'accensione dei fuochi durante la novena di Natale. Una contrapposizione di quanto avviene nelle marine dello Scilla e Cariddi la notte della vigilia di San Giovanni Battista. Ora in ambedue i rituali si è perso la funzione originale di culto al dio Sole. E chissà?, forse, le foto potrebbero rimandare a quella notte di solstizio.
Cerimoniali abbandonati dalla chiesa cattolica perché non c'è più niente da chiedere a Dio, al massimo ancora il Paradiso, più realisticamente,  una connessione molto veloce al dio Web.

venerdì 5 febbraio 2016

La cerimonia (reg. Nagisa Oshima - 1971)















 Della cerimonia celebrata nelle immagini si è persa l'usanza, le tracce e la memoria. Lo zio Ciccillo era un officiante magico, mi piace pensarlo quasi come uno stregone alle prese con la magia. Le verginelle ora sono nonne se non bisnonne. Molti i volti conosciuti , moltissimi quelli nell'oblio. Com'è caduta nell'oblio la bellissima chiesa del Rosario, finirà come quella di San Pasquale.

Francesco, Michele, Pasquale diamoci una smossa ...

giovedì 4 febbraio 2016

Amore a prima vista ( reg. Franco Rossi - 1957 )



PARROCCHIA N. S.ra DEL SS. SACRAMENTO
E  SS. MARTIRI CANADESI
PADRI SACRAMENTINI
00161Roma 3 settembre 1990
Via G. B. De Rossi, 46 - Tel.  862.115
Rev.mo Sig. Parroco,
vengo a pregarLa di un grande favore. Una nostra giovane parrocchiana D. C., ha fatto conoscenza con un militare della Sua Parrocchia attualmente di stanza a Roma Si chiama P. C. orfano di padre,il cui fratello si è sposato recentemente.
Come succede, siamo agli inizi di una simpatia mutua,che potrebbe avere sviluppi anche buoni. Ma i genitori si preoccupano di avere notizie,per quanto è possibile,sia sul giovane sia sulla famiglia di lui,per non trovarsi di  fronte ad incognite ed a sorprese,mentre siamo a tempo ed agli inizi.
Oso per questo rivolgermi a Lei,scusandomi del disturbo che Le dò. E' una grande carità che userà. E La ringrazio fin d'ora. Non è raro che capiti che giovani militari già impegnati con qualche ragazza del paese, durante il servizio militare diano qualche illusione a qualcuna di qui. Con grande riservatezza abbia quindi la bontà di darci le opportune informazioni.
Il Signore La ricompensi.
Grato fin dora ossequio PAOLO SIRIO


Platì (RC), 13 settembre 1990
Caro Confratello,
 rispondendo alla lettera da Lei inviatami in data 03 u.s., Le posso dare buone referenze circa la persona di cui mi parla e circa la sua famiglia; è un giovane serio e amante del lavoro. Tanto a me personalmente risulta.
 Naturalmente spetta alla ragazza rendersi conto se si tratta di cosa seria o,di un semplice entusiasmo giovanile che nel termine del servizio di leva svanisce.
Con la speranza di averLa servita, Le porgo distinti saluti.
 Dev.m in Xsto
(sac. Ernesto-Gliozzi - Vic.parr.)
M.R. P. PAOLO SIRIO
Parr. N . S. del SS. Sacramento e SS. martiri Canedesi
vie G.B. De Rossi, 46 - 00161 ROMA,


mercoledì 3 febbraio 2016

Il delitto del nonno (reg. Abel gance 1919)

Il vino, il compare e i pregiudizi
di Michele Papalia

   Ogni domenica il nonno li attendeva. Dopo la rasatura, la visita quotidiana al quadretto di orto, che insisteva accanto alla casa seguita da un quarto di vino. Li aspettava seduto su una cigolante sedia a sdraio che mal sopportava il peso di un uomo tozzo, arcigno e dalle ossa dure come pietre. Era domenica 29 settembre, e per i fedeli a Platì alla liturgia dell’Eucarestia si accompagnava la festa in onore dei tre arcangeli.
   Alla spicciolata arrivarono, una dozzina in tutto, per una visita imposta a loro da bambini come doverosa ma col passare degli anni divenuta piacevole rituale.
   Quei nipoti erano avidi di storie e aneddoti, attratti dalla voce narrante del nonno, maestro nell’uso delle brevi pause cadenzate e bastevoli per far perdere gli occhi dei più piccoli nel mare oceano della fantasia. Narrava il nonno di storie dimenticate, di streghe e folletti, di bombe piovute dal cielo e di tesori nascosti negli anfratti d’Aspromonte.
   ‘Ntoni, il più grande di essi e però il più impaziente, chiedeva al nonno la questione del “traffico”, senza risultati giacché il vecchio sembrava non sentire. E attaccava con gli stessi discorsi; quanta merce aveva trasportato dalla Jonica alla Piana, talvolta fino alle Serre o in direzione della Valle Grecanica tanto da conoscere ogni sentiero di montagna e aver stretto tre comparati per ogni paese, tutti dello stesso mestiere “Che se non ci guardavamo tra noi altri mulattieri …”. Questi infatti, alla stregua di una società di mutuo soccorso, non dimenticavano mai i bisogni dei compagni di ventura e sventura e a distanza di anni, abbandonati muli e sentieri, coglievano ogni loro incontro per trasformarlo in una gara di brindisi dove il passaggio dal sobrio all’avvinazzato era intervallato giusto dai primi bicchieri, svuotati quelli gli alticci compari non distinguevano più la corposità né il colore rosso del vino.
    Dietro la continua insistenza di ‘Ntoni, quando i due nipoti più piccoli mossero verso la cucina attratti dal profumo delle melanzane, il nonno stavolta senza ritrosie andò alla questione del “traffico” esordendo con la solita esclamazione: “A ottant’anni chi se lo sognava, manco se me lo avesse detto la zingara!”.Infatti, quando si parlava di carcerati e galera, di cose storte e di ingiustizie, la veneranda età e l’illibata fedina penale del nonno, altero, lo inorgoglivano, sentendosi innocente e fortunato perché salvatosi da certe giri e macchinazioni.
Non sapeva leggere e scrivere, e pur sapendo far di conto inquadrando uomini e cose, aveva con negligenza sottovalutato i nuovi tempi, credendo smaliziata la sua condotta nel ritrovarsi sotto il pergolato di Mico Racina, compare al nonno per avergli battezzato l’ultimogenito.
   Era accaduto due lustri addietro eppure ancora a pensarci il nonno ricordava profumi e sensazioni di quelle giornate, ricordava pure la voce rauca di suo compare che non avrebbe più rivisto. E cominciarono a riaffiorare dettagli e parole.
   “Vi aspetto per sabato mattina. Che così ci facciamo un quarto di vino, di quello nuovo”, fatta l’ultima chiamata di invito che suonava più come imperativo, Mico Racina aveva riposto cornetta e rubrica telefonica, risolvendosi che tutti erano stati invitati sotto la pergola.
   Ma un nuovo sole non fece in tempo a spuntare per i vecchi mulattieri.
   In piena notte dopo il canto del cuculo e prima che il gallo svegliasse il vicinato, divelta la porta di casa i militari se lo portarono a forza per condurlo al penitenziario.Tra imprecazioni e bestemmie a denti stretti, il nonno era e rimaneva ignaro di ogni accusa fino a quando non si trovò di fronte al giudice istruttore: “Voi venite accusato di traffico di stupefacente del tipo cocaina commesso unitamente a vostro compare Mico Racina”. Continuò il giudice a leggere l’ordinanza di custodia cautelare non certo perché sapesse dell’analfabetismo dell’anziano mulattiere, il quale impaurito dagli occhi di diavolo che vedeva in quelli dell’inquisitore, non riusciva a raccapezzarsi.
   Ridestatosi da funesti visioni e fattosi coraggio, adoperando la lingua dei padri come succedeva quasi d’istinto quando il discorso si faceva terribilmente serio, in un dialetto stretto che l’avvocato compaesano si premurò di tradurre, il carcerato fece sentire le sue ragioni: “La signoria vostra deve sapere che i miei traffici li chiusi venti anni fa quando, morto il mio asino, decisi di abbandonare i sentieri”.Un attimo di pausa per guardare l’avvocato a mo’ di conferma e il nonno riprese: ”I miei compari mi chiamano a bere vino, rosso della qualità di Cirò, e l’unico traffico di cui mi potete accusare è per l’appunto questo”.
   Le porte del carcere si schiusero dopo un mese; tanto ci era voluto affinché un altro giudice, vagliati gli incartamenti, decifrasse l’arcano spegnendo l’abbaglio che irradiava gli occhi del collega, giudice incarcerato dal pregiudizio.
Nei dialoghi tra gli indagati, la giara non corrispondeva al carico di cocaina, né il rosso e il bianco ad altre sostanze stupefacenti; e le mangiate e le bevute sotto il pergolato, che il giudice sosteneva celassero l’occasione per spartire illeciti proventi, altro non erano se non un ritrovarsi che compare Mico Racina organizzava periodicamente per riabbracciare i vecchi amici.
   Il nonno tornato a casa emaciato e sbattuta la porta che la nonna aveva fatto riparare, chiesto il solito quarto di vino sentenziò: “Non conosco più a nessuno. Né compari né amici, solo Padre, Figlio e Spirito Santo”.Risoluto si autoassegnò il domicilio coatto, imponendosi di non banchettare più se non con la nonna e i figli.
   Aveva di meglio da fare: un quadretto di orto da curare e dodici nipoti che non mancava bonariamente di ammonire: “Statevi attenti! Che oggi giorno avere amici è delitto”. Non sia mai che a qualche scellerato uomo di legge e figlio del pregiudizio venissero in mente altre diavolerie.

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Questo racconto di Michele è già apparso altrove. Appena letto ho avuto invidia dei miei predecessori che, lasciatelo dire, non hanno riconosciute le novità che lo scritto nasconde,  accanto alla deliziosa scrittura che cela in sé i toni e i colori del quadro di Cézanne che illustrava (lì decolorato) una delle precedenti pubblicazioni. E la novità per me è nel reinventare e trasporre le vicende paesane affinché altri, altrove, possano uscire dai pregiudizi che stampa e media arcaici e moderni hanno riversato traendo spunto dalle cronache e non solo da quelle.
Il cumulo dei miei anni mi hanno disilluso per l’avvenire spettantemi, per chi spera la via è tracciata da Michele che ha il compito, nonché l’invito, di continuare a scrivere.

Affinché non mi si accusi di furto con plag(g)io vi informo che il lavoro di Michele è apparso su:
In Aspromonte- giornale di cultura, ambiente, risorse, eventi del massiccio montano- novembre 2015
e su Platìonline.net il blog di don Ciccillo Violi



martedì 2 febbraio 2016

La terra trema (reg. Luchino Visconti - 1948)




Platì.

Borgata di 3600 abitanti, posta su pendio ripidissimo, in un burrone ove scorre l'acqua che dà origine al torrente di Platì; trovasi sull'eocene, al suo contatto col granito dell'Aspromonte, che ivi è tagliato a picco; il suolo è di argilla scagliosa, nella parte inferiore del paese, coperta da un sottile strato di alluvione del fiume.
La costruzione delle case in generale è vecchia e pessima, fatta con ciottoli rotondi, non passati di mazza, con calce lasciata sventare, e sabbia per lo più terrosa, non lavata: non si fanno scavi per le fondamenta. Però da 10 anni, dopo che si è cominciata la costruzione della via carrozzabile Platì- Santa Cristina e dei relativi manufatti,si è imparato in paese a fabbricare meglio. I pavimenti delle case sono sostenuti da legname, e nelle costruzioni moderne da volte : il numero dei piani è di 1 e 2,talora 3.
I danni prodotti dal terremoto sono stati grandissimi: un sesto delle case del comune sono state demolite, ed erano quelle in peggiori condizioni; un settimo delle case sono puntellate, moltissime sono lesionate, tutte almeno leggermente.
Ad ogni passo nel paese si incontrano case rovinate, o demolite, o ricostruite, specialmente al piano superiore. Certamente ha avuto gran parte a produrre sì gravi effetti la cattiva costruzione, la mancanza di fondamenta, la natura e giacitura* infelice del suolo, ma è altresì sicuro che lo scuotimento dev'essere stato fortissimo, probabilmente per il movimento discordante delle rocce diverse che s'incontrano pressoché verticalmente.
Chiesa parrocchiale. E’ posta in basso presso la riva e nell’alluvione del fiume: fu restaurata prima del terremoto: si erano messe due catene nuove nell'incavallatura del tetto, si era fatto un pavimento con travi di ferro per il coro sospeso; non ha avuto altro danno che la caduta di tre delle pigne poste alla base del pinnacolo: rimase in parte la quarta rivolta ad Est.
Palazzo del Sindaco signor Oliva. Di antica ma buona costruzione: ha lesioni interne gravi, ma poche all'esterno: fra queste il distacco della facciata rivolta a SW.
Casa Mittiga. Di recente e buona costruzione, situata in basso; ha pianta isolata, quadrata; tre piani: vi sono grandi fratture verticali nella facciata di retta N-S: grandi fratture, anche orizzontali, nella faccia diretta E-W, ove sono pure rotti in chiave gli archi delle finestre: indicherebbe oscillazione in entrambe le direzioni.
Alle ore 6. 15 del 16 novembre vi fu una scossa, generalmente avvertita per il tremolìo che produsse dei grandi è piccoli oggetti, ma che non produsse alcun danno. La grande scossa delle ore 18.50 fu fortissima, prima sussultoria e poi ondulatoria nella direzione N-S, secondo il Sindaco; invece il messo municipale, che si era attaccato alle sbarre dell'inferriata di una finestra, dice di avere avvertita la direzione E-W. Fu accompagnata da rombo. Nella casa del Sindaco fece cadere giù e lontano dalla tavola un lume ad olio a becchi, di antica costruzione: il nipote del Sindaco raccolse il lume, scese le scale di 23 gradini e giunto in fondo, il terremoto durava ancora: egli dice di non aver inteso rombo, ma che durante il terremoto avvertì un rumore come di treno. Alle ore 23 altra scossa che produsse nuovi danni: continuarono le scosse nella notte.
Gli animali nelle mandrie (recinti) si agitarono molto, anche durante la giornata del terremoto. 

ANNALI DEL R. UFFICIO CENTRALE METEOROLOGICO E GEODINAMICO Serie Seconda — Vol. XIX — Parte 1 — 1897 

TERREMOTO DEL 16 NOVEMBRE 1894 IN CALABRIA E SICILIA
RELAZIONE SCIENTIFICA DELLA COMMISSIONE INCARICATA DEGLI STUDI DAL GOVERNO

Rapporti di A. Ricco, E. Cabrana, M. Baratta, Di Stefano

Bella, mia foto

lunedì 1 febbraio 2016

I visitatori (reg. Jean-Marie Poiré - 1993)

Leopoldo Franchetti                   Ernesto Nathan



                                        

 Franchetti e Nathan a Platì
                                      Platì 26'
 (Ettore) Ieri, verso le 11, sono arrivati gli onorevoli  Barone Leopoldo Franchetti ed Ernesto Nathan, del Comitato Centrale di Soccorso, accompagnati dall’instancabile cav. Antonino Spagnuolo, nostro cons. Provinciale.
Sono stati ricevuti dal Sindaco cav. Francesco Oliva e dal tenente Ricciardi, insieme col quale e col sig. Spagnuolo hanno girato tutto il paese, soffermandosi dinanzi alle case maggiormente devastate dal terremoto, o chiedendo informazioni intorno alle condizioni morali ad economiche della popolazione.
L' impressione che no hanno riportata è stata assai penosa, non immaginandosi essi di trovare tante rovine.  Sono ripartiti alle ore 14 e 30, senza aver voluto accettare il  pranzo che gentilmente avea offerto loro il cav. Oliva, dovendo trovarsi in Reggio la sera stessa.
Platì spera che la visita onde l’hanno onorata i signori Franchetti e Nathan non rimanga senza risultato, e che pari all’importanza del disastro che l’ha colpito sia il sussidio che gli verrà destinato dal Comitato Centrale di Soccorso. – Le scosse di terremoto continuano incessanti e, mantenendo gli animi in orgasmo, impediscono agli operai di attendere tranquillamente al lavoro; donde l’aumento della miseria che richiede soccorsi solleciti e copiosi.
IL PUNGOLO PARLAMENTARE – GIORNALE DELLA SERA
Napoli, Martedì-Mercoledì 29-30 Gennaio 1895


domenica 31 gennaio 2016

Angeli a sud (reg. Massimo Scaglione - 1991)


Serafina Mittiga
8 febbraio 1919 - 9 novembre 1963


Gino carissimo,
non mi posso mai dimenticare di voi, erevamo vicini di casa e poi c'era un reciprico rispetto tra le famiglie.
Tua sorella e mia sorella Tota erano strettissime amiche, ricordo che mia sorella era sempre a casa tua; Io ho pure frequentato il primo Agrario a Bovalino con tuo fratello Saro.

Il tutto per gentilezza di Mimmo Perri lontano in Australia, vicinissimo col cuore.

giovedì 28 gennaio 2016

La strada verso casa (reg. Zhang Yimou - 1999)


Km
56  Piani di Zillastro
57  Cichi (?)
58  Catanzaro
59  Ciliti
60  Savica
61  Arcopio
62  Rua
63  Pendola
64  Lacco di Torno
65  Valle del Cancellere
66  Edera
67  Castaneto
68  Cromatì
69  Barrosa
70  Sifone
71  Platì centro
72  Pirare
73  Lacchi
74  Bollorino
75  Bosco
76  Stalle
77  Natile centro
78  Mulino Nuovo
79  Pietropapa
80  Trappeto Musolino
81
82  Guardia di Careri

                
Questa toponomastica è stata redatta dallo zio Ernesto il giovane. Non so con quanta precisione. Quei toponimi evocano in chi sta lontano suggestioni mai cancellate. La foto l'ho fatta dalla strada che porta a Pietra Cappa.

mercoledì 27 gennaio 2016

La luna (reg. Bernardo Bertolucci - 1979)




Platì 19 – 9 – 57
         Carissima M. Gemma
Abbiamo ricevuto le valige di Pina nelle quali c’erano anche le cose per noi e ti ringrazio a nome di tutti. Ciccillo ancora non ha visto le calze, dato che ieri è andato a Polsi e tornerà oggi, ma credo che non sono adatte per lui perché troppo corte. Le comprerà a Reggio perché ha portato un paio per vedere se gli stanno bene.
Le immaginette ancora non le hanno fatte, oggi Ernesto è andato a Reggio e se sono pronte le porterà.  Lui viaggia tutti i giorni e torna a casa la sera. Ti mando la lettera di Iola e ti prego di rimandarla indietro perché voglio conservarla assieme alle altre che ci sono pervenute per la morte di papà. Voglio anche trascriverti un sogno che ha fatto  Giulia la quale nella sua lettera  mi dice: ho sognato il tuo babbo e in un modo bellissimo. Mi parve di essere inseguita da due negri e per sfuggirli mi sono riparata in un palazzo lussuosissimo. Ho suonato ed è apparso tuo papà, giovanissimo e in una magnifica divisa. L’ho riconosciuto perché lo chiamai per nome ed egli mi accolse col suo solito sorriso. Curiosa di sapere qualcosa di lui e della sua nuova vita,gli ho chiesto come stava e come si trovava. Mi ha risposto queste testuali parole: sto benissimo, anzi non sono mai stato tanto bene come ora. Poi sli ho chiesto se aveva bisogno di qualche cosa e lui mi ha detto che non gli manca nulla, che ha tutto quello che si può desiderare. Gli ho chiesto pure se voleva far sapere qualcosa alla sua famiglia e mi ha detto. Dica che diano le mie camice al tale, mi ha spiegato a chi ma io non ricordo il nome. Alle altre mie domande ha risposto: fino alla nuova luna non posso dire niente. La mia mamma ( è ancora Giulia che parla) ha attribuito che gli stanno facendo il mese gregoriano e che all’altra luna la sua benedetta anima volerà in Paradiso quindi sarà in grado di darci tutte le spiegazioni che ora non ha potuto.
Certo è stato un bel sogno, tu come lo spieghi. Le messe Gregoriane finiscono davvero il giorno prima che incomincia la nuova luna.
La mamma sta bene è contenta che tu non ritorni a porta Pia. Don Palermo se ne andrà in Alta Italia. Hai ricevuto il suo biglietto?
Noi stiamo tutti bene e tu?
Tanti cari baci da noi tutti
Amalia