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venerdì 15 luglio 2022

A Chiara [di Jonas Carpignano, 2021]

A Chiara (2021) di Jonas Carpignano è un film su cui si possono riservare ore su ore di dibattiti tanto è il coinvolgimento per chi riesce ad apprezzarlo. Il regista italo- americano ha eletto Gioia Tauro sua terra adottiva e a motivo di essa ci racconta la Calabria, o se volete, per dirla con parole attuali, la Città Metropolitana di Reggio Calabria. Importante per portare a termine in modo speciale il film in questione è la scelta stilistica e la volontà di ritornare alla pellicola, usando per questo mezzi tecnici leggeri che permettono al regista di stare sempre al passo, sempre in movimento, degli interpreti, restringendo il campo visivo, e risaltare la psicologia dei personaggi, senza dimenticare la maggiore resa cromatica. Il lavoro si può facilmente suddividere in quattro parti, più un segmento centrale che è la vetta più alta raggiunta nel lavoro del regista: la vita di una famiglia di Gioia Tauro; a Chiara; la sopravvivenza, l’epilogo. Ciò che non convince è proprio l’epilogo con “la svolta narrativa poco probabile”. Carpignano con un procedere che riporta alla lezione di Roberto Rossellini ci mostra la vita di una tipica famiglia calabrese di neo arricchiti.  Il suo quotidiano, come quello di una qualsiasi famiglia sulla terra, è crescere i figli nel modo migliore possibile, anche se esse sono tutte ragazze: la scuola, l’apparecchio odontoiatrico, la palestra, gli amici, i selfie, i diciotto anni della maggiore di esse, il trend che a volte emerge come kitsch. Chiara scoprirà presto che tutto questo ha un prezzo. Crescere ha un costo. Il segmento centrale citato: è il momento decisivo per Chiara, quasi una sorta di limite tra l’adolescenza e le future sofferte scelte, qui rivediamo Pio Amato passare dalla ciambra alla maturità, alla consapevolezza di sé, ad un futuro responsabile.

mercoledì 13 luglio 2022

La valle della sete [di Edward F. Cline, 1935]



UNA SITUAZIONE INSOSTENIBILE
Manca l’acqua a Senoli di Platì
E dire che a 200 metri dall’abitato il prezioso liquido scende abbondante nelle tubazioni dell’acquedotto di Ardore

Platì, 10 giugno
Arriviamo a Senoli di Platì verso le otto del mattino, e ci accoglie il suono di un corno da caccia. Ma non è Diana Cacciatrice a dargli fiato, bensì un insegnante elementare che con quel mezzo chiama a raccolta dall'immensa campagna bruciata, gli alunni per le ultime lezioni dell'anno.
Questo ce lo spiega una donna: un bellissimo rudere di venticinque anni, come ce ne sono a decine nella zona. A guisa di rampicante, l'ultimo nato le sta attaccato al seno avvizzito. Non riusciamo a scoprire il misterioso tritone, e non ce ne diamo pena.
Senoli di Platì consta di vari gruppi di casette, ostilmente dislocate a centinaia di metri le une dalle altre; si che a volerle visitare tutte, ce ne sarebbe per mezza giornata. D'altronde, non vale la pena di farlo: sono tutte identiche. Bambini sporchi sostano senza allegria nel letame, tra porci galline e vecchi. Ci sarà dell'altro nelle sordide casupole di gesso; ma scene come questa che vi si presenta subito appena arriva-
ti, vi levano la voglia di indagare oltre nella vita senolese.
Deserto senza oasi, sotto il sole estivo, l'abitato di Senoli. Le pietre calcificate ai abbagliano; gli oleandri vi mostrano la loro meravigliosa fioritura distrutta da una coltre di polvere. E mosche, api, zanzare, calabroni, vi ronzano introno in un nugolo instancabile.
A Senoli di Platì non c'è acqua. Non c'è acqua per la terra, e non c'è acqua per gli uomini.
Bisogna andarla a prendere a quattro o cinque chilometri di distanza nell'aperta campagna, a un ruscelletto anemico che dura fino a mezza estate; poi i chilometri da percorrere per il rifornimento diventano sette, da Senoli a Natile Nuovo. Per chi non ha la forza di percorrere giornalmente questa «via crucis», ci sono i fossi acquitrinosi che stagnano qua e, là, carichi di malaria e di tifo.
Un contadino di trent'anni, invecchiato nel fiore della giovinezza, ci accompagna al ruscello «vicino»; il sole comincia a bruciare maledettamente, e il nostro passo deve per forza accorciarsi, sulla sabbia sdrucciolevole della salita.
Camminiamo in fila indiana per un sentiero incassato tra due file di cespugli, il contadino, noi, e l’ing. Rossetti, che da vari mesi, dirigendo i lavori per la costruzione di una stradicciola carraia da Senoli alla S.S. 112, ha imparato a conoscere i problemi della popolazione del luogo.
Davanti a noi cammina una vacca. Intorno, il solito nugolo di insetti. 
La vacca esce a un tratto dal sentiero infilandosi a capofitto nella siepe; la vediamo rientrare per lo stesso mezzo un po' più a monte, e quindi ripetere alcune altre volte la strana operazione. Mentre ci chiediamo incuriositi cosa possa significare questo strano «slalom», ci accorgiamo di essere ricoperti di tafani. Sono quelli stessi di cui la vacca si è liberata un attimo fa con l’intelligente sistema.
Potremmo seguirne l’esempio adesso, ma ci rinunziamo. Dopotutto noi non siamo mucche e i poveri tafani, delusi, ci lasciano «sua sponte».
Arriviamo così al ruscello, che si versa in un rustico fondale di cemento. Vorremmo levarci la sete, ma dobbiamo sputare disgustati: ci pare di avere ingerito del latte di calce: E' questa, dunque l’acqua di Senoli?
Una vecchia, mentre aspetta pazientemente che la sua brocca si riempie, ci guarda. Ha il collo grosso come quello di un pugile a causa delle vegetazioni adenoidi favorite dalla scarsezza di jodio nell’acqua Non si lancia fotografare.
Incontriamo altre tre o quattro vecchi ridotti nelle sue medesime condizioni; una di essi anzi, sembra avere attaccate al collo due grosse noci di cocco. Solo un intervento chirurgico lo libererà della strana deformazione, ma questa si rinnoverà dopo le prime bevute.
Tutto questo, mentre, a duecento metri circa dall'abitato di Senoli scorre l'acqua fresca e leggera dell'Aspromonte.
Scorre, ben s'intende, nelle grosse tubazioni dell’acquedotto che alimenterà il centro di Ardore.
Un filo di quell'acqua, e i cittadini di Senoli sarebbero salvi.
Ma quell'acqua è «Tabù».
Le numerose istanze della Amministrazione Comunale di Platì si sono infrante davanti al ferreo «non possumus» dei su dirigenti il consorzio per l’acquedotto medesimo.
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD, 11 giugno 1957

La foto d’apertura è dello stesso Michele Fera: "un contadino di Senoli appoggiandosi alla lunga pertica, contro le asperità del terreno che deve affrontare, va a riempire il secchio d’acqua che tiene bilanciato sul manico della scure".

L’abbandono di Platì da parte di Michele Fera è oggi un vuoto tra i più profondi vista la spinta in avanti che avrebbe potuto dare alle future generazioni dei suoi tempi, e di domani.

domenica 3 luglio 2022

Fuori dalla nebbia [di Anatole Litvak, 1941]

«Se sei nato a Platí, – spiegano con rabbia e rammarico i due poliziotti che da anni indagano nella Ionica, – sei nato sfortunato». «È un po’ come se non potessi prescindere da un destino che t’è toccato e per forza di cose ti nutrissi di una certa mentalità e la facessi tua, perché questa ti hanno inculcato».

"Uomini capaci di essere attori della modernità, ma portatori perenni di premodernità".


Avendo di già usufruito del meglio dell’estate – caldo, freddo, pioggia, umido, insetti (e mosche cavallone), melanzane, pomodori e peperoni andati a male, fagiolini che dormono, zzipanguli bruciati dal sole, incendi … mi sono trasferito in quel di Buccinasco, la Platì del terzo millennio … dicono!  
Chi si vorrà avventurare a scrivere un’obiettiva storia di Platì è bene che tenga conto di Buccinasco La ‘ndrangheta al nord di Nando Dalla Chiesa e Martina Panzarasa edito per Einaudi nel 212. Il suo valore sta nell’indagine sociologica e socio-politica portata avanti con sobrietà e documentazione dagli autori; se ad incominciarlo si rimane infastiditi alla fine è la resurrezione quella che subentra. Da oggi in poi il testo e la relativa indagine sono da superare e rivedere per non rimanere aggrovigliati nelle maglie della soffocazione: “una ragione … più necessitata che volontaria … destinata a rivelare nel tempo i suoi benefici effetti”. Il libro di Dalla Chiesa e Panzarasa è da considerarsi come una sorta di zibaldone vista la mole di testi e documenti citati. Di fatto sta che è anche un valido aiuto per capire la Storia di Platì, anche per non sottacere il lato noir di avvenimenti scaturiti nel passato vuoi o non vuoi da malesseri di vario genere che vanno dalla lotta per la vita o per la dignità della persona.
La parte centrale, quella legata ad episodi di natura delittuosa non aggiunge nulla di nuovo. Per chi si è nutrito di cinema nero americano tali episodi sono visibili, seppur frammentati in opere che vanno da Piccolo Cesare del 1931 (il film citato in apertura è un altro valido esempio) a Traffic del 2000, in quest’ultimo Steven Soderberg ha detto quello che bisognava dire sul tema della droga - anzi voglio ricordare addirittura un film italiano, Alina di Giorgio Pàstina del 1949, siamo in pieno dopoguerra: i trafficanti di droga sono degli inermi valligiani piemontesi che smerciano per sopravvivere la polverina in Francia;  senza dimenticare William Faulkner e Cormac Mc Carty sul versante della grande letteratura. 
Dalla pubblicazione del citato libro però qualcosa di nuovo c’è: A Chiara di Jonas Carpignano del 2021 e Michele Papalia, che stende sale sulle piaghe.

La foto è uno sguardo sulla via fratelli Sergi, quando la CASA era ancora piena di odori, suoni, voci, i gerani e le fucsie in fiore, il gelsomino profumato.


giovedì 30 giugno 2022

Strade perdute [di David Lynch 1997]


 

“Lo stato naturale di queste contrade si stende in una maniera uniforme fino a Gerace, Ardore e Bovalino. A Gerace specialmente è meraviglioso il progresso che fa la coltura degli ulivi. …  Nel littorale la parte coltivabile è piana e picciola. … sono rare le gelate nell'inverno, e quasi mai nella primavera. La gragnuola vi è rarissima. In ciò sono ben favoriti questi luoghi dalla natura. …  Il flagello maggiore è il subalternismo. Le comunità riguarderebbero come una grazia una nuova tassa quando per mezzo di essa si abolissero i subalterni. L’innocenza si deve comprare e l’impunità è un oggetto di traffico. …  L’agricoltura non fa progressi per la scarsezza della popolazione, ...  e per l’ignoranza de’ buoni metodi agrari. …  Gli strumenti agrari sono imperfetti. L’uso della vanga vi è sconosciuto. Solo nella provincia di Cosenza vi si usa qualche poco. La putatura degli alberi vi è ignota. Per putarsi li gelsi qualcheduno fa venire i potatori da Cosenza. Gli ulivi si lasciano intatti senza putatura. Non si conoscono altri concimi che quelli della stalla. La terra non è profondamente cavata, né bene stritolata, per lo cattivo aratro; principalmente di qui il piccolo prodotto che abbiamo notato nelle derrate. La malattia del verme seguita a fare strazio delle ulive in questa contrada ancora. l trappeti alla genovese vi sono sconosciuti. L’olio generalmente si conserva nelle fosse, in vasi di creta. … si è cominciato ad introdurre l’uso delle cisterne, le quali si fabbricano sotto terra con calce di tufo, mattoni e ferraggine o sia spuma di ferro …  e il suo intonaco è impenetrabile. I vini sono spiritosi, ma nell'estate si alterano ed inacidiscono. … Si conservano o in botti di castagno o in vasi di creta. ... Le campagne generalmente sono aperte, specialmente nelle marine … non perché fossero soggette a servitù, ma … contribuisce a ciò anche il mal costume: si portano a pascolare i porci e le capre indistintamente in ogni luogo o chiuso o aperto. Questi animali devastano le coltivazioni e formano un altro grande ostacolo all’agricoltura. La moneta è scarsissima, specialmente dopo il tremuoto. … l macelli in questa contrada sono mal provveduti. L’inverno solamente non manca la carne porcina, la quale però è cara. Quella di vaccina e scarsa e cattiva. In questa contrada e generale la sulla spontanea, della quale si fanno uso tutti gli animali. …  Si vuole tanto sostanziosa anche secca da bastare a supplire all’orxo. Non si conosce il falcione … ma una semplice falce imperfetta. Gli ortaggi sono scarsi e si fanno solamente per uso de’ particolari. Solo Roccella ha circa 30 barche pescherecce. … Nell'inverno sono provvedute queste contrade di pesca da' pescatori del Golfo di Napoli e della riviera di Reggio. Nell'estate si sta senza pesce. Le marine non sono custodite … Le torri e le case de’ cavallari sono state in buona parte rovinate distrutte da' tremuoti, né si è dato ancora principio a restaurarle. La spiaggia è aperta ne ha fortificazione di sorte alcuna. … Il prodotto della seta in Gerace è di circa 8.000 libbre: quella rivelata è di 4.000. Si può considerare il controbando della seta per una metà della raccolta. ... Il costume di questa contrada e di esser ostinati e vendicativi.  Il popolo per le oppressioni che soffre e meno facinoroso di quello dovrebbe essere. ... Una delle principali cagioni degli omicidi è la gelosia, figlia della rozzezza de’ costumi. Gli omicidi o sono rissosi e nascono da ubbriachezza, o sono premeditati e nascono da gelosia e da odio. I furti, le crassazioni sono comuni. I miliziotti sono nella maggior parte i primi facinorosi. Le scorrerie de’ malviventi nelle campagne sono generali. Quasi tutti i miliziotti sono i più facinorosi della provincia perché i delinquenti ed i debitori adottano questa professione e vengono garantiti da’ comandanti in disprezzo delle leggi. Con ciò restano impuniti i delitti, quali crescono ogni giorno. La mendicità è scarsissima. L’ozio, il giuoco, la mala fede è generale. Gli esposti non sono frequenti, ma sono relativi al costume della contrada, geloso e che punisce tali falli delle donne colle armi. … Non vi sono Ospedali. Solo in lsca c'è una scuola pubblica di lettere umane, latina e leggere e scrivere. Il maestro ha 40 ducati l’anno. … Le malattie costituzionali si sentono nel cader della estate e nell'autunno. Sono febbri terzane e putride biliose, alle quali è soggetta la gente di campagna principalmente. … La durata più lunga ordinaria della vita è fino a 70 anni. La contrada e dunque più sana del Marchesato. L’inoculazione comincia a farsi generale. A Gerace si fa fino dalle donne. Le femmine si maritano alli 18 anni, gli uomini a' 20. Delle donne pochissime restano senza marito. Le pinzoche sono numerose, ... nel giorno della Croce e più nella Settimana Santa usano flagellarsi a sangue per le strade e per le chiese, né vi si e potuto por freno da’ vescovi e dalle leggi. L’uso però va rendendosi meno comune. l galantuomini ed i preti anche sogliono flagellarsi. Usano ubriacarsi prima, per rendersi insensibili alle sferzate. … Non vi sono osterie di sorte alcuna. Prima i conventi esercitavano l’ospitalità e la loro soppressione è un danno per coloro che viaggiano”.

Giuseppe Maria Galanti (1743 – 1806), Giornale di viaggio in Calabria, Napoli, 1792

Il testo sopra riportato l’ho ricavato dal libro del professor Pino Macrì Uomini, economia e fiscalità in una Terra in Calabria Ultra. Bovalino nel Catasto Onciario 1742- 1745). … la pesante remora del feudalesimo incatena ancora l’intera comunità lasciandole appena lo spazio per respirare. È in questo frangente che l’illustre viaggiatore si inoltra nelle terre del Circondario di Gerace rimandandole a noi  230 anni dopo intatte perché possiamo farci un’idea del nascere ed ivi insediarsi un malessere ancora oggi difficile da negare.

venerdì 24 giugno 2022

Di padre in figlio [di Vittorio e Alessandro Gassman 1971]




Storia del fondo Sfalassi
(secondo don Luigi Gliozzi)
 
Per testamento di Gliozzi Arciprete Filippo venne lasciato a Gliozzi Francesco fu Domenico ed Arcuri Filippo. Per divisione fondiaria l’intiero fondo spettò a Gliozzi Francesco fu Domenico.
Per donazione fatta da Gliozzi Francesco fu Domenico ai figli Serafina, Luigi ed Ernesto atto (notaio) Febbo 21 – 4 – 1899. Per divisione atto Febbo 12 – 7 – 1904 l’intiero fondo spetta a Gliozzi Ernesto fu Francesco*. Per divisione 26 novembre 1933 atto “Petroli” Gliozzi Ernesto fu Francesco donava al nipote Gliozzi Francesco di Luigi l’intiero fondo Bianco 4 dicemmbre 1933 trascritto addì 2 dicembre … Ardore 21 maggio 1935riportato al n° del Catasto 4353 Sez C n. 624 – 325 – 626 £ 7 . 74
Per vendita notar Barillaro 4 giugno 1935 Gliozzi Francesco di Luigi vendeva a Gliozzi Luigi fu Francesco vendeva un apprezzamento di are sei limitato dallo stesso venditore tanto in presso della Strada Nazionale per £ 400 “aratoria”.
Registrato a …? Il 5 giugno 1939
Trasmesso a Reggio Cal. Il 6 giugno 1939 in apertura

*https://iloveplati.blogspot.com/2022/05/il-mio-domani-di-marina-spada-2011.html


in apertura i fedeli accolgono mons. Michele Arduino con Antonio Delfino, lo zio Ciccillo e l'arciprete Minniti


domenica 19 giugno 2022

L'istruttoria è chiusa: dimentichi [di Damiano Damiani 1971]

Don't you believe in medicine, Doctor?
Do you believe in justice, Judge?
René Claire, And Then There Were None (Ten Little Indians Went Out To Dine …), 1945


Solo io posso giudicarmi. Io so il mio passato, io so il motivo delle mie scelte, io so quello che ho dentro, io so quanto ho sofferto … io nessun altro. Oscar Wilde
Potranno tagliare tutti i fiori ma non fermeranno mai la primavera. Pablo Neruda
La cultura rende un popolo facile da guidare, ma difficile da trascinare. Facile da governare, ma impossibile a ridursi in schiavitù. Henry Brouham
Varie e molteplici sono le citazioni a cui ricorre Antonio Papalia (classe 1975), dalle Sacre Scritture a William Shakespeare ad André Gide, dentro il suo ultimo lavoro letterario e visivo: Stanze chiuse riflessioni dall’oscurità, 2000, BookSprint Edizioni*. I lettori platiesi, urbi et orbi, l’hanno ignorato preferendo i facili titoli da caffè. Un po' filosofo, un po' sognatore, fervente religioso. Dentro l’Istituzione che lo detiene, in solitudine e per necessità, corrisponde con il Cielo ed i terreni mortali da Sant’Agostino a Rutka Laskier, ad Alan Kurdi, spesso con il proprio figlio, il proprio padre. Tempo e spazio, infinito il primo, esiguo il secondo: la cella, "l'aria", la biblioteca. Dentro quest'ultima comincia la sua rinascita. “Iniziai a leggere qualche libro, o almeno tentavo,. Non capivo e non ricordavo nulla di quello, che leggevo, e allora cominciavo daccapo lo stesso libro, lo stesso capitolo, la stessa pagina, fino a quando non avevo compreso una piccola parte di quello che leggevo. Le prime volte era come se la testa dovesse scoppiarmi, ma poi, passo dopo passo quando chiudevo il libro e iniziavo a ricordare qualcosa, in qualche modo ero felice … Non mi importava cosa leggevo, anche perché non potevo avere chissà quale imbarazzo di scelta circa gli autori o le cose in genere… A arte il fatto che di autori non conoscevo alcuno, non avendo mai sino ad allora letto un libro”. A seguito dell’accanita lettura nasce l’esigenza dello studio, licenza di scuola media inferiore, diploma e studi universitari, questi ultimi non del tutto portati a termine. Da qui la consapevolezza di essere qualcuno, seppur vittima di un sistema che ignora i diritti umani. C’è da rilevare che il lavoro editoriale, su cui uno scrittore fa sempre affidamento, è a dir poco scadente essendo mancate da parte della casa editrice la revisione e una giusta presentazione, per non tacere sul lavarsi le mani in sede di responsabilità che non impegnano l’editore, lasciando all’autore le opinioni come nuove possibili sanzioni da Giudice Istruttore.


-*disponibile presso la tabaccheria di Gelsomino Barbaro a Platì.

giovedì 16 giugno 2022

Scarpe grosse [di Dino Falconi 1940]



ANTICHI COSTUMI CALABRESI
La calandreia

Platì, 31 maggio
«Undi staci “u calandreiotu?» Così mi abbordò un contadino di Natile, chiedendomi dove abitasse il venditore delle «calandreie».
La calandreia (non aggrottino le ciglia i lettori per la stranezza del termine), è, anzi era, il tipico calzare calabrese; dico «era», perché adesso e quasi del tutto caduta in disuso.
Esiste solo una esigua percentuale di fedelissimi alla foggia del secolo scorso, che la calza con disinvoltura tuttora; per essere sinceri si tratta di una fedeltà dovuta a ragioni di economia e di praticità. Infatti la calandreia si adatta benissimo alla vita dei campi per la sua resistenza e per la sua forma; dura generalmente per due o tre anni e molti che la calzano abitualmente nelle loro mansioni di coltivatori o di pastori, nei momenti di riposo, cioè durante gli «otia litteraria» della domenica, calzano scarpe normali come gli altri.
Derivata probabilmente dalle «Caligae» romane la calandreia nacque col pittoresco costume dei «massari» e si estese in un tempo successivo all’uso generale; molti dicono, invece che la calandreia era il calzare comune a tutti i costumi calabresi, e col tempo fu usata anche indipendentemente dal costume stesso.
E un’ipotesi probabile anche questa; comunque bisogna ricordare che sono esistiti vari tipi di calandreia, secondo la dignità della persona che la calzasse.
Quella del «massaro» ad esempio era costituita da un largo pezzo di cuoio, piegato ai lati e con una terminazione a punta all'estremità anteriore del piede, dove le falde del cuoio erano tenute insieme da un pezzo di filo di ferro; alcune stringhe lunghissime di pelle la tenevano aderente al piede che era fasciato da pezze di orbace o di lana grezza, attorcigliandosi lungo il polpaccio.
Tutti gli altri tipi di calandreia, sebbene abbiano conservato la stessa forma, differiscono dalla calandreia del «massaro» perché costruite in materia meno nobile del cuoio, per esempio in gomma ricavata da vecchi copertoni di ruote di automobili.
L’idea fu lanciata non molto tempo fa, subito dopo l’ultima guerra, quando la necessità costrinse ad utilizzare i residuati bellici; ma l’esperimento riuscì benissimo, perché le calandreie di gomma, si dimostrarono migliori e meno costose di quelle di cuoio, e soppiantarono del tutto queste ultime.
Un particolare curioso della calandreia è questo: che copre solo la parte anteriore del piede lasciando scoperto tutto il calcagno. Ma ad un osservatore attento non sfuggirà la grande importanza tecnica che questo particolare riveste. Per camminare agevolmente nei campi, infatti, e per correre appresso alle vacche per pendii scoscesi, occorre camminare in punta di piedi, facendo come se il calcagno non esistesse addirittura; se tutta la pianta del piede si appoggiasse sulle irregolarità del terreno, specialmente quando si corre, il corpo si strapazzerebbe moltissimo e il piede andrebbe incontro a molti incidenti.
«Undi staci “u calandreiotu?» “U calandreiotu” è uno dei pochissimi venditori di calandreie che esistono in Calabria: compra gomme di automobile vecchie e le rivende a spezzoni a quelli che ne hanno bisogno; è mio amico, e accompagnai io stesso da lui il cliente.
Dopo che questi ebbe scelto e comperato il pezzo di gomma che gli sembrò più conveniente chiesi al «calandreiotu» come se la passasse a vendere quella roba.
I tempi sono duri, mi rispose, ora tutti comprano scarpe; e mi indicò in un angolo un enorme deposito di ruote di automobili che aveva comprato dall'anno scorso e che ancora non era riuscito a vendere.
E aggiunse sospirando e guardando con dispetto un contadino che passava elegantissimo a cavallo di un muletto: Il progresso mi ha fregato!
Michele Fera
GAZZETTA DEL SUD - 1 Giugno 1955

L'immagine in apertura è di zio Peppino, u mutu i barva.



giovedì 9 giugno 2022

Il dono di Dio [di Gaston Kaboré, 1982]





UN FIORE


ASSUNZIONE AL SACERDOZIO
DEL
Signor Francesco Mittiga

 
Scientia in flat
Charitas vero aedificat
Apostolo Paolo ai Corinti
 
 Sacerdote novello,
assunto a l’ara del Signor. Te chiama
al tempio la santa
madre, che se non ami, sempre t’ama.
 
 Oggi, solenne istante,
È momento di vita esultatrice
Per Te, giovane amico:
Salve! Di Dio Ministro: a Te felice
 
 Del Vas d’elezione
Sia l’improba carriera, militante:
grazie, sempre doni
il Signor ti conceda ognor costante.
 
 Sorridano del cielo
Ai giorni tuoi le stelle, il tuo cammino
Di fiori sia interciuto
E miri di Gesù sempre al divino
 
 Labaro, che del tempo
La patina disprezza, e dei delubri,
La cupola illustrando,
I nemici di Dio sfida, colubri.
 
 Tu da la polve ai sacri
Altari ormai avviato da la mano
Vescovile di Locri
E dal padre, che a sé non tolse invano
 
 Il pane, ahi! poveretto,
Per la scola che a Te de’ chiostri sana
Cultura benedetta
Dette a la tutelare ombra di arcana
 
 Celeste, educatrice
Virtù del gran seguace d’Aquinate,
Mangeruva* profondo,
De’ due mondi al Leone degno frate,
 
 Tu, che al mio cor sei caro,
accetta, se non altro, di mia lira
malferma, ma sincera,
l’inno, che vola a Te, e a Te sospira! …
 
 Oggi sul viso brilla
del padre tuo la gioia che pur senti:
Padre che i nostri cari
Padri, a l’are devoti, tra le genti
 
 Seppe imitar, creando
Te sacerdote, a mezzo del salire
E scender le scale
Altrui, col core infranto dal soffrire …
 
 Or ti rallegra, amico:
altare, croce e calice, che insegna
son di Cristo nel mondo,
t’attendono, di Cristo anima degna.
 
 Però, sui pulvinari
Non poserai tranquillo senza il grido
De la colpa, il tuo core.
Se questo non sarà sempre a Dio fido.
 
 Sempre innocente, scevro
D’ipocrisia, come oggi puro ascende
L’altare che t’invita
A l’ostia. Che d’amore il cor t’accende.
 
 Di stelle circondata,
Col viso irradiante più del sole,
Di là de l’universo
Oggi la mano a te, senza parole,
 
 Porge sposa divina:
La tua pur stendi: affrettati: di cielo
Oggi son le tue nozze,
Coronate, di rose d’Evangelo.
 
Sebbene pur mortale
Tu sia, uffiziando, a Te davanti
Il popolo non vedi
Che si prostra? Non vedi che de’ Santi
 
 Il compito t’eleva?
Di te chi mai più nobile è su questa
Aiuola, sempre in diro?
Iddio non senti in seno in tanta festa?
 
 Chi più di Dio t’innalza?
Chi più di Dio su l’orme della Fede
A camminar t’inspira?
A convertir la gente che non crede?
 
 Guarda: darwiniana
Turba contro di Dio grida e ride
Di quelle nozze sacre:
stolta, che i sacerdoti invano irride! …
 
 di Dio col nome sprezza
questa turba, che uccise la morale,
la libertà di Cristo,
che di Roma, del mondo capitale
 
 Cattolica, le zolle
Fin profanò, le ceneri insultando,
L’urna di Pio adorata,
Onorevoli ladri pur creando …
 
 Sprezza l’alato Dio:
Il popolo rispetta: ma da questo
Mostro, che fa che l’uomo
Ora un Dio, ora fango, lungi il resto …
 
 Core astigiano e sensi
Generosi coi tuoi nemici adopra;
non cedere la schiena
a chi da l’alto in basso guarda ed opra.
 
 Il Signore ti guardi:
Come quest’ore, che oggi Ei benedice,
Passi il tempo, che vola,
E scorra sempre a Te, sempre felice.
 
   Platì, 7 Aprile 1895

 

Dottor Papalia Vincenzo


Don Francesco Mittiga era nato a Platì il 22 giugno 1872 da Nicola, sarto e da Mariantonia Gliozzi tessitrice. A detta della zia Amalia don Francesco abitava nella via Fratelli Sergi. Nella foto l’abitazione sopra la la scalinata.

*Mons. Francesco Mangeruva era nato a Sinopoli il 9 gennaio 1823. Fu ordinato sacerdote il 20 settembre 1845 e salì sulla cattedra di Gerace il 9 maggio 1872 che conservò fino alla sua morte avvenuta l’11 maggio 1905.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

venerdì 3 giugno 2022

Resurrezione - reup dieci anni dopo


Se lo zio Ciccillo mi ha impresso l’amore per la musica quello per i libri lo devo a papà Ciccillo, tutt’e due quest’anno ne avrebbero avuti 114 di anni. Queste passioni sono rimaste sopite e superate per una passione che definirei vitale: quella per il cinema che devo allo zio Peppino , u mutu i barva e a Mimmo Addabbo. Musica e lettura resurrexit per merito di due incontri che feci negli anni che si susseguirono alla maturità scolastica. A parte libri e libricini di preghiere della mamma, l’unico libro che ricordo in casa, a Platì, è Resurrezione di Lev Tolstoi – mi piace scriverlo così, né alla russa con la J che sembra un’appendice felina, né all’americana con la Y yankee -.

E’ sulla scrivania di papà, nel retrobottega, che, poi, era ancora una parte della bottega: di fronte, dove stava seduto papà, la scaffalatura conteneva le scarpe in vendita, alle spalle c'era di tutto, dai chiodi di tutte le dimensioni alle cartucce, piombo & polvere da sparo per i cacciatori.

Papà, è stato, nei tempi prima dell’entrata in casa della televisione, il lettore della famiglia -  è stato anche un ascoltatore della radio (alla sinistra della scrivania), la sua passione erano le opere liriche -; molto spesso, dopo cena, leggeva per gli adulti di casa, dapprima per il nonno, la nonna e le sorelle ancora signorine, e dopo sposato si aggiunse la mamma, ma già mancava qualche sorella andata sposa di mariti venuti da fuori. Poco prima di venir meno la zia Amalia mi ha detto che papà leggeva di tutto, eppure non superò mai la terza elementare. Qui a Messina preferiva gli editoriali del direttore della Gazzetta del Sud, il quale col suo anticomunismo alla messinese infusogli dal suo padrone/padrino/allevatore, Bonino, il re della molitura, lo faceva arrabbiare e gridare, indirizzandogli, “bestia”!

Quel titolo, Resurrezione, non l’ho scordato mai: nella copertina del libro era scritto di colore rosso, in corsivo, di traverso, da sinistra verso destra, dal basso verso l’alto, con sopra un volto dolorante d’uomo - un Cristo? -.

 

Ho aspettato anni prima di cominciare a leggere Tolstoi, e l’ho letto tutto. Devo dire che ho cominciato al momento giusto con Anna KarerinaGuerra e Pace è il libro da leggere e rileggere: del resto Cormac Mc Carthy, come ai suoi tempi Dostoevki, lo definiscono il più grande mai scritto, superiore alla Bibbia e. fidatevi, è così! Mio malgrado, quello che preferisco è I Cosacchi, una cosetta rispetto all’altro, ma per dirla con Marcel Proust: “sono le opere da niente che ci fanno addentrare nei gradi capolavori di uno scrittore”.




 

domenica 29 maggio 2022

Le pillole del farmacista [di Franz Antel, 1972]


 Il libretto da cui l'immagine era custodita da Ernesto Gliozzi il vecchio