Sabato 23 Agosto 1943, giorno precedente la festa della nostra Patrona
Santa Maria di Loreto, gli anglo-americani, durante la 2° guerra mondiale,
sferrarono un attacco aereo su Platì.
La gente cercò scampo nella fuga sulle nostre montagne, nelle case dei
ricchi restarono gli uomini perché non andassero a rubare i ladri.
Fu esposta la statua della Madonna di Loreto sul sagrato della Chiesa
Matrice e si racconta che, passando di là, un ufficiale del nostro esercito
depose le sue medaglie sul braccio della Madonna.
I vecchi del paese, quando lo ricordano, dicono che fu un miracolo
perché le bombe caddero vicinissime all’abitato e rimasero inesplose, altre,
pur esplodendo vicino alle persone le lasciarono illese.
Crea F.
3 C
Tratto da Il Giornalino
numero unico degli alunni della SC MD ST “ D.PERRI “ Platì Cirella a. s. 1997/98
Rispondo
alla vostra ed me tanta gradita notizia. Sono lieto saperve bene.
Io
non dico bene però vado pian pian ...
Dunque
apprendo con gioia la vostra scoverta verso la mia discendenza da i Trimboli
Sento
come dite quanto faticoso fu il vostro lavoro spogliare tutte i libri
parrochiale..
Reverendo.
Io non trovo mode e parole per poterve ringraziare della vostra bontà verso di
me per impegnarve con tanta pacenza.
Queste
ricerche che voi havete fatto sono miei ricordi. Come pure vostre, che io
lasciarò ai miei discendente, dato chè portano vostro nome e cognome cioé la
vostra firma.
Dunque
visto come dite che il primo Trimboli di cui si trova menzione è NUNZIATO, nato
da Francesco Trimboli e da Mittica Rosaria il 30 marzo 1761; questo nome
sconosciuto nella nostra parentere, come pure la moglie Mavrelli, come è
scritto o credo forse Marvelli, qui io penso derivava da Ardore; ossia Panduri
che fu terremotato nel 1783.
Francesco
Trimboli sposo a Rosaria Mittica.
Non
si sa se di prima fu a Platì e poi a Panduri o prima a Panduri e dopo a Platì
Secondo
quanto io penso fu un coloni. O’ un brigante affavore della Famiglia del
Marchese: Vito Nunziante di Gioia Tauro perché io mi credo questo. Dato ché
esistono i muri della chiesetta di S.
Vito secondo il detto famigliare.
I
terreni furono coltivate del nonno di mio padre Giuseppe.
Giuseppe
ebbe più di 6 maschi e 2 femmene.
Tutti
furono chiamati i Gaetanare dai platiesi (detto per Gaitano) un figlio della
grande famiglia
Questo
nome nessuno delle Trimboli l’ha portato avanti. fu saurito come quello di
Nunziato,
però
il nome Senoli, deriva dopo di questa famiglia o famiglie, prima il locale era
forze S. Vito, unito forze a Panduri.
Ora
sono un po imbarazzato, perché secondo i vostri dati trovati nei libri? Io
prima cercavo la mia discendensa; adesso devo fare ricerche sulla mia nascita,
perché voi mi trovate nato nel 1912. Io ho scritto e creduto della classe 1913;
nato, registrato allo municipio Trimboli Bruno Antonio 24 Febraio 1913
Comunque
capisco quanto difficile furono per voi queste
scutrine personale; e si può
scambiare una persona per un altra. Come pure sono in dibbio? Che alla chiesa i
bambini venivano registrate subbito alla nascita; però al comune andavano
quando volevano
Finisco
credo che potete capire il mio maloscritto. Grazie infinite per vostro grande
lavoro. Accettate il mio piccolo dono, mai per paga,ossia che voi avete bisogno
della mia moneta; lo faccio di mia spontania volontà. Sono 150 dollare fatte a
lere italiane
Augurandovi
di trovarvi bene. mi dico vostro aff.mo
Bruno
Trimboli
Mr
Bruno Trimboli
1
stella st
Fairfield
west
Sidney
2165
N
S W Australia
Sarebbe
stato più divertente e avvincente ricostruire la storia del paese con la competenza
del signor Bruno Trimboli e le conoscenze zio Ernesto. E nella risposta del signor Trimboli si va dalla Storia Patria alle origini dei nuclei familiari.
del 19.9.1985, ho fatto ricerche sulla Vostra discendenza, e dopo lunghe
e faticose ricerche, perché ho dovuto scorrere quasi tutti i libri parrocchiali,
sono arrivato ai seguenti risultati, che credo siano esatti.
Il primo TRIMBOLI di cui si trova menzione è NUNZIATO, nato da Francesco
Trimboli e da Mittica Rosaria il 30 marzo 1761; non si dice da dove provenga.
Nunziato sposò, in data imprecisata, Mavrelli Caterina (neanche questa si sa da
quale paese proveniva) ed ebbe, fra gli altri figli FRANCESCO, nato il 24 luglio1790, e GIUSEPPE, di cui non si trova la data di nascita (forse tra il
1790 e il 1800). GIUSEPPE sposò il 24 novembre 1823 Stalteri Domenica di
Domenico, ed ebbe, fra gli altri, ANTONIO (nato verso il 1848) che sposò Fera
Francesca, e FRANCESCO (o FRANCESCO BRUNO). FRANCESCO (o Francesco BRUNO) sposò
il 20 settembre 1852 Trimboli Maria ed ebbe, fra gli altri, il figlio DOMENICO, nato l'8 aprile 1868, il quale sposò Parisi Rosa ed ebbe i figli:
Francesco, Michele,Rosario, Antonio, Giuseppe, Maria e BRUNO (che siete Voi).
Voi avete sposato il 30 dicembre 1937 Sergi Caterina di Domenico e di Catanzariti
Caterina (chiamata invece Santa).
Quindi la Vostra discendenza si può cosi ricostruire:
nato ? TRIMBOLI FRANCESCO sposa Mittica
Rosaria
nato 1761: NUNZIATO = sposa Mavrelli
Caterina
nato 1790: GIUSEPPE =
sposa Stalteri Caterina
nato 1825: FRANCESCO sposa Trimboli
Maria
nato 1868: DOMENICO = sposa Parisi Rosa
nato 1912: BRUNO = sposa Sergi
Caterina
Se in seguito potrò fare altre ricerche e trovare altre notizie, sarò
lieto di comunicarvele.
Lieto di corrispondere con Voi e con l'augurio di ottima salute, Vi
porgo ì più distinti saluti.
Ah,
come tagliava a mezzo i pomodori, come li annusava per saziarsene all’odore,
come li affettava delicatamente e li disponeva nel piatto, rossi e verdi come
smalti coi semi rugiadosi e dorati, e poi versava l’olio a filino dalla
bottiglia, sminuzzava un rametto di basilico quasi bruno, li incipriava
d’origano, li abbelliva con frammenti di aglio, li salava con parsimonia, e poi
mescolava, faceva una montagnola d’essenze che stecchiva all’odore, mentre noi
inghiottivamo a vuoto, avendo davanti i piatti nei quali egli versava i
pomodori prendendoli con un cucchiaio, li umettava dell’olio rimasto e infine
ci diceva di mangiare. “
Mangiate, figli, e divertitevi, perché l’estate è tra noi ... “ D. Zappone, Il mio amico Hemingway e altri racconti citato
da Vito Teti ne Il colore del cibo,
1999, Meltemi.
Nota: l'antipasto, la base è con i biscotti di Platì, è mio; il primo, tagliatelle, è di Antonella che sta a Barcelona; il secondo, baccalà fritto con peperoni ciurrameschi, mio; i cannoli, di vera ricotta a chilometro sotto zero, de Il Fienile che sta a Floresta nel cuore dei Nebrodi. buonappetitoegraziedell'invito
Alla
presenza di noi qui sottoscritti testimoni D. Francesco Gliozzi del fù D. Carlo
a ceduto a suo Nepote Sacerdote D. Filippo Gliozzi la valuta di docati ventitre
di terra nella contrada Boschetto, cominciando dal pezzetto di terra cosidetto
Colicchiata, che fù periziata dal perito massaro Antonio Trimboli Judice eletto
di comune consenso per una stoppellata e mezzo, e il rimanente poi fù assignato
di terra boscosa, che si estende sino alle pietre grandi che sono a direzzione
di acqua pendente. Gli altri tre limiti poi sono dalla parte di oriente lo
stesso compratore, da mezzogiorno il Sig.r Furore, e da ponente gl eredi del fù
D. Domenico Gliozzi. La suddetta somma di docati ventitre a compimento dei
docati sessanta che una volta erano dritti che avea acquistato D. Francesco
Fera coll’istromento dei sei novmbre 1833 fatto dal Notaro Palumbo di Oppido, e
che poi furono acquistati dal suddetto Sacerdote D. Filippo Gliozzi a di 7
Luglio 1858. Ed a cautela
Platì
li 30 Marzo 1862
Sacerdote
Giuseppe Fragomeni testimone
Diacono
Saverio Mittica testimone
Giuseppe
Gliozzi
Nota: per merito di Francesco di Raimondo recentemente è venuto alla luce che il diacono testimone Saverio Mittica, zio della nonna Lisa, a Napoli pubblicò due novelle, Il tesoro dei carcerati del 1878 e La casa dello speziale del 1879.
Le immagini riaffiorano, stranamente insistenti, inframmezzate da vuoti.
Vedo ancora quei ragazzi, vedo le loro labbra mobili e i loro biondi riccioli
di discendenza nordica che smentivano la gravità del loro contegno. E rivedo lo
zio che, chino in avanti per meglio ascoltare la musica, si accarezzava i baffi
con la mano sana sulla quale brillava una pietra incastonata in oro massiccio -
uno scarabeo dell'antica Magna Grecia. Durante gl'intervalli, la sua
conversazione scorreva facile fra le formule accettate del cosmopolitanesimo,
ravvivata a tratti da una personalità capace di abbandonare i binari
convenzionali per esprimersi.
Aveva fra l'altro studiato un progetto originale per incrementare
l'industria degli agrumi del paese, progetto che, pur implicando alcune
modifiche di tariffe, mi parve straordinariamente efficace e ingegnoso,sembra che il deputato locale fosse del mio stesso parere, poiché si
era impegnato a sottoporlo al Parlamento.
Di che si trattava esattamente?
L’ho dimenticato!
Continuammo così a discutere il mondo, mentre la musica suonava nella
stellata notte del sud.
Doveva essere ormai mezzanotte quando un frenetico galop dell'infaticabile
banda annunciò la fine del programma. Feci qualche passo accanto al «proprietario››
zoppo che, sorretto dai nipoti, si trascinò faticosamente fino al posteggio
delle carrozze: i suoi reumatismi, mi spiegò, lo costringevano a servirsene
sempre. Quanto gli piaceva camminare, da giovane, e con quanta gioia avrebbe
continuato la nostra deliziosa conversazione, accompagnandomi passo passo al
mio albergo! Ma le infermità c'insegnano ad abbreviare i nostri piaceri e molte cose che sembrerebbero naturali al
fisico umano diventano impossibili. Usciva raramente di casa a causa delle
scale - le diaboliche scale! Gli avrei fatto l'onore di accettare il suo
biglietto di visita e di credere al grande piacere che gli avrebbe fatto ricevermi
in casa sua? Avrebbe fatto il possibile per rendermi la visita gradevole.
Quel biglietto è andato a finire chissà dove, insieme agli innumerevoli
altri che il viaggiatore raccoglie nel sud Europa. I-Io anche dimenticato il nome del vecchio. Ma il palazzo
in cui abitava portava un nome storico che mi era familiare, e ricordo di essermi chiesto in che modo
fosse giunto fino a Messina.
Ai vecchi tempi, naturalmente, ai tempi d’oro.
Torneranno mai?
Pensando che le sofferenze dei sopravvissuti avrebbero potuto essere
alleviare dipingendo le loro baracche in bianco o in grigio chiaro per
proteggerle dai raggi cocenti del sole, ne accennai a un sovrintendente.
«Stiamo dipingendo a tutto spiano›› mi rispose. «Ma è un lavoro
costoso. Il Villaggio Elena da solo ci è costato ventimila lire. E facendo la
massima economia, credetemi.››
Questo potrà dare al lettore un'idea delle proporzioni dell'impresa: il
Villaggio Elena è composto di circa duecento baracche - duecento su più di
diecimila.
Ma io non alludevo a questi gruppi di alloggi eretti dalla munificenza
pubblica e forniti di scuole, laboratori, orfanotrofi, ospedali e di tutto ciò
che può rendere la vita tollerabile, bensì alle baracche costruite dagli stessi
profughi: stamberghe messe insieme con corde, sacchi, latte di benzina e materiale
di scarto di ogni genere. Una mano di bianco, almeno, dentro e fuori . . .
Pensavo anche a quelle abitazioni ancora più strane, ai vagoni ferroviari fuori
uso che il governo ha messo a disposizione dei senzatetto. In molte stazioni lungo
la linea si possono vedere questi pittoreschi accampamenti affollati di
poveretti che vi si sono installati come se dovessero rimanervi in eterno.
Coltivano i loro fiori e le loro erbe in file multicolori intorno alle piattaforme,
mentre i bambini, vestiti di nero, giocano all'ombra dei vagoni. Quanto deve
soffrire questa povera gente, così pigiata sotto il sole, abituata com'era ai freschi
cortili e agli alti soffitti delle case distrutte dal terremoto! Verranno anche
le malattie: casi di tifo dovuti agli acquedotti inquinati e all'insufficiente
disponibilità d'acqua; infiammazioni agli occhi dovute agli sciami di mosche e
alle tonnellate di polvere. Le rovine sono anche invase da orde di cani e gatti
rognosi che dovrebbero essere sterminati senza indugio.
Sono andato a vedere la
annunciata apparizione della Madonna
Io come altri 15 mila quel pomeriggio afoso arrivati con migliaia di
macchine e a piedi
La cicala ha smesso il suo frinire spaventata dal vocio di tanta gente
affollata sullo spiazzo, sulla via, o che si riparava dal sole sotto la nera
ombra di qualche olivo, pigiandosi come quando ci si si vuol riparare sotto uno
stretto ombrello da un improvviso acquazzone.
Lo spettacolo era piacevole: molti attorno all’edicola pregavano, gli
altri chiacchieravano scambiandosi opinioni sull’evento preannunciato o parole
di saluto in un incontro inaspettato dopo tanto tempo, mesi e forse anche anni,
che non ci si vedeva.
Io ho rivissuto i giorni del mio lavoro parrocchiale a Casignana, a
Samo, ad Ardore M., a Careri, a Locri, rivedendo migliaia di persone di cui
ricordavo perfettamente le sembianze, anche se forse non ricordavo più il nome,
ed ho rivissuto in un momento i giorni più belli della mia vita.
Come è naturale i sentimenti di tutti noi erano diversi.
Vi era chi dall’apparizione voleva trovare solo un premio della sua
fede.
Vi era chi tentennava e voleva una prova dimostrativa
Vi era pure chi scettico o miscredente ( ma erano i pochi ) volevano
trovare un occasione per deridere chi credeva.
Vi era la devota che era talmente assorta nella preghiera, che non
udiva tutto quel mormorio
Vi era il cristiano che magari in chiesa non va mai, ma è sempre il
primo dinanzi a questi fenomeni, come è il primo a gridare “ Viva Maria “ sotto
la bara della processione.
Vi erano suore a dozzine, preti a decine quali arrancati sotto lo
svolazzare della lunga zimarra, quali anonimati dell’abito più borghese.
Vi era, purtroppo, anche il prete che mancando della più elementare
prudenza, scandalizzava le donnette più devote col mostrare scetticismo e
derisione per le pretese apparizioni.
Io sono andato per conoscere di persona le cose, lieto se non avessi
potuto osservare un fatto straordinario, soprannaturale, non mortificato se tutto
si sarebbe concluso con un nulla di fatto.
E un nulla di fatto veramente è stato
Ma lo spettacolo più commovente è stato questo: il vedere quella
immensa folla che si commoveva, si elettrizzava al pensiero di Maria, della
Madre celeste.
Diciamolo chiaro: lo Sculli non aveva ancora dato una prova autentica
della realtà delle sue visioni; anzi lui personalmente ha deluso eclissandosi
fin dal giorno innanzi. Nessuno osava aggiungere un tantino di audacia, di
speranza alla probabilità di vedere un miracolo, ma il fatto è questo: Maria è
stata sentita più vicina ad ognuno di noi, abbiamo sentita ravvivarsi la nostra
devozione a Lei, ed anche se non l’abbiamo vista, le abbiamo creduto beati qui
non viderunt et non crediderunt.
La suggestione dello spettacolo ha avuto il culmine alla sera, quando,
calate le tenebre, dalle alture di Caraffa si vedeva nastro tinteggiato di
rosso e di bianco, tortuoso come una collana, bellissima, buttata a caso su un
tavolo, che si partiva da noi e raggiungeva le evanescenze della costa marina:
erano i 10 chilometri di strada da Caraffa a Bianco occupati da una catena di
macchine, di quelle macchine arrivate alla spicciolata fin dal mattino e
posteggiate qua e là …
Lasciando la S. S. 106 all’altezza di Bovalino, ricadendo lungo la S.
S. 112 che porta a Platì si può intravedere l’inconfondibile sagoma di alcune
pietre famose: Pietra Cappa, Pietra Castello, Pietra Lunga ecc. Sono queste
alcune rocce insolite che si ergono
solitarie e misteriose nel versante orientale dell’Aspromonte. Ognuna di esse
ha delle origini molto lontane e diverse, sembra che siano conglomerati di
sabbia, ciottoli modellati dalla forza erosiva degli agenti atmosferici. Ciò
non toglie nulla alla suggestione di queste pietre che essendo poste in
ambiente dib rara bellezza paesaggistica si prestano come mete turistiche molto
interessanti.
Particolarmente suggestivo è visitare questi luoghi di incomparabile
bellezza che hanno tutti una storia. Secondo alcuni documenti Medievali, Pietra
Cappa va a indicare pietra vuota, scavata. Formata da 2 piani sovrapposti e
comunicanti, attorniata da piccole grotte ormai irriconoscibili che sovrastano
una zona pianeggiante dove anticamente sorgeva un monastero e qui sarebbero
giunti numerosi eremiti. In epoca romana Pietra Cappa venne popolata da schiavi
fuggitivi, in seguito arrivarono dall’oriente i monaci basiliani. La Rocca di
San Pietro dove ancora sono visibili i giacigli degli asceti sorgono sul
vallone “ Memica” alle spalle di Natile Vecchio e qui anticamente esisteva un
monastero di origine greca. In cima a Pietra Cappa sembra che ci siano resti di
antiche costruzioni mentre in basso si trovano i ruderi del tempio di San
Giorgio. Dell’antica chiesa resta solo qualche spezzone di colonna della parte
centrale ed era questo il punto di riferimento per i monaci che vivevano
eremiti nei dintorni e si riunivano per le funzioni religiose. A ricordare la
laboriosità dei monaci restano alcuni castagni millenari che arricchiscono di
fascino un luogo che già di per se stesso è così singolare. Pietra Castello invece secondo notizie
storiche è un’altura rocciosa con tracce di fortificazioni medievali. Sembra
che qui ci sia ancora una torre e all’interno i resti di una cappelletta .
Inoltre è ben visibile un’ampia grotta, una cisterna, una gradinata intagliata
nella roccia. La sua importanza è dovuta principalmente al ritrovamento di
alcune monete bizantine risalenti al X secolo. In tutta la zona erano visibili
fino a poco tempo fa i resti di costruzioni romane che fanno credere v
esistesse un abitato di notevoli dimensioni. Resta da dire che la
bellezza di questi posti induce senz’altro a visitarli nel tentativo di
scoprire qualcosa di nuovo e di particolare.
Pietra Cappa infatti rimane sempre la regina dell’Aspromonte che con la
sua mole enigmatica e carica di leggende troneggia nella vallata delle grandi
pietre.
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Tratto da Il Giornalino
numero unico degli alunni della SC MD ST “ D.PERRI “