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domenica 14 ottobre 2018

Le grandi famiglie [di Denys de La Patellière, 1958 ]


Nota ancora una cortesia di Rosalba Perri cui appartiene la foto. Caruso, Gliozzi,  Miceli, Strangio ... il rivederli apre il cuore del tempo che fu.

mercoledì 10 ottobre 2018

Debito di sangue [di Clint Eastwood, 2002 ]


Giuseppeantonio (Peppantoni) Perri
1904 - 1972


Pasqualino Perri
1934 - 2000


Domenico e Giuseppe Perri


Nota - Le foto di Peppantoni e Pasqualino sono una freschissima concessione di Rosalba Perri, oggi in tour tra queste pagine. Micu e Peppinu invece sono stati shootati al passucatandu edizione 2018.  Tutti insieme sono legati dal sangue santellinu.
Di Rosalba ai pulinaroti giro anche questo odierno commento che appare su Tutti gli uomini del presidente del 15 febbraio scorso: "C'è un'assenza, un vuoto, in questo consesso: dove sono le donne di questo paese? Fino a che le ragazze saranno confinate in ruoli atavici, con bassa scolarizzazione, senza coinvolgimenti sociali, questo paese non avrà futuro. La civilizzazione di un popolo si vede soprattutto dal livello di istruzione femminile": Monito che sembra venire dalla bocca di Pasqualino Perri, ritratto, se  fate attenzione, jaffora a Galatti.



lunedì 8 ottobre 2018

Independence Day - Bruce Springsteen

"Well Papa go to bed now it’s getting late
nothing we can say is gonna change anything now" Bruce Sprigsteen





Mishawaka - 11 - 19 - 76
Carissimi Ciccillo, Ernesto e Amalia
auguro che state tutti bene con il resto della famiglia cioè Rosina, Cata Peppe e MGemma. Ho ricevuto la lettera di Peppe e sono dispiaciuta che ancora soffre con il braccio, lui mi dice che si deve ricoverare nell’ospedale perché gli debbono levare le viti, io non so cosa sono, è più di un anno e ancora soffre, sin dal principio lui doveva andare da medici specializzati per l’ossa, qui un medico mi disse che a Bologna ci sono i migliori medici per l’ossa in tutto il mondo, perché non va lì e si fa visitare.
La settimana scorsa è morto lo zio di Cata il fratello di sua suocera, ho scritto a Cata e glil’ho fatto sapere.
Avete seguito le elezione per il presidente che furono fatte il 2 - 11 - c. m. Ford ha perduto la confidenza del popolo americano da quando ha dato il perdono a Nixon, speriamo che Carter fa qualche cosa di buono e riabilita la nazione.
Il martedì prossimo verranno a casa le ragazze perché il giovedì prossimo è il giorno della gallina e anno la vacanza fino al prossimo lunedì, non so ancora se Maria e José possono venire, perché ha molto da studiare, non so ancora pe Jò perché lei si è presa la licenza di parrucchiera e forse deve lavorare, quel giorno ci riuniamo a casa di Wordinger ( la famiglia di Jim) per il pranzo.
Termino e vi mando tanti baci per tutti
                           Aff.ma Iola
Non mi avete fatto sapere se volete che mando la medicina per quel ragazzo.



Nella foto Antonio (Anthony) Trimboli, Platì1896 - Mishawaka IN 1976, nella sua calzoleria in Mishawaka.



domenica 7 ottobre 2018

Ultime della notte [di Phil Karlson, 1952 ]





Ultime corrispondenze
Pubblicazione
PLATI’– “Le sacre vette” è il titolo di una breve raccolta del Rev. Sac. Ernesto Gliozzi. L’A: presenta con molta abilità in eleganti sonetti, alcuni fatti biblici e del nuovo Testamento che resero celebri i monti sui quali si verificarono e, dopo avere trasvolato l’Ararat, il Nebo, il Tabor e il Golgota, si ferma un istante sul Grappa e sosta sull’Aspromonte dove la gigantesca statua del Redentore
A sollevar c’invita
Gli affranti cuor e, al secolo fellace
Segna – incontrasto – la sua via ch’è vita.

L’elegante volumetto si chiude con un’alcaica in cui viene evocata la leggenda di Polsi e con la promessa di oltre pubblicazioni dello stesso A. col quale, e per il già fatto e per quello che sta per fare, vivamente ci congratuliamo.
RISVEGLIO CORRIERE CALABRESE SETTIMANALE POLITICO AMMINISTRATIVO INDPENDENTE
IL PIU’ DIFFUSO GIORNALE DELLE CALABRIE  - MATTEO BORGIA Proprietario e Amministratore – VITTORIO LA ROSA Direttore e Responsabile
Anno VII, N. 12
Reggio Calabria 28 – 29 marzo 1925



giovedì 4 ottobre 2018

Sogni e Bisogni [di Sergio Citti, 1985 ]





Distinti saluti aguro che
Vi trovo bene, io stò bene
Grazie a Dio.
Accettati questa piccola
offerta, per i bisogni della
Chiesa, e specialmente
per i banchi, perché non si
po’ stare inginocchiati per il
tempo necessario durante la
celebrazione della S. Messa
Vi saluto del profondo
del cuore avvoi e a quanto
volesti bene e che Iddio
voglia darvi una lunga vita
col premio di Santità
Ciao
non rispondete
grazie

Sac. Gliozzi Ernesto
Via fratelli Sergi n. 6
89039 Platì Provincia di
Reggio Calabria
Italia

Mitt 146 Verobeach BL.
Weston Ont.
Canadà
1   X   1998







Nota - L'anonimo donatore non era altri se non Michele Velardi (1923 - 2017) già apparso in queste pagine.

mercoledì 3 ottobre 2018

Doppia Vita [di George Cukor, 1947 ]



Cirella 16 Aprile 2018

La vita di nonna Vita


Mia nonna a scuola aveva un’unica maestra che insegnava: matematica, italiano, geografia, storia, religione.
Alle 10:30 uscivano a giocare.
Mia nonna, dopo la scuola, andava a pascolare le capre, oppure a mietere, raccogliere le olive e zappava.
E’ andata a scuola fino alla quinta elementare, perché non c’era il pulmino e nemmeno la strada per andare alla Scuola Media.
E’ una donna forte e determinata nella sua fanciullezza ha aiutato il padre a fare il pozzo, scavava e toglieva la terra dal pozzo, era profondo 6 metri.
Aiutava il padre ad impastare a mano il cemento.
Mia nonna è molto religiosa, da sempre è andata a messa a piedi.
Da ragazza con i genitori e con le sorelle avevano un mulino che funzionava ad acqua, lo faceva girare una grande ruota di legno con delle pale di ferro, era costruito vicino a un torrente.
Nel mulino si schiacciava il grano e si faceva la farina.
Aiutava nel mulino svegliandosi presto, ancora oggi nonna Vita non si risparmia per tutti noi.
Vita Pisto
Classe IV Cirella

Testo presentato alla seconda edizione del Premio Letterario "E. Gliozzi".


lunedì 1 ottobre 2018

L' ombra del passato [di Alberto Giaccone, 1905]






Non è campo dell’uom la solitudine,
Chi non pugnò, non visse
Rapisardi

Il tempo – minaccioso titano – passa … e con le sue fredd’ali vi spazza fin le rovine!” Foscolo

Passò tanto tempo quanto basta a ridurre dissolvere un cadavere e se voi scavaste la terra che copre il pio che compiangete, altro non troverete che polvere e putridume.
La, vi dicono i materialisti, ogni grandezza umana si serra, la s’infrangono dolori e speranze, affetti e virtù …
SE così fosse oggi le vostre lagrime sarebbero una vanità; le vostre preci follie.
Il credereste? – No. - Oggi vi sentite aleggiare intorno, angelica farfalla, lo spirito del vegliardo che accompagnaste alla tomba, che qui forse venne lasciando il soglio dorato degli angioli, per sentirsi ricordare il suo passato, le sue lotte, i suoi trionfi. L’anima dell’Arciprete Nicola Ferrò chiede alle vostre preghiere l’eterna parola di Pace – Pace nel Signore.

Qual sia stata la sua giovinezza nessuno mal potrebbe dire. Forse i suoi compagni d’infanzia lo precedettero al gran passo …ed egli rimase ad aspettare l’ora fidente in Dio, fermo, impassibile, tranquillo. Guardò il passato, le lotte sanguinose, e si vide nella pugna non ultimo soldato; guardò l’avvenire, la fulgida meta, la palma della vittoria e sorrise … E voi me l’additate accasciato dagli anni, dai capelli bianchi, curvo sul bastone, aggirarsi per le stanze guardando forse dietro i vetri, la vecchia torre che lo aveva visto bambino. Anche quella torre minacciosa lo vide nascere, lanciarsi nel mondo e ritornare vittorioso, e forsegli sorrideva in quel punto. E riviveva di quei giorni, quando i suoi occhi volgeva al sole, al cuore la Fede, alla mente l’ideale!

Nato nel 1810, starei per dire che intese la baraonda francese minacciante tiare e corone. Forse il motto “Dalli ai preti” gli era giunto, quando quattordicenne indossava l’abito talare per farsi campione di Cristo, in quei tempi dalle galliche labbra “Bestemmiato e deriso un’altra volta”. Unto le mani del Sacro Crisma dal vescovo Armentano di Mileto, eccolo, novello sacerdote, uscire nel mondo a predicare la divina Parola. – Oh Salve novello apostolo di fede, t’avanza, campione di Cristo, combatti al sole della gloria! Corazza è la tua fede, la parola di Cristo la tua spada, “campo di battaglia è la terra intiera e la vittoria è la civiltà umana”.
Egli comprese l’altezza della sua missione e si lanciò nel mondo con ardore apostolico. Chiamato a Casignana, per quattordici anni spezzò il pane di pace e di amore a quel popolo, e per ben ventinove in Ardore predicò la fede, dispensando conforti e balsami, di cui abbonda il Vangelo. Oh se parlassero tanti traviati rimessi sulla dritta via, tanti infelici spiranti col sorriso sulle labbra, tanti forsennati disarmati colla bella parola “Perdona!”

Disse Victor Hugo “Il vecchio è una rovina che pensa”. Non so quali pensieri potevano passare per la testa a l’A. N. Ferrò … So che novanta aprili vide, che combatté delle battaglie nella vita, e vincitore si assise ad aspettar la morte, foriera della vittoria. Un sol pensiero era in lui; un solo ideale gli splendeva nella mente: Dio! Quest’ideale ora l’abbagliava, l’assorbiva, l’attirava a sé come la calamita il ferro. Quale colomba dal desio chiamata, spiccò il volo per riposarsi in Lui, sitibondo e fremente d’amore.
Godi dunque oh spirito beato. Io ti addito alla gente: “Beneditelo”. Ai sacerdoti: “Imitatelo”.
                                                                               Gliozzi Ernesto

Nota- Dell'abate Nicola Ferrò non si ricorda nessuno, in Casignana come in Ardore, in Curia; eppure visse quasi cento anni, passando dai Francesi ai Borboni, ai Piemontesi, agli Italiani. Ci pensiamo noi, anzi, Ernesto il vecchio che lo consegna all'eternità con questo epitaffio letto davanti a quel che di lui restava. Il volto del Vescovo Vincenzo Maria Armentano si trova a Vibo e in rete.

domenica 30 settembre 2018

Ida [di Paweł Pawlikowski, 2013 ]

Questo riepilogo non è disponibile. Fai clic qui per visualizzare il post.

venerdì 28 settembre 2018

Riders on the storm - THE DOORS

Ricordo di un ottobre funesto del 1951 nel piccolo centro aspromontano

Quell’alluvione che segnò Platì

I servizi degli inviati del tempo che fecero riscoprire agli italiani la montagna reggina - Arrivarono i soccorsi dopo una gara di solidarietà umana ma la stranezza di alcuni indumenti smessi fece arrivare in anticipo un ben strano Carnevale – tremila persone verso l’Australia in pochi anni: un’emorragia umana di dimensioni bibliche – Un articolo di Corrado Alvaro nel 1953 – Una relazione geologica di Alberto Ducci


di Antonio Delfino

"Per farsi una idea dei disastri che l’alluvione ha prodotto in Calabria, bisogna andare a Platì. Non è facile raggiungere Platì, un piccolo presepio di seimila anime a 300 metri sul mare, e annidato in una gola di montagna, ma e interessante andarvi, prima perché, come vi dicevo, i danni dell’alluvione sono stati, in questa zona, enormi, e poi perché in questi paesini di montagna, che vivono sempre nel tragico presentimento di una sciagura, si trova la Calabria, la più semplice e la più rude, quella che in fondo è la più vera e dove il tempo pare si sia fermato in una estetica, contemplazione degli avvenimenti i quali si susseguono per loro conto senza che queste popolazioni si affatichino a rincorrerli".
Cosi iniziava il suo servizio Vittorio Ricciuti il 9 novembre del 1951 sul -Mattino- di Napoli. In quell'ottobre funesto io frequentavo la seconda classe del Liceo Classico di Locri e bloccato dalle frane a Platì, mi misi a raccogliere gli articoli più significativi di quell'evento calamitoso che aveva portato devastazioni e morte. Sono andato a sfogliarli. “Il fango ha inghiottito tutto: agrumeti, frantoi, un oleificio di cui non si vede più nulla: anche una piccola centrale elettrica, che era stata costruita ad opera di un privato è andata distrutta ed il paese è rimasto al buio. Tra qualche ora, mentre le ultime luci avranno abbandonato la valle, Platì non avrà più nulla che ricordi la vita. Anche il sonno dei morti – conclude Rizzuti - a Platì non è stato rispettato: il mostro delle acque ha attraversato li cimitero, lo ha sommerso e quando l’acqua si e ritirata si sono visti tibie, femori, crani che la corrente portava alla deriva, e i vecchi resti umani si mescolavano ai morti recenti. Questa è la tragica sorte di Platì, un povero paese destinato a sparire dalla faccia della terra perché sotto di lui il terreno frana e slitta verso una corsa paurosa alla morte”.
E Filippo Sacchi il 28 marzo del 1952 scriveva sulla “Nuova Stampa”: “Le scuole di Platì! Una casupola di tango, a cui si arriva ciampicando per una viuzza che è tutta una fetida pozzanghera, piena di bucce, di detriti e di spurghi. Si sale scaletta, e sopra, nell’unico piano, ci sono le aule, tre stanzini soffocati, che quasi si tocca con la testa, senza vetri alle finestre (erano giorni freddissimi), con i pavimenti divelti, naturalmente senza luce, e già alle tre del pomeriggio quasi non si vedeva. Pigiati a cinque e cinque stavano gli scolaretti nel rozzi e miseri banchi. Era la mostra della denutrizione. La maestrina, me li chiamava fuori uno ed uno, bimbette e ragazzi, perché vedessi meglio da vicino quei visini patiti, quelle braccine, quel piedini nudi e scarni incrostati di mota. Non mi diceva niente, solo li chiamava fuori a uno a uno per nome, cosi semplicemente come se fosse la presentazione dei modelli.”
L’Aspromonte veniva riscoperto. In passato, per i briganti ed i terremotati, ora, per le alluvioni. Arrivarono i primi soccorsi. Fu una gara di solidarietà umana con sottoscrizioni e raccolte di fondi. Il sud doveva essere assistito. Interi camion riversarono sulla piazza dei paese indumenti smessi che crocerossine con tocchi di civetteria elargivano a tutti. Quell'anno il carnevale arrivò in anticipo. Rocco P., un anziano contadino padre di dieci figli all'ennesima distribuzione arrivò in ritardo. Era rimasto un vecchio frac dalle code lise e stazzonate che mi ricordavano i camerieri della Nuova Messina a Locri. Nel mesi estivi sotto un sole cocente indossò il frac per zappare sulla fiumara asciutta che mesi prima aveva portato lutti, e cercando di ricavare una “fiumarina”, un pezzo d'orto per sfamare i figli. Gli interventi furono d’assistenza. Si costruì qualche muro d 'argine e la gente stanca di aspettare prese la nave per l’Australia. Tre mila persone in pochi anni. Una emorragia umana senza precedenti, da dimensioni bibliche. Mentre si curavano le prime ferite arrivò l’alluvione del 1953. IL 24 ottobre del 1953, Corrado Alvaro pubblicava, sul Corriere della Sera, un articolo sferzante per la classe politica. «E' la stessa zona colpita due anni fa da una prima alluvione di meno orride proporzioni, pochi giorni prima delle devastazioni del Polesine. Come allora, su quei lutti, una amara ironia: si disse che la Calabria aveva avuto la sventura d'un disastro come una buona occasione per attirare l'attenzione sui suoi mali, ma, un'altra regione dei Nord ne aveva una più grande, concentrando su di sé la solidarietà dei mondo. E, difatti, fino a ieri, arrivano in Calabria gli ultimi scarti di vecchi panni, alcuni ponti erano ancora di legno, e uno in costruzione, sul torrente più feroce che sbuca dalle gole dell'Aspromonte e che ingoia annualmente giardini e vittime umane, il Bonamico, era già crollato nuovamente. Il più moderno studio organico – prosegue Alvaro - sulle condizioni della Calabria è del 1834, ed è una relazione del Governo borbonico. I problemi che esso esamina sono ancora attuali, ma, bisogna aggiungervi, per il secolo che è trascorso da allora, la distruzione che si è operata, da speculatori senza cinismo e da municipi bisognosi e inesperti, del suo mantello arboreo, cioè della sua difesa naturale. La furia delle acque sul versante più spoglio, lo Jonio, allarga i letti dei torrenti d’anno in anno, divora ettari di terra di colture ricche. Tali fenomeni non si registrano fino a quando le alluvioni grandiose non compiono l’opera creando un cataclisma come quello attuale, che muta addirittura la configurazione del terreno, spiana monti, copre valli prepara il crollo dei paesi sulla pendici. Lo Stato interviene   spendendo somme ingenti a fortificare i paesi pericolanti. A distanza d pochi anni, le crepe già segnano e rompono I bastioni che trattengono la terra”.
E mentre Corrado Alvaro scriveva queste cose, nel Polesine la senatrice Lina Merlin (quella delle case chiuse) pretese che gli elicotteri militari salvassero dalle acque migliaia di tacchini che la furia del Po aveva spinti su strisce di terra e che sarebbero morti affogati. E quando intervenne nella Commissione parlamentare per i provvedimenti straordinari a favore della Calabria un mordace deputato commentò: Povera Calabria, che casino!
A distanza di oltre un secolo si ha la prima relazione geotecnica su Platì. E' Alberto Ducci, insigne geologo a compilarla, affermando che lo spettacolo che si offre è quello tipico di un fenomeno di grandiosa erosione in fase di piena attività. E' un vero sfasciume geologico che dipende - secondo Ducci - dallo stato di particolare e profonda fratturazione delle rocce costituenti l'intero versante orientale dell'Aspromonte orientale, dall'alterazione profonda dovuta a processi geo-chimici e dalla montagna in rapida fase di sollevamento. Le argille divenute rocce metaforfiche sono ritornate, per alterazione, argille. E dalle profonde rughe dell'Aspromonte sgorgano colate imponenti come manifestazioni di un astro appena nato. Ecco perché il problema di Platì si pone, passata la prima emergenza, in termini drammatici. Platì rappresenta il polso impazzito di una montagna che erutta argille. L’intero territorio va studiato da geologi. Allo stato attuale la regione Calabria (unica in Italia) non dispone di un servizio geologico. L'on. Pastore, nel 1961, invitato a Reggio Calabria dal presidente del Consiglio, Fanfani, a dire le sua, sulla legge speciale per le Calabria disse che, approvata nel 1955, divenne operante nel 1957 perché della Calabria mancavano persino le carte geografiche e geofisiche.
A Platì questa volta, bisogna andare con le carte in regola. E’ nell’interesse di tutti.

GAZZETTA DEL SUD, Anno XXXIV – Martedì 29 gennaio 1985

Nota - Questo articolo, come quello citato di C. Alvaro, era apparso su queste pagine il 7 ottobre 2011 come immagine, senza trascrizione ed un titolo diverso. Oggi, nel 67° anniversario di quel tragico evento, è un tributo alla penna di Antonio Delfino, che i pulinaroti si apprestano a commemorare. La  foto, tramite Francesco di Raimondo, appartiene alla famiglia Delfino.



mercoledì 26 settembre 2018

The Great Passage [di Yuya Ishii, 2013]

Non erano trascorsi che otto anni dall’inizio del nuovo millennio quando Platì perse i suoi due ultimi figli più illustri: Antonio Delfino e Ernesto Gliozzi il giovane; il braccio secolare e quello metafisico-religioso di un paese altrimenti noto. Lo zio il giorno della candelora, Delfino allo scoccare dell’equinozio d’autunno. Nei cicli ricorrenti dell'anno sono due momenti importanti, l'inizio del risveglio e l'inizio del riposo della natura, un grande passaggio, che non è dato a chiunque poter scegliere, solo a chi lo merita. Per un paese come il nostro è molto importante, visto che ancora il legame con la terra permane. Tutti e due ampiamente ricordati per mezzo delle loro opere e giorni. Tutti e due con un background familiare difficile da nascondere. Antonio Delfino era figlio, del secondo, cronologicamente, uomo più famoso tra quelli che cavalcarono per le terre e le montagne di Platì: Giuseppe Delfino, meglio noto con l’alias massaru peppi; il primo era stato Ferdinando, Caci, Mittiga. Come nei migliori John Ford, l’uomo della legge ed il bandito. Per buona parte, la storia di Platì, quella ancora arcaica, la vissero loro due. Tra gli intellettuali platioti Antonio, Totò, Totu Delfino è stato il più completo: docente, politico, letterato, giornalista, fotografo e chissà quant’altro. Il matrimonio lo condusse fuori dal paese ma non per questo lo perse, anche grazie alla complicità della sua sposa. Platì e la Calabria, la loro gente e i luoghi, le leggende e la storia furono il suo chiodo fisso, da proteggere, conservare, tramandare. E questo fece, grazie anche alla sua dote di uomo sociale e ben voluto, accettato nelle mense ludiche siano esse intellettuali che conviviali. Ogni platioru ha un Totu Delfino suo, anche io ho il mio che non dimenticherò mai: amico di papà, dello zio Ciccillo, dello zio Ernesto, dello zio Pepé. Una sera dei miei anni di mezzo squilla il telefono, Ginu sugnu Totu Delfinu, ndi sperdimmu, chi ta passi? Oggetto della telefonata era una cosa naturale per quegli anni: una raccomandazione agli esami di licenza liceale. Io li avrei promossi tutti, ma, gli dissi, se la doveva vedere con mia sorella, membro della commissione in un liceo messinese, che era più irremovibile di me. Come finì non lo so, quello che mi rimane ancora nelle orecchie è quella sua voce gioviale, smagliante. Non lo rividi mai, la sua testimonianza rimane anche grazie a queste pagine in cui egli ritorna e rinasce.
La macchina con dentro i pulinaroti si è mossa. Loro cozzano e si scherniscono da platioti. La loro meta e che il 1° Antonio Delfino tribute & award non vada sprecato.