"Well Papa go to bed now it’s getting late nothing we can say is gonna change anything now" Bruce Sprigsteen
Mishawaka
- 11 - 19 - 76
Carissimi
Ciccillo, Ernesto e Amalia
auguro
che state tutti bene con il resto della famiglia cioè Rosina, Cata Peppe e
MGemma. Ho ricevuto la lettera di Peppe e sono dispiaciuta che ancora soffre
con il braccio, lui mi dice che si deve ricoverare nell’ospedale perché gli
debbono levare le viti, io non so cosa sono, è più di un anno e ancora soffre,
sin dal principio lui doveva andare da medici specializzati per l’ossa, qui un
medico mi disse che a Bologna ci sono i migliori medici per l’ossa in tutto il
mondo, perché non va lì e si fa visitare.
La
settimana scorsa è morto lo zio di Cata il fratello di sua suocera, ho scritto
a Cata e glil’ho fatto sapere.
Avete
seguito le elezione per il presidente che furono fatte il 2 - 11 - c. m. Ford
ha perduto la confidenza del popolo americano da quando ha dato il perdono a
Nixon, speriamo che Carter fa qualche cosa di buono e riabilita la nazione.
Il
martedì prossimo verranno a casa le ragazze perché il giovedì prossimo è il
giorno della gallina e anno la vacanza fino al prossimo lunedì, non so ancora
se Maria e José possono venire, perché ha molto da studiare, non so ancora pe
Jò perché lei si è presa la licenza di parrucchiera e forse deve lavorare, quel
giorno ci riuniamo a casa di Wordinger ( la famiglia di Jim) per il pranzo.
Termino
e vi mando tanti baci per tutti
Aff.ma Iola
Non
mi avete fatto sapere se volete che mando la medicina per quel ragazzo.
Nella foto Antonio (Anthony) Trimboli, Platì1896 - Mishawaka IN 1976, nella sua calzoleria in Mishawaka.
PLATI’– “Le sacre vette” è il titolo di una breve raccolta
del Rev. Sac. Ernesto Gliozzi. L’A: presenta con molta abilità in eleganti
sonetti, alcuni fatti biblici e del nuovo Testamento che resero celebri i monti
sui quali si verificarono e, dopo avere trasvolato l’Ararat, il Nebo, il Tabor
e il Golgota, si ferma un istante sul Grappa e sosta sull’Aspromonte dove la
gigantesca statua del Redentore
A sollevar c’invita
Gli affranti cuor e, al secolo fellace
Segna – incontrasto – la sua via ch’è
vita.
L’elegante volumetto si chiude con un’alcaica in cui viene evocata la
leggenda di Polsi e con la promessa di oltre pubblicazioni dello stesso A. col
quale, e per il già fatto e per quello che sta per fare, vivamente ci
congratuliamo.
Mia nonna a scuola aveva un’unica maestra che insegnava: matematica,
italiano, geografia, storia, religione.
Alle 10:30 uscivano a giocare.
Mia nonna, dopo la scuola, andava a pascolare le capre, oppure a
mietere, raccogliere le olive e zappava.
E’ andata a scuola fino alla quinta elementare, perché non c’era il
pulmino e nemmeno la strada per andare alla Scuola Media.
E’ una donna forte e determinata nella sua fanciullezza ha aiutato il
padre a fare il pozzo, scavava e toglieva la terra dal pozzo, era profondo 6
metri.
Aiutava il padre ad impastare a mano il cemento.
Mia nonna è molto religiosa, da sempre è andata a messa a piedi.
Da ragazza con i genitori e con le sorelle avevano un mulino che
funzionava ad acqua, lo faceva girare una grande ruota di legno con delle pale
di ferro, era costruito vicino a un torrente.
Nel mulino si schiacciava il grano e si faceva la farina.
Aiutava nel mulino svegliandosi presto, ancora oggi nonna Vita non si
risparmia per tutti noi.
Vita Pisto
Classe IV Cirella
Testo presentato alla seconda edizione del Premio Letterario "E. Gliozzi".
“Il tempo – minaccioso titano
– passa … e con le sue fredd’ali vi
spazza fin le rovine!” Foscolo
Passò tanto tempo quanto basta a ridurre dissolvere un cadavere e se
voi scavaste la terra che copre il pio che compiangete, altro non troverete che
polvere e putridume.
La, vi dicono i materialisti, ogni grandezza umana si serra, la
s’infrangono dolori e speranze, affetti e virtù …
SE così fosse oggi le vostre lagrime sarebbero una vanità; le vostre
preci follie.
Il credereste? – No. - Oggi vi sentite aleggiare intorno, angelica
farfalla, lo spirito del vegliardo che accompagnaste alla tomba, che qui forse
venne lasciando il soglio dorato degli angioli, per sentirsi ricordare il suo
passato, le sue lotte, i suoi trionfi. L’anima dell’Arciprete Nicola Ferrò
chiede alle vostre preghiere l’eterna parola di Pace – Pace nel Signore.
Qual sia stata la sua giovinezza nessuno mal potrebbe dire. Forse i
suoi compagni d’infanzia lo precedettero al gran passo …ed egli rimase ad
aspettare l’ora fidente in Dio, fermo, impassibile, tranquillo. Guardò il
passato, le lotte sanguinose, e si vide nella pugna non ultimo soldato; guardò
l’avvenire, la fulgida meta, la palma della vittoria e sorrise … E voi me l’additate
accasciato dagli anni, dai capelli bianchi, curvo sul bastone, aggirarsi per le
stanze guardando forse dietro i vetri, la vecchia torre che lo aveva visto
bambino. Anche quella torre minacciosa lo vide nascere, lanciarsi nel mondo e
ritornare vittorioso, e forsegli sorrideva in quel punto. E riviveva di quei
giorni, quando i suoi occhi volgeva al sole, al cuore la Fede, alla mente
l’ideale!
Nato nel 1810, starei per dire che intese la baraonda francese
minacciante tiare e corone. Forse il motto “Dalli ai preti” gli era giunto,
quando quattordicenne indossava l’abito talare per farsi campione di Cristo, in
quei tempi dalle galliche labbra “Bestemmiato e deriso un’altra volta”. Unto le
mani del Sacro Crisma dal vescovo Armentano di Mileto, eccolo, novello
sacerdote, uscire nel mondo a predicare la divina Parola. – Oh Salve novello
apostolo di fede, t’avanza, campione di Cristo, combatti al sole della gloria!
Corazza è la tua fede, la parola di Cristo la tua spada, “campo di battaglia è
la terra intiera e la vittoria è la civiltà umana”.
Egli comprese l’altezza della sua missione e si lanciò nel mondo con
ardore apostolico. Chiamato a Casignana, per quattordici anni spezzò il pane di
pace e di amore a quel popolo, e per ben ventinove in Ardore predicò la fede,
dispensando conforti e balsami, di cui abbonda il Vangelo. Oh se parlassero
tanti traviati rimessi sulla dritta via, tanti infelici spiranti col sorriso
sulle labbra, tanti forsennati disarmati colla bella parola “Perdona!”
Disse Victor Hugo “Il vecchio è una rovina che pensa”. Non so quali
pensieri potevano passare per la testa a l’A. N. Ferrò … So che novanta aprili
vide, che combatté delle battaglie nella vita, e vincitore si assise ad
aspettar la morte, foriera della vittoria. Un sol pensiero era in lui; un solo
ideale gli splendeva nella mente: Dio! Quest’ideale ora l’abbagliava,
l’assorbiva, l’attirava a sé come la calamita il ferro. Quale colomba dal desio
chiamata, spiccò il volo per riposarsi in Lui, sitibondo e fremente d’amore.
Godi dunque oh spirito beato. Io ti addito alla gente: “Beneditelo”. Ai
sacerdoti: “Imitatelo”.
Gliozzi Ernesto
Nota- Dell'abate Nicola Ferrò non si ricorda nessuno, in Casignana come in Ardore, in Curia; eppure visse quasi cento anni, passando dai Francesi ai Borboni, ai Piemontesi, agli Italiani. Ci pensiamo noi, anzi, Ernesto il vecchio che lo consegna all'eternità con questo epitaffio letto davanti a quel che di lui restava. Il volto del Vescovo Vincenzo Maria Armentano si trova a Vibo e in rete.
Ricordo di un ottobre
funesto del 1951 nel piccolo centro aspromontano
Quell’alluvione che
segnò Platì
I servizi degli
inviati del tempo che fecero riscoprire agli italiani la montagna reggina -
Arrivarono i soccorsi dopo una gara di solidarietà umana ma la stranezza di
alcuni indumenti smessi fece arrivare in anticipo un ben strano Carnevale –
tremila persone verso l’Australia in pochi anni: un’emorragia umana di
dimensioni bibliche – Un articolo di Corrado Alvaro nel 1953 – Una relazione
geologica di Alberto Ducci
di Antonio Delfino
"Per farsi una idea dei disastri che l’alluvione ha prodotto
in Calabria, bisogna andare a Platì. Non è facile raggiungere Platì, un piccolo
presepio di seimila anime a 300 metri sul mare, e annidato in una gola di
montagna, ma e interessante andarvi, prima perché, come vi dicevo, i danni
dell’alluvione sono stati, in questa zona, enormi, e poi perché in questi
paesini di montagna, che vivono sempre nel tragico presentimento di una
sciagura, si trova la Calabria, la più semplice e la più rude, quella che in
fondo è la più vera e dove il tempo pare si sia fermato in una estetica, contemplazione degli avvenimenti i quali si susseguono per loro conto senza che
queste popolazioni si affatichino a rincorrerli".
Cosi iniziava il suo servizio Vittorio Ricciuti il 9 novembre
del 1951 sul -Mattino- di Napoli. In quell'ottobre funesto io frequentavo la
seconda classe del Liceo Classico di Locri e bloccato dalle frane a Platì, mi
misi a raccogliere gli articoli più significativi di quell'evento calamitoso
che aveva portato devastazioni e morte. Sono andato a sfogliarli. “Il fango ha
inghiottito tutto: agrumeti, frantoi, un oleificio di cui non si vede più nulla: anche una piccola centrale elettrica, che era stata
costruita ad opera di un privato è andata distrutta ed il paese è rimasto al
buio. Tra qualche ora, mentre le ultime luci avranno abbandonato la valle,
Platì non avrà più nulla che ricordi la vita. Anche il sonno dei morti –
conclude Rizzuti - a Platì non è stato rispettato: il mostro delle acque ha
attraversato li cimitero, lo ha sommerso e quando l’acqua si e ritirata si sono
visti tibie, femori, crani che la corrente portava alla deriva, e i vecchi
resti umani si mescolavano ai morti recenti. Questa è la tragica sorte di Platì, un povero paese
destinato a sparire dalla faccia della terra perché sotto di lui il terreno
frana e slitta verso una corsa paurosa alla morte”.
E Filippo Sacchi il 28 marzo del 1952 scriveva sulla “Nuova
Stampa”: “Le scuole di Platì! Una casupola di tango, a cui si arriva
ciampicando per una viuzza che è tutta una fetida pozzanghera, piena di bucce, di
detriti e di spurghi. Si sale scaletta, e sopra, nell’unico piano, ci sono le
aule, tre stanzini soffocati, che quasi si tocca con la testa, senza vetri alle
finestre (erano giorni freddissimi), con i pavimenti divelti, naturalmente
senza luce, e già alle tre del pomeriggio quasi non si vedeva. Pigiati a cinque
e cinque stavano gli scolaretti nel rozzi e miseri banchi. Era la mostra della
denutrizione. La maestrina, me li chiamava fuori uno ed uno, bimbette e
ragazzi, perché vedessi meglio da vicino quei visini patiti, quelle braccine,
quel piedini nudi e scarni incrostati di mota. Non mi diceva niente, solo li
chiamava fuori a uno a uno per nome, cosi semplicemente come se fosse la
presentazione dei modelli.”
L’Aspromonte veniva riscoperto. In passato, per i briganti
ed i terremotati, ora, per le alluvioni. Arrivarono i primi soccorsi. Fu una
gara di solidarietà umana con sottoscrizioni e raccolte di fondi. Il sud doveva
essere assistito. Interi camion riversarono sulla piazza dei paese indumenti
smessi che crocerossine con tocchi di civetteria elargivano a tutti. Quell'anno
il carnevale arrivò in anticipo. Rocco P., un anziano contadino padre di dieci figli
all'ennesima distribuzione arrivò in ritardo. Era rimasto un vecchio frac dalle
code lise e stazzonate che mi ricordavano i camerieri della Nuova Messina a
Locri. Nel mesi estivi sotto un sole cocente indossò il frac per zappare sulla
fiumara asciutta che mesi prima aveva portato lutti, e cercando di ricavare una
“fiumarina”, un pezzo d'orto per sfamare i figli. Gli interventi furono d’assistenza.
Si costruì qualche muro d 'argine e la gente stanca di aspettare prese la nave
per l’Australia. Tre mila persone in pochi anni. Una emorragia umana senza
precedenti, da dimensioni bibliche. Mentre si curavano le prime ferite arrivò
l’alluvione del 1953. IL 24 ottobre del 1953, Corrado Alvaro pubblicava, sul
Corriere della Sera, un articolo sferzante per la classe politica. «E' la
stessa zona colpita due anni fa da una prima alluvione di meno orride
proporzioni, pochi giorni prima delle devastazioni del Polesine. Come allora,
su quei lutti, una amara ironia: si disse che la Calabria aveva avuto la
sventura d'un disastro come una buona occasione per attirare l'attenzione sui
suoi mali, ma, un'altra regione dei Nord ne aveva una più grande, concentrando
su di sé la solidarietà dei mondo. E, difatti, fino a ieri, arrivano in
Calabria gli ultimi scarti di vecchi panni, alcuni ponti erano ancora di legno,
e uno in costruzione, sul torrente più feroce che sbuca dalle gole
dell'Aspromonte e che ingoia annualmente giardini e vittime umane, il Bonamico,
era già crollato nuovamente. Il più moderno studio organico – prosegue Alvaro -
sulle condizioni della Calabria è del 1834, ed è una relazione del Governo
borbonico. I problemi che esso esamina sono ancora attuali, ma, bisogna aggiungervi,
per il secolo che è trascorso da allora, la distruzione che si è operata, da
speculatori senza cinismo e da municipi bisognosi e inesperti, del suo mantello
arboreo, cioè della sua difesa naturale. La furia delle acque sul versante più
spoglio, lo Jonio, allarga i letti dei torrenti d’anno in anno, divora ettari
di terra di colture ricche. Tali fenomeni non si registrano fino a quando le
alluvioni grandiose non compiono l’opera creando un cataclisma come quello attuale,
che muta addirittura la configurazione del terreno, spiana monti, copre valli
prepara il crollo dei paesi sulla pendici. Lo Stato intervienespendendo somme ingenti a fortificare i
paesi pericolanti. A distanza d pochi anni, le crepe già segnano e rompono I
bastioni che trattengono la terra”.
E mentre Corrado Alvaro scriveva queste cose, nel Polesine
la senatrice Lina Merlin (quella delle case chiuse) pretese che gli elicotteri
militari salvassero dalle acque migliaia di tacchini che la furia del Po aveva
spinti su strisce di terra e che sarebbero morti affogati. E quando intervenne
nella Commissione parlamentare per i provvedimenti straordinari a favore della
Calabria un mordace deputato commentò: Povera Calabria, che casino!
A distanza di oltre un secolo si ha la prima relazione
geotecnica su Platì. E' Alberto Ducci, insigne geologo a compilarla, affermando
che lo spettacolo che si offre è quello tipico di un fenomeno di grandiosa
erosione in fase di piena attività. E' un vero sfasciume geologico che dipende
- secondo Ducci - dallo stato di particolare e profonda fratturazione delle
rocce costituenti l'intero versante orientale dell'Aspromonte orientale,
dall'alterazione profonda dovuta a processi geo-chimici e dalla montagna in
rapida fase di sollevamento. Le argille divenute rocce metaforfiche sono
ritornate, per alterazione, argille. E dalle profonde rughe dell'Aspromonte
sgorgano colate imponenti come manifestazioni di un astro appena nato. Ecco
perché il problema di Platì si pone, passata la prima emergenza, in termini
drammatici. Platì rappresenta il polso impazzito di una montagna che erutta
argille. L’intero territorio va studiato da geologi. Allo stato attuale la
regione Calabria (unica in Italia) non dispone di un servizio geologico. L'on.
Pastore, nel 1961, invitato a Reggio Calabria dal presidente del Consiglio,
Fanfani, a dire le sua, sulla legge speciale per le Calabria disse che,
approvata nel 1955, divenne operante nel 1957 perché della Calabria mancavano
persino le carte geografiche e geofisiche.
A Platì questa volta, bisogna andare con le carte in regola.
E’ nell’interesse di tutti.
GAZZETTA DEL SUD,
Anno XXXIV – Martedì 29 gennaio 1985
Nota - Questo articolo, come quello citato di C. Alvaro, era apparso su
queste pagine il 7 ottobre 2011 come immagine, senza trascrizione ed un titolo diverso. Oggi, nel 67° anniversario di quel tragico evento, è un tributo alla penna di Antonio Delfino, che i pulinaroti si apprestano a commemorare. La foto, tramite Francesco di Raimondo, appartiene alla famiglia Delfino.
Non erano trascorsi che otto anni dall’inizio del nuovo millennio
quando Platì perse i suoi due ultimi figli più illustri: Antonio Delfino e
Ernesto Gliozzi il giovane; il braccio secolare e quello metafisico-religioso
di un paese altrimenti noto. Lo zio il giorno della candelora, Delfino
allo scoccare dell’equinozio d’autunno. Nei cicli ricorrenti dell'anno sono due momenti importanti, l'inizio del risveglio e l'inizio del riposo della natura, un grande passaggio, che non è dato a chiunque poter scegliere, solo a chi lo merita. Per un paese come il nostro è molto importante, visto che ancora il legame con la terra permane. Tutti e due ampiamente ricordati per
mezzo delle loro opere e giorni. Tutti e due con un background familiare
difficile da nascondere. Antonio Delfino era figlio, del secondo, cronologicamente, uomo più famoso
tra quelli che cavalcarono per le terre e le montagne di Platì: Giuseppe
Delfino, meglio noto con l’alias massaru
peppi; il primo era stato Ferdinando, Caci,
Mittiga. Come nei migliori John Ford, l’uomo della legge ed il bandito. Per
buona parte, la storia di Platì, quella ancora arcaica, la vissero loro due. Tra
gli intellettuali platioti Antonio, Totò, Totu Delfino è stato il più completo:
docente, politico, letterato, giornalista, fotografo e chissà quant’altro. Il
matrimonio lo condusse fuori dal paese ma non per questo lo perse, anche grazie
alla complicità della sua sposa. Platì e la Calabria, la loro gente e i luoghi,
le leggende e la storia furono il suo chiodo fisso, da proteggere, conservare,
tramandare. E questo fece, grazie anche alla sua dote di uomo sociale e ben
voluto, accettato nelle mense ludiche siano esse intellettuali che conviviali.
Ogni platioru ha un Totu Delfino suo, anche io ho il mio che non dimenticherò
mai: amico di papà, dello zio Ciccillo, dello zio Ernesto, dello zio Pepé. Una
sera dei miei anni di mezzo squilla il telefono, Ginu sugnu Totu Delfinu, ndi sperdimmu, chi ta passi? Oggetto della
telefonata era una cosa naturale per quegli anni: una raccomandazione agli
esami di licenza liceale. Io li avrei promossi tutti, ma, gli dissi, se la
doveva vedere con mia sorella, membro della commissione in un liceo messinese,
che era più irremovibile di me. Come finì non lo so, quello che mi rimane ancora
nelle orecchie è quella sua voce gioviale, smagliante. Non lo rividi mai, la
sua testimonianza rimane anche grazie a queste pagine in cui egli ritorna e
rinasce.
La macchina con dentro i pulinaroti si è mossa. Loro cozzano e si
scherniscono da platioti. La loro meta e che il 1°
Antonio Delfino tribute & award non vada sprecato.
Colla presente scrittura privata in doppio originale da valersi per
ogni effetto di legge si obligano i sottoscritti sig.r Luigi Gliozzi e Romeo
Domenico fu Rocco di demolire una parte del palazzo della sig.ra Concetta
ved.va Fera , che vi accetta con le seguenti condizioni:
1° - Demolire le due stanze superiori nonché la parte ce riguarda la
scala.
2° - Demolire le scale fino al livello del primo piano.
3° - Ricostruire le scale che mettono l’ingresso nell’attuale cucina
nonché al solajo tutto in legno.
4° Sistemare il tetto come in atto si trova.
5° - Per questi lavori la sig.ra Fera si obbliga pagare la somma di
lire milleduecento (1200) nonché lasciare al beneficio dei sig.ri Gliozzi e
Romeo il supero dei materiali: cioè: trave, tavole, aperture (interni e
esterni), balconi in ferro, soglie, passamani della scala, mattoni, pietra ed
altro.
E’ per memoria
Platì 22 – 10 – 1928
Gliozzi Luigi accetto
Romeo Domenico accetto
Concetta Hyeraci ved. Fera accetta
Nota - La Signora Concetta Hyeraci era nativa di Roccella Ionica. In paese la portò il suo sposo Signor Michele Fera, padre di Mimì, Colonnello, Fera. Gli eredi di quest'ultimo sono i propretari della foto in apertura.
-Fera d. Francesco Saverio (Mo.16.10.1874/34) del mf
Giuseppe e mf Maria Mittiga,all' età di
30 anni, novizio, di buon ingegno e costumi, incaute et temere attrectans
igneam ballistam, contra seipsum explosit in proximo horto d.Josaphat Furore,
et sic letaliter vulneratus, a suis in domum paternam portatus, mira pietate et
religiose receptis Sacramentis Poen. Euch.et Extr.Unct., post triginta horas
acerbissimorum dolorum patientissime toleratorum,fervide commendans animam suam Deo et
precibus Sanctorum, saepe recitans illud s. Pauli "cupio dissolvi
etc.", complicatis manibus per modum crucis, et incessanter recitans illa
verba "in manus tuas, Domine, commendo spiritum meum"placidissime expiravit.
Don Francesco Fera Saverio del mf Giuseppe e mf Maria Mittiga,
morto all’eta di 30 anni il 16.10.1874, novizio, di buon ingegno e costumi,
imprudentemente e avventatamente raggiunto da un pezzo di legno che lo colpì
nelle vicinanze dell’orto di don Giosofattino Furore, e gravemente lo ferì;
trasportato in casa paterna, amabilmente assistito ricevette i Sacramenti della
Penitenza, Eucaristia e l’Estrema Unzione, passata la trentesima ora,
sopportando pazientemente i mortali dolori, con fervore rimise a Dio la sua
anima e con l’intercessione dei Santi, continuamente recitando la massima di
San Paolo “ sono messo alle strette ecc.”, incrociate le mani,
ininterrottamente recitando quelle parole “nelle tue mani, Signore, affido
l’anima mia” spirava serenamente.
Dal Libro dei Morti Vol. V, come riportato da Ernesto Gliozzi
il giovane. Mia è la traduzione letterale. Come la foto, shooting in Modica (RG), Chiesa San Pietro, pensando al Mantegna e a Pasolini.