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lunedì 18 aprile 2022

Il fiore delle mille e una notte [di Pier Paolo Pasolini - 1974]



IN PROSSIMITÀ DELLA STATALE 106
La raccolta dei gelsomini
nella Valle di Bruzzano Zeffirio
È un lavoro veloce e delicato che dev'essere svolto con calma
Tra un coro e l'altro le belle giovani sognano ad occhi aperti
 
Bruzzano Zeffirio, 2 dicembre
II viandante notturno che da Reggio Cal.., percorrendo la statale 106 che guarda gli incanti dello Ionio, si sposti verso Catanzaro e voglia fermarsi nel tratto di strada che tra i paesi di Brancaleone e di Ferruzzano costeggia contrada Manzo appartenente al comune di Bruzzano Zeffirio, vedrà una vallata di alberi ed arbusti appena chiazzata dalle diafane luci delle stelle, maliziosamente accarezzata dal murmure delle onde che fomitano sulla soffice sabbia il tormento di antichi eroi Omerici che ancora gli irati Dei costringono ad errare di scogliera in scogliera per l'eternità.
Udrà un canto aleggiare fra gli arbusti, sperdersi in dolce armonia con un profumo meraviglioso verso le stelle, ed avrà l'impressione di sognare. Crederà per un attimo che le sirene, stanche di attirare sulle scogliere gli incauti naviganti, dopo avere abbandonato i dolci lidi, si siano trasferite a cantare la loro fatalità sulla terraferma, all'ombra di alberi ed arbusti. In quel grandioso giardino dove a migliaia crescono i gelsomini, questi strani minuscoli fiorellini bianchi dal suadente profumo.
Ma chi, verso l'alba e quando il sole dopo essere filtrato attraverso il rosso candore che in lunghe strisce si adagia al di sopra del mare in quell'ora maliosa, voglia sostare a lungo perché stanco del cammino o perché attratto da qualcosa d'insolito, vedrà una sterminata pianura di verdeggianti, filari cosparsi di bianchi fiorellini e tante donne, piccole e grandi, dai lunghi stivali e dai fazzoletti variopinti come vuole la tradizione più antica della Calabria, allungare vorticosamente le mani in un carosello che ha del miracoloso, strappare due, cento, mille fiorellini, riporli con cura nel sacchetto che ognuna tiene appeso alla cintola.
In quel luogo, per tutto il periodo estivo e sino all'ottobre inoltrato, si svolge la raccolta dei gelsomini, è un lavoro veloce e delicato perché  si deve pensare a raccogliere quanti fiorellini è più possibile e nello stesso tempo badare a non rovinare le piante che sono di una delicatezza estrema.
Le principianti dopo un lavoro di sei e sette ore riescono appena a raccogliere tre chili; ma le anziane, forti dell'elasticità acquisita in anni di esperienza, raccolgono anche sette e più chili.
Il lavoro viene svolto con calma e con gioia, e tra un coro e l'altro, le belle fioraie hanno tutto il tempo di sognare, là che il murmure del mare e la suadente bellezza del cielo cosparso di stelle invitano ai sogni, il loro principe azzurro.
Il maggior contributo di donne alla raccolta viene dato dal paese di Bruzzano che si trova a pochi km. di distanza, nell'interno, e precisamente nella tremenda vallata che guarda il grigio Scapperrone, i monti di Bova e le rosse timpe di Ferruzzano.
A Bruzzano, ogni notte, quando l'orologio della torre Civica tuona fortemente il rintocco delle ore piccole, deboli lumi si accendono nelle case e il silenzio delle vie viene rotto dal tonfo misurato degli stivali e dalle voci delle amiche che invitano alla sveglia le più pigre.
All'uscita del paese attende un rombante camion, e come ogni notte, come sempre e da anni ormai, non appena l'ultima donna è salita, parte ver so il luogo del lavoro.
Naturalmente non si marcia in silenzio perché il fatale mistero della Calabria, questa terra antica e favolosa che ama fomitare tutt'intorno da ogni albero, da ogni zolla e da ogni creatura, la sua pietà e la sua forte malinconia, spinge tutte le donne al canto; ed un sol coro si eleva allora verso il cielo in un'ansiosa ricerca di felicità e di bene, svolge lentamente, pacatamente, l'antico dramma di questa terra.
Sul luogo del lavoro, intanto, con altri mezzi sono giunte le donne di Brancaleone, civettuole e vanitose di quella vanità che è propria di chi vive nella marina; quelle di Razzà, serie e composte; quelle di Platì, silenziose ed austere; ed allora, tutte insieme, si dà inizio alla raccolta.
Compostamente, due per filare, incominciano a spogliare gli arbusti, alti qualche metro, dei bianchi leggerissimi fiori.
Cosi, per ore, immerse nel chiarore vellutato di queste notti d'estate piene dì stelle e di lucciole, raccolgono la loro vita, il pane quotidiano; e cantano canzoni vecchie quanto i tempi che i padri hanno ereditato dai padri e tramandato ai figli in questa fuga verso l'eterno che la Calabria nemmeno avverte, immersa com'è nel suo fatale lento cammino sulle stesse zolle di ieri e di sempre.
Quando la raccolta è finita e soltanto il verde dei filari chiazza la vallata, le donne ridendo e scherzando si recano nello stabilimento per la lavorazione per consegnare, dopo averlo pesato e fatto registrare, il bianco raccolto.
Il giorno più bello è quello del pagamento: allora la dolce fioraia che ha finalmente vinta la riluttanza dei familiari, riunitisi per l'occasione in serie e dignitosa assemblea, magari con la complice parola del fratello che andato a fare il soldato in regioni evolute ha visto e conosce il mondo, potrà finalmente tagliarsi i capelli ed affidarli alla corrente elettrica per una meravigliosa ricciolatura.
Per il vestito da indossare in occasione della prossima festa c'è tempo per l'altro pagamento.
Le anziane pensano alle scarpe da comperare alla figlia maggiore che va a sarta e deve figurare ed al problema del vettovagliamento che impone la sua ferrea legge specialmente quando lo sposo per mancanza di lavoro riscalda i marciapiedi del paese.
Ed ogni notte ritornano al lavoro, felici in quella pianura piena di fiori, di stelle e di lucciole, e cantano la profumata canzone della loro quotidiana fatica.
BILL MODAFFERI
GAZZETTA DEL SUD, 3 settembre 1956

La lavorazione del gelsomino per anni ha costituito un importante risorsa economica per le popolazioni della locride; anche molte donne e ragazze di Platì, come nel caso già riportato delle raccoglitrici di olive, vi hanno contribuito per aiutare le famiglie onde procastinare l'esodo verso altre terre.

Il documentario di Giuseppe Lisi del 1957, in edizione integrale, ricalca, sebbene con altri toni, il testo di Bill Modafferi.

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