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lunedì 27 maggio 2019

Blood Story [di Amasi Damiani,1972]



Riganò Giuseppe fu Antonio e Mittiga Carolina, di anni 20, sposò il 17/08/1973 Cinneri Grazia fu Giuseppe e Marando Francesca di Rosario

Zappia Pasquale fu Filippo e Virgara Elisabetta sposò Riganò Maria fu Antonio e Mittiga Carolina il 21/04/ 1875

Riganò Antonio e Mittiga Carolina ebbero anche Giuseppa che sposò Marando Rosario da cui nacque anche Giuseppa da loro nacque Francesca sposa di Cinneri Giuseppe da cui nacque Grazia

Zappia Pasquale (su pascali) e Virgara Elisabetta ebbero Antonio che sposò Gliozzi Serafina (zia Serafina)

Mittiga Francesco di Rocco e Buccafurni Rosa, di anni 25 sposò Riganò Rachele fu Antonio e Mittiga Carolina di anni 20… da questi nacquero tra gli altri Antonino, Rosario, Angela e Carolina.
Angela andò sposa di Lentini Giuseppe da cui nacque Ciccina (Francesca) sposa di Peppino, muttuiu, Caruso.
Antonino andò sposo di Creazzo Francesca da cui nacquero Francesco, Rosario e Antonino che nacque dopo la sua prematura morte violenta.
Carolina rimase nubile.
Rosario sposò Trimboli Maria e nacquero: Francesco, Giuseppe, Rachele, Rosa e Giuseppina ...

e quindi 
Pino, Angelina, Saro, Gaetano, Lia, Saro, Maria, Gino e Gianni.

Nota. Questa genealogia a me sconosciuta la compilò lo zio Ernesto il giovane, prima di scoprirla  avevo noto solo il mio sangue Riganò. La polaroid è una delle poche immagini in cui appare la zia Angeluzza - la prima alla vostra destra - assieme alla nonna Lisa e alle sue spalle la zia Amalia, lo zio Pepé e lo zio Ciccillo. Sulla zia Serafina e di suo marito Antonio Zappia ho scritto qualche post addietro.

martedì 15 gennaio 2019

STILL LIFE - La dispersione


"niente voglio e niente spero ca tenerte sempe affianco a me"
Califano-Cannio,1915




4

Gli anni ’50 furono anche quelli dell’inizio della dispersione delle famiglie: i giovani emigravano in Argentina o in Australia oppure andavano a studiare a Roma, Torino, Milano e non tornavano se non per le vacanze estive. La morte del capo-famiglia, poi, dava il colpo finale. Le madri si trasferivano a vivere con uno dei figli, le case si riaprivano solo per l’estate e nemmeno tutti gli anni. Non fece eccezione la grande famiglia di zio Francesco: la prima a partire fu Marianna, figlia della seconda moglie, che andò in Argentina e fu seguita dopo qualche anno da Rosario.
Anna è l’unica ad essere sempre vissuta a Platì: “era figlia della prima moglie di papà, ricordo la casa dove abitava all'inizio dell'Ariella, dopo il negozio dei giarruni. Abitava sopra la bottega di falegname del marito, Pasquale Giorgio. Hanno avuto due figli: Domenico, che vive a Platì e lavora al Comune, e Tita (Teresa) che vive in Australia, sposa di Domenico Addabbo, morto un anno fa circa; a Platì, essendo molto industrioso lo richiedevano tutti, da monsignor Minniti, ai componenti la banda musicale o quanti avevano bisogno di un elettricista. Chi fu bambino tra gli anni ’50 e gli anni ’60 lo ricorda soprattutto come proiezionista del cinema parrocchiale .”

Giuseppe fu disperso in guerra. “Tre fratelli l'hanno combattuta,” - racconta ancora Attilio - due sono stati feriti e uno, Giuseppe, risultò disperso e mai ritrovato. Quindi, ormai da tempo, è stata dichiarata la morte presunta. Ovviamente nessun risarcimento dallo Stato, con la scusa che avrebbe fatto parte della "cessata Repubblica di Salò".* Cornuti e mazziati, direbbero a Napoli. Era figlio di primo letto di mio padre. Nato e vissuto a Platì, faceva il falegname. A casa mangiavamo su un tavolo da pranzo fatto da lui, che, all'occorrenza, si poteva aprire e diventava il triplo, con l'inserimento di otto tavole.”


Attilio continua con il ricordo dei fratelli: “Rosario faceva il barbiere in paese. Frequentava i vitelloni del tempo: Peppino Gliozzi, Gianni e Mario Spadaro, Saro Morabito, Saro Zappia, poi emigrò in Argentina, dove si sposò ed ebbe quattro figli. Li vivono la moglie Norma e i figli.
Antonio, nato dopo di Rina, seguì le orme di papà facendo il commerciante di generi alimentari, frutta e verdura. Lui fu l'unico maschio a non sposarsi. In un certo periodo si vociferava di un interesse per una delle figlie di Peppantoni, ma non se ne fece nulla.”
Domenico, istruito come tanti a Platì nell’arte della sartoria maschile, fu collaboratore di suo cugino Mimì Perri, grande sarto della borghesia romana e fratello di mio nonno Peppantoni. Successivamente emigrò in Canada dove vivono la moglie Colomba e tre dei quattro figli, la figlia Elisa è mancata un anno fa circa.
Benito imparò a fare il sarto da mastro Nicola Addabbo che aveva la bottega verso “u vajuni” e poi dal cugino Peppino u muttuiu, ma frequentava anche la bottega di mastro Saverino Marando sulla piazza del mercato, una specie di salotto paesano dove gli uomini si riunivano anche a chiacchierare e, perché no, a fare una partitina a carte. Partito soldato, in Piemonte dove si sposò, a Novara, aprì una sartoria con buon successo, ebbe due figli, prima di separarsi dalla moglie. Benito ospitò il fratello più piccolo, Attilio, che così lo ricorda ancora: “Ho potuto riprendere a studiare ed ho iniziato a lavorare nelle assicurazioni. A Platì ero candidato a fare il falegname da mastro Rosario Stancati. In seguito, ci raggiunsero mamma ed Antonio e prendemmo casa vicino a Benito. Franca invece andò a vivere con Marietta a Camigliatello, per via della prima figlia che era malata. Antonio trovò lavoro alla Rhodiatoce, ma in seguito decise insieme a Benito di aprire un negozio di Articoli Sportivi a Camigliatello Silano (Sci in particolare). Quindi a fine anni Sessanta il grosso della famiglia si concentrò a Camigliatello, mentre io andai a completare l'Università a Napoli, quando ero già dipendente della SAI. A Napoli ho trovato ospitalità da Elisa che viveva lì con il marito. Rina abitava a Catanzaro”.

Lo zio Francesco contrasse una asma bronchiale cronica che lo portò alla fine, a 71 anni, nel 1958; la sua famiglia si è dispersa, tra l’Italia, le Americhe e l’Australia, la sua casa sulla piazza del mercato non esiste più.
ROSALBA PERRI & ATTILIO CARUSO


There is no end, but addition.
Thomas S. Eliot*



NOTE
- * In effetti Giuseppe, nella foto in apertura, col grado di sergente, cadde a Pola, sotto il bombardamento, conseguentemente disperso, il 17 febbraio 1945. La notizia l’ho trovata qui: http://www.laltraverita.it/elenco_caduti_e_dispersi.htm
- Le foto incorniciate dal brano di Alan Lomax e Diego Carpitella ritraggono i piani di Zervò in autunno
- Nella foto centrale: Saro Morabito e lo zio Pepè (Gliozzi), un pò vanitoso, dove finisce la via Roma e si diparte la via XXIV maggio.
- Rosalba come commento musicale a STILL LIFE aveva pensato alle canzoni napoletane. Su questo argomento sono poco incline. Optando sulla tradizione calabra, per finire, non potevo tralasciare  'O surdatu 'nnamuratu eseguita dalla Fanfara di Piminoro il sabato sera, vigilia da festa i santu Rroccu all'uscita della messa celebrata, lo voglio ricordare, da don Pino Strangio alla fine dei ricordati anni '90 del secolo della bomba atomica. Devo ammettere una registrazione poco efficace, la foto appartiene agli eredi di Mimì "Colonnello" Fera.
* In my beginning is my end
per ricondurvi al principio di questo immenso racconto degno di Bernardo Bertolucci.

mercoledì 3 gennaio 2018

Buon Natale ... buon anno (reg. Luigi Comencini - ed. 1997)



REVERENDISSIMO PADRE DON ERNESTO ALLIOZZI
CANONICO DELLA PARROCCHIA MADONNA DI LORETO
89039 PLATI’

ARDISCO PORGERLE RICORRENZA FESTIVITA’ NATALIZIE ET NUOVO
ANNO FORMULANDO MIEI MIGLIORI AUGURI CON DISTINTI SALUTI
NONCHE’ CARO RICORDO AT LEI ET SUOI CARI FAMIGLIARI ET
AT TUTTI CONCITTADINI ET FREQUENTATORI PARROCCHIA
ET NONCHE’ PROPRIO MIEI NUCLEO FAMIGLIARI STOP
CON AFFETTUOSITA’ ET STIMA SUO CORDIALISSIMAMENTE
FRANCESCO BARBARO FU PASQUALE

MITTENTE:
BARBARO FRANCESCO
PIAZZA ALDO MORO 27
70010 TURI

Platì, 15 gennaio 1997
Egregio Signor Barbaro Francesco,
vi ringrazio
sentitamente per gli auguri che mi avete espresso e che ho tanto gradito.
Ve li ricambio di cuore, augurandovi ottime cose per l'anno da poco iniziato.
Ho fatto leggero il vostro telegramma anche ai vostri familiari che ho potuto incontrare e che ho visto tutti in ottima salute.
Tanti cordiali saluti.
(Sac. Ernesto Gliozzi)

BUON NATALE E BUON ANNO REPOST


lunedì 19 dicembre 2016

L'albero della vita - The Fountain (reg.Darren Aronofsky - 2006)


   
Platì, 14 ottobre 1998
Carissimo Rick,
Mi chiedi notizie sui nostri antenati. Questa è una cosa che fanno tutti gli emigrati di Platì e io sono contento di dare a tutti le notizie che trovo nei nostri Libri Parrocchiali.
Per ora ti do le notizie che riguardano gli antenati da parte di tua Mamma, che avevo già pronte da molto tempo. Per gli antenati di tuo Papà devo continuare ancora le ricerche e ti darò notizie appena avrò terminato questo lavoro. Ecco quello che ho ricavato dai Registri dei Battezzati di questa Parrocchia, che iniziano dall'anno 1760:

GLIOZZI FABRIZIO, di cui non risulta la data di nascita, ma era già in vita nel 1760; penso che sia nato prima del 1730; sposò Zappia Bernardina.

Fabrizio aveva anche sorelle e forse anche fratelli perché risultano una PASQUALINA e una ELISABETTA, che furono madrine (comari) in diversi battesimi.

Da Fabrizio nacque CARLO, ma neanche di lui risulta la data di nascita.

CARLO, che era notaio in Platì e sposò Joculano Elisabetta, ebbe i seguenti figli: 1) GIUSEPPE ANTONIO ENRICO, nato nel 1773; 2) Benigna Silvia, nata nel 1776; Elena Bernardina, nata il 29.12.1780; 3) Giuseppe Francesco Antonio, nato l'8. 4. 1783; 4) Vincenzo Rosario Maria, nato 1787; 5) Maria Anna, nata nel 1789; 6) Francesco, nato nel 1778(?); 7) Carlo Ferdinando, nato nel 1785(?).

GIUSEPPE ANTONIO ENRICO, sposato con Codespoti Filippa, ebbe i seguenti figli: 1) Filippo, nato il 19.2.1823; 2) Elisabetta, nata nel 1825, che sposò Arcuri Giuseppe; 3) Rachele, nata nel 1828; 4) FRANCESCO DOMENICO, nato nel 1830(?); 5) Serafina, nata nel 1831.

FRANCESCO DOMENICO, sposato con Gliozzi Elisabetta, nata da Carlo Ferdinando, ebbe i seguenti figli: 1) Luigi, nato il 13.6.1841; 2) Giuseppe, nato l'11.11.1842; 3) FRANCESCO, nato il 30.9.1844; 4) Filippo, nato il 30.11.1846; 5) Michele, nato il 25.2.1849; 6) Maria Antonia Giuseppa, nata l' 11.3.1851; 7) Carlo, nato il 26.3.1853; 8) Vincenzo, nato il 10.11.1855; 9) Carmelo Ferdinando, nato il 25.7.1858.

FRANCESCO, sposato con Fera Rosa, ebbe i seguenti figli: 1) Serafina, nata il 20.9.1877; 2) LUIGI, nato il 1.10.1880; 3) Ernesto, nato il 20.1.1883.

LUIGI, sposato con Mittiga Elisabetta di Rocco, ha avuto i seguenti figli:

1) FRANCESCO, nato il 6.3.1908 sacerdote;
2) ROSA, nata il 7.9.1910, che ha sposato Miceli Domenico ed ha avuto 2 figli: GIUSEPPA (Pina) e FRANCESCO (Duccio);
3) CATERINA, nata il 20.3.1913, che ha sposato Mittiga Francesco ed ha avuto 4 figli: ROSARIO (Saro), MARIA, LUIGI (Gino) e GIOVANNI(Gianni);
4) ERNESTO, nato il 12.4.1915 sacerdote;
5) SERAFINA, nata il 21.8.1917, suora;
6) GIUSEPPE, nato il 24.4.1920, che ha sposato Zappia Anna ed ha 2 figli: MARIA ELISABETTA (Marilisa) e LUIGI ROSARIO PASQUALE MARIA.
7) IOLANDA, nata il 30.5.1923, che ha sposato Tripepi Antonio ed ha 5 figli;
8) MARIA AMALIA, nata il 7.8.1925.

SDG

A tutti questi nomi, a tutte queste date, allo zio Ernesto il giovane che compilò la mega anagrafe non posso far altro che dedicare questo primo movimento del Concerto per violoncello e orchestra di Edward Elgar interpretato dalla ninfa del violoncello Jaqueline du Pré.

giovedì 17 novembre 2016

Morning has broken - Cat Stevens

Sweet the rain's new fall, sunlit from heaven
Like the first dewfall, on the first grass
Praise for the sweetness of the wet garden
Sprung in completeness where his feet pass
Cat Stevens, Mornig has broken

Nell'ombra: il nonno Luigi, la zia Amalia, la nonna Lisa e la mamma
al centro: la zia Gemma, nata Serafina, la zia Serafina e Saro
avanti: Pina e una signorina non identificata



da sinistra: la zia Iola, la mamma, la zia Pina, la zia Gemma, la zia Amalia
al centro: Maria e Luigi



Marilisa e Valentina



Lo zio Pepè

Il fondo Ernesto Gliozzi presso l'archivio diocesano a Locri






domenica 18 settembre 2016

Giglio infranto - pt. 3




DISCORSO tenuto dal Sig. GIOV. ANDREA OLIVA

“Bonus pastor animam suam dat pro ovibus suis. (S. Giovanni)

SIGNORI!
 E’ con animo affranto dal dolore e dal pianto che mi serra la gola, che mi accingo a parlare del mio compagno di studi dell’uomo dotto, del milite di Dio: dell’Arciprete ERNESTO GLIOZZI
La sua vita fu amore: amò Dio soprattutto, amò la famiglia con passione, il popolo, i suoi filiani, gli amici.
Dal gentiluomo Francesco Gliozzi e dalla Signora Donna Rosa Fera, il Rev.mo Arciprete D. Ernesto Gliozzi era nato il 1° gennaio 1884.
Memore e riconoscente, il padre, dell’amicizia che aveva contratto, nella sua gioventù, con un compagno d’armi, nelle guerre del Risorgimento, impose al bambino il nome dell’amico, Ernesto. Intelligente e proclive allo studio, fu mandato nel Seminario Vescovile di Gerace Superiore, ove primeggiò fra i suoi compagni e continuò a studiare, completandosi negli studi classici e teologici, fino alla sua consacrazione Sacerdotale, avvenuta nel 1905, appena ventunenne.
Fu scrittore e prosatore facile e perfetto; compose diversi opuscoli e articoli sui giornali; non privo di estro poetico, scrisse poesie ed anche molte dialettali in vernacolo; umoristici versi contro i viziosi tipi della società del tempo, imitando graziosamente il Parini.
Nei momenti di riposo si dedicava all’agricoltura, tanto da trasformare la sua proprietà in un ameno giardino.
Era stimato da tutti, e dal Clero era tenuto in gran conto ed apprezzato, specie dall’Arciprete Saverio Oliva, che l’aveva caro e a lui si affidava nelle sue mansioni religiose e negli affari privati, che portava a compimento con precisione.
In famiglia quantunque Sacerdote, era obbediente ed ossequiente ai suoi genitori, verso i quali mantenne un rispetto ed una devozione filiale non superata da nessuno. Ammalato il padre d’una infermità incurabile, paralizzato negli arti, divenne il suo infermiere di notte e di giorno. Adorava la madre “ Donna Rosa “, come egli la chiamava per renderle omaggio familiare ed amorosità. Era ossequiente ai consigli ed ai pareri dei suoi germani che amava con passione.
La sua vita, da quando salì all’altare del Nazareno fino a questo giorno fatale, fu un apostolato che esercitò ininterrottamente con zelo e abnegazione,, studiando e amando i suoi filiani ed il popolo tutto rispettando. Quell’amore sacro verso Dio, che tanto in lui ardea come lampada soave che accende come sole innanzi al Sole, nel sepolcro non si spegne, perché questo è inaccessibile alla gelida mano della morte, ma si fortifica, si nobilita, si purifica nei Giusti che si addormentano nel bacio del Signore, e nel cuore dei suoi familiari cresce e si perfeziona verso di lui, che per essi non è morto, ma addormentato nell’aureola della Giustizia e della Bontà celeste, che accoglie nel suo grembo i soli buoni.
L’uomo è creato per amare. Il Vero, il buono, il bello, ne attirano il cuore, l’animo la volontà. Ed il Buon Pastore fu attratto dall’Essere Infinito, che amò con tutta la sua mente, con tutto il suo cuore, che a Lui si era dedicato. E tale amore verso il Creatore, porta ad amare le sue creature, nelle quali risplende la sua immagine. Ed io infatti lo vidi nella funesta, piovosa e fredda mattinata del 28 dicembre 1908, quando la terra tremando e sussultando, sospinta dalle forze telluriche, distrussero il nostro paese e seppellì con le macerie uomini e cose, accorrere ed aiutare i feriti ed i morenti, dopo aver posto in salvo i suoi vecchi ed ammalati genitori, prestandosi anche al trasporto delle vittime dell’immane flagello. Virtù eroica d’altruismo che solo la religione di Cristo può infondere negli animi dei suoi apostoli; sacrificando la vita propria per salvare gli infelici colpiti dalla sventura.
Il pio Sacerdote, incominciò ad esercitare il suo Ministero nell’Oratorio del Rosario, e per ventun’anno tenendo ed immacolata la bianca stele del Nazareno, contribuì alla elezione del Tempio, al suo abbigliamento, alla sua decorazione incoraggiando i fedeli e i soci della confraternita a concorrervi; e ciò senza alcun compenso venale alle sue fatiche e schivando le lodi. Ma a maggiore e più grave responsabilità era destinato da Dio: il Vescovo di Gerace, che lo teneva d’occhio per la sua dottrina, pietà e virtù, lo elevò all’Arcipretura di Casignana, sede difficile, e di buon animo accettò Egli il peso della nuova missione e partì da noi lasciando un vuoto tra gli amici e conoscenti e per ben venti due anni esercitò la cura delle anime di quel paese. = E si disse, e si propagò nel raggio della Diocesi e fuori, quante lacrime di derelitti asciugò, quanta pace apportò nelle famiglie ove regnava la discordia e la lotta, quanta beneficienza elargì ai poveri, quante donne traviate dal vizio ritornarono alle virtù domestiche e religiose, quanta gioventù cattolica raccolta e inquadrata lanciò nella lotta in difesa della religione del Papa. Fu ammirabile la sua opera, illustre il suo apostolato, che la dolce e mite sua figura rendeva accessibile a tutti.
Fu suo merito ancora maggiore avere educato per la Chiesa nel domestico giardino due elette pianticelle, che ora sono alberi vigorosi, belli di fiori e di frutti, intendo dire dei suoi due nepoti Sac. Francesco e Arc. Prof. Ernesto; ed ha avuto nelle ore estreme la consolazione di vedere proni al suo origliere, di sentirli mormorare parole di pietoso conforto, di soavità quasi filiale; poteva nell’aspetto dei suoi cari nipoti rispecchiare se stesso e trovare oggetto di soddisfazione e di merito per le premure spese e le fatiche durate nel renderli leviti del Signore. Partì confortato e assicurato di lasciare il suo amato fratello Luigi e la sua sorelle alle cure affettuose dei suoi tre nipoti, educati ad alte idealità religiose e sociali. Ed io vidi all’ultimo mio incontro con l’affettuoso amico e compare la sua bianca faccia alla vigilia della sua dipartita, sul letto fra i candidi lini, circondato dai suoi familiari, dal suo fratello mesto e triste, con gli occhi arrossati dal pianto, dai suoi amati nipoti, aventi a lato le due donne, l’addolorata sorella e l’affettuosa cognata, che gli largiva le cure; e silente, con gli occhi ancora vispi e intelligenti e neri, l’incoraggiava a sopportare il dolore, che nei loro petti reprimevano e trattenevano negli occhi infuocate lacrime.
Oh! Celeste corrispondenza di umani ed amorosi sensi che Iddio ha creato nei mortali e che sta a dimostrare ancora, o mio Dio, la Tua esistenza. Ma all’alba, l’angelo della morte l’asportò in più mirabili aeri, inclinò il capo sul fragile corpo, come il Cristo sulla Croce,e spirò, trionfando ancora sulla morte che, saggio, aspettava tranquillo. La sua salma amorosamente composta, fu deposta nel sepolcro della casa; na gran Croce la sormontava e fra le mani stringeva il calice amaro della passione ed era rivestita dalla sacra pianeta sacerdotale come in atto di offrire ancora una volta all’Eterno l’ultimo sacrificio che ora per Lui non è più mistico rito ma celeste realtà fra i beati. Così passò da questo esilio provvisorio mondano alla pace celeste, eterna alla quale anelava.
Accostatevi, o compaesano, a questa tomba apertasi immaturamente, che racchiude la salma del pio e buon Arciprete Gliozzi, che rappresenta il vestibolo del Purgatorio,
“ ove l’umano spirito di purga
e di sali al Ciel diventa degno … “
                                                            (Dante – Purgatorio)

E sotto i cipressi ed i salici, agitati dai primi soffi boreali curviamo il ginocchio e preghiamo …. Ed alle preci, aggiungiamo lacrime, riponendo il fiore della riconoscenza e dell’affetto e sentiremo la Sua voce ammonitrice che dirà: “ O mio caro, che piangi sul freddo mio avello, rasciuga le lacrime … L’uomo non può morire. Io vivo e per me, negli spazi celesti, raggiò l’eterno Sole. Io son salito, son salito con Lui nella casa della Luce, sono abitatore di un mondo dove niente passa, io sono immortale! “

O Ernesto, attendici nella gloria di Dio che godi e prega per noi.

Platì, lì 25 sett. 1948

                                                                     Giov. Andrea Oliva



Nota: nella foto Giovanni Andrea Oliva che legge il testo riportato. Egli era nato da Raffaele e Pasqualina Brancatisano il 10 novembre del 1884.



giovedì 8 settembre 2016

Madadayo il compleanno (reg. Akira Kurosawa - 1993)



Otto settembre
La memoria storica comune dell’8 settembre di certo non coincide con la mia storia di bambina.
La notte precedente la passavo in uno stato di dormiveglia misto di tensione e sicurezza. Non dormivo profondamente perché mi piaceva ascoltare, nella via non illuminata, il passaggio e il vociare sommesso e le cantilene votive dei pellegrini che andavano a Polsi.
Quei pellegrini che camminavano nella notte mi facevano un po’ paura e quindi mi dava sicurezza il dormire nella camera dei nonni.
A volte dormivo abbracciata a mia nonna.
Mia nonna che quel giorno festeggiava il suo compleanno.
Tutti festeggiavamo il suo compleanno.
Venivano le zie da Messina e da S Eufemia con i cugini, si cominciava a cucinare la mattina presto, a friggere melanzane e arrotolare involtini. Era l’ultima festa dell’estate nella nostra famiglia.
Nel solaio già si diffondeva il profumo delle sorbe e dei fichi d'india che avremmo consumato in inverno, le giornate non erano avvampate, l’aria era di solito più fresca e in chiesa dove andavamo per la messa mia nonna non usava più il ventaglio e non odorava la boccettina della “Violetta di Parma”


Questo è un contributo di mia sorella Maria, nella foto con lo zio Pepè, che ha alle spalle, il portone, ancora non lo sapeva, da dove sarebbe uscita Annina la sua sposa. Poche righe per un mondo di immagini che permangono nonostante una realtà evaporata. Come il paese che non è più!

mercoledì 3 dicembre 2014

Amarti è il mio peccato (reg. Sergio Grieco - 1953)





Alla celeste mensa


Alla celeste mensa
venite o care figlie
e svaghe più che gigli
col sangue vi farò.
===

Di mio divino agnello
Il corpo il sangue è questo
e sugli altari impresso,
in cibo vi darò.
===

Spargendo il sangue in croce
vi rese amici a Dio
or vo col sangue mio
divinizzarvi ancor.
===

Venite a dissetarvi
il sangue e la lavanda
sparso per vostro amor
===

In Sacramento ascoso
in terra mi lasciai
tanto desiderai
unirmi al vostro cuor.
===

Il mio convito è aperto
su liete vi apprestate
le brame de appagate
del vostro Redento.
===

Non vi ritragga il mondo
da me coi falsi beni
venite e vi farò pieni d’avere
i miei tesori.
===

O Dio che più non reggo
sul tuo si dolce invito
mi sento già ferita
del tuo divino amor
===

Vieni de presto veni
amato mio signore
donarti a questo cuore
che più non può aspettar
===

Vieni colmami tutta
del tuo prezioso sangue
vedilo come langue
vieni non più tardar.
===

O carne, o sangue o cibo
di Paradiso Dio
vivo ma non più io
sol Cristo vive in me.
===

Or si che son contenta
or si che son felice
altro il mio cuor non dicembre
 che di venir con te.

Fines
 G Gliozzi

Lo zio Pepè non era certamente S. Giovanni della Croce, di questi  forse non conosceva In una  notte oscura e così non fu un altro prete in famiglia!



 1. In una notte oscura, 
 con ansie, dal mio amor tutta infiammata, 
 oh, sorte fortunata!, 
 uscii, né fui notata, 
 stando la mia casa al sonno abbandonata. 

 2. Al buio e più sicura, 
 per la segreta scala, travestita, 
 oh, sorte fortunata!, 
 al buio e ben celata, 
 stando la mia casa al sonno abbandonata. 

 3. Nella gioiosa notte, 
 in segreto, senza esser veduta, 
 senza veder cosa, 
 né altra luce o guida avea 
 fuor quella che in cuor mi ardea. 

 4. E questa mi guidava, 
 più sicura del sole a mezzogiorno, 
 là dove mi aspettava 2 
 chi ben io conoscea, 
 in un luogo ove nessuno si vedea. 

 5. Notte che mi guidasti, 
 oh, notte più dell’alba compiacente! 
 Oh, notte che riunisti 
 l’Amato con l’amata, 
 amata nell’Amato trasformata! 

 6. Sul mio petto fiorito, 
 che intatto sol per lui tenea serbato, 
 là si posò addormentato 
 ed io lo accarezzavo, 
 e la chioma dei cedri ei ventilava. 

 7. La brezza d’alte cime, 
 allor che i suoi capelli discioglievo, 
 con la sua mano leggera 
 il collo mio feriva 
 e tutti i sensi mie in estasi rapiva. 

 8. Là giacqui, mi dimenticai, 
 il volto sull’Amato reclinai, 
 tutto finì e posai, 
 lasciando ogni pensier 
 tra i gigli perdersi obliato. 


Per chi volesse saperne di più qui sotto il link dove c'è il commento di una vera santa e bella donna: Cristina Campo 


http://www.cristinacampo.it/public/san%20giovanni%20della%20croce,%20la%20notte%20oscura%20,%20testo%20integrale..pdf



venerdì 18 ottobre 2013

48° fanteria (reg. Ernst Marischka - 1955)


                                                                                                          Bari  25 gennaio  941  XIX

     Carissimo Ernesto

  Non puoi immaginare con quanta ansia ho atteso la tua lettera e con quanta maggiore ansia attendo quella da casa, che ancora non vedo arrivare, malgrado, di lettere, a casa, ne abbia scritto ben quattro. Oggi, ricevendo la tua, mi sono risollevato dal torpore e dalla malinconia che mi tormentavano, a causa della mancanza di vostre notizie.
  Tu credi che io ti abbia detto una  “frottola “ dicendoti che sono stato assegnato in distrettuale: niente affatto invece! Sono stato assegnato al Reparto Distrettuale di Argirocastro e resto qui a Bari durante tutto il periodo di istruzioni, che – ripeto – sarà di due o tre mesi. Ciò vuol dire che fra due o tre mesi sarò dislocato in Albania. Ciò non deve impressionarti, perché i distrettuali sono impiegati esclusivamente in lavori di ufficio e quindi dovrebbe succedere veramente una catastrofe perché io dovessi andare in combattimento. Mi credi ora? E poi come hai potuto menomamente pensare che io mentissi con te?
  Del resto in questa situazione non mi trovo soltanto io, perché tutta la mia compagnia è formata di distrettuali e dato che siamo quasi tutti impiegati e studenti, c’è molto cameratismo e man mano che i giorni passano questa si fa sempre più stretta, rendendo meno penosa, ma che dico! Ormai la malinconia è sparita dai nostri volti e qui dalla mattina alla sera si fa sempre baccano. Anzi ti dico che l’unica mia preoccupazione è quella di pensare alla mamma che soffre per me, che altrimenti mi sentirei davvero contento, perché qui ho trovato tanti amici che mi vogliono bene, ( c’è uno di Samo anche uno di Locri e uno di Siderno).
  Mi sono spiegato ora? Mi credi? Dunque ancora ti voglio ripetere: “ Militare G. Gliozzi – assegnato al Reparto Distrettuale di Argirocastro - avviato al deposito 48° fanteria Bari per il periodo di istruzioni”.
Queste sono le testuali parole che erano scritte sul mio foglio di viaggio che mi hanno dato a Reggio.
  Speriamo che questi pochi mesi passino presto perché sono un po’ pesantucci ( specialmente per uno che era abituato ad una vita sedentaria) per le marce che dobbiamo fare. Ma non credere che con ciò mi ammazzi, che anzi mi giovano. Ieri mi hanno consegnato le armi. Ti vorrei dire tante cose, ma mi manca il tempo e lo spazio. Solamente ti dico- e con grande gioia – che fra non molto verrò a licenza. Ti piace questo?
  Son molto contento che voi state bene. Anch’io sto molto bene e vi abbraccio e vi bacio con grande affetto.
              Tuo Peppe
In questo momento scrivo una cartolina allo zio Ernesto.
Fammi sapere se ti è stato consegnato il mio vestito che ti ho mandato giorni indietro. Ho dimenticato qui le scarpe, il maglione e la cravatta che porterò io.
Ti mando una mia fotografia e ti prego di accettarla.

giovedì 3 ottobre 2013

La recluta (reg. Clint Eastwood - 1990)




Reggio Cal. 14/gen/941 XIX

Caro papà

Sono stato assegnato in una compagnia distrettuale e stasera alle 22.30 partirò per Bari passando da Locri – Ormai è tardi e non faccio nemmeno in tempo  a telegrafare a Locri per farmi attendere da Ernesto,
Ora che sono stato assegnato  distrettuale è inutile che la mamma si preoccupi, perché non trovo un posto sicuro ed anche se nei prossimi mesi dovrei essere mandato in Albania non correrei nessun pericolo.
Ad ogni modo prima che ciò possa succedere dovranno passare parecchi mesi; ed in parecchi mesi, se Dio vuole, saremo in pace.
Raccomando quindi alla mamma di stare tranquilla e di non preoccuparsi di niente.
 Vi abbraccio tutti con affetto e a voi e alla mamma chiedo la S. B.
                                                                         Vostro aff.mo figlio
                                                                             Peppe

Reggio Cal. 14 Gennaio 1941 = XIX =
   
     Carissimo compare,

Credo che abbiate di già ricevuto il telegramma di Peppino fattovi questa sera non appena passata la visita.
Per suo incarico, e data l’occasione del porgitore che viene direttamente a Platì, mi pregio comunicarvi l’esito del suo invio alle armi.
Egli è stato assegnato al Reparto Distrettuale di Argirocasrto ed avviato al deposito 48 Regg/to fanteria in Bari, per il periodo delle istruzioni.
Qui potranno passare alcuni mesi, dove senza dubbio, date le sue qualità e dato che a questo Deposito fu quasi il solo che eccelle un poco, perché gli altri sono di pochissima cultura, non gli mancherà con certezza un buon posto dove imboscarsi.
Da qui domani gli rimetterò per espresso un certificato rilasciatogli dal direttore della Banca, che farò vistare dal nostro comandante onde poter avere maggior valore e pregio.
Non vi è nulla da impressionarvi poi nel leggere che fu inviato ad Argirocastro, perché sebbene l’assegnazione è per quel Distretto terminate le istruzioni, se non è terminata la guerra, li manderanno al Distretto di Bari fino a che terminerà. Perciò come vedete, pur essendo venuto in un momento un poco critico perché era l’ultimo giorno e si dovevano coprire i posti vuoti, pur nondimeno per lui s’è trovato.
Certamente non credo che eravate più contento se doveva partire per l’VIII Settore di Copertura Guardia alla Frontiera di Fanteria della Piazzaforte di Tobruk dove era stato assegnato.
Dai miei Superiori poi, con i quali è stato tutto il tempo che fu al Distretto, lontano dalla massa, tanto che ebbe, soltanto lui il permesso di uscire,, fu consigliato molto bene come deve fare e come deve comportarsi.
Perciò mi auguro che adesso starà sempre bene, e potrete stare sicuri che non avrà nulla a pentirsene.
Invio i più cordiali saluti estensibili a tutti i vostri nonché a vostro cognato D. Michele, che ringrazio tanto di quanto si è di me interessato, credetemi vostro compare
                                                                                                       ( Virgara Giovanni)

lunedì 11 febbraio 2013

Mediterraneo (reg. Gabriele Salvatores - 1991)




Argirocastro, 10 luglio 1942 xx

Mamma mia cara,

solo oggi ho ricevuto il tuo biglietto dell’11 giugno e non ti nascondo che le tue parole mi hanno fatto venire le lacrime. Mi dici che mi sono allontanato dall’Italia per venire in un altro regno senza venire a casa per abbracciarti. Tu credi che ciò sia dipeso dalla mia volontà? Tu non sai con quanto dispiacere sia partito senza averti potuto rivedere prima della partenza. Ma come facevo a venire se l’ordine d trasferimento è venuto dalla sera per la mattina? Però tu esageri dicendo che ti pare di non vedermi più. Perché dici questo? Sono in guerra forse? E se anche lo fossi, perché non dovrei ritornare? D’altronde non credere che io sia tanto lontano da casa. Pensa che se non ci fosse il mare per lo meno, sarei più vicino di prima. L’unico inconveniente è appunto il mare e per questo non si può venire in licenza tanto spesso. Ti giuro che qui sto meglio di come stavo in Italia. Al campo, in Italia, dormivo sotto la tenda e qui invece ho un magnifico lettino con materasso, lenzuola pulitissime, cuscini e coperte. Il rancio è ottimo sotto tutti i punti di vista ed i superiori mi vogliono tanto bene quanto mi volevano quelli di prima. C’è specialmente un tenente albanese che è addirittura entusiasta di me. Vedi dunque che io non soffro affatto qui? Poi, ogni domenica, vado a messa in una cappella dove c’è un sacerdote siciliano e  le monache, mi dicono, calabresi. La messa si celebra in rito greco che è la stessa come la nostra. Anche per questo non ti preoccupare dunque perché cercherò sempre di non fare peccati e di adempiere ai miei doveri di buon cristiano.
Anch’io ho tanto desiderio di riabbracciarti, ma adesso bisogna avere un po’ di coscienza, perché qui ci sono dei soldati che non vanno a  casa da più di due anni. E’ logico quindi che essi vadano a casa prima di noi che siamo qui da appena un mese. Non che io debba aspettare due anni per venire, intendiamoci. Ho già fatto il conto ed il mio turno pare che mi tocchi nei primi mesi del prossimo anno. Non so ancora se ci saranno le licenze agricole per noi altri, nel qual caso, forse , potrei venire verso settembre-ottobre. Si potrebbe venire anche mediante un telegramma dei carabinieri ma questo, papà mi disse che non è possibile ottenerlo. Nemmeno lo zio Giuseppino potrebbe far niente? Ad ogni modo non ci vuole poi tanto tempo per il mio turno di licenza e non ci vuole altro che un po’ di pazienza.
Ora che ti ho detto come sto, è inutile che ti preoccupi per me. Anzi voglio che tu mi scriva una lettera per dirmi che ti sei tranquillizzata.
   Perché papà non mi scrive più? E perché Rosina mi scrive tanto poco? Ernesto e lo zio mi hanno scritto oggi due lunghe e belle lettere che mi hanno fatto tanto ridere. Ho saputo che a Iola sono rimaste solo due materie brava! Speriamo che a ottobre sarà promossa.
  Chiudo ora nella speranza che la presente vi raggiunga tutti in perfetta salute come me.
   Abbraccio tutti quanti con tanto affetto e a te, mamma, ti mando tanti bacioni e tanti abbracci, chiedendoti, assieme a papà, la S. B.

Il tuo Peppe


Io sottoscritto medico-chirurgo certifico che Mittiga Elisabetta fu Rocco, madre del militare Gliozzi Giuseppe di Luigi versa in imminente pericolo di vita essendo affetta da broncopolmonite con iposistolia
Si rilascia per uso militare
Platì 5 - 5 - 1942 - XX

martedì 25 ottobre 2011

Rapina a mano armata (reg. Stanley Kubrick - 1955)



La foto è stata scattata a Paola quando avvenne il matrimonio di zia Pina, il 28 giugno del 1958. Lo zio Pepè lo ricorderò sempre con questa sua imponente fisionomia, accanto, alla sua destra Ciccillo Oliva, u grecu, che fu pure il bidello della scuola elementare a Platì, e alla sua sinistra mio cugino Pino Fedele, figlio della zia Rachelina e di zio Diego che allora era capelluto.

giovedì 6 ottobre 2011

La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia (reg. Lina Wertmuller - 1978)



Chi è nato a Platì, come me, tra il 1955 e il 1965, ha sentito spesso parlare di quei giorni tra il 16 e il 18 ottobre 1951. Giorni di paura e timore per le persone come per gli averi: la casa innanzitutto e i poderi. Ci lasciarono la vita 19 persone.
Nello sgomento i più cercavano riparo altrove, chi poteva presso parenti. Papà e mamma con Saro di tre anni, scapparono, aiutati nella corsa contro il tempo e la massa d’acqua che arrivava dalla montagna, a salvare più roba possibile, dallo zio Pepé. Lasciarono la casa che era appartenuta al nonno Rosario e dove loro si erano sistemati subito dopo il matrimonio. Per fortuna il nonno, come ho già scritto, molto tempo prima aveva comprato dal nonno Luigi la casa in via 24 maggio e li si sistemarono per gli anni a venire, fino al trasloco in Messina.
L’avvenimento fu riportato da tutti i giornali, dalla radio e dai cinegiornali. I politici si riempirono gli occhi di lacrime da coccodrillo e le bocche di vane promesse. Allora il paese superava i 7.000 abitanti.
Oggi, fate un viaggio a Platì, se riuscite ad arrivare. Il territorio presenta, in netta evidenza le lacerazioni subite da quell’evento, come da quelli successivi. Ben poco fu fatto. In più i dissesti alle vie di transito si sono aggravati. Non chiedetemi di chi è la colpa; di tutti. Non possiamo tirarci indietro, e non è solo l’assenza, che peraltro continua, dello Stato e delle sue istituzioni. Ammettiamolo, è stata l’incuria, fiduciosi che niente poteva accadere.
In questo momento se imboccate la statale 112, quando appena state per lasciarvi alle vostre spalle l’abitato di Natile, dovete camminare come lumache se ci tenete alla vostra automobile. Più oltre, lasciato Platì, non potete arrivare al Crocefisso, al Sanatorio o allo Zomaro. Continue voragini si aprono nella strada, abbandonata dal 1951, i cui lavori di ripristino, cominciati, non sono mai stati ultimati. Si è voluto progettare ed appaltare un arteria che promette e mantiene solo guai, e questo solo perché quelli di Careri non vadano più a mare a Bovalino bensì a Bagnara, come quelli di Palmi non vadano a San Ferdinando, nel golfo di Nicotera ma a Bianco.
Ora questa non è una critica, come poteva essere quella che Bertrand Russell faceva a Gandhi, intorno al 1940, quest’ultimo non voleva in India ponti, gallerie e ferrovie, perché non erano “naturali”.
 A Platì, che senso ha coprire ancora di cemento la fiumara ed ettari di terreno quando si potevano sistemare definitivamente le strade già esistenti?
Ancora oggi, da quest’altra parte, a Ciurrame, si sono festeggiate, loro dicono commemorate, le vittime del 2 ottobre 2009. Nei discorsi dei prelati e  politici niente è cambiato dal 1951 a Platì.
Dopo l'alluvione Platì fu visitata da Alcide De Gasperi all'epoca Presidente del Consiglio il quale disse: "Deve finire l'Italia di Platì". Ma Platì fu ancora colpita in maniera violenta dalle alluvioni del 1953 e 1958, che portarono ad un abbandono del territorio con decine di frane imponenti e mai sistemate.
La Natura è come Vittorio Gassman, nelle opere migliori si ripete sempre.

Nella foto: De Gasperi, lo zio Pepé appoggiato alla parete della casa con gli occhiali da sole e lo zio Ciccillo
all'ombra.
Eccoti accontentato, Francesco.