La settimana Santa era vissuta con grande partecipazione in paese
e la lettura del Passio durante le funzioni religiose non mi annoiava, anzi mi
introduceva in un mondo dove Gesù era una persona conosciuta.
"... prima che il gallo canti mi rinnegherai tre
volte..." rivolto a Pietro, oppure il tradimento di Giuda non erano solo
parole, ma vivide immagini che mi commuovevano fino al pianto.
Venerdì Santo scrutavo il cielo sin dal mattino: la metereologia
lo governava che se il tempo si fosse messo al brutto il pomeriggio non ci
sarebbe stata la commemorazione e la processione per me la più bella,
significativa e coinvolgente dell'anno liturgico.
Il monte Calvario delimita l'orizzonte di Platì; sulla sua cima si
stagliano tre croci; cosa potevo pensare, me bambina, di più vero che quello
era proprio il Golgota raccontato dalle Scritture?
Niente.
E il Venerdì Santo, quando il tempo lo permetteva, si faceva la
salita verso il Monte, la folla variopinta seguiva il prete in silenzio.
Il Rito era lungo perché ci si fermava a tutte le stazioni della
via Crucis fino all'arrivo in cima dove il sacrificio del Cristo si compiva
sotto gli occhi della Statua dell'Addolorata e di tutti i paesani commossi.
Per me era il massimo del misticismo a cui potevo partecipare e
poi...rotte le fila ci si lanciava festanti nella discesa che proprio come per
incanto rivelava una natura colorata di verde e giallo i fiori della ginestra
che raccoglievo con le amiche perché con quelli avremmo fatto l'inchiostro.
Non ricordo se l'esperimento sia mai riuscito, di sicuro ricordo
che a casa portavo un grande mazzo che serravo su un braccio, l'altro mi
serviva per dare la mano a mia madre che protettiva e silenziosa asciugava le
mie lacrime per la morte di Gesù e mi rassicurava: domenica sarebbe Risorto.
MARIA MITTIGA
La foto risalente agli anni '20 del XXI° secolo è dello zio Giuseppino, u mericu Mittiga figlio di Rocco e Caterina Fera di cui conservo il negativo.
Nel momento in cui mi sono proposto di fare una breve,
necessaria celebrazione dei cento anni di età dello zio Pepé non sapevo come
redigerla e come dare inizio al tributo. Leggendo Corrado Alvaro mi si è aperta
la mente. Ho capito che in sostanza era un tributo anche per mio padre che a
suo tempo non potei fare perché queste pagine non erano ancora apparse. Mi è
apparso all’istante che quella dello zio Pepé e di Papà erano due vite
parallele nate sullo teso segno: La devozione al padre, l'annullamento della (propria) personalità
di fronte alla legge familiare*. Perché le loro vite potessero realizzarsi
dovettero aspettare dapprima l’accasamento delle sorelle e dei fratelli e di
conseguenza la morte del padre che servirono annullandosi. Ciccillo, Ernesto e Fina avevano scelto di
accasarsi con la Chiesa i primi, con Gesù la seconda. Mentre per Amalia si
scelse di accasarla con i due fratelli preti. Lo zio Peppino, fratello
sordomuto di Papà, preferì l’emigrazione verso Milano. Le sorelle restanti avevano
già preso la via della Montagna, dell’America o il varco dello Stretto di
Messina. Lo zio Pepè e Papà si sono così
ritrovati coi capelli bianchi, e di
fronte a un altro impegno per il resto dei loro anni, il matrimonio cui
pervennero per nuovi sacrifici, avendo già dato la metà della loro vita alla
creazione dell'opera paterna*. I due a differenza dei loro genitori
dovettero però fare i conti con il tragico destino in cui stava sprofondando
Platì e una nuova società che stava volando senza sosta per adattarsi al
progresso/sviluppo. Non restava altra scelta che fuggire e andare anonimi in
città dove i figli avrebbero potuto studiare e a loro volta sistemarsi. I due non
fecero però i conti con quell’avvenire che i loro figli altrimenti intendevano
realizzare, a dispetto dei loro sogni. I
dolori per lo zio Pepè e Papà ebbero la prevalsa che solo la morte placò.
Da qualche giorno questo progetto (nato nel febbraio 2011) si è stabilizzato sulle 200.000 visualizzazioni. Buona parte di esse sono merito della collaborazione con Rosalba Perri che ha dato una virata verso nuovi orizzonti editoriali. Il blog viaggia da solo nella galassia del web, non ha agganci con altri bloggers come è restio alla pubblicità che ormai vomitano le pagine di un qualsiasi sito.
A titolo di curiosità riporto i post di maggior successo con i relativi link:
Tutto
diventava faticoso, prezioso, perfino le pietre portate sulla groppa degli
asini, e a ogni passo si misurava la misera condizione umana, assediata dal
tempo e dallo spazio. Per questo gli uomini erano amici fra di loro. L’odore
del fiume, l’odore degli orti, l’odore delle mandre, l’odore dei forni, degli
agrumeti, l’odore dell'abitato come di una stanza che ha aperto le sue finestre
al mattino e la nebbia del sonno non s’è ancora diradata, questa era la terra,
questo era tutto in poco spazio; e poi l’improvviso odore del mare, e il
variare degli alberi, pioppi, ulivi, salici, sotto la stessa corrente che
faceva inclinare le onde e le piante dalla stessa parte e con un solo colore. E
che cosa sono ora queste cose? Parvenze labili d'un viaggio rapido, brevi
nostalgie che si cacciano l’una con l’altra, illusioni di pace e di felicità
dove ci si vorrebbe fermare. Ieri erano la fatica di vivere e di camminare, un
tempo lungo e pieno di meandri, e ogni cosa segnava la sua ora al sole. Allo
stesso modo della vita nostra, infanzia e virilità: quella piena di giorni
lunghi, questa che guarda
l’orologio e dice di soprassalto: “Com’è tardi! ”
CORRADO ALVARO, Le
strade il tempo, da Itinerario italiano, ed. Bompiani 1995. Molti hanno trovato ostico il post precedente, per fare un po'
di chiarezza ho fatto ricorso ad un camino per sempre spento, al sommo Alvaro (quella di Corrado Alvaro non è solo scrittura, è un cuore che batte) e alla cartolina postale dei Beirut.
Quindi, la nostra storia più recente, la abbiamo mantenuta ad un
livello di occultamento, di copertura...
E' un contro senso.
Come se non volessimo avvicinarci alla nostra storia più prossima, come
se questa potesse accusarci.
(…)
Io credo che la memoria abbia una forza di gravità, ci attrae sempre.
Quelli che hanno memoria sono in grado di vivere nel fragile tempo
presente.
Quelli che non ce l'hanno, non vivono da nessuna parte.
Patricio Guzmàn*, Nostalgia de la luz, 2010
***
Un vento rivoluzionario ci
catapultò al centro del mondo. (*idem)
A mia
stessa infamia che considera il cinema morto nel maggio 1984 quando al Festival
di Cannes fu presentato in anteprima il film dei film, quell’arte che si
avvaleva dello scorrimento reale della pellicola con relativa proiezione sullo
schermo, è risorta con l’approssimarsi del XXI° secolo sotto specie di file (fail) e tale è la sua riproduzione, vuoi in una sala (oggi ridotta
anche di dimensioni) vuoi comodamente a casa propria. Lo scorrimento ne è
divenuto virtuale e serve un software per la relativa visualizzazione. Ecco ora
è giusto parlare di filematica. Ed è
per suo mezzo che nella ex Unione Sovietica, un autore come Tarkovskij è invecchiato
di colpo sotto i colpi di Andrej Zvjagincev, o un Haneke messo in quarantena da un
tal brasiliano che risponde al nome di Kleber Mendonça Filho. E così, fermo
restando che il cinema, ops … il file americano la fa sempre da padrone, i
contributi e le scoperte migliori vengono dalla periferia del pianeta, come
quella a cui si fa riferimento oggi che proviene dal Cile. Quell’opera entra in
piena sintonia con le pagine di questo blog e lo riguarda direttamente sebbene nella prima si assista alla tragedia che colpì una nazione, tragedia
voluta dagli "USA e getta", mentre secondo è la storia di un paese dell’Aspromonte
che cavalca il XXI° secolo e non dimentica il suo passato, le sue tragedie, la
sua voglia di riscatto sanciti da un fermento che per ora è sotterraneo.
Questo post è dedicato a Marilisa, Francesco di Raimondo e
Michele Poeta.
Nota: Il fotogramma in apertura può sembrare una
manipolazione dell’autore del post, ma è rilevato direttamente dal file in
questione.
Testo e voce: Silvana "parlina" Trimboli, platiese residente in Caraffa del Bianco. Edward Hopper's paintings from Shirley: Visions of Reality (2013) by Gustav Deutsch Songs: El Zocalo - La Llorona by Beirut
Trascrizione: Rosalba Perri
Nota di Rosalba Perri:
Ho ricevuto questa poesia in forma audio da mia zia Suor Carmen che l'aveva
a sua volta ricevuta con la dicitura "una mamma di Platì".
Una dizione perfetta, una intonazione accorata che diventa quasi una
giaculatoria specialmente alla fine quando si invoca l'intervento divino.
Una voce calda e materna che mi ha ricordato mia nonna Rosina.
Ho girato l'audio per scoprire di chi fosse quella voce e l'informazione mi
è arrivata da mia cugina Pina Miceli di Bovalino. Si tratta di Silvana Trimboli
che, sebbene risieda a Caraffa, è la figlia di Antonio Trimboli di Platì
tragicamente scomparso nel 1959, già ricordato un alcune pagine del blog:
Voglio ricordare che il
soprannome di questa famiglia Trimboli, che nelle varie prionunce è stato
storpiato in "parlinu" e addirittura "pallinu" (compatibili
con le pronunce piuttosto aperte della a e la trasformazione della r in l) è in
effetti "perlinu" come l’ho sempre sentito pronunciare nella mia
famiglia e come è confermato da documenti dell'800.
Platì, 26
luglio (M.F.) - Una società di ricerche minerarie, ha chiesto
la concessione di sfruttare per ricerche uranifere una vasta zona
dell'Aspromonte, nella quale è pure compresa una parte di territorio del nostro
centro. Ecco nella fotografia, una zona dove probabilmente si
trovano, forti quantità del prezioso uranio. MICHELE FERA GAZZETTA DEL
SUD, 27 luglio 1957