DUE
PAESI DELLA CALABRIA CANCELLATI DALLA TERRA
Pazzi ad Africo e Casalinovo
per il terrore dell’alluvione
Il
drammatico esodo di 2.300 persone per un sentiero esposto ai pericoli
delle
frane – Centinaia di malati nella scuola di Bova
REGGIO CALABRIA
27 – Le montagne che circondano che circondano Africo cominciarono a franare
nel pomeriggio di martedì 16 ottobre e investite in pieno dai macigni le prime
case, quattro persone rimasero seppellite sotto le macerie. Pioveva
ininterrottamente già da due giorni e che da un momento all’altro la montagna
potesse franare era stato l’incubo della popolazione. Ma durante il temporale
da quanti anni aveva vissuto sotto quell’incubo? Ora il rombo pauroso delle
rocce che precipitavano e la visione del terreno che lentamente slittava a
valle davano consistenza reale al timore di intere generazioni.
Sotto la pioggia
torrenziale, annaspando nel fango, la gente si precipita fuori delle povere
case che potevano trasformarsi in tombe da un momento all’altro. La montagna
continuò a franare. Pensarono in principio di trovare salvezza andando a
Casalinovo, ma già da quella vicina frazione cominciavano ad arrivare ad Africo
i primi fuggiaschi i quali avevano anch’essi abbandonato le case minacciate
dalle frane, raccontarono che durante il tragitto sei di loro avevano trovato
la morte.
E ora dove
fuggire? Africo e Casalinovo sono due fra i tanti paesi di Calabria non legati
da strade con il resto del mondo. C’è solo una mulattiera che porta a Bova
Superiore. Su questa mulattiera cominciò l’esodo della popolazione: 2.300
persone. Quanto terrificante sia stato il viaggio a piedi, sotto la tempesta,
per percorrere quei 2 chilometri in mezzo a burroni e precipizi, nessuno potrà
mai raccontare perché quelli che erano gli abitanti di Africo e di Casalinovo
erano soli con la loro disgrazia e con il loro terrone.
Quando finalmente
arrivarono a Bova, che è un paese privo d’acqua, di luce, di fognature,
credettero di essere giunti in paradiso. Ma fu solo una fugace illusione perché
subito cominciò l’inferno di Bova.
Ci siamo recati
ieri a Bova. Nella nostra vita di giornalisti, che pure ci ha fatto assistere a
tanta spettacolare desolazione e miseria, nulla avevamo visto fino ad oggi di
così terrificante sofferenza umana.
Siamo stati
alloggiati in un edificio scolastico, i profughi di Africo e Casalinovo,
avevano assicurato le autorità. Ma noi avevamo saputo già a Reggio Calabria che
tra essi si erano verificati, nei giorni scorsi, veri casi di pazzia. Però solo
quando siamo penetrati nell’oscuro corridoio della scuola di Bova abbiamo
potuto capire come un essere umano possa, per sofferenze fisiche, perdere la
ragione.
200
persone in un’alula.
Centinaia di
persone coperte di stracci, inzuppate, scalze, tremanti dal freddo, affamati,
stavano immobili, sedute per terra o in piedi, appoggiate alle pareti. Dovunque
volti scavati e sguardi pieni di terrore. Fuori pioveva, faceva freddo e le
finestre dovevano essere tenute chiuse. C’era un’aria irrespirabile ma non
riuscivamo a restare più di due minuti nell’inferno di quell’aula. In una di
esse ampia meno di dieci metri quadrati, vivono da martedì 16 ottobre 200
persone. E sono le più fortunate. Altre centinaia vivono in ambienti ancora più
piccoli o sono per i corridoi dove non penetra la luce ma il vento e la
pioggia.
Da dodici giorni
vivono così i profughi di Africo e Casalinovo. Non hanno materassi, non hanno
coperte, non hanno sedie, nella scuola non ci sono gabinetti, non c’è acqua
corrente, non c’è luce elettrica. 2.300 persone, in gran parte donne e bambini,
vivono da dodici giorni in questo inferno. Sulla strada non possono uscire
perché piove continuamente e fa anche più freddo. Altri sono stati ricoverati
nella sala municipale e vivono nelle stesse condizioni. Pochi sono quelli
rimasti nelle campagne intorno ad Africo sperando di poter salvare qualche capo
di bestiame che rappresenta tutta la ricchezza del paese.
Hanno
perduto tutto
Molte donne
sedute sul pavimento tenevano attaccati alle mammelle aride i figli,
nell’inutile speranza di poterli nutrire. I vecchi supini, con lo sguardo fisso
in alto, già sembravano cadaveri. In un angolo del corridoio. Presso una porta
della cui fessura penetrava furtoso il vento freddo dei monti, c’erano tredici
bambini seduti intorno alla madre, distesi su un mucchio di stracci. La donna
si lamentava sordamente, tremava, ansava e gettava intorno sguardi come per
chiedere soccorso. Stava per partorire. Ma chi poteva soccorrerla. Che cosa
potevano fare per lei le altre donne?
Un uomo ci venne
incontro con le mani tese in avanti, inciampava continuamente: ci accorgemmo
poi che era cieco. Ma quanti vecchi rasi dal tracoma non incontrammo in quel
triste edificio scolastico di Bova Superiore? L’immobilità di alcuni bambini ci
fu spiegata quando tornammo sulla strada fangosa, era paralisi infantile,
permanente.
Fuori continuava
a piovere e una nebbia densa veniva giù dai monti. Sulla strada ci fu più
facile rivolgere la parola a qualcuno. Quali soccorsi avete ricevuto? Un po' di
pastasciutta. Dove andrete? Non lo sanno, hanno perduto tutto, ad Africo non
possono più tornare. Il nome del paese può già essere cancellato dalla carta
geografica della Calabria.
RICCARDO
LONGONE
Testo e foto: L’UNITA’,
Domenica 28 ottobre 1951
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