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domenica 23 gennaio 2022

Ultimissime della notte [di Ladislao Vajda - 1950]

NEI GIORNI SCORSI
UCCISO UN LUPO
sull' Aspromonte ?
Sembra che alcuni cacciatori si sarebbero
imbattuti con la belva, ferendola a morte

Platì, 14 gennaio
(M. F.) - Secondo il racconto resoci da alcuni montanari del nostro centro, negli scorsi giorni, sulle balze dell'Aspromonte e precisamente in contrada Zillastro - Arcopallo, alcuni cacciatori si incontravano accidentalmente, anziché con le mangerecce quaglie di cui andavano in cerca, con un grossissimo e affamatissimo lupo.
Uno della comitiva, borbottando all'indirizzo della belva, (che se ne stava a distanza di una cinquantina di metri), «Ti ammazzerò come un cane!» faceva fuoco due o tre volte e colpiva in pieno il suo obbiettivo. Ma strana circostanza - la feroce belva, anziché cadere con un ululato, come si addice ai lupi feriti a morte, si accasciava a terra con un pietoso guaito, proprio come se fosse stata veramente un cane.
Comunque né gli intrepidi protagonisti dell'avventura, né i pastori presenti, hanno potuto identificare con certezza se si trattasse di un cane lupo, oppure di un lupo vero. Quest'ultima ipotesi è da accettare senz'altro, giacché non è la prima volta che sull'Aspromonte si trovano dei lupi, e spesso se ne sono visti anche con la voce da cane.
 
A Platì una variante
del «Roch and Roll»
Platì, 14 gennaio
Un giovane nostro concittadino ha in questi ultimi giorni ideato una simpatica variante al Roch And Roll, il famoso e vorticoso ballo americano; la variante consiste più propriamente in una completa rivoluzione dei tempi e dei movimenti del ballo qual' era in origine, ed ha conseguito un successo enorme, non solo nel nostro centro ma anche nella vicina Natile, dove i giovani vi si dedicano completamente.
Il nuovo ballo è stato denominato dal suo autore con un nome simile a quello del ballo da cui ebbe origine: «Roch and Stall».
Gazzetta del Sud 15 gennaio 1957

Branchi di lupi
si aggirano
sull’Aspromonte?
(M. F.) - Stando alle affermazioni di alcuni montanari, in località Arcopallo dell'Aspromonte, alcuni giorni fa si sarebbero visti girare dei lupi. Le belve non erano riunite in bran chi, ma isolati. Comunque non aggrediscono le persone, infatti, alla vista di alcuni pecorai che guidavano il loro gregge si sono squagliati

DOPO IL TEMPORALE
Una abbondante nevicata
È caduta sull’Aspromonte
Nella zona di Piatì danni considerevoli
causati della furia degli elementi


Plati, 19 gennaio
(M. F.) - Un violentissimo temporale ha infuriato la notte scorsa nelle campagne e nell'abitato del nostro centro; il vento ha avuto una parte preponderante, specialmente nelle campagne dove ha provocato danni ingentissimi.
La temperatura, dopo il fortunale, è scesa, e si mantiene a zero gradi; le montagne dell'Aspromonte sono coperte di neve sciabile in più punti. Gli esperti affermano che il vento, la notte scorsa ha raggiunto i novanta chilometri orari di velocità.
E sembrano confermare le loro asserzioni, gli innumerevoli tronchi di querce e di olivi abbattuti ovunque.


Cassetta per lettere a Platì
Platì, 19 gennaio
(M. F.) - Dato l'accresciuto volume della corrispondenza che parte dai nostri centri sarebbe opportuno che i locali uffici postali fossero dotati di cassette per le lettere, di maggiori dimensioni, onde evitare, anche al personale di dover effettuare più levate giornaliere.
 
A buon punto i lavori
sulla Statale 112
Platì, 19 gennaio
(M. F.) - Abbiamo constatato con piacere come i lavori per la risistemazione della S. S. 112 d'Aspromonte, procedano alacremente sotto la esperta direzione deli Ingegnere capo dell'ANAS, ingegnere Dragoni. Si spera che in estate il traffico sarà definitivamente riaperto.

 M. F. Michele Fera

martedì 4 gennaio 2022

Una raffica di piombo [di Paolo Heusch - 1965]

PLATI’ - In contrada «ALATI» la neve ha raggiunto gli 80 centimetri di neve

GAZZETTA DEL SUD 12 gennaio 1956


Incredibile fortuna
di un cacciatore a Platì
Platì, 16 gennaio
(M. F.) - La caccia ai tordi ha assunto, nelle nostre zone, sviluppi imprevisti: migliaia e migliaia di questi volatili, cadono sotto il piombo dei cacciatori.
Incredibile successo ha avuto un metodo sperimentato ieri l'altro da un cacciatore nostro concittadino; questi, avendo notato come
le «Marvizze » volano a stormi compatti, ha caricato il fucile con cartucce pesanti, usate di solito per la caccia alla volpe: sparando sugli stormi ha uccìso con cinque colpi, ben sessantacinque bestiole.
Non è il numero che fa impressione, perché dato l'andamento della caccia di quest'anno, ogni cacciatore che si rispetti, non torna casa se non ha nel carniere almeno una cinquantina di tordi; ma è impressionante il fatto che il suddetto cacciatore abbia potuto con un sol colpo fare cadere dieci quindici tordi per volta.
A detta dei cacciatori anziani, un fatto simile non si era ancora verificato nel nostri paraggi; solo una volta, nel 1939, un cacciatore sparò con un sol colpo sei beccacce; ma i maligni dicono che una sola di queste bestie fu colpite, mentre le altre
morirono per sincope cardiaca. provocata dalla paura ...
Riferendosi a questo fatto, celebre negli annali della caccia platiese, non vogliamo insinuare nulla; ciononostante, non escludiamo
che se si facesse l'autopsia a tutte le vittime del fortunato cacciatore di questi giorni, si scoprirebbe che almeno una di esse è morta per la paura!!...
GAZZETTA DEL SUD 17 gennaio 1956

Foto e testi di Michele Fera







domenica 19 dicembre 2021

La festa perduta [di Piergiuseppe Murgia - 1981]



A Platì
Platì, 25 nov.
(M. F.) In modo particolarmente solenne si e svolta quest’anno a Platì la festa degli alberi. Alla cerimonia svoltasi nelle ore antimeridiane, erano presenti le autorità cittadine e gli insegnanti elementari accompagnati dalle rispettive classi. Non mancavano rappresentanti di tutti gli strati della popolazione.
Oratore ufficiale è stato il prof. Giuseppe Gelonesi, che in un breve, commosso discorso ha ricordato all’uditorio quale enorme importanza rivesta per Platì il rimboschimento delle montagne straziate dalle alluvioni.
Unica risorsa, infatti, per la sicurezza del nostro paese sono gli alberi: che fortificano con le loro radici e arrestano il corso delle frane ovviando in tal modo, alla incuria dimostrata finora dai vari governi per la terra calabrese.
La coreografia era stupenda: Su un lunghissimo tratto della statale 112, si stendevano infatti le file composte degli scolari che alla fine del discorso riprendevano la via, sotto l’attenta guida degli insegnanti, cantando inni patriottici, seguiti dal numerosissimo pubblico
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD, 26 novembre 1954


La foto d'apertuta con il Maestro Peppino Gelonesi appartiene a Teresa Mittiga che ringrazio per averla pubblicata. Posso riconoscere solo Pasqualino Violi, Nicola Barbaro, Mimmo Riganò, Duccio e Saro che non perdeva occasione per smentirsi. I ragazzi della foto sono cresciuti e gli alberi tagliati.



 

lunedì 6 dicembre 2021

Le due strade [di W.S. Van Dyke - 1934]

 

TRA PLATI' E BOVALINO
Opportuna una variante
alla SS 112 d'Aspromonte
Seguendo la valle naturale creata dal Careri si accorcerebbe di gran lunga il percorso

Platì, 21 dicembre
(M. F.) - Un progetto arditissimo, ma di costo facile, e di utilità Immensa, sarebbe quello di una strada Statale, che congiungesse Platì a Bovalino seguendo, con opportune cautele, il corso del torrente Careri. Più che dì una nuova strada, dovrebbe parlarsi anzi di una variante alla strada statale 112 d'Aspromonte, che unisce Platì a Bovalino attraverso un lunghissimo giro vizioso, passando per i paesi di Careri, Benestare, Bovalino Superiore, etc.
Il tempo normalmente impiegato da una automobile per coprire la distanza che separa Platì da Bovalino, è attraverso la via di comunicazione attualmente esistente (la suddetta SS. 112), di circa un'ora.
Tale tempo, se la strada seguisse ma la via naturale creata dal torrente Careri accorciato del 90 per cento: basterebbero infatti pochi minuti a coprire tutto il percorso.
Il problema degli abitati di Careri, Benestare etc. sarebbe risolvibile col semplice sistema di creare apposite reti di strade provinciali, senza peraltro abbandonare la S.S. 112 attualmente esistente.
Alle competenti autorità resta la decisione.
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD, 22 dicembre 1956


domenica 21 novembre 2021

Rinascita [di Raoul Walsh - 1931]





UN IMPORTANTE PROBLEMA ORMAI DIBATTUTO DA DECENNI
La bonifica del torrente Careri
restituirà vaste zone all’agricoltura
Fin dai tempi del fascismo si parlava di questa grande opera; si continua a parlarne invano ancora
 
Platì, 14 novembre
(M. F.) La situazione in cui si trova ormai da troppo tempo il torrente Careri, si imposta decisamente male in questa epoca che ben si può definire di rinascita per il nostro popolo.
Quello che è stato fatto in questo ultimo decennio per la Nazione, è decisamente molto e specialmente in questi drammatici momenti in cui l'attenzione di tutti è rivolta alla ignobile repressione della libertà ungherese, possiamo apprezzarlo. Libertà di governo, di pensiero, di stampa, sono indubbiamente delle preziosissime cose per il popolo Italiano. Ma dovremmo dedurne che il popolo calabrese non faccia parte di questo popolo.
I calabresi, infatti, non hanno usufruito che in minima parte dei benefici di cui ha largamente usufruito il resto della popolazione, e specialmente la popolazione del «Nord».
Un esemplo schiacciante di questa situazione, è senz'altro il torrente «Careri», che da tempo immemorabile è abbandonato a sé stesso, e distrugge lentamente e inesorabilmente la vita di una vasta zona della Calabria. Se il torrente Careri fosse un essere pensante, crederemmo che fosse un suo strano modo di fare omaggio alla famosa legge del piano «inclinato!!!».
Ma il torrente «Careri» non è un essere pensante, e non aspetta altro che di essere costretto tra due muraglioni.
Bonifica del Careri! Pare che questa espressione sia stretta parente dell'altra: «Quadratura del cerchio!».
Eppure non si può dire che le «competenti autorità» non si siano accorte della drammaticissima situazione: La stampa ha dibattuto il problema fino alla nausea.
Dunque i casi sono due: o le competenti autorità fanno orecchio da mercante, oppure l'espressione «Libertà di stampa» non ha per niente il significato pieno che molti ottimisti vogliono attribuirle.
I calabresi non aspirano alle «luci al neon», ma gradirebbero di avere i mezzi per sostenersi senza chiedere l'elemosina! E gli unici mezzi di questo genere sono costituti dall'agricoltura.
Chi non sa che la bonifica del torrente «Careri» restituirebbe all'agricoltura calabrese centinaia di migliaia di ettari di terreno? Chi non sa che il torrente Careri ha spinto nelle navi da emigrazione migliaia e migliaia di cittadini di Platì, Natile, Cirella, Senoli, etc.
Si parlava di bonificare questo torrente sin dai tempo dal fascismo; si continua a parlarne invano adesso, e con la sola differenza, che adesso si pagano anche i contributi di bonifica, che allora non si pagavano!
Noi non ci illudiamo che si possa concludere qualcosa di buono con lo scrivere sui giornali, ma speriamo che in questo momento particolare della storia del mondo, il nostro Governo voglia riservare ai cittadini del Nord e a quelli del Sud Italia, una minore disparità di trattamento. Forse per noialtri calabresi è questo il momento migliore per ottenere, a coronamento di tanti sforzi e di tante istanze, quello che i connazionali del Nord avrebbero ottenuto alla prima parola.
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD, 15 novembre 1956
 
Ancora una volta, può sembrare una fissazione la mia, scopro che la realtà di quegli anni per cui lottava Danilo Dolci sull’estremo versante occidentale siciliano, ha molto in comune con quella della «Valle del Careri». Certo Michele Fera, in quel tempo giovanissimo, non aveva il background formativo e culturale del Dolci, ma combatteva anche lui una sua battaglia a favore del nostro paese sulle pagine della «Gazzetta del Sud», che certo era schierata su posizioni ultra moderate, chiamatele destrorse. Ecco allora che la lotta per la bonifica del fiume Jato portata avanti da Danilo Dolci è la stessa di quella lamentata dal nostro Michele Fera, anche se quest’ultimo non aveva accanto a sé la popolazione che si schierava al fianco del «Gandhi italiano», com’era stato definito da Aldo Capitini, Danilo Dolci.



domenica 24 ottobre 2021

La Valle dell'Inferno [di Gustavo Serena -1918]



ANTICHE LEGGENDE CALABRESI
LA COLLINA “LACCATA”
della Valle dell'Inferno
La triste storia delle tre sorelle Agra, Darussa e Suia

 

Platì, 3 ottobre
Nel punto più basso e strisciante della Valle dell’Inferno, situata in mezzo all'estrema punta dell'Aspromonte, rosseggia perennemente una collinetta, bassa, bruciata dal sole, e la cui composizione geologica è di natura silicea con abbondanza di pirite ferruginosa.
Nessun pastore ha mai fatto pascolare le sue capre nella fanghiglia laccosa della collina e, d'altra parte oggigiorno non esistono più capre che si mettono su terreni ricchi di minerali, come quelle, favolose del pastore polacco Drungonar.
Fino a qualche secolo fa, esisteva, in mezzo alla «Laccata» rossastra, il rudere del castello che la leggenda vuole sia appartenuto alle tre fatidiche sorelle di Alessandro XXXVII le quali si ritirarono in quel desolato paesaggio non resistendo al dolore per la tragica disfatta del fratello.
Per chi non lo sapesse, Alessandro XXXVII era, sempre secondo la leggenda, uno dei favolosi principi dello Stato di San Polinardo.
Ma non divaghiamo e torniamo alle sorelle di quell'ultimo, della cui triste storia ancora è impregnata la mortifera terra rossastra che non conosce erbe.
Quando le tre sorelle, la bionda Agra, con la rossa Darussa e la nera Suia, vennero ad abitare nel grande palazzo, i pastori di capre che osarono avventurarsi nella zona, ebbero una sgradita sorpresa: Le tre sorelle, infatti, dimostrarono di non avere nessuna intenzione di vedere adibite a pascoli le loro rossastre terre. Agra, che era la maggiore delle tre, si assunse l'incarico di «spulicare», come diceva lei, la piccola collina. Detto fatto, chiamò a raccolta i pastori avendo in precedenza affilato il più grosso dei coltelli di famiglia, quello che il fratello Alessandro
buonanima aveva immerso, da piccolo, nel sangue di Samuele di Samotracia.
Nel suo linguaggio stregonesco, che i pastori però, capivano a meraviglia, Agra cominciò: «Cosa fi? Tent! Nenti, chiurrin, Garicà!»
I pastori risposero arrogantemente. Troppo arrogantemente, per il gusto di Agra, che li distrusse nella sua furia alluvionale di giovane strega.
Dopo il sanguinoso avvenimento, nessun pastore, fino ai giorni nostri, portò a pascolare le capre nella laccata rossastra circostante il castello.
E le tre sorelle?
Gli anni passarono anche per loro, e un bel giorno Agra disse a Darussa con voce malinconica: «Oggi, per tirare il secchio dal pozzo, ho dovuto faticare quanto Briareo quando dové infilare i cesti da boxe per lottare contro Padre Giove!»
E Suia intervenendo nel discorso delle sorelle, confidò che nel chiudere la porta del «Mabì» (il loro ripostiglio segreto), aveva sentito nello stridore dei cardini, la tragica voce di «Testa di Jizzo» che le chiedeva irritante: «Suia, Suia, quando ti fermerai?»
La povera Suia non poté completare il discorso, che cadde stecchita ai piedi di Agra e Darussa. Queste, a distanza di pochi attimi la seguirono nella mortale caduta. E il favoloso castello si disgregò intorno ai loro miserabili colpi.
Questa è la storia di Agra, Darussa e Suia, che è una delle più strane e insieme delle più, belle leggende calabresi. Il pastore che me la raccontò, mi confidò terrorizzato che nelle notti in cui la luna è al suo primo quarto, dalle zolle rossastre della collina si sente la voce di Agra cantare al vento il suo motto abituale, che uccide chi lo sente.
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD, 4 ottobre 1956

Foto: S. Carannante

Enigmatico, autunnale, dantesco Michele Fera, che innalza Santa Pulinara (San Polinardo) a stato e la suia a fata stecchita da «Testa di Jizzo». 

mercoledì 15 settembre 2021

La grande festa [di Edmund Goulding - 1934]



TRADIZIONI DI FEDE
Festeggiamenti a Platì
in onore di San Rocco
Hanno tenuto palco i due complessi bandistici “Città di Pizzo”, e  “Città di Antonimina”
 
Platì, 18 settembre
(M. F.) Hanno avuto luogo nei giorni 15 e 16 settembre, i festeggiamenti che ogni anno ricorrono nel nostro centro in onore di San Rocco. Si è rinnovata la tradizionale processione dei penitenti, che vanno scalzi e coperti di spine per le strade del paese, con in mano enormi mazzi di candele che lasciano sul selciato una lunga teoria di goccioline di cera.
Ha suonato sulla piazza Gramsci il complesso vocale strumentale «Città di Pizzo». Ma l'aspetto più interessante della festa è stato però costituito dal famoso personaggio tradizionale del «Capitamburo»; esso è stato quest'anno interpretato dal «Complesso Città di Antonimina» diretto dal maestro Raco. Un particolare elogio tra i componenti il complesso, spetta al piccolo Antonino Raco, ragazzo prodigio di appena quattro anni, che suonava in maniera stupefacente.
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD, 19 settembre 1956
 

Ancora una volta dobbiamo all'avvocato Michele Fera le tradizioni perdute e con esse i ricordi: dove sono Piazza Gramsci, i penitenti, i «Capitamburo»; la “lunga teoria di goccioline di cera”?-  “Tutti, tutti dormono sulla collina” direbbe Edgar Lee Masters.

Il Santo dei Santi era apparso qui:
https://iloveplati.blogspot.com/2020/11/la-statua-errante-di-fritz-lang-1920.html
https://iloveplati.blogspot.com/2019/09/una-preghiera-prima-dellalba-di-jean.html
https://iloveplati.blogspot.com/2019/09/il-santo-dei-santi-di-amerigo-anton-1963.html
https://iloveplati.blogspot.com/2021/09/la-grande-festa-di-edmund-goulding-1934.html
https://iloveplati.blogspot.com/2015/03/il-cavaliere-della-carita-reg-flavio.html

lunedì 6 settembre 2021

Pellegrini d'amore [di Andrea Forzano - 1951]


Affluenza di platiesi al Santuario di Polsi

 
Platì, 2 settembre
(M. F.) — Si è verificata in questi giorni la solita grande affluenza di devoti platiesi al Santuario della Madonna di Polsi.
A differenza dalle abitudini di altri centri vicini al nostro, le comitive che si recano al santuario partono a piedi si trattengono in preghiera per almeno una settimana.
MICHELE FERA
 
 
ANTICHE TRADIZIONI DI FEDE
IL PELLEGRINAGGIO
al Santuario di Polsi
Chi non conosce il sito noi può comprendere la poesia che da queste balze trae vita, voci, canti
 
Polsi, 2 settembre
Anche quest'anno, una infinità di fedeli, si è spinta fra le forre d'Aspromonte, per rinnovare il tributo d'amore filiale alla Vergine, per deporre ai suoi piedi di Madre, le umane miserie ed averne in compenso, un particolare conforto.
Lunghe teorie di uomini, donne, fanciulli, s'inerpicano difatti, da giorni, per le balze malfide, lungo aerei viottoli che sconfinano in sottostanti burroni paurosi; fra pendii che sanno di fuoco, di balsami e dei sospiri degli umili.
Ma la fatica non conta, quando si ha da sciogliere un voto, invocare una ennesima grazia, per sé, pel congiunto lontano, per l'amico morente. In ogni angolo, qui, e per miglia e miglia all'intorno, insieme con le preghiere più calde, perché commiste di pianto, vi aleggia la leggenda, dolce, cara leggenda, che si perpetua nei secoli e che ha sentore di mistero:
«Conti Ruggeru, cacciandu iva, — cacciandu dassau gran nominata. — E mentri appuntu la caccia faciva, sintiù di lu divreru la chiamata. — Subitu curriu a vidiri ch'aviva: — vitti la santa Cruci scupirchiata, — nc'era lu toru chi la riviriva, — cu li dinocchia l'aviva schiavata».
«II conte Ruggero (dei Normanni), andava cacciando e nel cacciare, lasciò gran rinomanza, e mentre appunto batteva la caccia, avvertiva il latrare del cane. Subito accorso a veder cosa vi fosse, vedeva la santa Croce dissotterrata e il torello, che l'aveva con lo aiuto delle ginocchia, portato alla luce, in preghiera».
Questa leggenda, che sa tomistico e di misterioso insieme, corre più o meno falsata, più o meno abbellita, per le bocche dei vegliardi, di questa ferace Calabria, di questa buona gente dei monti, che veste ancora d'orbace, come qualcosa che interessi più direttamente questo popolo, la sua sentita religiosità, lo attaccamento alla miracolosa Madonna della Montagna, come meglio preferiscono chiamarla.
E' questa, la festa che registra una maggiore affluenza di pellegrini, e che più di ogni altra, presenta delle attrattive difficilmente raggiungibili. Ma più ancora è un mistico appuntamento dei pastori, dei cosiddetti massari, di tutta la gente più vicina alla Vergine.
Alla vista di tanti pastori, portanti i più una candida agnella, e dei pifferai in ciocie, modulanti agresti note all'ombra di secolari elci; delle madri, delle spose in preghiera, ci sembra di rivivere visioni d'altre epoche, ore di accentuato misticismo. La Montagna. Si, la Vergine che il popolo tutto proclama a gran voce regina e che ad Essa confida i riposti segreti del cuore. La Madonnina, sul cui altare i montanari formulano, sovente nel grigiore di una serata invernale, una promessa e dove si realizzano molto spesso i sogni più belli d'un amore talora contrastato, fra la rustica gente.
E' il crepuscolo. Nell'aria algente e fortemente ossigenata è un acuto odore di resine. Intorno, e giù da noi, all'ombra di annosi timi è tutta una tendopoli, un esercito di gente, d'ogni età e condizione e dai dialetti più vari ed impensati. Poco discoste da queste intere mandrie di pecore, guidate da una centuria di cani, ed infine i pastori, sorridenti, pacifici, quasi antichi patriarchi.
Chi non conosce questi siti, non può pienamente avvertirne il fascino che da essi si sprigiona, né comprendere sia pure «grosso modo» la poesia che da queste balze trae vita, voci, canti.
V. VERDUCI
GAZZETTA DEL SUD 3 settembre 1956

 

martedì 24 agosto 2021

La piscina [di Jacques Deray - 1969]


Iniziata anche a Platì
la stagione dei bagni

Platì, 26 luglio
(M. F.) — II forte caldo di questi giorni ha determinato nel nostro centro, un insolito fortissimo afflusso di cittadini verso il piccolo bacino idroelettrico del Ciancio, e altri luoghi del fiume dove l'acqua forma delle profonde polle adattissime per il bagno e per il nuoto.
I bagni fluviali non sono nuovi nella storia del nostro centro: già moltissimi anni addietro c'era l'usanza di fare i bagni nei profondi gorghi del fiume Ciancio e del fiume Sanello.
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD, 27 luglio 1956
 

sabato 21 agosto 2021

Diritto di cronaca [di Sidney Pollack - 1981]


Pipe di radica
rinvenute a Platì

(M. F.) Mentre si eseguivano alcuni scavi In contrada «Stabilimento» di Platì, sono venuti a un tratto alla luce numerose pipe grezze di radica. Non si tratta però, come penserà qualche lettore, di una scoperta archeologica del tipo di quella delle «gragne» rinvenute ad es. a Locri.
Le pipe rinvenute si trovavano evidentemente in una fabbrica di pipe sbozzate, che si trovava in contrada Stabilimento, e che scomparve nella notte dell'alluvione del 1951. Le pipe erano in perfetto stato di conservazione.
GAZZETTA DEL SUD 4 agosto 1956

Cambiato di sede
l'orologio a Platì!

Platì, 20 agosto
(M. F.) - Probabilmente assisteremo in questi giorni al trasferimento dell'orologio comunale e relativa sirena, che sorgevano fino ad ora nel fabbricato della Chiesa Matrice in costruzione, su una apposita
torretta di cemento armato che sarà posta sull'altissimo massiccio di granito che domina l'abitato di Platì, a Nord. Il trasferimento tornerà a tutto vantaggio della visibilità e audìbilità a grandissime distanze dell'orologio e della sirena su mensionati.
Quali siano state le cause del provvedimento non sapremmo dirlo con precisione ma è certo che sull'alta torretta di cemento l'orologio assolverà la sua funzione molto meglio che su quella specie di campanile-nano di cui è purtroppo dotato il nostro Duomo.
GAZZETTA DEL SUD 21 AGOSTO 1956
 
L'erogazione dell'acqua
nelle abitazioni di Platì

Platì, 20 agosto
(M. F.) - A causa del fortissimo caldo della stagione, si era verificato in molte abitazioni del nostro centro il quasi totale disseccamene delie fontane, male alimentate dall'acquedotto comunale.
Con un opportuno provvedimento il Sindaco Zappia ha fatto limitare in tutte le abitazioni il flusso dell'acqua, fino all'indispensabile, in modo che in tutte le abitazioni cittadine scorre adesso l'identico quantitativo di acqua corrente, regolarmente alimentato dall'acquedotto che ha visto nuovamente
pieni i suoi serbatoi.
GAZZETTA DEL SUD 21 AGOSTO 1956
 
Le cronache sono di MICHELE FERA
 
- Della contrada «Stabilimento» si sono perse le tracce,  forse sorgeva a monte della fiumara d’Acone.
- L’orologio e la sirena erano ritornati nel nuovo campanile sorto tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60.
 

martedì 17 agosto 2021

Un uomo ritorna [di Max Neufeld - 1946]


Ritorna dagli U.S.A.
dopo mezzo secolo
 
Platì, 1 agosto
(M.F.) E' tornato in questi giorni dagli Stati Uniti, dove si trovava da circa cinquanta anni, il nostro concittadino Saverio Portolesi con la famiglia. Il Portolesi è tornato in patria a bordo della nave «Cristofaro Colombo», arrivata a Napoli proprio lo stesso giorno in cui è avvenuta la tragedia della «Andrea Doria», e proprio su questa nave avrebbe dovuto svolgere, tra qualche mese, il viaggio di ritorno
 
GAZZETTA DEL SUD 2 agosto 1956
MICHELE FERA
 

giovedì 12 agosto 2021

L'ultimo viaggio [di Malcom St. Clair - 1929]

 Al dramma dell'emigrazione si aggiunge il dramma del disastro dell’Andrea Doria che cola a picco il 26 luglio del 1956.  Gianni Carteri


Emigranti plaliesi sull'«Andrea Doria»

Platì. 1 agosto
(M. F.) Ore di drammatica attesa hanno vissuto le famiglie di numerosi nostri concittadini che si trovavano a bordo della nave «Andrea Doria» il giorno in cui questa è naufragata.
Solo il giorno dopo l'affondamento della nave, i parenti dei nostri sfortunati concittadini hanno ricevuto la notizia del loro... felice arrivo a destinazione
GAZZETTA DEL SUD 2 agosto 1956

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NON SI HANNO PIÙ' NOTIZIE
Un'intera famiglia di Platì
perita sull'Andrea Doria?
Concettina Sergi si era imbarcata con i 4 figlioletti per raggiungere in USA il marito, che ancora li attende tutti


Platì, 21 agosto
(M. F.) — E' quasi certo, ormai che la famiglia Sergi, partita dal nostro centro e imbarcatasi sull'«Andrea Doria» alla volta degli USA sia perita a bordo della nave. In un primo tempo i Sergi (la madre Concettina Sergi e quattro figli tra gli otto e i quindici anni) erano stati dati per dispersi, e si sperava che si sarebbero fatti vivi, che si fossero trovati su qualche scialuppa sbarcata chissà dove; ma ormai troppo tempo è trascorso e i familiari, straziati non hanno più speranza di rivedere i loro cari.
Le ipotesi fatte sulla tragedia sono tante, ma non si sa quale sia la più fondata: forse i Sergi si trovavano chiusi dentro la cabina la cui porta a causa del potente urto non poté più essere aperta?
Era a bordo dell'Andrea Doria, insieme con gli scomparsi ma in altra cabina, l'Italo americano Sergio Paul, cognato di Concettina Sergi e zio dei suoi figli, il quale si è prodigato con tutti i suoi mezzi per la ricerca degli scomparsi. Ma il fratello Nino, che attendeva allo sbarco la moglie e i figli, ha visto arrivare soltanto lui, disfatto e senza più speranze.
Nino Sergi avrebbe cosi perduto tutti assieme la moglie e i quattro figli. Unico conforto che gli resta, è il figliolo Antonio di venti anni, che era partito per raggiungerlo, qualche mese prima degli altri, e che adesso si trova con lui, come lui inebetito dal dolore.
Il cordoglio di Platì per i concittadini così tragicamente scomparsi è stato immenso: per molti giorni dopo il disastro della grande nave italiana tutti speravano che si trattasse di una falsa notizia, o che i dispersi sarebbero stati ritrovati da qualche parte. Ma adesso la speranza ha incominciato ad abbandonare un po' tutti.
Per tre giorni nelle case dei partenti, i concittadini sono sfilati per le visite di condoglianze.
GAZZETTA DEL SUD 22 AGOSTO 1956
(M. F.) Michele Fera

Nino Sergi al fonte battesimale Rosario Gerardo Antonino, nato a Platì il 10 ottobre 1909, era figlio di Antonio e Anna Velardi. Concettina allo stesso fonte battesimale registrata Maria, nata a Platì il 10 febbraio 1913, era figlia di Giuseppe e Giuseppa Zappia. I due si sposarono felicemente nel duomo lauretano di Platì l’11 luglio del 1936. I figli periti a bordo dell’Adrea Doria il 25 luglio del 1956 con Concettina erano stati tutti battezzati al fonte appena citato: Giuseppe nato il 16 gennaio del 1943; Anna Maria nata il 3 marzo del 1946; Domenica nata il 18 dicembre 1949 e Rocco nato il 20 ottobre del 1952. L’unico superstite Antonio abitante col padre a Mishawaka IN era nato a Platì il 18 novembre del 1938. Fino al 1952 la vita di Rosario Gerardo Antonino è stata un continuo ritorno al paese dove aveva lasciato la moglie; e a testimonianza di ciò sono i figli che venivano al mondo durante questi periodici soggiorni, tanta era la speranza di riunirsi un giorno che ahimè ebbe termine quel tragico 26 luglio a meno di un giorno da New York dove Nino attendeva fiducioso. Come testimoniato da Michele Fera sulla stessa nave viaggiava anche Paul Sergio, battezzato Paolo, fratello di Nino e cognato di Concettina. E oggi sorge spontaneo domandarsi se il viaggio di Concettina e dei quattro figli non sia stato concertato da Nino e Paolo in America vista la concomitanza della venuta a Platì di quest’ultimo. Per inciso Paolo aveva sposato in precedenza la sorella di Concettina, Domenica convertita in Margaret Domenica.

- In apertura un'immagine dell'Andrea Doria posta su un calendario del 1956.

- Della famiglia Sergi si era già scritto qui:

https://iloveplati.blogspot.com/2016/04/italoamericani-reg-martin-scorsese-1974.html
- un accenno al disastro dell’Andrea Doria era apparso qui:
https://iloveplati.blogspot.com/2017/03/lagente-confidenziale-reg-herman.html
https://iloveplati.blogspot.com/2020/05/agonia-una-mini-serie-su-plati-di_36.html


mercoledì 9 giugno 2021

Avventura in montagna [di Charles Lamont - 1943]

Quandu finisci la mpigna e la sola - vaiu sonandu a cirimindòla.
 



BOZZETTO CALABRESE

Gita sull’Aspromonte

Platì, 21 aprile
 Dopo molti giorni di pioggia ininterrotta bruscamente spuntò il sole. Naturalmente ci ritrovammo tutti sulla strada a godercelo quel sole caldo che ti liberava dalla prigionia delle pareti domestiche e tutta la valle si beava con noi di quell’improvvisa inondazione di luce.
Seduto sul muro d’un ponticello Ciccio Donarom canticchiava tra sé con un perfetto senso del ritmo: «Quandu finisci la mpigna e la sola - vaiu sonandu a cirimindòla».
A un tratto proruppe: farei volentieri una mangiata di funghi! E ci guardò in faccia illuminato; il dado era tratto: la gita ai funghi si organizzò lì per lì. Un’ora dopo eravamo in marcia verso le alture dell’Aspromonte. Superato il primo momento di stanchezza camminammo automaticamente sul ritmo che Ciccio Donarom ci segnava gentilmente: «Natatinni natatonni natatinni tonni tà». Ci arrestammo soltanto quando udimmo: il grido del maestro X che si accompagnava «- Rrigàmundi, cotrari, ca ncignaru a cumpariri!!». E si Ianciò con sacro zelo verso una grande macchia bianca, che si intravedeva nell'erba, a qualche passo di distanza, tornò deluso «- Era, nu pitaraci!». Non avemmo tempo di ridere del suo insuccesso perché già si era impadronita di noi la febbre del fungo.
La zona era infestata di quei; «Pitaraci. Si chiama così nei nostri luoghi una qualità di fungo che pur non essendo velenoso non è raccolto da nessuno perché di gusto sgradevole al palato; Cicclo Donarom per la stizza aveva smesso di canticchiare.
Ad un tratto lo vedemmo guizzare come un’anguilla verso un branco di mucche che pascolavano poco lontano: strappò qualcosa dal muso di una di esse urlando: «Pòsa, sdisonesta, pòsa!!». Intuimmo la tragedia e accorremmo all’arrembaggio; riuscimmo a ricuperare solo tre o quattro chili dell’enorme fungo porcino che la mucca aveva trovato e li distribuimmo equamente nei vari panieri, secondo il merito che ognuno di noi aveva avuto nel... combattimento.
Le mucche sono ghiottissime dei funghi e li scovano con un’abilità sorprendente. Avvistammo poco più in là un’altra del branco che mangiava qualcosa molto soddisfatta; ci precipitammo: era un enorme fungo, come avevamo previsto; solo che la presunta mucca era un toro il quale ci guardò con occhi tutt’altro che amichevoli: inducendoci a desistere da ogni tentativo bellicoso. Ci dovemmo contentare di assistere all’ingloriosa fine di quel povero fungo, standocene a rispettosa distanza. Quando le mucche abbandonarono il campo, questo era... sgombro nel vero senso della parola.
Continuammo il cammino verso mete più alte; arrivammo sui piani Aladi, e da qui ci trasferimmo sui piani di Zervò dalle fittissime faggete. Appunto in una cli queste faggete ci accorgemmo che nel gruppo non c’era più ’Ntoni Conio; lo cercammo per ogni dove sapendo che in mezzo a quegli alberi foltissimi era facilissimo spedersi ma senza risultato. Chiamammo; gridammo ma di ’Ntoni Conio nessuna traccia.
Ce lo vedemmo tornare tutto allegro dopo una mezz’oretta, e tutto... infungato dalla testa ai piedi: funghi gli spuntavano dalla giacca, dal cappello e perfino dai pantaloni, Aveva trovato una macchia letteralmente coperta di funghi q aveva pensato bene di non farne parola con nessuno; Ci promise di indicarcela solo se gli avessimo ceduto due delle nostre ceste per riporvi tutto quel ben di Dio dato che non sarebbe potuto tornare a Platì conciato in quel modo, che pareva una fungaia.
Dovemmo capitolare, sul luogo che ci indico erano rimasti molti funghi velenosi che riconoscemmo subito perché non erano morsicati dalla limaccia. Il segno inconfondibile dal quale noi riconosciamo la qualità mangereccia o no dei funghi, è il morso della limaccia che si trova solo sui funghi buoni; ’Ntonl Conio questo non lo sapeva e rimase molto male quando gli svelammo, tra le grandi risate che le sue ceste erano piene di funghi avvelenati. Dovette vuotarle tutte e tre; e noi per vendicarci lo lasciammo tornare a Platì con la cesta vuota.
Una fame impreveduta, intanto comincio ad attanagliarci le budella; dovemmo fermarci presso un recinto di capre a chiedere qualcosa ai pastori. Ci diedero del pane nero e secco che c'i sembro ambrosia e continuammo il cammino addentandolo con avidità.
S’era fatto tardi, ma chi se ne accorgeva? Si badava solo ai funghi; era come una specie di competizione, a chi ne raccoglieva di più.
La sera ci sorprese a molti chilometri di distanza dal paese e solo alle dieci di notte potemmo rientrarvi; Ma prima di salutarci, dividemmo fraternamente tra noi gli ottimi funghi che Ntoni Conio aveva buttato via dalle ceste credendoli avvelenati.
Ciccio Donarom canticchiava soddisfatto: «Quandu finisci la mpigna e la sola - vaiu sonandu a cirimindòla».
Michele Fera
GAZZETTA DEL SUD, 22 aprile 1956
 

Ciccio Donarom era già apparso qui: