La pia leggenda calabrese
Ode
Allora quando, di spineti densa
- covo selvaggio di selvagge vite -
regnava questo luogo inospitale
sola, la morte.
E dalle scorze degli acuti pini,
dai larici virenti e dai querceti
scendevan torme di silvestre ninfe,
di fauni e fate,
che qui, nel terso gorgoglio de l’acque
- sotto la fresca nostalgia de l’ombre -
bagnavano le nere ed ondulate capigliature…
Allora appunto fu che ruppe, ansante,
tutto l’incanto d’una vecchia etade
il pio muggito d’un torello in fuga, lungo, sonante.
E con la forza di lunate corna,
- come se dentro l’iveitasse un nume –
dove le fate si posavan prima
scavò la terra.
Poi, quando apparve su la nera zolla
un Simbolo di Vita… il faticante
suo lavoro sospese e, riverente,
cadde in ginocchio.
E non è questa quella Croce apparsa,
ond’io mi spiro a favellar con lode
di quella gente che seguì le peste del pio torello?
Non è qui, forse, dove apparve cinta
d’arcana luce, una Regina: quale
voi La vedete – e i secoli passati li tramandarono?
Una soave melodia da l’erme
cime dei monti si partì: le fate
intesero quel canto e sprofondaro tutte sottera!...
Sola regni Maria! Come l’eterna
giovinezza d’un popolo t’onora!
Come s’intreccia sulla tua divina fronte la lode!
Palpita ancora, dentro le pareti
di questa Chiesa, l’anima dei padri;
dei forti padri che la fede ardente rese felici.
E ti innalzaro nel profondo cuore
de l’Aspromonte, viride e possente,
una gentile, di bellezze onusta mite chiesetta
dove la massa dei fedeli scese
ebbra di fede, e risonaron queste
valli feconde di sonori canti soavemente.
Regina Maria! Di nostra gente orgoglio.
Ed or che intorno palpita la vita
- vita soave di speranze care –
tendi l’orecchio.
Quali clamori a Te portano questi
fili di ferro che le nevi intatte
sorvolano e Tu senti ed annuisci, Dolce Regina?
O, non è vero che fratelli tutti
ci vuol la Madre, onde ci stringe e lega
con questi fili e per sentir le preci di tutto il mondo?
Ed è per questo che le braccia tendo
a l’amplesso soave de l’Amore;
A tutti quanti non conosco ed amo
Dico: Salvete!
dalle Sacre Vette
Sac. Ernesto Gliozzi senior
nella foto scattata a Polsi, da sinistra: lo zio Ciccillo, il sac. Giuseppe Signati di San Luca, lo zio Ernesto senior, il canonico Paolo Malafarina di Gerace, l'arciprete Antonino Pelle, superiore allora di Polsi, il canonico Don Antonio Gratteri di Gerace e lo zio Ernesto junior . Al centro lo zio Pepé (quando la classe non è acqua).
A me danno l'impressione di dei assisi sull'olimpo, non di sacerdoti, ed il loro candido messaggero.
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