Per Te,
carissimo zio Ciccillo, fin dall'infanzia, ho provato passione per la musica: quando
chiamavi i pratioti a messa con le
note della Marcia alla Turca di Mozart o con La Gazza Ladra di Rossini.
In quei 78
giri della Voce del Padrone, neri come la tua veste, pesanti e duri come
lastre di lavagne, i baratri nei solchi del disco ormai facevano parte
aggiunta della composizione originale, e chissà quante malanovak hanno ricevuto
da parte delle puntine del giradischi Geloso, che poi erano chiodini
dorati come quelli che usava lo zio Peppino quando inchiodava le scarpe.
Le tue
messe, anche quelle solenni o cantate, alla chiesa del Rosario erano per niente
noiose e per niente infinite, tant'è che il fedele adulto ne usciva in
pace con il Padreterno per aver adempiuto ad un comando che poteva essere
aggiunto agli altri peccati in confessionale o i piccoli scappare a giocare nei
casalini aspettando che la mamma preparasse il ragù di carne, e noi
nipoti di nonna Lisa o nonna Maria correvamo in cucina per avere i jancareii i pani ammorbiditi e impregnati nel soffritto prima che la mamma versasse il pomodoro.
Quei
pomeriggi nella sacrestia, quando impastavi e cuocevi le ostie, come passerotti
noi pargoletti eravamo là ad attendere i ritagli per mangiarli
golosamente. Oppure i primi lunedì o venerdì di ogni mese quando il ricavato
delle offerte della messa lo davi tutto ai chierichetti.
Tutti hanno
dimenticato le "Rogazioni", processioni mattutine per la buona
riuscita delle seminagioni. Io ti vedevo passare dal balcone di casa con i
fedeli e non capivo cosa accadeva, pensavo impaurito ad un accompagnamento, ma
non vedevo la bara. Quando ho
capito sono saltato anch'io, come Lord Jim, dalla barca, la messa era definitivamente finita.
Zio
Ciccillo, da molto non ci sei più e tutto questo è ritornato in queste pagine.
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