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giovedì 22 marzo 2012

Il dolore e la pietà (reg. Max Ophuls - 1969)


Lacrimae rerum
- A la santa memoria di mia madre –

Sono qui, dove la più orribile de le sventure mi ha colpito, occupo il posto dove tu sedevi e, nell’intensità di un dolore, quanto il mare profondo, scrivo …
Scrivo e ripenso all’immane convulsione tellurica del vent’otto dicembre quando, da un cumulo di macerie t’ho scavata agonizzante, quando per scampare e comprare la tua preziosissima vita sono andato a mendicare un ricovero; e le occhiate di grata riconoscenz con cui mi ferivi l’anima.
E’ questo il letto su cui ti vidi fredda, cerea, immobile! … sono qui, attorno, le figure dei tuoi figliuoli diletti e le altissime grida d’un dolore acuto mi straziano ancora:
“ Oh mamma, oh mamma! …
E queste mura risuonarono per tre giorni de le tue lodi; vennero a dirmi tutti, tutti – senza distinzione di classe – quanto eri buona … come se non lo sapessi! Come se io non fossi ne la piena convinzione che tu eri una santa!
Ne l’intimità del dolore però ho amato, ringraziato ed abbracciato tutti; perché sentivo il tuo Nome rifiorire su le loro labbra come una Rosa, di cui portavi il nome.
Eri buona, eri bella ed eri forte.
Eravamo piccini ancora: sul nostro tetto si addensavano neri nuvoloni di tempesta e saremmo andati in rovina se tu con le tue braccia robuste, non avessi stretto, come un cerchio di ferro, la casa. Ad essa consacratsti il contributo di tutte quante le tue virili energie e ne la tensione dolorosa, alla fine le tue forze caddero e ti spezzarono il cuore. L’ideale, non appieno realizzato, ti travolse tra le sue pieghe aeree e t’involasti serenamente, come un angiolo, per vegliare non vista, a la custodia dei tuoi figliuoli diletti.
Oh madre, o santa donna de l’Evangelo sollevaci, sollevaci in alto.
Con te vorrei volare ne l’immensità del cielo, per sapere qual è il premio che ti han preparato lassù; vorrei venir con te ne la tomba, per risvegliarmi di là, ne la più bella libertà de l’anima.
So intanto, che la fede sola non basta.
Essa mi dice che tu ora vivi in un’atmosfera di luce, che siedi in una patria beata e che il premio de le tue virtù l’hai conseguito quel giorno appunto in cui noi, tuoi figli, piangevamo su la tua salma. E quelle lacrime, le lacrime de le cose, al pensiero de la felicità non terrena, s’imperlavano su le nostre gote riarse, o scendevano come strisce d’argento, sopra i nostri petti convulsi. Eri tu che mutavi quel pianto in un ambiente di luce e la rugiada benefica de le lacrime scendeva su le nostre anime affrante, unico, supremo conforto ne la sventuta.
 Piangevano con noi le cose. Tutto d’intorno era opera delle tue mani. Dai ninnoli del nipotino a quanto m’appartiene e m’apparterrà ne la vita, ogni cosa su cui io poggio lo sguardo o le mani, tutto da te ebbe principio e compimento. E le lacrime de le memorie sgorgavano da le cose “ sunt lacrimae rerum”.
Oggi le cose tacciono, Forse, chi sa, in riverenza al mio dolore! Ma dal flutto de le cose emerge l’idea de la sventura; incombe su tutto, come nero sudario e la monotonia del tempo che fugge m’incalza a la preghiera. – Prego! – Prego che tu possa assorgere ne l’etere più puro, che la luce perpetua t’avvolga come in un mare di raggi e le melopee soavi del firmamento ti allietino col loro incanto.
Pego che la pace eterna ti conceda Iddio, quel Dio che tanto amasti in terra, che fu l’oggetto de la nostra educazione, de le tue virtù più sante e del martirio immenso.
                                                                                                                    Sac:  Ernesto Gliozzi
Platì  Marzo 1909

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