ANTICHI COSTUMI CALABRESI
La
calandreia
Platì,
31 maggio
«Undi
staci “u calandreiotu?» Così mi abbordò un contadino di Natile, chiedendomi
dove abitasse il venditore delle «calandreie».
La calandreia (non aggrottino le ciglia i
lettori per la stranezza del termine), è, anzi era, il tipico calzare
calabrese; dico «era», perché adesso e quasi del tutto caduta in disuso.
Esiste
solo una esigua percentuale di fedelissimi alla foggia del secolo scorso, che
la calza con disinvoltura tuttora; per essere sinceri si tratta di una fedeltà
dovuta a ragioni di economia e di praticità. Infatti la calandreia si adatta benissimo
alla vita dei campi per la sua resistenza e per la sua forma; dura generalmente
per due o tre anni e molti che la calzano abitualmente nelle loro mansioni di
coltivatori o di pastori, nei momenti di riposo, cioè durante gli «otia
litteraria» della domenica, calzano scarpe normali come gli altri.
Derivata
probabilmente dalle «Caligae» romane la calandreia nacque col pittoresco costume
dei «massari» e si estese in un tempo successivo all’uso generale; molti
dicono, invece che la calandreia era il calzare comune a tutti i costumi
calabresi, e col tempo fu usata anche indipendentemente dal costume stesso.
E un’ipotesi
probabile anche questa; comunque bisogna ricordare che sono esistiti vari tipi
di calandreia, secondo la dignità della persona che la calzasse.
Quella
del «massaro» ad esempio era costituita da un largo pezzo di cuoio, piegato ai
lati e con una terminazione a punta all'estremità anteriore del piede, dove le
falde del cuoio erano tenute insieme da un pezzo di filo di ferro; alcune stringhe
lunghissime di pelle la tenevano aderente al piede che era fasciato da pezze
di orbace o di lana grezza, attorcigliandosi lungo il polpaccio.
Tutti
gli altri tipi di calandreia, sebbene abbiano conservato la stessa forma, differiscono
dalla calandreia del «massaro» perché costruite in materia meno nobile del
cuoio, per esempio in gomma ricavata da vecchi copertoni di ruote di automobili.
L’idea
fu lanciata non molto tempo fa, subito dopo l’ultima guerra, quando la
necessità costrinse ad utilizzare i residuati bellici; ma l’esperimento riuscì benissimo,
perché le calandreie di gomma, si dimostrarono migliori e meno costose di
quelle di cuoio, e soppiantarono del tutto queste ultime.
Un particolare
curioso della calandreia è questo: che copre solo la parte anteriore del piede
lasciando scoperto tutto il calcagno. Ma ad un osservatore attento non sfuggirà
la grande importanza tecnica che questo particolare riveste. Per camminare
agevolmente nei campi, infatti, e per correre appresso alle
vacche per pendii scoscesi, occorre camminare in punta di piedi, facendo come
se il calcagno non esistesse addirittura; se tutta la pianta del piede si appoggiasse
sulle irregolarità del terreno, specialmente quando si corre, il corpo si
strapazzerebbe moltissimo e il piede andrebbe incontro a molti incidenti.
«Undi
staci “u calandreiotu?» “U calandreiotu” è uno dei pochissimi venditori di
calandreie che esistono in Calabria: compra gomme di automobile vecchie e le
rivende a spezzoni a quelli che ne hanno bisogno; è mio amico, e accompagnai io
stesso da lui il cliente.
Dopo
che questi ebbe scelto e comperato il pezzo di gomma che gli sembrò più conveniente
chiesi al «calandreiotu» come se la passasse a vendere quella roba.
I
tempi sono duri, mi rispose, ora tutti comprano scarpe; e mi indicò in un angolo
un enorme deposito di ruote di automobili che aveva comprato dall'anno scorso e
che ancora non era riuscito a vendere.
E
aggiunse sospirando e guardando con dispetto un contadino che passava elegantissimo
a cavallo di un muletto: Il progresso mi ha fregato!
Michele
Fera
GAZZETTA
DEL SUD - 1 Giugno 1955
L'immagine in apertura è di zio Peppino, u mutu i barva.
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