I’m that mountain peak
up high. Bonnie "Prince" Billy
SEMBRA
UN GIGANTESCO MONUMENTO A GIUSEPPE GARIBALDI
IL MASSICCIO DI PIETRA-KAPPA
SULLA CRESTA D’ASPROMONTE
Intorno a questa strana suggestiva roccia
si sono intessute in ogni epoca svariate leggende
Platì, 5 gennaio
Sull'estremo tratto della cresta selvosa d'Aspromonte si eleva contro
il cielo il massiccio di Pietra - Kappa. La roccia erompendo gigantesca dalla
selvaggia asimmetria dei nostri monti crea una nota caratteristica al paesaggio;
sembra un gigantesco monumento scolpito dal tempo a Giuseppe Garibaldi.
Infatti, vista da val-
le la roccia presenta stranamente e nitidamente il profilo dell'eroe
dormente.
Forse per la stranezza della
posizione topografica intorno a questa roccia si intesserono in ogni epoca le
più svariate leggende, alcune delle quali sono narrate dal Perri in Racconti d'Aspromonte>>.
Immaginosa ed
arguta, schietta espressione del classico «Humour» della nostra gente -
è quella che si riferisce alla sua origine:
Era il tempo in cui Gesù e i suoi discepoli vagavano per la Calabria; -
sebbene la storia non lo dica, Gesù venne anche in Calabria - (vedi opera
citata del Perri). Una sera, ai piedi di un colle, il Divino Maestro propose
alla comitiva di fare la salita portando addosso una pietra ciascuno; i
discepoli accettarono di buon grado; ma San Pietro bofonchiò alquanto obbedì a
modo suo: mentre gli altri arrancavano per l'erta sotto il peso di grosse
pietre, lui li seguì allegra-mente con in tasca un sassolino non più grande di
una nocciola;
Quando furono in cima alla salita, il Signore benedisse le pietre
tramutandole in pane fragrante: inutile dire che S. Pietro dovette
accontentarsi di un panino microscopico. Ma la lezione gli giovò:
L’indomani a un tratto Gesù rivolse ai discepoli lo stesso invito del
giorno prima: S. Pietro, senza farselo dire due volte, abbrancò un macigno
pesantissimo, se lo mise sulle spalle e arrancò dietro i suoi compagni sudando
e sbuffando. Quando furono arrivati a destinazione posò il masso a terra e
aspettò pregustando enormi fette di pane.
Figurarsi come rimase quando Gesù non solo non benedisse le pietre, ma
invitò i discepoli a sederci sopra!!
Rimase tanto male che espresse al Maestro un desiderio: che quella
pietra non si muovesse più dal luogo dove lui l’aveva posta. E il Signore
l'accontentò: a un suo cenno la pietra si mise a gonfiare e gonfiò tanto da assumere le proporzioni che ha tuttora.
E- continua la leggenda narrata dal Perri - San Pietro, quando divenne
custode del Paradiso utilizzo la pietra chiudendovi dentro Malco, (il soldato
che aveva schiaffeggiato Gesù nel Sinedrio) e condannandolo a schiaffeggiare in
eterno le pareti della roccia;
A qualcuno sembrerà strana questa leggenda, non foss'altro che per lo
strano ruolo assegnato a S. Pietro; ma per noi calabresi e normale guardar S.
Pietro sotto questo suo aspetto. E può ben saperlo chi ha letto l’opera citata
del Perri.
Secondo un'altra leggenda la roccia fu messa lì dal Padreterno per
otturar il buco attraverso il quale, il «Faccibestia» (Lucifero in Calabria ha
questo efficacissimo nome) fu spedito nell’inferno. Rimase però una fessura: a
cui corrisponde nella roccia una grotta: La cosiddetta «Calara del Faccibestia».
Questa era in origine un antro pauroso che nessuno mai s'era rischiato esplorare;
ora però l’interno è in parte franato e nel vasto ingresso si rifugiano
volentieri nelle tempeste i pastori unici abitatori della montagna.
Secondo altra leggenda ancora l’origine della grotta fu un’altra: Una
volta ai piedi di Pietra Kappa il «Faccibestia» custodiva un tesoro: chiunque
avesse voluto impadronirsene doveva prendere l'oro rimanendo all’impiedi: nel
caso che si fosse piegato perdeva il viaggio e la vita;
Molti fecero questa fine; finché un giorno, un certo Leone Fera (che si
dice sia stato il fondatore di Platì) non decise di tentare l’impresa:
procuratosi un paio di scarpe larghissime s’incamminò alla volta di Pietra
Kappa; arrivato a destinazione le infilò e guardando in faccia il Diavolo allungo
prima un piede poi un altro dentro il mucchio dell’oro. Le monete scivolarono
dentro le scarpe e le riempirono; Leone Fera se ne tornò fischiettando a casa e
Lucifero per la rabbia d’essere stato fregato se ne tornò nell'inferno
dimenticando la porta aperta.
Molte altre leggende si raccontano, che prendono lo spunto da queste; a
scriverle tutte ci sarebbe da farne un libro. E gli antichi vi credettero
ciecamente: la drammatica solitudine di Platì nei secoli passati era
necessariamente popolata di fantasmi.
Oggi invece qualche moderno preferisce arrampicarsi ogni anno sulla
sommità della roccia che è coperta da uno strato di terra e seminarvi il grano;
ma chissà che a volte nella paurosa solitudine della montagna non tenda
l’orecchio terrorizzato e non oda, soffocati dall'urlo del vento, gli schiaffi che
il povero Malco somministra instancabile alla Roccia.
Michele Fera
GAZZETTA DEL SUD 6 gennaio 1955
Gli scatti d'apertura sono di Salvatore Carannante