Francesco, Michele, Pasquale diamoci una smossa ...
venerdì 5 febbraio 2016
La cerimonia (reg. Nagisa Oshima - 1971)
Francesco, Michele, Pasquale diamoci una smossa ...
giovedì 4 febbraio 2016
Amore a prima vista ( reg. Franco Rossi - 1957 )
PARROCCHIA N. S.ra DEL SS. SACRAMENTO
E SS. MARTIRI CANADESI
PADRI SACRAMENTINI
00161Roma 3 settembre 1990
Via G. B. De Rossi, 46 - Tel.
862.115
Rev.mo Sig. Parroco,
vengo a pregarLa di un grande favore. Una nostra giovane parrocchiana D. C.,
ha fatto conoscenza con un militare della Sua Parrocchia attualmente di stanza
a Roma Si chiama P. C. orfano di padre,il cui fratello si è sposato recentemente.
Come succede, siamo agli inizi di una simpatia mutua,che
potrebbe avere sviluppi anche buoni. Ma i genitori si preoccupano di avere
notizie,per quanto è possibile,sia sul giovane sia sulla famiglia di lui,per
non trovarsi di fronte ad incognite ed a
sorprese,mentre siamo a tempo ed agli inizi.
Oso per questo rivolgermi a Lei,scusandomi del disturbo che
Le dò. E' una grande carità che userà. E La ringrazio fin d'ora. Non è raro che
capiti che giovani militari già impegnati con qualche ragazza del paese,
durante il servizio militare diano qualche illusione a qualcuna di qui. Con
grande riservatezza abbia quindi la bontà di darci le opportune informazioni.
Il Signore La ricompensi.
Grato fin dora ossequio PAOLO SIRIO
Platì (RC), 13 settembre 1990
Caro Confratello,
rispondendo alla
lettera da Lei inviatami in data 03 u.s., Le posso dare buone referenze circa
la persona di cui mi parla e circa la sua famiglia; è un giovane serio e amante
del lavoro. Tanto a me personalmente risulta.
Naturalmente spetta
alla ragazza rendersi conto se si tratta di cosa seria o,di un semplice
entusiasmo giovanile che nel termine del servizio di leva svanisce.
Con la speranza di averLa servita, Le porgo distinti saluti.
Dev.m in Xsto
(sac. Ernesto-Gliozzi - Vic.parr.)
M.R. P. PAOLO SIRIO
Parr. N . S. del SS. Sacramento e SS. martiri Canedesi
vie G.B. De Rossi, 46 - 00161 ROMA,
mercoledì 3 febbraio 2016
Il delitto del nonno (reg. Abel gance 1919)
Il vino, il
compare e i pregiudizi
di Michele Papalia
Ogni domenica il
nonno li attendeva. Dopo la rasatura, la visita quotidiana al quadretto di orto,
che insisteva accanto alla casa seguita da un quarto di vino. Li aspettava
seduto su una cigolante sedia a sdraio che mal sopportava il peso di un uomo
tozzo, arcigno e dalle ossa dure come pietre. Era domenica 29 settembre, e per
i fedeli a Platì alla liturgia dell’Eucarestia si accompagnava la festa in
onore dei tre arcangeli.
Alla spicciolata
arrivarono, una dozzina in tutto, per una visita imposta a loro da bambini come
doverosa ma col passare degli anni divenuta piacevole rituale.
Quei nipoti erano
avidi di storie e aneddoti, attratti dalla voce narrante del nonno, maestro
nell’uso delle brevi pause cadenzate e bastevoli per far perdere gli occhi dei
più piccoli nel mare oceano della fantasia. Narrava il nonno di storie
dimenticate, di streghe e folletti, di bombe piovute dal cielo e di tesori
nascosti negli anfratti d’Aspromonte.
‘Ntoni, il
più grande di essi e però il più impaziente, chiedeva al nonno la questione del
“traffico”, senza risultati giacché il vecchio sembrava non sentire. E
attaccava con gli stessi discorsi; quanta merce aveva trasportato dalla Jonica
alla Piana, talvolta fino alle Serre o in direzione della Valle Grecanica tanto
da conoscere ogni sentiero di montagna e aver stretto tre comparati per ogni
paese, tutti dello stesso mestiere “Che
se non ci guardavamo tra noi altri mulattieri …”. Questi infatti, alla
stregua di una società di mutuo soccorso, non dimenticavano mai i bisogni dei
compagni di ventura e sventura e a distanza di anni, abbandonati muli e
sentieri, coglievano ogni loro incontro per trasformarlo in una gara di
brindisi dove il passaggio dal sobrio all’avvinazzato era intervallato giusto
dai primi bicchieri, svuotati quelli gli alticci compari non distinguevano più
la corposità né il colore rosso del vino.
Dietro la
continua insistenza di ‘Ntoni, quando
i due nipoti più piccoli mossero verso la cucina attratti dal profumo delle
melanzane, il nonno stavolta senza ritrosie andò alla questione del “traffico”
esordendo con la solita esclamazione: “A
ottant’anni chi se lo sognava, manco se me lo avesse detto la zingara!”.Infatti,
quando si parlava di carcerati e galera, di cose storte e di ingiustizie, la
veneranda età e l’illibata fedina penale del nonno, altero, lo inorgoglivano,
sentendosi innocente e fortunato perché salvatosi da certe giri e macchinazioni.
Non sapeva leggere e scrivere, e pur sapendo far di conto
inquadrando uomini e cose, aveva con negligenza sottovalutato i nuovi tempi,
credendo smaliziata la sua condotta nel ritrovarsi sotto il pergolato di Mico Racina, compare al nonno per avergli
battezzato l’ultimogenito.
Era accaduto due
lustri addietro eppure ancora a pensarci il nonno ricordava profumi e
sensazioni di quelle giornate, ricordava pure la voce rauca di suo compare che
non avrebbe più rivisto. E cominciarono a riaffiorare dettagli e parole.
“Vi aspetto per sabato mattina. Che così ci
facciamo un quarto di vino, di quello nuovo”, fatta l’ultima chiamata di
invito che suonava più come imperativo, Mico
Racina aveva riposto cornetta e rubrica telefonica, risolvendosi che tutti
erano stati invitati sotto la pergola.
Ma un nuovo sole
non fece in tempo a spuntare per i vecchi mulattieri.
In piena notte
dopo il canto del cuculo e prima che il gallo svegliasse il vicinato, divelta
la porta di casa i militari se lo portarono a forza per condurlo al
penitenziario.Tra imprecazioni e bestemmie a denti stretti, il nonno era e
rimaneva ignaro di ogni accusa fino a quando non si trovò di fronte al giudice
istruttore: “Voi venite accusato di
traffico di stupefacente del tipo cocaina commesso unitamente a vostro compare
Mico Racina”. Continuò il giudice a leggere l’ordinanza di custodia
cautelare non certo perché sapesse dell’analfabetismo dell’anziano mulattiere,
il quale impaurito dagli occhi di diavolo che vedeva in quelli
dell’inquisitore, non riusciva a raccapezzarsi.
Ridestatosi da
funesti visioni e fattosi coraggio, adoperando la lingua dei padri come
succedeva quasi d’istinto quando il discorso si faceva terribilmente serio, in
un dialetto stretto che l’avvocato compaesano si premurò di tradurre, il
carcerato fece sentire le sue ragioni: “La
signoria vostra deve sapere che i miei traffici li chiusi venti anni fa quando,
morto il mio asino, decisi di abbandonare i sentieri”.Un attimo di pausa
per guardare l’avvocato a mo’ di conferma e il nonno riprese: ”I miei compari mi chiamano a bere vino,
rosso della qualità di Cirò, e l’unico traffico di cui mi potete accusare è per
l’appunto questo”.
Le porte del
carcere si schiusero dopo un mese; tanto ci era voluto affinché un altro
giudice, vagliati gli incartamenti, decifrasse l’arcano spegnendo l’abbaglio
che irradiava gli occhi del collega, giudice incarcerato dal pregiudizio.
Nei dialoghi tra gli indagati, la giara non corrispondeva
al carico di cocaina, né il rosso e il bianco ad altre sostanze stupefacenti; e
le mangiate e le bevute sotto il pergolato, che il giudice sosteneva celassero
l’occasione per spartire illeciti proventi, altro non erano se non un
ritrovarsi che compare Mico Racina
organizzava periodicamente per riabbracciare i vecchi amici.
Il nonno tornato
a casa emaciato e sbattuta la porta che la nonna aveva fatto riparare, chiesto
il solito quarto di vino sentenziò: “Non
conosco più a nessuno. Né compari né amici, solo Padre, Figlio e Spirito Santo”.Risoluto
si autoassegnò il domicilio coatto, imponendosi di non banchettare più se non
con la nonna e i figli.
Aveva di meglio
da fare: un quadretto di orto da curare e dodici nipoti che non mancava
bonariamente di ammonire: “Statevi
attenti! Che oggi giorno avere amici è delitto”. Non sia mai che a qualche
scellerato uomo di legge e figlio del pregiudizio venissero in mente altre
diavolerie.
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Questo racconto di Michele è già apparso altrove. Appena letto ho avuto
invidia dei miei predecessori che, lasciatelo dire, non hanno riconosciute le
novità che lo scritto nasconde, accanto
alla deliziosa scrittura che cela in sé i toni e i colori del quadro di Cézanne
che illustrava (lì decolorato) una delle precedenti pubblicazioni. E la novità
per me è nel reinventare e trasporre le vicende paesane affinché altri,
altrove, possano uscire dai pregiudizi che stampa e media arcaici e moderni
hanno riversato traendo spunto dalle cronache e non solo da quelle.
Il cumulo dei miei anni mi hanno disilluso per l’avvenire spettantemi,
per chi spera la via è tracciata da Michele che ha il compito, nonché l’invito,
di continuare a scrivere.
Affinché non mi si accusi di furto con plag(g)io vi informo che il lavoro
di Michele è apparso su:
In Aspromonte- giornale di cultura, ambiente, risorse, eventi del massiccio montano- novembre 2015
e su Platìonline.net il blog di don Ciccillo
Violi
martedì 2 febbraio 2016
La terra trema (reg. Luchino Visconti - 1948)
Platì.
Borgata di 3600 abitanti, posta su pendio ripidissimo, in un burrone ove scorre l'acqua che dà origine al torrente di Platì; trovasi sull'eocene, al suo contatto col granito dell'Aspromonte, che ivi è tagliato a picco; il suolo è di argilla scagliosa, nella parte inferiore del paese, coperta da un sottile strato di alluvione del fiume.
La costruzione delle case in generale è vecchia e pessima, fatta con ciottoli rotondi, non passati di mazza, con calce lasciata sventare, e sabbia per lo più terrosa, non lavata: non si fanno scavi per le fondamenta. Però da 10 anni, dopo che si è cominciata la costruzione della via carrozzabile Platì- Santa Cristina e dei relativi manufatti,si è imparato in paese a fabbricare meglio. I pavimenti delle case sono sostenuti da legname, e nelle costruzioni moderne da volte : il numero dei piani è di 1 e 2,talora 3.
I danni prodotti dal terremoto sono stati grandissimi: un sesto delle case del comune sono state demolite, ed erano quelle in peggiori condizioni; un settimo delle case sono puntellate, moltissime sono lesionate, tutte almeno leggermente.
Ad ogni passo nel paese si incontrano case rovinate, o demolite, o ricostruite, specialmente al piano superiore. Certamente ha avuto gran parte a produrre sì gravi effetti la cattiva costruzione, la mancanza di fondamenta, la natura e giacitura* infelice del suolo, ma è altresì sicuro che lo scuotimento dev'essere stato fortissimo, probabilmente per il movimento discordante delle rocce diverse che s'incontrano pressoché verticalmente.
Chiesa parrocchiale. E’ posta in basso presso la riva e nell’alluvione del fiume: fu restaurata prima del terremoto: si erano messe due catene nuove nell'incavallatura del tetto, si era fatto un pavimento con travi di ferro per il coro sospeso; non ha avuto altro danno che la caduta di tre delle pigne poste alla base del pinnacolo: rimase in parte la quarta rivolta ad Est.
Palazzo del Sindaco signor Oliva. Di antica ma buona costruzione: ha lesioni interne gravi, ma poche all'esterno: fra queste il distacco della facciata rivolta a SW.
Casa Mittiga. Di recente e buona costruzione, situata in basso; ha pianta isolata, quadrata; tre piani: vi sono grandi fratture verticali nella facciata di retta N-S: grandi fratture, anche orizzontali, nella faccia diretta E-W, ove sono pure rotti in chiave gli archi delle finestre: indicherebbe oscillazione in entrambe le direzioni.
Alle ore 6. 15 del 16 novembre vi fu una scossa, generalmente avvertita per il tremolìo che produsse dei grandi è piccoli oggetti, ma che non produsse alcun danno. La grande scossa delle ore 18.50 fu fortissima, prima sussultoria e poi ondulatoria nella direzione N-S, secondo il Sindaco; invece il messo municipale, che si era attaccato alle sbarre dell'inferriata di una finestra, dice di avere avvertita la direzione E-W. Fu accompagnata da rombo. Nella casa del Sindaco fece cadere giù e lontano dalla tavola un lume ad olio a becchi, di antica costruzione: il nipote del Sindaco raccolse il lume, scese le scale di 23 gradini e giunto in fondo, il terremoto durava ancora: egli dice di non aver inteso rombo, ma che durante il terremoto avvertì un rumore come di treno. Alle ore 23 altra scossa che produsse nuovi danni: continuarono le scosse nella notte.
Gli animali nelle mandrie (recinti) si agitarono molto, anche durante la giornata del terremoto.
ANNALI DEL R. UFFICIO CENTRALE METEOROLOGICO E GEODINAMICO Serie Seconda — Vol. XIX — Parte 1 — 1897
TERREMOTO DEL 16 NOVEMBRE 1894 IN CALABRIA E SICILIA
RELAZIONE SCIENTIFICA DELLA COMMISSIONE INCARICATA DEGLI STUDI DAL GOVERNO
Rapporti di A. Ricco, E. Cabrana, M. Baratta, Di Stefano
Bella, mia foto
lunedì 1 febbraio 2016
I visitatori (reg. Jean-Marie Poiré - 1993)
Leopoldo Franchetti Ernesto Nathan
Franchetti e Nathan a Platì
Platì 26'
(Ettore) Ieri, verso le 11, sono
arrivati gli onorevoli Barone Leopoldo
Franchetti ed Ernesto Nathan, del Comitato Centrale di Soccorso, accompagnati
dall’instancabile cav. Antonino Spagnuolo, nostro cons. Provinciale.
Sono stati ricevuti dal Sindaco cav. Francesco Oliva e dal tenente
Ricciardi, insieme col quale e col sig. Spagnuolo hanno girato tutto il paese,
soffermandosi dinanzi alle case maggiormente devastate dal terremoto, o
chiedendo informazioni intorno alle condizioni morali ad economiche della
popolazione.
L' impressione che no hanno riportata è stata assai penosa, non
immaginandosi essi di trovare tante rovine. Sono ripartiti alle ore 14 e 30, senza aver voluto
accettare il pranzo che gentilmente avea
offerto loro il cav. Oliva, dovendo trovarsi in Reggio la sera stessa.
Platì spera che la visita onde l’hanno onorata i signori Franchetti e
Nathan non rimanga senza risultato, e che pari all’importanza del disastro che
l’ha colpito sia il sussidio che gli verrà destinato dal Comitato Centrale di
Soccorso. – Le scosse di terremoto continuano incessanti e, mantenendo gli
animi in orgasmo, impediscono agli operai di attendere tranquillamente al
lavoro; donde l’aumento della miseria che richiede soccorsi solleciti e
copiosi.
IL PUNGOLO PARLAMENTARE –
GIORNALE DELLA SERA
Napoli, Martedì-Mercoledì 29-30 Gennaio 1895
domenica 31 gennaio 2016
Angeli a sud (reg. Massimo Scaglione - 1991)
Serafina Mittiga
8 febbraio 1919 - 9 novembre 1963
non mi posso mai dimenticare di voi, erevamo vicini di casa e poi c'era un reciprico rispetto tra le famiglie.
Tua sorella e mia sorella Tota erano strettissime amiche, ricordo che mia sorella era sempre a casa tua; Io ho pure frequentato il primo Agrario a Bovalino con tuo fratello Saro.
Il tutto per gentilezza di Mimmo Perri lontano in Australia, vicinissimo col cuore.
giovedì 28 gennaio 2016
La strada verso casa (reg. Zhang Yimou - 1999)
Km
56 Piani di Zillastro
57 Cichi (?)
58 Catanzaro
59 Ciliti
60 Savica
61 Arcopio
62 Rua
63 Pendola
64 Lacco di Torno
65 Valle del Cancellere
66 Edera
67 Castaneto
68 Cromatì
69 Barrosa
70 Sifone
71 Platì centro
72 Pirare
73 Lacchi
74 Bollorino
75 Bosco
76 Stalle
77 Natile centro
78 Mulino Nuovo
79 Pietropapa
80 Trappeto Musolino
81
82 Guardia di Careri
mercoledì 27 gennaio 2016
La luna (reg. Bernardo Bertolucci - 1979)
Platì 19 – 9 – 57
Carissima M. Gemma
Abbiamo ricevuto le valige di Pina nelle quali c’erano anche le cose
per noi e ti ringrazio a nome di tutti. Ciccillo ancora non ha visto le calze,
dato che ieri è andato a Polsi e tornerà oggi, ma credo che non sono adatte per
lui perché troppo corte. Le comprerà a Reggio perché ha portato un paio per
vedere se gli stanno bene.
Le immaginette ancora non le hanno fatte, oggi Ernesto è andato a
Reggio e se sono pronte le porterà. Lui
viaggia tutti i giorni e torna a casa la sera. Ti mando la lettera di Iola e ti
prego di rimandarla indietro perché voglio conservarla assieme alle altre che
ci sono pervenute per la morte di papà. Voglio anche trascriverti un sogno che
ha fatto Giulia la quale nella sua
lettera mi dice: ho sognato il tuo babbo
e in un modo bellissimo. Mi parve di essere inseguita da due negri e per
sfuggirli mi sono riparata in un palazzo lussuosissimo. Ho suonato ed è apparso
tuo papà, giovanissimo e in una magnifica divisa. L’ho riconosciuto perché lo
chiamai per nome ed egli mi accolse col suo solito sorriso. Curiosa di sapere
qualcosa di lui e della sua nuova vita,gli ho chiesto come stava e come si trovava.
Mi ha risposto queste testuali parole: sto benissimo, anzi non sono mai stato
tanto bene come ora. Poi sli ho chiesto se aveva bisogno di qualche cosa e lui
mi ha detto che non gli manca nulla, che ha tutto quello che si può desiderare.
Gli ho chiesto pure se voleva far sapere qualcosa alla sua famiglia e mi ha
detto. Dica che diano le mie camice al tale, mi ha spiegato a chi ma io non
ricordo il nome. Alle altre mie domande ha risposto: fino alla nuova luna non
posso dire niente. La mia mamma ( è ancora Giulia che parla) ha attribuito che
gli stanno facendo il mese gregoriano e che all’altra luna la sua benedetta
anima volerà in Paradiso quindi sarà in grado di darci tutte le spiegazioni che
ora non ha potuto.
Certo è stato un bel sogno, tu come lo spieghi. Le messe Gregoriane
finiscono davvero il giorno prima che incomincia la nuova luna.
La mamma sta bene è contenta che tu non ritorni a porta Pia. Don
Palermo se ne andrà in Alta Italia. Hai ricevuto il suo biglietto?
Noi stiamo tutti bene e tu?
Tanti cari baci da noi tutti
Amalia
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Once upon a time in Platì
lunedì 25 gennaio 2016
Affari di famiglia (reg. Marcello Fondato - 1989)
Posilipo 15 Settembre 1865
Mio caro Sig.r Compare
Ieri l’altro ricevei la vostra gradita del 6 andante, cui rispondo. E
vi ringrazio, anche per parte della mia amabile contessina della vostra
attenzione e del dispiacere avuto del suo aborto. Ora, grazie a Dio sta bene,
egualmente che me, e tutti della famiglia; e vi salutano con tutti della
vostra, dei parenti ed amici e domestici, verso i quali io fo lo stesso.
Sento quanto voi dite relativamente ai miei affari de quali parleremo
col vivo della voce alla mia prossima venuta.
Partirò lunedì 18 col (…) D. Rosario.
Vi dico solo di fare subito notificare Caminiti, e mi meraviglio come
avete ritardato sinora.
Contro Giov. Amedeo e D. Nicola Oliva bisogna agire per via penale per
dare un caso di esempio agli altri, diversamente i naturali di Careri, abusando
della mia assenza, mi rovineranno.
Non si può fare a meno di acquistare la parte della chiusa di Francesco
Trimboli Postino, per me vi autorizzo a farla.
Non altro per mancanza di tempo, vi scrivo da Palmi.
Intanto vi abbraccio coi miei fratelli e soliti cugini, e specialmente
D. Ciccio e l’arciprete. E sono
Vostro aff. Mo Compare
Filippo
Oliva
Posilipo Villa Ricciardi 27 Agosto 1866
Mio caro Sig.r Compare
Ci siamo compiaciuti del vostro miglioramento, annunziatoci colla
gradita vostra del 19mdel corrente mese, e vene auguriamo la completa
guarigione. Noi qui grazie al Signore stiamo benissimo ad onta della malattia
del colera dominate nella Città di Napoli della quale noi poco o nulla ci
preoccupiamo, essendo più benigna dell’annopassato, e per la posizione in cui
siamo. Dite dunque ai miei ed al mio prediletto fratello D. Ciccio, che stia tranquillo.
Speriamo, ch’egli e gli altri nostri godano pure buona salute.
Sin dall’anno passato io vi esternai la mia opinione per l’affitto del
molino di Platì, e non l’eseguì a riguardo del mio fratello che fu di diverso
parere. Or ch’egli vi acconsente io con tutto piacere vi annuisco porre, e mi
rimetto a quello ch’Egli e voi farete all’ggetto.
Attendo il quadro promessomi, e la somma disponibile, come vi scrissi
colle antecedenti mie.
Il Sig. Grillo non mi ha mandato gl’interessi e però mi trovo molto imbarazzato.
Compiacetevi dire a mio fratello, che gli facesse premura.
Vi riferisco i saluti della mia buona ed affettuosa Contessina anche
per tutti gli altri nostri, che io pure saluto coi domestici e foresi ed
abbracciandovi coi miei fratelli e Cugino Arciprete, sono
Vostro aff. Mo Compare
Filippo Oliva
domenica 24 gennaio 2016
Acque amare (reg. Sergio Corbucci - 1954)
Guizzan solchi di fanghi d’ogni parte
............. E giù a rovescio
Pioggia rovina con ampio fragore
(
Scene d’un’ alluvione )
Il
cielo s’era coperto di nuvole: qua e la fra gli strappi brillava qualche
stella, e tratto tratto il notturno silenzio veniva rotto da l’abbaiare d’un
cane.
Ero
stato per molte ore a casa di un mio maestro, e me ne ritornavo tardi, in
compagnia della mia anima, gittando dietro di me, coi buffi del sigaro,
rimembranze, impressioni, pensieri. Ero appena entrato nel portone di casa mia
che un rombo cupo e prolungato mi gela il sangue ... seguito da un fragore
assordante come scoppio improvviso di musica.
Le
cataratte del cielo si sono aperte ... l’acqua vien giù a secchioni come il
ciel ce la manda, e un lampeggiar continuo, un continuo rumoreggiare ti fa
tremare le gambe.
Il
paese dorme. Desti alcuni dall’improvviso frastuono, cacciano la testa fuori
dalle lenzuola ... tendono l’orecchio ... piove ... e di bel nuovo la
ricacciano sotto per dormire i dolci sonni ... Altri, vedendo luccicare fra gli
spiragli delle chiuse imposte il lampo, si coprono la testa con le lenzuola
mormorando preghiere. E intanto la pioggia fitta e continua pesta sul tetto ...
sui vetri ... sul suolo. Io mi accingevo ad una magnifica descrizione, vedendo
il cielo denso, quanto l’anima dell’omicida, fesso, tratto tratto da solchi di
fuoco
Un
grido mi ferì l’orecchio: La china! la china!
Afferro
il lume, m’affaccio alla finestra, ed oh spettacolo! ... Un torrente
precipitoso viene giù per la china, sfondando usci, diroccando case, e portando
dietro con sé la rovina e la distruzione.
Tutte
le finestre s’illuminano, un vociar continuo da tutte le parti: “ Gesù Maria
che diluvio ! ... Ci porta a mare! ... I nostri peccati ... Santa Barbara Santa
Barbara! “ Un lampo impone loro silenzio. Tutti si segnano invocando la
Vergine. Già asciutto dalle loro pettegolezze, stavo per chiudere la finestra e
riprendere la descrizione, quando, un nuovo grido, più prolungato e doloroso
m’inchioda a vedere ... Vidi ...
Una
donna con un bambino al collo, forsennata dibattersi fra le acque che
l’avvolgevano, e la trascinavano furiosamente giù per la china. Un giovine
contadino, il più bello del paese ... - che io, non so perché, guardavo con
occhio torvo - vidi sfidare le vincitrici acque strappar loro la preda e
portarla in salvo. Lo vidi, alla giallognola luce della folgore, con la testa
alta, col bambino al collo, la donna salva ai suoi piedi, guardare le acque
vinte con un sorriso
Meravigliato
stavo per continuare la descrizione quando un
pensiero terribile quanto un fulmine mi passò per la mente.. Presi lo
scritto lo feci a pezzi e lo gettai sul fuoco dicendo: Quegli è una santa
creatura, più nobile, più coraggioso di me; io non sono degno di baciargli le
mani
E,
andando a letto, gli mandai mille baci con la mente, col cuore, con tutta
l’anima mia.
5
Novembre 1899
Ernesto Gliozzi sen
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