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martedì 3 maggio 2022

La memoria y la historya [di Alberto Castiglione - 2002]


Memoria sull’originale del paese detto di Pratì e Rettore della chiesa.
Nel 1505 Ferdinando Cattolico con un diploma concedé in feudo a Carlo Spinelli un tenimento di terre detto Prati e S. Barbara. Il sudetti tenimenti erano praterie addette a nutrire animali. Il feudatario consultando i suoi vantaggi ha creduto di fondare un paese con richiamandovi degli abitanti di luoghi convicini accordando loro un suolo franco per fabbricare una casa ed una estensione benché piccola di terreno onde formare un giardinetto di verdure. Da presso poi s’è edificato un fondaco, ed in origine ebbe la denominazione di casale del fondaco, e quindi da Prati è stato detto Platì.
Dalle memorie che si conservano nella scheda del fu Notaro Gliozzi si ha che il primo Rettore della parrocchia nascente nel 1563 è stato Francesco Silvestro col titolo di Cappellano del casale del fondaco.
In detto anno Don Alfonso La face di S. Cristina.
Dal 1652 sino al 1678 Don Ascenzio Pelle col titolo di Rettore.
Dal 1711 sino al 1738 non si conosce.
Dal 1738 al 1756 Don Tolentino Oliva col titolo di Parroco.
Dal 1756 sino al 1817 Don Stefano Oliva il quale nel 1774 ebbe da Monsignor Scoppa il titolo di Arciprete.
Da’ 5 obre 1817 sino a 3 maggio 1823 la Chiesa è stata vacante, e fu governata dagli Economi Curati.
A 4 maggio 1824 dalla chiesa di S. Luca fui traslocato nella mia patria, nel quale giorno ho preso il posesso di questa Chiesa sotto il governo di Monsignor Pellicano …
 
Platì 12 Agosto 1838
Laus Deo
Francesco Arciprete Oliva

 Il documento contenente il testo riportato era nell’archivio di Ernesto Gliozzi il vecchio ed è servito al Canonico Antonio Oppedisano per redigere la sua Cronistoria*.

Il Notaro Gliozzi era il Mag.co Fabrizio Gliozzi*

*https://iloveplati.blogspot.com/2014/03/storia-immortale-reg-orson-welles-1968.html

*https://iloveplati.blogspot.com/2016/12/lalbero-della-vita-fountain-regdarren.html


giovedì 14 aprile 2022

Il padrone di casa [di Carl Theodor Dreyer - 1925]


Oggi giovedì santo, un giorno sacrale in Platì, quando i preti nascevano e crescevano in paese. L’ultimo è stato Ernesto Gliozzi il giovane (12 aprile 1915 - 2 febbraio 2008). Lo zio Ernesto è colui che più di tutti i platiesi conosceva il segreto di Pratì e questo segreto è sepolto con lui nella cappella dove riposa. Egli riteneva Platì essere stato fondato nel 1492, l’anno stesso dell’inizio del saccheggio del continente compreso tra l’Alaska e la Terra del Fuoco. Questi due eventi hanno un tratto comune: il mandante. La Corte di Spagna. Il paese di Platì, come tutti i paesi, prima e dopo, non è fondato dall’oggi al domani, è creato nel tempo. Arriva una famiglia si installa e a sua volta attira parenti e amici. Attira nemici. A questo servono i film western. Stiamo parlando di un borgo, una Motta, perché luoghi sparsi, insediamenti casuali vi erano già da prima di Gesù e San Pietro a Pietra Cappa. Molti i cenobi. Il territorio di Platì era compreso tra la Foresta di Pandore, i Piani di Zervò e dello Zomaro. Nel 1492 padrone delle foreste era la famiglia Marullo di Messina. A questa subentrò una famiglia patrizia napoletana-pugliese, quella degli Spinelli. Quelli che interessano noi sono gli Spinelli Savelli, i Principi o Conti di Cariati. Un Carlo fu forse il primo. Alla sua morte nel 1518 seguiranno i vari Scipione e ancora Carlo. Il primo Signore certo, di Platì, fu Carlo Filippo Antonio (1641-1725), egli alla morte del padre Scipione, nel 1659, antepose al proprio nome quello del fratello primogenito andato a farsi monaco, divenne principe di Cariati, duca di Seminara, conte di Santa Cristina e signore di Oppido. A Platì aveva una Corte Principale in cui erano gestiti tutti gli affari pubblici e privati. Quello che vedete in apertura è proprio lui, Carlo Filippo Antonio raffigurato da Domenico Antonio Vaccaro (1678-1745). Di seguito un ritaglio dal Catasto Onciario del 1754.

 

mercoledì 2 marzo 2022

Chiaro di donna - Caterina

Rispondo all’Anonimo visitatore che ha chiesto notizie della Signora che appare intervistata nel video in queste pagine qualche giorno addietro*. Il volto caravaggesco della ragazza è un fermo immagine nella mia mente. Nell’ultimo mio viaggio in terra di Platì, cercando altro dentro il cimitero, ho incontrato due garbatissime signore cui ho chiesto notizie della raccoglitrice nel video. Una di loro mi assicurava che avrebbe fatto ricerche in paese e mi avrebbe fatto sapere con Michele, che era con me in quella mirata visita al camposanto. Per il vero tornando nella città dove risiedo e dove lavoro, per e su Platì, ho dimenticato incontro e ragazza del video, congetturavo di più sull’incontro con il dottor Floriani a Vibo e l’architetto Bartone a Soriano.
Un paio di giorni fa ho ricevuto una telefonata da una signora di Platì che ha preso il numero dalla pagina I Love Platì che ho messo come contatto per whatsapp. La signora, che si chiama Francesca …, mi ha riferito di averti incontrato a Platì (credo al cimitero) e che tu volevi sapere chi fosse una signora in una foto credo tratta dal filmato delle raccoglitrici di olive. Mi ha detto di riferirti che si tratta di Caterina Sergi figlia di "Roccu i Petru". Erano 7 fratelli e sorelle, molti emigrati in Australia compresa Caterina. A Platì c'è ancora una sorella che si chiama Anna”.
Il messaggio è di Rosalba Perri. Entrambi, io frenetico, ricorriamo al data base dello zio Ernesto - Gloria nel più alto dei Cieli, zio Ernesto, per aver perso inconsapevolmente il tuo tempo per noi.
Caterina Sergi “i Roccu i Petru” è la settima di dieci figli nati da Rocco e Francesca Calabria. Dodici, compresi i genitori, come lei accenna nel video. Il padre non era figlio i Petru, come è facile pensare, ma di Michele, sposò Francesca, tizzuni di lignaggio,  il 19 novembre del 1922. Petru è l’ultimo dei dieci figli, classe 1948.
Dunque grazie alla Signora Francesca, a Rosalba e Michele ma soprattutto a Caterina Sergi.
SDG

 

mercoledì 2 febbraio 2022

L'albero della vita [di Darren Aronofsky - 1952]

DALLE RIVOLTE POPOLARI PER IL PANE
ALLE LOTTE PER IL LAVORO
IL RUOLO CULTURALE E FORMATIVO
DELLA CAMERA DEL LAVORO DI PLATI’


Trascorro a Platì gli anni '40 e '50. Sono gli anni della mia fanciullezza.
Platì, come altre realtà, vive, in quel periodo, una situazione di grave turbamento, di forte sofferenza e malessere.
La guerra mondiale, nel suo terrificante passaggio, lascia dietro di sé una scia di macerie, ma soprattutto di lutti e dolori.
La nostra cittadina conosce perfino i bombardamenti, pur essendo un centro periferico rispetto ad altre zone di valore strategico-militare. Gli americani, infatti, per facilitare l’avanzata delle truppe alleate sbarcate nel Sud, intraprendono, con i loro bombardieri, un’azione di distruzione della SS. 112.
Strada che i tedeschi utilizzano per la loro ritirata. E qualche volta gli aerei USA, confondendo la SS. 112 con il letto, in certi periodi asciutto e bianco, della fiumara che cinge |’abitato, sganciano potenti e micidiali bombe, che provocano danni e vittime nei pressi dell’abitato.
Ma pure sull’Aspromonte, nella parte della montagna di Platì, a Zilastro, nella fase conclusiva del conflitto, proprio l’8 settembre del '43’, si registra uno scontro armato tra i paracadutisti italiani e gli alleati, come è ricordato dalla lapide di cui viene, in questo volumetto, pubblicata la foto. Sono gli ultimi bagliori dello scontro armato tra l’esercito italiano e gli alleati angloamericani. Anche Platì, quindi, ha avuto, nella guerra, i suoi momenti di prima linea.
Finita la guerra, Platì presenta un aspetto di grande sconvolgimento e turbamento. La gente è provata da tanti dolori e lutti per i molti caduti in guerra, dalle sofferenze dei mutilati ed invalidi. Non si contano le donne vestite in nero per il lutto del padre, del fratello, del figlio caduto sui campi di battaglia.
Altre donne, prive di sorriso, attendono, con molta trepidazione, il ritorno dei loro familiari, reduci e prigionieri. Alcuni di questi non faranno mai ritorno. Andranno ad infittire le schiere del Milite Ignoto, nella lontana Russia e nei deserti dell’Africa.
Assieme alle ferite della guerra, nel periodo in esame, c’è da annoverare una crisi economica di grandi proporzioni. Manca perfino il pane, la pasta ed anche il sale e lo zucchero. E fame.
Sul piano commerciale, a causa delle difficolta delle vie di comunicazione, ma anche della carenza di generi alimentari in tutto il territorio nazionale, si torna al baratto, allo scambio dei prodotti con paesi vicini raggiungibili attraverso le strade di campagna, le mulattiere, percorsi impervi. Impera, nello scambio, il mercato nero, o meglio il contrabbando. (Quasi sempre il baratto). I rapporti commerciali sono sviluppati con i cristinoti, bagnaroti, bovalinoti, oppidisi... Viene importato dalla piana molto vino, che, con l’aggiunta, quando c’è, di zucchero si rileva un alimento molto importante, assieme alle arance prodotte in loco o importate dalle marine, per garantire le vitamine necessarie. Vino che viene tracannato anche dai bambini, che spesso camminano brilli e barcollanti per le vie del paese. Il pane, nella carenza della produzione di grano per via delle terre non coltivate, essendo state private del lavoro dei giovani contadini e braccianti impegnati al fronte, viene spesso sostituito dalle "pizzate di paniculu” (granturco).
In questa situazione di grande disagio e malessere, ripetuti sono i tumulti e le rivolte popolari. Soprattutto per il pane contro coloro (commercianti, consorzio, i potenti detentori del piccolo potere locale...) che, a torto o a ragione, la gente sospetta di operazioni di speculazione, attraverso l’imboscamento dei prodotti alimentari, che, invece, devono essere distribuiti con le famose tessere annonarie. Ma, per fortuna, non si va al di là delle manifestazioni di piazza. Anche se qualche raro e strano personaggio, alla ricerca di capri espiatori, soffia sul fuoco.
E fatti gravi non si verificano. Neanche nella fase di transizione dal fascismo al sistema democratico.
D’altronde il crollo del fascismo a Platì si risolve con l'assalto notturno alla casa del fascio e l’invasione, più che altro simbolica, dell’abitazione di qualche gerarca, concludendo il tutto con qualche falò per bruciare bandiere, stendardi, materiale propagandistico del regime.
In questo contesto inizia la fase politica della transizione al sistema democratico. I partiti si organizzano. Ma soprattutto si organizzano le associazioni sindacali ed i patronati di assistenza.
Per prima la Camera del Lavoro e poi, successivamente, le Acli, la CISL...
Ma nel '51, ad un quinquennio dalla fine della guerra, quasi a completamento della sua opera di devastazione, si abbatte su Platì una terribile alluvione. Semina morti e danni eccezionali al gracile sistema economico, ancora provato dalle conseguenze belliche.
Molte case vengono travolte dalla furia delle fiumare in piena. I deboli argini cedono e le fiumare inondano di acqua, fango e detriti il centro abitato. Ma, oltre e più dei torrenti, sono le frane che colpiscono pù duramente e devastano le povere aziende agricole dei contadini e dei pastori. Diciotto pastori e contadini, alcuni bambini, sorpresi nel sonno, vengono trovati esanimi sotto le macerie delle loro ”casette” o capanni in campagna.
Ma l’alluvione, come la guerra, non fiacca la forza di resistenza e la voglia di vivere della gente che reagisce trovando momenti di unità, di aggregazione, di solidarietà. Questa nuova calamita mette a dura prova la gente, ma, nel contempo ne stimola la battaglia contro gli elementi avversi della natura e contro lo stato di abbandono e di isolamento, in cui è cacciata da una politica non benevola dei governi nazionali. Si riaccende la lotta per lo sviluppo, la rinascita, la ricostruzione.
In questo panorama una funzione di grande valore viene esercitato dalla Camera del Lavoro, che diventa strumento di combattimento e di unita.
Più ordinate ed organizzate delle rivolte popolari diventano le manifestazioni di lotta. Vengono proclamati e promossi scioperi, cortei e manifestazioni di piazza. Ma soprattutto sono frequenti gli scioperi a rovescio, per dare lavoro e per dotare l’ambiente delle opere pubbliche necessarie. Nonostante la repressione, i fermi, gli arresti, le denunzie, la mano pesante dell’intimidazione delle autorità preposte all’ordine pubblico.
La Camera del Lavoro, decisa e determinata, è animata da un forte spirito unitario, contestando ed isolando estremisti e settarismi di ogni genere. Lotte e scontri sociali che meritano un capitolo a parte, più completo ed approfondito, anche per ricordare la passione, lo spirito di sacrificio di tanti combattenti e rendere omaggio alla memoria di molti di loro che non sono più con noi. E non di questo, che richiederebbe molto spazio e tempo, intendo, per il momento, scrivere.
Intendo, invece soffermarmi succintamente su altri aspetti dell’attività sindacale dell’organizzazione platiese. La componente culturale, formativa, ricreativa, spesso in ombra e che, invece, va osservata e valutata specie in un momento di crisi morale, ed a volte d’imbarbarimento e degrado, come quello che si sta attraversando. Crisi che viene presa a pretesto con intenti strumentali e di demonizzazione e criminalizzazione generalizzante. E la faccia dell’altra medaglia degli amari fatti delittuosi della nostra Platì, questa componente che vogliamo sondare. Anche per lanciare messaggi nel presente per la fuoruscita dal tunnel delle devianze e per offrire elementi di riflessione.
Non è stata la Camera del Lavoro, come la CISL e le ACLI, solo strumento di lotta contro la disoccupazione, le ingiustizie ed i privilegi, ma anche strumento cli educazione civile, di formazione culturale, scuola di democrazia, di socializzazione.
E’ significativo che nella sede della Camera del Lavoro, vengono organizzati, senza alcun finanziamento pubblico, corsi di scuola elementare o meglio di alfabetizzazione, con l’ausilio di un gruppo consistente di studenti. I quali assolvono, all’uopo, una funzione di insegnanti. E molti pastori, contadini, operai seguono questi corsi di apprendimento. Anziché frequentare le botteghe di vino, il ritrovo della povera gente.
E la sede sindacale diventa anche sede di lettura e di commento dei giornali. E cosi i lavoratori si tengono informati delle cose del mondo e dell’Italia. Informazione che stimola la partecipazione, il dibattito sugli avvenimenti politici e sociali, rompendo cost una concezione e visione di chiusura localistica.

Il televisore della gente
In quegli anni arriva in Italia la televisione. Ed a Platì, nella stragrande maggioranza, non si è in condizione di dotarsi di questo formidabile strumento d’informazi0ne. Provvede a questa esigenza la Camera del Lavoro, promuovendo una sottoscrizione popolare attraverso la quale si provvede all’acquisto del televisore. E la Camera del Lavoro, diventa, cosi, ogni sera il luogo per ritrovarsi, a centinaia uomini, donne e bambini.
E’ bello, invece di vedere frequentare le bettole, trovare tanta gente per intrattenersi e sviluppare, ad altro livello, rapporti sociali nell’ambiente locale.
Diventa così la sede dei lavoratori luogo di recupero, di formazione civile e democratica diresistenza e riscatto rispetto ai pericoli della devianza.
 
L'albero di Natale dei lavoratori
Ma oltre che momento di formazione e di educazione civica, la Camera del Lavoro svolge anche un ruolo di svago e di festa, in certe occasioni, grazie alla solidarietà di tutta la comunità.
Come non ricordare la festa ed il famoso albero di Natale della Camera del Lavoro? A Platì, come per il televisore, salvo qualche eccezione, non ci si può consentire il lusso di addobbare, per la festa, l’albero di Natale. Molti non sono nella possibilità di provvedere all’acquisto di giocattoli o panettoni da appendere all’albero. Ad un gruppo di lavoratori viene |’idea di fare come per la televisione.
E subito viene piazzato, in bella vista, sulla piazzetta antistante la sede sindacale, un albero gigantesco portato dall’Aspromonte. Un albero splendidamente illuminato ed addobbato con ricchi e molteplici doni, frutto di generose donazioni dei commercianti, dei professionisti, dei benestanti.
Un albero che attira l’attenzione di tutti i passanti, specialmente dei bambini.
Ed è così che, a Natale, tra le grida festanti e sorrisi di gioia, specie dei bambini, in una piacevole confusione di applausi scroscianti, si procede al sorteggio ed all’attribuzione dei doni a quelli toccati dalla dea bendata.
Ho voluto soffermarmi su questa parte dell'attività della Camera del Lavoro, che ho tentato di tratteggiare senza tinte forti, ma con semplicità perché ritengo sia necessario per la nostra comunità riflettere anche su queste pagine nel momento in cui viene portato avanti questo tentativo nobile per arrestare processi degradanti e d’imbarbarimento che vedono la caduta dei valori e la crisi del sistema democratico.
Possono fornirci elementi importanti per dominare anomalie ed egoismi, per un ritorno in termini aggiornati e moderni, a valori, sentimenti, ideali di civiltà e di promozione del progresso civile, economico, sociale e, soprattutto culturale.
Francesco Catanzariti

Il testo è apparso sulla rivista di Mimmo Marando PLATI’ gennaio 1998
All'Onorevole Ciccio Catanzariti, da poco ha compito 89 anni, è dedicato il Super Toscanini che segue:

domenica 30 gennaio 2022

Fratelli d'Italia [di Fausto Saraceni - 1952]

Nel settembre del 1861 Platì è stato teatro, con palcoscenico finale il Mulino Nuovo alle porte di Natile, delle tragiche gesta della Banda capitanata da Ferdinando Mittiga. Napoli è italiana e in quella città si pubblica già da un anno Il Popolo d’Italia, quotidiano voluto da Giuseppe Mazzini. Al di là delle gesta del Comandante Mittiga la Calabria è decisamente italiana. Giusto mentre il Comandante sta passando a miglior vita, Reggio è in subbuglio a causa di un attacco sferrato sul numero 227 del quotidiano mazziniano dal titolo «Disinvoltura ed impudenza Borbonica» che prende di mira il Ricevitore Generale Francesco Saverio Melissari, cittadino e consigliere comunale reggino, tant’è che la stessa Giunta chiama a far breccia attorno al Melissari i Comuni e i Cittadini della provincia i quali “sentono il dovere di attestare con piena coscienza, che il signor Francesco Saverio Melissari ha nutrito e professato in ogni tempo sensi di vero patriottismo”. Per Platì l’attestato viene sottoscritto da:

Filippo Arciprete Oliva
Sacerdote Rosario Oliva, assessore
Economo Saverio Oliva
Sacerdote Giovanni Andrea Oliva, giudice conciliatore
Sacerdote Michelangelo Fera, consigliere
Sacerdote Saverio Fera
Diacono Saverio Milliga
Diacono Rocco Mittiga, consigliere
Lettore Pasquale Zappia
Giacomo Oliva, luogotenente della guardia nazionale
Sacerdote Francesco Maria Furore, consigliere
Giosofatto Furore, dottor fisico
Fortunato Furore di Giosofatto
Filippo Zappia, guarda bosco
Francesco Mittiga
Francesco Zappia fu Domenico
Stefano Oliva, sindaco
Francesco Oliva fu Arcangelo
Stefano Oliva, dottor fisico
Francesco Fera, farmacista
Giuseppe Fera, segretario comunale
Domenico Fera, maggiore
Rosario Fera fu Francesco
Giuseppe Fera fu Francesco
Francesco Fera fu Rocco
Domenico Fera di Francesco
Giuseppe Papalia
Domenico Papalia
Giacomo Papalia
Luigi Oliva fu Michele
Francesco Oliva fu Michele
Filippo Rossi
Girolamo Oliva di Stefano
Pasquale Miceli
Domenico Trimboli
Ferdinando Oliva fu Michele
Carlo Zappia, sottotenente della guardia nazionale
Silverio Spadaro, consigliere
Nicola Oliva di Giacomo, consigliere
Tommaso Oliva di Giacomo
Domenico Marando
Ferdinando Zappia
Michele Oliva di Giacomo
Saverio Caruso
Giuseppe Virgara
Bruno Grillo
Rosario Marando
Giuseppe Zappia
Pasquale Termirello
Francesco Zappia fu Pasquale
Francesco Gliozzi fu Carlo
Francesco Morabito
Raffaele Oliva fu Filippo
Fortunato Furore fu Francesco
Francesco Mittiga fu Rocco
Ferdinando Avenoso
Francesco Pangallo
Giuseppe Pangallo
Giuseppe Miceli
Giuseppe Ciampa
Antonio Sergi
Antonio Sergi fu Bruno
Francesco Ciampa
Domenico Ciampa
Visto per la legalità delle firme
Il Sindaco di Platì
Firmato, STEFANO OLIVA

Di seguito la carriera politica di Francesco Saverio Melissari (Reggio Cal. 23 luglio 1832 – 9 marzo 1900) si tinse di gloria, fu Deputato del Regno d’Italia nella X, XI e XII Legislatura. Molti dei platiesi sopra citati sono protagonisti di queste pagine, molti sono in attesa di apparizione. Tutti sono testimoni della sorte del Comandante.

- La lista dei platiesi appare su:
Attestato pubblico in favore del ricevitore generale Francesco Saverio Melissari, di risposta ad un articolo del giornale “Il Popolo d' Italia”  Reggio Cal. tipografia Domenico Siclari,1861
- In apertura Iolanda Gliozzi (Platì 1923 - MishawakaIN 2008) sposa Tripepi

 

mercoledì 26 gennaio 2022

Giustizia di popolo [di Ray Nazzarro - 1950]

E notti e jornu c’è riunioni, vasciu ‘o sindicu di democristiani,
i forza vonnu u vincinu i lezioni chi suli voti di li pegucciani*.
Don Peppi Zappia e so frati u rutturi
cu populu i platì vonnu lottari,
ma sta vota su persi i so lavuri
ca si ccorgiru tutti li cristiani.
O don Peppinu
a spica chi vinciu era di ranu,
non mindi futtu cchiu ru vostru vinu,
caru don Peppinu.
Anonimo platiese

*Pegucciani sono quelle comari che vanno messa e chiesa e dimentiche di aver fatto la comunione, spettegolano degli altri, anche in chiesa mentre dicono le orazioni.

Possiamo considerare il testo dell’Anonimo platiese come una sorta di versetti satanici,  nel loro background si nasconde una folta schiera di scontenti. Sono gli anni del fitto esodo, il paese politicamente è diviso, anche se c’è buona parte che ondeggia da uno schieramento all’altro. La pubblicazione del testo è stata a lungo dibattuta per via di possibili risentimenti, d’altro canto il contenuto è una testimonianza diretta di un’epoca trascorsa, per molti, la stragrande maggioranza, dimenticata.

 

giovedì 30 dicembre 2021

Un mondo a parte [di Chris Menges - 1988]

C’era una volta Platì/C’era una volta in Platì! Dentro questi titoli rubati al Maestro dei Maestri si può incorniciare la “Vita di Platì”. Quella che viene fuori dalla trascrizione dei Catasti Onciari del 1746 e del successivo del 1754. In quelle pagine Platì non è mai riconosciuto ancora come paese ma di volta in volta come: Terra, Tenimento, Curia, Unità, Università e, molto più spesso, Motta. Come già altrove divulgato per Mocta, Motta, si intende un rialzo di terreno. I due Catasti non sono molto dissimili nella loro forma, sono differenti nel contenuto finale. Per ora e per non annoiare riportiamo la “Vita di Platì” del 1754 e con gli occhi e la penna di Don Tolentino Oliva parroco, cui fu devoluto l’incarico di registrare lo Stato delle Anime. Erano 220 Fuochi. Per Fuoco o focatico si intendevano le singole unità familiari comprendenti le persone soggette al pagamento delle imposte. I 220 fuochi erano comprensivi di 901 Anime: 462 donne, 439 maschi, 5 adolescenti erano chierici, 7 i sacerdoti. Tra le donne vi erano 34 vedove e due in capillis. Con “virgines in capillis” si definivano le giovani nubili che “per segno di illibatezza dovevano portare i capelli raccolti e non scioglierli che il giorno delle nozze”. Altri Tempi! La vita media in Platì si aggirava intorno ai 50 anni di età: Nicola Barbaro 90 e Filippo Cusenza 95 erano i più longevi. I ceppi più numerosi erano Agresta, Barbaro, Carbone, Cusenza, Catanzariti, Italiano/Taliano, Perri/e, Portulisi, Sergi, Trimboli, Virgara, il cognome più insolito è Zinnamusca. L’oligarchia che dominava era quella degli Oliva ma c’erano anche Zappia al timone di comando. “Magnifico” era l’appellativo che precedeva quegli Oliva e Zappia. “Magnifico” era Marzio Perre/i ed anche Francesco Musitano il Cancelliere che siglava gli atti. Tra le donne i nomi più diffusi erano quelli di Domenica ed Elisabetta/Lisabetta, tra gli uomini Antonio, Domenico, Francesco e Giuseppe. Lo Stato delle Anime del 1754 era comprensivo dei soli nativi, mentre in quello del 1746 erano stati inclusi anche i forastieri. Quella che ne esce è una ripresa grandangolare, il campo verrà ristretto solo zoomando le “rileve” fatte dai singoli cittadini e non ci sarà distinzione tra nativi e forastieri.

Nella foto d'apertura il dottor Giuseppino Mittiga

 

mercoledì 22 dicembre 2021

Never Ending Story [di Wolfgang Petersen - 1984]

La storia di Platì è ancora tutta da scrivere.
Etimologicamente il nome Platì, sarebbe da far risalire al termine prata (prati). Altri, invece, lo ritengono riconducibile alla voce greca-bizantina platus (ampio). Il riferimento, in questo secondo caso, va alle frequentazioni dei monaci basiliani che tanta importanza ebbero in questa parte dell’Aspromonte. Altri ancora ritengono che il toponimo andasse collegato al termine pratos, ossia “venduto” (alludendo ai passaggi feudali), e alle successive alterazioni in protì e, poi, pratì.   
La nascita dell’abitato di Platì si crede collocabile nel XVI secolo, in concomitanza dello spostamento di uomini dai centri più arroccati, con scarsa possibilità di espansione, verso valle. Concausa di questo esodo pare fosse la pratica, invisa al popolo, del fiscalismo senza scrupoli che danneggiava proprio i ceti più deboli spingendoli lontano dall’influenza dei feudatari. 
Si ha notizia di alcune foreste date, nel 1496, dal re Federico d’Arag0na a Tommaso Marullo, barone di Bianco e conte di Condojanni. Quelle terre furono rivendute, nel 1507, allo stesso conte Marullo da Ferdinando il Cattolico.     
Tra quei possedimenti ricadevano, però, alcune terre “nominatum de Plati at de Sancta Barbara” che erano state vendute precedentemente (nel 1505) a Carlo Spinelli sempre dal re. Iniziò a questo punto una complicata controversia sulle spettanze territoriali che durò per anni. A derimere la lite tra gli Spinelli e i Marullo ci pensò un intervento regio che assegnò la proprietà di Platì agli Spinelli i quali decisero di farne un centro agricolo. Il feudo rimase nelle loro disponibilità fino all’eversione della feudalità (1806).
Il terremoto del 1783 colpi duramente Platì, cosi come molti altri paesi della Calabria, provocando 25 vittime e danni ingenti.     
 Con l’ordinamento amministrativo del generale Championet, nel 1799 Platì divenne autonoma rientrando nel cantone di Roccella. I Francesi, nel 1807, ne fecero un’università compresa nel governo di Ardore.      
Elevata a comune, le vennero in seguito assegnate le frazioni di Cirella e Natile (quest’ultima oggi è frazione di Careri). Nella prima metà dell’Ottocento venne chiamata Mottaplati e soltanto alla fine di quel secolo riconquistò l’antico nome.
Terminata l’occupazione francese, gli Spinelli decisero di vendere i loro cospicui possedimenti. I nuovi proprietari terrieri arrivarono da Napoli. Questi edificarono grandi palazzi lungo la via San Nicola sottoponendo, però, il popolo a ogni sorta di angheria. 
Dopo l’Unità d’Italia, Platì fu al centro di un duro scontro, generato dall’insoddisfazione del popolo continuamente vessato dai ricchi proprietari. La sollevazione fu capeggiata da Ferdinando Mittiga, un ex sergente borbonico che si fece aiutare nell’impresa dal generale spagnolo don Jose Borjes. Circondata Platì, la battaglia durò per ore. Alla fine, pere, ebbero la meglio i bersaglieri e gli uomini delle Guardie Nazionali Civiche intervenuti. La repressione fu dura e provocò molti morti. Mittiga, rifugiatosi sui monti, fu tradito e ucciso in un mulino nei pressi di Natile Vecchio.
Nel 1908 un altro devastante sisma colpi Platì, distruggendo gran parte del paese. Fu l’inizio dell’emigrazione verso l’America che registrerà la sua punta massima negli anni Cinquanta.
Nel 1951 una paurosa alluvione (ce ne saranno altre nel ’53 e nel ’58) provocò pericolosi movimenti franosi che portarono gravi conseguenze alla viabilità.
La chiesa parrocchiale fu edifica verso ii 1550, ed era governata da economi, mantenuti dall’università. Fu elevata a parrocchia nei 1704, e primo parroco fu il Sac. Francesco Perre; il Sac. Stefano Oliva, fu nominato primo Arciprete dal Vescovo Scappa l’8 marzo 1774 in tempo di S. Visita.       
La chiesa era situata nel primo rione abitato.
Nel 1783 fu totalmente distrutta dal terremoto e dopo alcun tempo fu riedificata sul posto stesso dove oggi è piantata, perché più centrale e più stabile per la natura del terreno. 
La chiesa parrocchiale, rimasta vacante ii 5 dicembre 1817 per morte dell’investito, finalmente, eliminate le cause che avevano determinate il provvedimento, fu provveduta nella persona del Sac. Francesco Oliva.        
Per lo stato indecente in cui, era   stata lasciata la chiesa, fu restaurata dopo il terremoto del 1894 a spese e cooperazione del Cav. Uff. Francesco Oliva fu Arcangelo. Trenta anni dopo la cappella della titolare fu restaurata dalla generosità del Cav.  Michele Oliva, e nel 1926, dalla pia signora Maria Lentini vedova Filippo Oliva, fu decorata la navata di S. Francesco.
In Platì, oltre alla chiesa parrocchiale, vi è quella di S. Pasquale, che è stata eretta dai fedeli nel 1720. Vi era inoltre la cappellania dell’Immacolata, i cui beni, anch’essi furono aggregati alla parrocchia.
Nella chiesa di S. Pasquale l’1 giugno 1888, fu eretta la confraternita del Santo Rosario, il cui statuto fu approvato dal Vescovo Mangeruva nello stesso anno, e, per volontà del popolo la chiesa pigliò il titolo di Maria SS. del Rosario. Tale chiesa fu riparata nel 1924 e nel 1926, con l’obolo dei fedeli per iniziativa della Confraternita.             
Il terremoto del 1908 quasi distrusse la chiesa parrocchiale.
La costruzione del1’attuale chiesa venne iniziata nel 1944, con molto entusiasmo dell’Arciprete Mons. Giuseppe Minniti e con la collaborazione attivissima di tutta la popolazione.     
La costruzione andò avanti in tal modo, fino verso il 1952, quando fu emanata la Legge n. 2522 del 19-12-1952, che diede modo di avere contributo dello Stato.      
Emanuele Maggioni e Lino Tagliani, Padri Missionari della Consolata

Testo e foto, Dedicazione della Chiesa “Santa Maria di Loreto” in Platì, 2006
 

mercoledì 8 dicembre 2021

Desiderio di re [di Josef von Sternberg - 1936]


Platì 1753, regnante Carolus Dei Gratia Rex utriusque Siciliae, Hyerusalem, &c Infans Hispaniarum, Parmae, Placentiae et Castri &c. Ac Magnus Princeps Hereditarius Etruriae.
 Questa è una storia vera.
In quel tempo Platì era definito una Mocta, Motta: secondo la Treccani per "motta" si intende un rialzo di terreno. A questo punto è lecito domandarsi dove effettivamente sorgeva quell’agglomerato di fuochi, per molti era laddove oggi è sita l’Ariella, alla destra del Ciancio, sulla via che conduceva a Xstina come era chiamata in quel tempo l’attuale Santa Cristina d’Aspromonte. Se Carlo III di Borbone (Dio Guardi) regnava, il padrone effettivo, il Signore Feudale, era il Principe di Cariati, nella persona di Scipione III, 6° Principe, Duca di Seminara, Conte di Santa Cristina, Signore di Palmi. A lui l’istorosofo  dottor Vincenzo Papalia dedicò un’ode non troppo benevola, già apparsa su queste pagine: per questa pubblicazione né il dottore né io siamo stati ancora tacciati (taggati) di miscredito o strumentalizzazione. Se Carlo regnava e Scipione spadroneggiava, la casata Oliva li rappresentava. Nel 1753 era Sindaco di Platì Giuseppe Oliva per l’appunto. In quell’anno “riflettendo sempre più la Real mente della Maestà del Re il Supremo che Dio sempre conservi il sollievo de’ suoi fedelissi Vassalli, ha stimato sempre più necessario” la formazione del “General Catasto”. Tale compito ricadde sulle spalle, si fa per dire, di Don Giuseppe Oliva, sindaco, e Don Francesco Musitani Cancelliere. Primi collaboratori erano Domenico Lentini e Paolo Michea. A loro successivamente furono aggregati Don Francesco Perre, sacerdote, quale rappresentante ecclesiastico con Mastro Giovanni Fera e Antonio Celonise, cirellese; quindi per deputati del ceto civile: Michele Oliva, Cipriano e Domenico Zappia; del mediocre: Michele Mittica fabbro, Giovanni Battista Morabito e Paolo Virgara; per l’inferiore: Baldassarre Perre, Assunto Romeo e Giuseppe Trimboli. A redigere il tutto fu chiamato Domenico Calipareo dell’ordines serviens. Tutti dovettero tenere conto degli atti, delle rivele, degli apprezzi come delle once, appartenenti ai cittadini residenti, dei forestieri residenti e dei bonateneti, che abitavano in altri territori: Palmi, Oppido, Lubrichi, Bovalino, Ardore, Bombile, Natile, Careri, Cirella, Santa Cristina e Santa Eufemia. Ne uscì fuori un compendio, un manoscritto da decifrare, che alcuni facinorosi oggi si sono messi a copiare. Un regalo di Natale devoluto da tutti i Signori prima citati. Robba, con due bi, da pazzi!


In apertura un negativo colliquato che ritrae Caterina Fera, madre dell'autore della foto, il medico Giuseppino Mittiga: guardate ben il volto e le mani, la mamma sembra quasi biasimare il figlio.


martedì 23 novembre 2021

Tutti gli uomini della Regina [di Phil Karlson - 1951]





Confraternita del S. S. Rosario
(Reggio Cal.)   PLATI’

 
Deliberazione N° 10
Oggetto
Dimissioni del Rettore D. Francesco Mittiga


 
I.M. I.
 
Onore e Gloria a Dio ed alla Vergine del S. S. Rosario
 
L’anno 1927 il giorno 26 del mese di Settembre in Platì, nella Chiesa del S. S. Rosario locale abituale per le sessioni:
Riunitasi di urgenza la Congrega, l’oggetto da trattarsi ha fatto intervenire N. 21 nelle persone di:

I.               Marando Domenico di Francesco Priore

II.              Zappia Rosario fu Frdinando Segretario

III.            Ciampa Domenico fu Vincenzo 1° Assistente

IV.             Timpani Domenico fu Francesco 2° Assistente

V.              Riganò Paspale fu Giuseppe

VI.            Barbaro Saverio fu Francesco

VII.          Perre Francesco di Pasquale (Cicerca)

VIII.        Perre Francesco di Pasquale (Santollino)

IX.           Marando Antonio fu Giuseppe

X.            Mittiga Saverio fu Rosario

XI.          Violi Rocco fu Angelo

XII.         Mittiga Francesco di Agostino

XIII.       Marando Pasquale fu Giuseppe

XIV.       Mittiga Giuseppe fu Francesco

XV.        Mittiga Tommaso di Filippo

XVI.      Timpani Fiore di Domenico

XVII.    Timpani Francesco di Domenico

XVIII.  Aspromonte Francesco di Domenico

XIX.    Barbaro Domenico fu Francesco

XX.      Perre Pasquale fu Francesco

XXI.    Taliano Rocco fu Domenico

hanno giustificato gli altri l’assenza data la convocazione venne fatta in via di urgenza ed erano fuori abitato per lavori di campagna.
Presiede il Priore Marando Domenico, il quale porta a conoscenza dei Congregati che il Rev.mo Rettore Arciprete D. Francesco Mittiga con sua lettera del 25 corrente rassegnava le dimissioni dalla carica di Rettore della Confraternita stessa.
Chiede la parola il fratello Riganò Pasquale che gli viene accordata e fa la proposta che l’adunanza seduta stante volesse recarsi a casa del Rev.do Arciprete Mittiga per farlo desistere da tale proposito.
A che il Priore non consente per il momento, perché l’atto potrebbe dare l’aria di indisciplinati e mancanza di serietà dato che il fatto merita invece di essere ponderato perché avvicinandosi il mese ottobrino non è possibile lasciare senza i dovuti onori la Regina delle Vittorie.
A tale esauriente spiegazione gl’intervenuti tutti alzandosi in piedi hanno protestato e respingono ad unanimità le dimissioni e danno incarico ufficiale a che il Priore volesse rendersi interprete presso il Rev.mo D. Francesco Arciprete Mittiga di farlo desistere da tale sua decisione.
Il Priore nel ringraziare gl’intervenuti dichiara che essendo suo vivo desiderio l’erizione a Parrocchia della Chiesa di Maria SS. Del Rosario porterà conoscenza dello stesso rev.do D. Francesco Mittiga che egli è pronto ad assicurare la voluta rendita per il mantenimento del Parroco stesso.
Essendo la deliberazione approvata ad unanimità ed essendosi espletato il compito il Priore dichiara sciolta l’adunanza invocando l’aiuto e l’assistenza della SS. Vergine perché volesse illuminare il Rev.do Mittiga e perciò invita gl’intervenuti alla recita del Santo Rosario
Il Priore
DMarando
 
L’Arciprete Don Francesco Mittiga era nato il 21 giugno del 1872 da Nicola, sarto, e Mariantonia Gliozzi, tessitrice. A ricordo della zia Amalia, sua lontana cugina, con il Rev.do Mittiga erano vicini di casa, nel vico San Nicola. Il prelato oltre le funzioni nella Chiesa del Rosario officiava anche in parrocchia. Non si hanno notizie sulla causa delle sue dimissioni da Rettore della Congrega. Il documento riportato è prezioso perché tra le righe possiamo intravedere nomi e cognomi di chi ci ha preceduti, angoli di vita paesana e sopra ogni cosa l’attaccamento alla Regina delle Vittorie al cui cospetto non c’erano dimissioni o scuse, meno che mai quando si avvicinavano i suoi festeggiamenti.

I documenti riportati, e gentilmente concessi, sono custoditi presso:
Archivio Storico Diocesano “Mons. Vincenzo Nadile”
Diocesi di Locri – Gerace
ASDLG