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domenica 17 febbraio 2019

La fratellanza [di Martin Ritt, 1968]

Di quando ero piccola e stavo al mio paese non ricordo i ricchi o quelli che erano meno ricchi, ma ho in testa i proprietari terrieri, e chi, di questi ultimi, coltivava i terreni. Li coltivavano con tutta la passione che era in loro, come fossero terreni di loro pertinenza.  Soldi in giro non si vedevano, c'era la fratellanza e lo scambio dei prodotti; i signori davano al contadino le terre e in cambio avevano un terzo del prodotto. E questo era quello che faceva un mio zio, Antonio Scarfò. La signora Fera aveva dato a questo mio zio in gestione un pezzo di proprietà che si chiamava “a cabeia bella“. Non era lontano dal paese e mia cugina - sua figlia - mi portava spesso con lei. Partivamo dal paese lei, con una cofana in testa col cibo per il papà ed io che le trottolavo dietro, spesso prendendo la rincorsa per starle al passo. Le mie gambette non erano come le sue e lei andava; non si girava mai per vedere se c'ero oppure no, e tanto meno mi diceva mai: sei stanca? vuoi venire in braccio? – no - ma andavo volentieri, il posto mi piaceva assai. Era una grande proprietà con la casa circondata da muri; fuori nell'aia le galline, il maiale, una pecora e una capra e anche un cavallino; un carretto, i covoni del grano e poi pentole e pentolini col mangiare delle bestie. Era bravo mio zio, un gran lavoratore; c'era di tutto perfino i carciofi, ma guai a chi toccava le primizie, erano per la signora che lui rispettava molto.

Testo e foto sono di PAOLA VIOLI

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