Powered By Blogger

venerdì 29 gennaio 2021

È permesso maresciallo? - arriva fra cercone





Tre frate cercone: i primi due, originali, con la patacca argentata del convento di Polsi, il terzo, non ha bisogno di presentazioni.

Le prime due foto sono contenute nella rivista POPSIS del 1912

giovedì 28 gennaio 2021

È permesso maresciallo? [di Carlo Ludovico Bragaglia -1958]

LE AVVENTURE DI MASSARU PEPPI
raccontate da suo figlio Antonio

Giuseppe Delfino era nato a Bova il 26 marzo 1888 in una casa colonica di contrada Guardiola di proprietà del barone Nesci.
A vent’anni, per un furto di bestiame subito si arruola nei carabinieri. Non ha il tempo d’indossare la divisa che è già all’opera, nell’operazione di soccorso a favore della popolazione per il terremoto di Messina. Riceve la prima medaglia d’argento. Per venticinque anni (sino al 1933) è presente nei punti più nevralgici della Calabria per combattere la criminalità organizzata e bande di disertori, con missioni delicatissime in altre regioni.
Rifugge spesso dalla divisa. Si travisa da frate cercone alle dipendenze di don Ciccio Pangallo, priore del Santuario di Polsi che gli fornisce una mula ed un saio con la patacca argentata del convento, da massaro (da qui il nome di Massaro Peppe), da carrettiere, da mastro di ballo, sensale ed accattone. Per scoprire un’organizzazione mafiosa diventa latitante ed infiltrate nella cosca. Fa il «pentito» e smaschera tutta l'organizzazione. L'avvocato dei mafiosi chiede l’incriminazione in corte d’assise per aver partecipato effettivamente ad un furto. Aveva fatto da palo.
Massaro Peppe è entrato nella leggenda ed a cento anni dalla sua nascita, il figlio Antonio, giornalista ed autore del libro «Gente di Calabria» rievoca i fatti più significativi e clamorosi partendo con le «testimonianze letterarie» di Corrado Alvaro, Mario La Cava e Saverio Strati.
Testo apparso su Calabria Sconosciuta

NOTE
frate cercone era un frate cappuccino, molto spesso laico, questuante, che umilmente si presentava con l’esclamazione "pace e bene" di paese in paese, da porta a porta, per chiedere l’elemosina. Era una figura che spesso appariva in paese. La zia Amalia e lo zio Ernesto lo ricordavano ancora quando si parlava della Polsi che non c'è più.

Francesco Pangallo, Platì 1876 – 1939, già vice superiore di Mons. Giosofatto Mittiga, resse il Santuario di Polsi dal 1927 all’anno della sua morte.

Giuseppe Delfino - nella foto a Polsi con il precedente - morì a Platì il 14 agosto del 1954.

 

 

mercoledì 27 gennaio 2021

Orizzonti senza fine [di Jean Dréville -1952]


QUELLE CLASSI A RISCHIO «FORMATIVO»

Chi come me vive ed opera nel contesto di Platì da ormai quindici anni sa bene quanto la scuola possa contribuire a creare le condizioni per orizzonti nuovi, diversi, ed affrancare le giovani generazioni da condizioni di vita non certamente adeguate alle loro aspettative.
Da più parti si sostiene che la qualificazione degli interventi formativi sul territorio necessitava di risorse umane aggiuntive oltre che finanziarie, per avvicinare le famiglie ad una scuola «diversa», dove l’impegno di tutti gli operatori scolastici che vi operano è straordinario ed encomiabile.
E anche una scuola che a livello amministrativo tutti ci invidiano per efficienza e la trasparenza nella gestione.
Qualcosa, in verità, incomincia a muoversi. Le famiglie si interessano maggiormente ai problemi scolastici, la scuola è vista come seria palestra di vita.
Il rapporto scuola-famiglia, rigenerato su basi nuove, ha invogliato ancora di più gli insegnanti, pur nelle difficoltà operative che innegabilmente esistono: non pochi bambini, passati attraverso la scuola materna ed elementare, non appaiono, spesso, del tutto scolarizzati.
Forse la continuità educativa che in passato è sempre mancata tra i vari ordini di scuola, canne di organo e non vasi comunicanti, ha fatto sì che venissero meno importanti momenti di scambio tra gli operatori ed hanno reso gli interventi più occasionali, meno mirati su progetti «individualizzanti» per gli alunni in difficolta.
Ma è questo il problema che si sta cercando di superare.
L'intervento del Provveditore agli Studi di Reggio Calabria appare nuovo e diverso rispetto al passato recente e non. Sono state assegnate alla scuola risorse aggiuntive ed ha consentito una maggiore flessibilità nell’orario per il forte numero di alunni che provengono dalle frazioni del Comune.
A questo va aggiunto lo sforzo progettuale della Regione Calabria con il finanziamento di progetti didattici finalizzati ad un «nuovo sistema formativo integrate» che consenta, nell’ottica pedagogica di «Educazione allo sviluppo» il coinvolgimento di tutte le forze impegnate sul territorio.
Dall’anno prossimo funzioneranno tre prime a tempo prolungato che dovrebbe estendere nel giro di qualche anno tale esperienza didattica alla totalità dell’utenza scolastica della Scuola Media di Platì.
Saranno comprati agli allievi delle prime, con i fondi regionali, i libri di testo e si potranno utilizzare nuovi sussidi didattici per far partire «laboratori didattici», pur nella scarsissima disponibilità di locali idonei.
Di certo, gli operatori scolastici di Platì, consapevoli di lavorare in scuole a «rischio formativo» chiedono con forza l’estensione di adeguati benefici economici e giuridici come per chi opera nelle piccole isole e nelle zone di confine (raddoppio del punteggio).
E una richiesta giusta che può essere accolta vincolando il personale in sede per un minimo di tre anni.
Tutta la comunità scolastica e in fermento positivo, si hanno risorse tali che è possibile tramutare tante idee nuove in azioni educative incisive e feconde.
Perché in fondo — diceva un filosofo inglese — «un’idea che non si tramuta in azione e sempre una cattiva idea».
La forza creativa dei ragazzi, la loro intelligenza, unita al dinamismo di chi nella scuola opera con abnegazione, è un segnale semplice, ma di sicuro leale, realistico e sincero.
E un segnale forte a cui vanno date risposte ben precise!
Emilia Paglia
Preside Scuola Media Statale «Perri» Platì (RC)
Testo e foto: Calabria – Anno XX – Nuova Serie - N. 83 - giugno 1992

 

 

martedì 26 gennaio 2021

Proposta conveniente [di Alberto De Martino -1962]




Platì, 11 luglio 46
Rev.mo Cancelliere
Di passaggio a Casignana,
ho trovato la Vs. lettera con la proposta per me di una delle Parrocchie libere in diocesi. Rispondo io stesso, e Vi faccio sapere che prendo in considerazione tale proposta, ma vorrei pochi giorni di tempo, giacché si tratta, per riflettervi meglio, di cosa di non lieve importanza. Anzi data la possibilità d’incontrarci a Polsi il 21 c. m. lì potremo parlarne meglio.
Fin d’ora vi posso precisare che la mia preferenza sarebbe per S. Giovanni Samio, paese vicino a mio zio, che ha bisogno di tanto in tanto del mio aiuto. Di tutto questo avevo pregato di darvi comunicazione orale il Rev. Can. Elia.
Distinti ossequi


Nota. Missiva di Ernesto Gliozzi il giovane al Cancelliere diocesano Mons. Oppedisano, già ricordato da poco. Nella foto un momento della vita pastorale samese dello stesso Ernesto Gliozzi il giovane.


 

lunedì 25 gennaio 2021

La questura, il questore e la questua [di Sergio Grieco -1951]


R. Questura di Reggio Calabria
Carta di riconoscimento che si rilascia al Signor Fera Antonio fu Michele e Jeraci Concetta, nato a Platì il 18 marzo 1909, ivi domiciliato, munito di carta d’identità, incaricato di effettuare la questua in detto Comune a beneficio della Chiesa di S. Rocco, giusta licenza rilasciata in data odierna all’Arciprete Pipicchi Antonio.
Reggio Cal. 17 settembre 1930 VIII
                                                                               Il Questore


Nota. Per Chiesa di S. Rocco è da intendere il Duomo di Platì intitolato alla Vergine del Loreto come per Arciprete Pipicchi Antonio è da intendere Mons. Antonio Pipicelli già "comparso" qui:
https://iloveplati.blogspot.com/2016/05/e-venne-un-uomo-re-ermanno-olmi-1965.html
Antonio Fera era fratello del più famoso Colonnello Mimì.



 

giovedì 21 gennaio 2021

Fotografo cercasi [di Gero Zambuto -1935]



 
Al Molto Rev.do
Mons. Oppedisano
Cancelliere p.
Vescovile
(R. C.) Gerace Su

Caro Oppedisano

Eccoti le notizie richieste dal bollettino: XX  [Gliozzi Ernesto] fu Francesco e della fu Rosa Fera nato a Platì il 2 Gennaio 1883 e domiciliato qui. Il ritratto non posso mandartelo, perché mai mi sono fotografato. Se è indispensabile davvero dovrò andare in qualche paese dove ci sia un fotografo … Fammi mandare la pagellina per gli ammalati di domenica.
Ossequi. Sempre
T… 
Arcipr: EGliozzi 
Casignana 16/5/34



Nota. Ancora una volta ricordo che  Mons. Antonio Oppedisano (1866-1964), Canonico Protonotario nonché Cantore, è l'autore del volume  Cronistoria della Diocesi di Gerace edito nel 1934, in queste pagine spesso citato.

I documenti riportati, e gentilmente concessi, sono custoditi presso:
Archivio Storico Diocesano “Mons. Vincenzo Nadile”
Diocesi di Locri – Gerace
ASDLG

La foto (il riflesso è dovuto alla ceramica su cui è stampata) di Mons. Oppedisano è si trova nel cimitero di Gerace (RC).

martedì 19 gennaio 2021

ROCAMBOLE [di Giuseppe Zaccaria -1919]


 

Nel giorno 18 Settembre 1898, cessava di vivere in Platì, il Cav. Uff. Oliva Francesco fu Arcangelo, il quale con testamento pubblico del 13 Giugno 1898, reg.to a Gerace il 19 Settembre detto anno, istituiva eredi universali della sua vistosa proprietà, i figli maschi nascituri, del proprio nipote Oliva Filippo fu Filippo.
A costui legava poi l'usufrutto di tutti i suoi beni, con dispensa dall'obbligo di fare cauzione e di fare l'inventario.
Giova notare che il giovane Filippo Oliva, era sempre vissuto a Napoli presso la propria madre Signora Contessa Luisa Ricciardi del Conte Giuseppe, la quale, se aveva a lui impartita quella educazione che a ben nato si conviene, lo avea però tenuto sempre lontano da ogni trattazione di affari. Ed è cosi, che inesperto ed inadatto ad ogni amministrazione, il giovane Oliva, si vide ad un tratto alla testa di un vistoso patrimonio del quale sconosceva l'entità ed il modo onde bene sfruttarlo ed amministrarlo.
E, per colmo, egli, non avvezzo al luridume di una camorra nauseosa, facilmente fu adescato dalle lusinghe di certi avidi vampiri, che in breve tempo riuscirono a dilapidare quello che dovea essere inesauribile patrimonio.
E sorsero così ingenti crediti contro il defunto; in gran parte estinti col patrimonio particolare del Sig. Oliva, ed in parte poi vennero acclarati mercé sentenze estorte ai giudici con arti subdole e con raggiri di ogni sorta.
Oggi codesti crediti sono coverti dalla immunità della cosa giudicata.
Ma un giorno Oliva Filippo incominciava ad accorgersi in quali tranelli era stato tratto. Dimostra una certa diffidenza; vuole vedere meglio nelle sue cose. Ma non per questo si perde di animo la cricca dei Rocambole, ed ecco che una più splendida trovata scaturisce dalla fervida fantasia di questi egregi compari.
Si fa intravvedere a Filippo Oliva la possibilità di appianare tutte le sue pendenze mercé un matrimonio, che, se non confaciente allo stato sociale di Filippo Oliva, dal lato della nascita, certo confaciente dal lato dell`interesse.
E se ne intavolano le trattative e si giunge perfino alla stipulazione dei capitoli nuziali, che contengono la dichiarazione debitoria del povero Oliva, l’alienazione a favore del padre o della promessa sposa di oltre trecentomila lire di proprietà. E l’intento e raggiunto.
Cosi legato mani e piedi, viene umiliato poi da una indecorosa ripulsa. Ed è in quel torno di tempo che si foggia, si crea il credito Zappia; che se ne forma una sentenza; che si giunge persino alla subastazione di varii stabili, in gran parte aggiudicati al dottore ed in parte dallo zio Rosario Zappia. È noto ormai, nonché nel Circondario, nell’intera provincia, come e con quali mezzi, un intero casato Zappia. sia riuscito ad arricchirsi alle spalle del povero Oliva. Finalmente, quando tutto quello che vi era da spolpare fu de questi avvoltoi spolpato, quando la speranza di potere ulteriormente depauperare l’Oliva, svanì dall'animo di costoro, si fece ricorso ad ogni sorta di giudizii già in precedenza preordinati e preparati, e si pensò a mettere sul lastrico il povero ed inesperto Filippo.
Questi i fatti oramai noti, tanto che nelle aule serene della giustizia, in ogni tempo venne l’Oliva ritenuto come inadatto ad amministrare le proprie sostanze. (...)
Gerace 24 Marzo 1906

Nota. ROCAMBOLE è un personaggio creato da Pierre Alexis Ponson du Terrail, passato da quei romanzi d'appendice in eroe di alcune produzioni cinematografiche italiane e francesi. Doveva essere un accanito lettore di feuilleton l'avvocato Alberto Mercurio, perché a quel genere letterario si ispira per scrivere le sue arringhe pronunciate in vari processi penali in difesa della nobile e decadente famiglia Oliva, e quasi sempre contro uno Zappia. Ma quello che cercava il Mercurio era il proprio tornaconto non meno attraente di quello degli Zappia in gara per fare la festa alla famiglia Oliva.

lunedì 18 gennaio 2021

Wedding Party - Leggi Civili e Sacro Concilio di Trento

15.01.1824 = Pascale Giuseppe (da Benestare) - Morabito mf Teresa

Il giorno del matrimonio Giuseppe Pascale, di anni ventiquattro, si presentava davanti al sindaco Domenico Oliva col solo consenso della madre Elisabetta Blefari essendo Antonio, il padre, defunto. Da parte sua Teresa Murabito, diciannovenne, aveva solo il consenso del padre Domenico perché la madre, Francesca Perri era deceduta. La famiglia Murabito aveva casa nella strada S. Nicola. Le promesse di matrimonio erano state affisse nelle case comunali di Platì, domenica nove novembre 1823, e Benestare il sette novembre dello stesso anno. Davanti all’Uffiziale dello Stato Civile erano presenti i Signori o Don: Fortunato Furore di anni quaranta, Giuseppe Oliva di anni trenta, Francesco Mittiga di anni trenta; e il sacerdote Giosofatto Furore di anni cinquanta. I signori Furore abitavano nella Strada Vallone mentre l’Oliva nella strada S. Nicola e il Mittiga in Vico la Chiesa. Davanti all’altare erano testimoni Filippo Caruso e Francesco Trimboli.

 15.01.1824 = Sergi Bruno - Taliano Elisabetta di Giuseppe

Bruno Sergi era un bovaro, orfano dei genitori; di anni quarantatre abitava nella strada S. Pasquale. Elisabetta Taliano di Giuseppe e Francesca Marrapodi di anni ne aveva ventidue – era nata il 15 maggio del 1802. Anche il padre della sposa era di professione bovaro. A firmare in chiesa furono Giuseppe e Pasquale Catanzariti, mentre al Comune furono i civili Don Giuseppe Gliozzi e Don Francesco Zappia, ambedue quarantenni; il cinquantenne massaro Francesco Catanzariti e il trentenne vaticale Filippo Tripepi.

 21.02.1824 = Carbone Agostino di Francesco - Violi Giuseppa di Giovanni

Agostino faceva il porcaro, aveva venticinque anni ed abitava con i genitori – Francesco, pecoraio, e Francesca Cutrì – in vico S. Pasquale. Giuseppa Violi, di anni diciannove, era figlia di Giovanni, setaiolo, e Pasqualina Cua. I Violi abitavano nella strada Vallone. Con Michele Oliva come Uffiziale dello Stato Civile firmarono anche: Pasquale Perri porcaro di anni trenta, il citato vaticale Filippo Tripepi, il bovaro Giovanni Irato, anch’egli trentenne, e Don Filippo Antico, usciere di anni quaranta, di Ardore.

Le firme in chiesa sono quelle di Antonio Zappia e Domenico Morabito

 01.03.1824 = Alliva Giuseppe di Domenico - Cutrì Anna di Nunzio

Giuseppe Alliva, classe 1798, quel giorno davanti al Sindaco e Uffiziale dello Stato Civile Domenico Oliva di anni ne aveva ventisei ed era figlio di Domenico e di Domenica Italiano. Gli Alliva erano pecorari di professione ed abitavano in Vico Pietra di Angela. Anna Cutri era orfana di Nunzio e Francesca Carbone, di anni ventidue abitava nella Strada Chesiola. In chiesa i testimoni erano Don Francesco Gliozzi e Pasquale Zappia. Al comune, dopo la lettura dei dritti ed obblighi degli sposi secondo le leggi Civili e la promessa di celebrare il Matrimonio innanzi alla Chiesa secondo le prescritte forme del sacro Concilio di Trento, erano il solito Filippo Tripepi, i massari di bovi di anni cinquanta Paolo e Francesco Iermanò, Pasquale Perri di anni trenta pecoraro, anche lui già incontrato.

 

domenica 17 gennaio 2021

Il genio [di Stephen Herek -1998]


CREDENZE POPOLARI CALABRESI
L’ANTICA LEGGENDA
 della città di Teranico
Questo centro è esistito circa otto secoli fa – 
Nacque in una maniera molto strana, in una notte di bufera


Platì, 5 marzo
Se vi capita di stare ad ascoltare qualche cantastorie dell’Aspromonte, lo udrete narrare, senza alcun dubbio, la leggenda delta città di Teranico. E’ una leggenda che contrariamente a quel che si crede non è del tutto inventata dalla fantasia popolare; i ruderi di Teranico, infatti, esistono tuttora, e per di più, tra di essi si aggira qualche strano abitatore dal profilo asinino. Per lo memo, molti nascono così.
Fu precisamente la sera del 10 luglio 1032, che da una modesta altura, sulle rive del Tirreno, precipitò, con inaudito fracasso, una frana. Centinaia di massi precipitarono verso il mare, spaccandosi e cincischiandosi nella discesa. Per un raggio di qualche chilometro, la riva, del mare si coperse di rocce, taglienti come lame di coltello. Nascosto da una folata di vento e di pioggia passò su quelle lame il Genio “Ciavurrino”; e poiché, come si sa, a quell’epoca i geni andavano scalzi, le aguzze pietre fecero il loro dovere e lacerarono i piedi al poveraccio. Ciavurrino urlò nella notte tutto il suo strazio, e corse di qua e di là come impazzito, insanguinando la spiaggia. Al mattino prese una decisione straordinaria: stabilì di chiedere l’aiuto di qualche uomo, per alleviare il dolore delle sue piaghe.
Per poter attuare la sua decisione, si trasformò in uomo e andò difilato a bussare alla porta di una casupola che sorgeva nei pressi.
Gli apri un uomo vecchio e cencioso, con un profilo asinino: aveva il lungo muso prensile, che gli serviva per afferrare il cibo senza muoversi dal letto dove passava la maggior parte dei suoi giorni.
Fu gentilissimo con Ciavurrino, e gli regalò, dopo averlo medicato a dovere, un paio di ottime scarpe. Al Genio l’idea delle scarpe andò proprio a ... genio, e gli suggerì il modo di dimostrare tutta la sua riconoscenza. Prima di sparire, Ciavurrino regalò all’uomo un lussuoso cappello di feltro: “Tu”, disse il genio, “mi hai protetto Ie estremità inferiori, io ti proteggo la estremità superiore”.
Quando l'uomo dal muso prensile ebbe il feltro sulla testa, si sentì essere un altro, e decise di cambiar vita. Camminò con sussiego per il mondo, sempre tenendo in capo il cappello del Genio, lo utilizzò per raccogliere i soldi che la gente gli offriva rispettosamente, credendolo un fenomeno da baraccone, e raccolto un bel gruzzolo, tornò alla sua casupola e vi fondò un villaggio.
A questo villaggio voleva in un primo momento dare il nome del Genio e chiamarlo “Urbe Ciavurrina”; ma in un secondo tempo si ricordò di feltro e di essere, dunque, be più importante del Genio, cosi diede al villaggio il suo nome: “Urbe di Taranico”.
Gli abitatori di Taranico ebbero tutti il suo stesso profilo asinino, e il lungo muso prensile. Ma, in compenso, ebbero tutti il cappello di feltro in testa.
Le rocce su cui il Genio si era fagliati i piedi, restarono, naturalmente, al loro posto e il fondatore di Teranico pensò bene di utilizzarle, denominandole scogliere di “Teranico”. I turisti, a suo tempo, arrivarono a frotte sulla suddetta scogliera e vi si tagliarono i piedi. Da ciò trassero enorme vantaggio due negozi di scarpe e di bende che erano sorta nel piccolo centro. Ma il fondatore capiva che se non si eliminava l’inconveniente delle pietre taglienti, il turismo chissà dove andava a finire: e meditò tutta la notte per risolvere il problema.
I casi erano due: o arrotondare le pietre con delle buone lime e renderle inoffensive. O rinunciare al turismo e ai connessi vantaggi economici. Il fondatore optò per la prima soluzione; e due giorni dopo, le pietre della scogliera di Tranico esponevano al sole le loro rotondità.
Qui accadde l’imprevisto. Avevamo detto che i Geni di allora non conoscevano scarpe; e Ciavurrino, che le aveva conosciute per caso, volle farsi bello con i colleghi e giocare loro uno scherzo: li chiamò nei pressi della scogliera che in quella lontana notte di tempesta gli aveva tagliuzzato i piedi, passò sopra le pietre, con le scarpe infilate ai piedi, e li invitò a fare altrettanto. Pregustava la gioia di vederli urlare dal dolore e contorcersi sulla sabbia insanguinata. Figuratevi come rimase quando vide che i colleghi, sia pure senza scarpe, passavano sulle pietre senza avvertire nessun malessere!
Credette cli essere stato truffato, e per la gran rabbia afferrò tutto intero il villaggio, e lo capovolse; poi, coscienziosamente, capovolse pure il cervello di ogni abitante, mettendoglielo nei piedi; e questo fece al fine di impedire che il suo cappello di feltro riparasse il cervello a tutta quella gentaglia.
Da quel giorno, con quel capovolgimento, tutto avvenne alla rovescia, dentro la città di Teranico: l’erba crebbe sui tetti delle case, i pecorai andarono seminudi ma con l’orologio al polso, i cervelli degli abitanti restarono posti nei loro piedi, e i cappelli di feltro torreggiarono sulle teste vuote.
Le cose restarono così per un lungo periodo si tempo, per molti secoli; infine, un terremoto distrusse tutto il villaggio, e costrinse gli abitanti a sparpagliarsi per il mondo.
Tra i ruderi di Teranico, che ancora si vedono, su una spiaggia lontana, restò solo qualcuno dei successori del fondatore dal muso prensile, che, attaccato alle tradizioni, non si decide ad abbandonare la patria terra, e tantomeno il patrio... cappello di feltro.
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD 6 marzo 1956


NOTA. Teranico corrisponde all’anagramma di Nicotera città tirrenica del vibonese di cui si riporta un’antica stampa prelevata da qui: http://www.poro.it/nicotera/
In quel luogo dell’aspetto asinino nulla si intravede, permane però il cognome Caprino. Che non avesse l’aspetto caprino il vecchio salvatore di Ciavurrino?
 
 

mercoledì 13 gennaio 2021

Amore senza fine [di Franco Zeffirelli -1981]

Antonio Trimboli
1923 - 1959

Composizione di Silvana Trimboli in occasione del 60° anniversario della scomparsa del padre