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martedì 3 febbraio 2015

Il vecchio testamento (reg.Gianfranco Parolini - 1962)




Testamento Pubblico
Regnando Vittorio Emanuele terzo, per grazia di Dio, e per volontà della Nazione Re d’Italia. Nel giorno tredici Marzo mille novecentotto, 1908, in Platì, nella casa di abitazione del Sig. Francesco Morabito, sita in Piazza S. Nicola alle ore sette pomeridiane. Innanzi a Noi Notar Carmelo Febbo, residente in Gerace Superiore, qui all’oggetto dell’atto presente, iscritto presso il Consiglio Notarile Distrettuale di Gerace Marina, in presenza dei testimoni da Noi ben conosciuti e forniti dei requisiti richiesti dalla Legge, Signor Sacerdote Ernesto Gliozzi di Francesco, Musolino Giuseppe di Damiano, bettoliere, Catanzariti Francesco fu Domenico, pastore, e Rocco Schimizzi di Antonio, mulattiere, tutti e quattro nati e domiciliati in Platì, si è personalmente costituito il Signor Francesco Morabito fu Giuseppe, possidente, nato e domiciliato in Platì, ben noto a Noi Notaio e testimoni suddetti, il quale, sebbene affetto di lieve bronchite, pure sano di mente e nettissimi sensi, come si è constatato da Noi Notaio e testimoni, dichiara di volere fare il suo ultimo Testamento in pubblica Forma, perciò manifesta a Noi Notajo ed alla presenza dei sudetti testimoni la di Lui volontà che da Noi medesimo sarà ridatta in iscritto  alla medesima presenza dei  prefati testimoni, nel modo conforme come ci viene dichiarata. È volontà del sudetto Testatore Francesco Morabito d’istituire, come in forza del presente testamento, nomina ed istituisce per suoi eredi universali e particolari, ed in parte eguale tra essi, i suoi affettuosi ed amati nipoti a nome Ferdinando, Domenicantonio e Giuseppina Morabito di Rosario fratello germano di esso testatore. E l’altra sua nipote Francesca Morabito di Domenico anco  fratello germano del testatore. I quali tutti e quattro dovranno raccogliere tutto quanto possiede in atto e potrà possedere sino all’epoca del di lui decesso, come siano immobili, dovunque posti e siti, e di qualunque natura essi siano, e tutti i di Lui diritti dovutegli e nascenti da qualsiasi titolo o causa, tutto compreso e niente escluso od eccettuato, rispettando il seguente disegno o legato. Per i diritti della moglie di esso testatore a nome Mariantonia Avenoso che le potranno competere col decesso dello stesso, come a coniuge superstite, Lega e Lascia, per  tale di Lei diritto, colla medesima tutto il mobilio, biancheria, effetti mobili, cereali, liquidi e quanto altro lì troverà nell’attuale sua casa di abitazione in proprietà ed usufrutto, e l’uso esclusivo di poter abitare l’attuale sua casa durante la di Lei vita. Dietro il decesso della quale , tale uso si dovrà consolidare, cura alla proprietà, in persona dei quattro suoi nipoti eredi universali proprietari. E con ciò esso testatore Francesco Morabito si trova d’aver compensato ad oltranza detta sua moglie Mariantonia Avenoso per quei diritti che le spettano come a coniuge superstite. Ed essendo questa e non altro la volontà del sudetto testatore Francesco Morabito, da Noi venne fedelmente ed esattamente ridatto in iscritto nel modo uniforme ci venne dichiarato. L’atto presente non viene sottoscritto dal testatore, attesa la malattia che non permette si fargli fare infreddatura. In seguito di ciò Noi Notajo abbiamo letto a voce chiara ed intellegibile l presente testamento ad esso testatore, in presenza di testimoni, ed interrogato lo stesso se in questo atto si contiene la di Lui volontà, ci ha risposto affermativamente e perciò l’approva e l’accetta.Fatto, pubblicato e ricevuto in Platì, circondario di Gerace Marina, Provincia di Reggio Calabria, oggi quidetto giorno, alla presenza del testatore di sopra costituito ed individuato, nonché dei sudeti testimoni, i quali con Noi Notajo sottoscrivono il presente atto che  venne vergato su di un foglio di carta di Legale incisione in quattro facciate, meno righe, di carattere di persona di Nostra fiducia e da Noi medesimo compilato e venne chiuso alla ora otto e mezzo pomeridiani d’Italia. Firmati_ Sac: Ernesto Gliozzi teste, Musolino Giuseppe Teste, Catanzariti Giuseppe Teste, Schimizzi Rocco Teste.  Notar Carmelo Febbo residente in Gerace Superiore ho stipulato.
La presente copia è perfettamente confporme al suo originale, rilasciata in carta libera per uso successione.
Gerace Superiore 23 Agosto 1909 novembre
Notar Carmelo Febbo residente in Gerace Superiore ho stipulato.
Il costo della presente copia è di £ire cinque Notar Carmelo Febbo


lunedì 2 febbraio 2015

I cavalieri della montagna (reg. Mario Bonnard e Luis Trenker - 1930)

Quando a Polsi si andava a dorso di mulo

Viaggio a Polsi

con
I superiori del Santuario di Polsi:
Don Antonio Pelle da Antonimina
Don Giosafatto Trimboli da Platì

e con
Francesco Ciccillo Gliozzi
Ernesto Gliozzi, il giovane
Amalia Gliozzi
Pina Miceli
Francesco Duccio Miceli
Mimmo Perri

Riprese
Gliozzi
Miceli
Perri

1971

editing
L. M.

2015

domenica 1 febbraio 2015

Papà ma che cosa hai fatto in guerra? Pt. 12




Affettuoso Papà
Dopo la tempesta venne la calma e questa fu appunto la letterina col bellissimo ritratto che mi avete mandato.
Non finivo più di baciarlo e me lo contendevo con le sorelline, le quali, con la mamma, lo zio e la zia, erano anche contentissime.
Ma io vorrei baciare non la carta ma l’originale; cioè voi, adorato papà, che tanto mi amate e che tanto soffrite lontano da noi. Vi conforti il pensiero che il nostro cuore è sempre con voi come noi  non viviamo che pensando a voi.
Tutti vi abbracciamo e vi mandiamo una infinità di carezze e di baci. Benedite Rosina, Caterinuzza, Ernestino col
Vostro affmo
Ciccillo


Caro Luigi
Ieri sera ti feci una lettera lunga lunga, come la predica di Giovedì santo. Quando andavo ad impostarla, incontrai Pasqualino il quale mi disse che l’Amico intende accettare il contratto e dare vigore al fitto, però vuole la mia solidanza. Cosa che io accetto. Dimmi perciò che bisogna fare e , se ti riesce, cerca un giorno di licenza per trovarlo qui, prima che riparta per Roma.
Oggi ti ho spedito due pacchi di 5 kg per uno e ti prego non risparmiare nulla per la tua salute.
D. Antonio scrisse e ti ossequia. Ossequi pure dai soliti amici e gli abbracci di Bettina, Serafina e miei.
Vogliami bene
Tuo
Ernesto

mercoledì 28 gennaio 2015

Pietro il grande (reg. Vladimir M. Petrov - 1937)


Dalle nostre parti le leggende su San Pietro sono fiorite per via dei Vangeli e degli Atti. Sono esse legate ai culti e alle tradizioni di un popolo ancorato alla terra da cui tutto aveva origine. Questa è una delle tante.

La regina delle magare si crede che fosse stata la madre di S. Pietro. Il popolo crede che S. Pietro fosse tignoso, e magara la madre di lui. Ed ella disse tra sé: Or perché mio figlio deve essere discepolo, e maestro cosi potente colui dalla zazzera lunga? Voglio fare una magia a codesto Cristo. Gliela fece, e la pose sotto la soglia della porta, senza farne motto al figlio. Ci era un di festivo, e disse a Pietro: Vedi Pietro che stamane voglio invitare il maestro tuo. S. Pietro fa fare un banchetto, e vi porta il maestro. Ma Cristo stando per entrare disse a Pietro:  Pietro, pigliami a cavalluccio. Pietro obbedì, e la madre se ne morse il dito. Durante la tavola, ella dunque si alza e passa la magia nell'architrave. Finito il desinare, Cristo disse a Pietro:  Mettiti a cavalluccio su di me . Pietro obbedì, ma quando furono soli, Pietro chiese ragione del fatto, Cristo raccontò la cosa come era; e concluse con dire:
Magaria fatta sia;
Chi la fa, e chi la fa fare
non vedrà la cera mia.

Vincenzo Padula, Persone di Calabria


Nella foto Pietra Cappa, legata anch’essa ad una leggenda su San Pietro.

martedì 27 gennaio 2015

Kaos (reg. Paolo e Vittorio Taviani -1984)



In quest’angolo di Magna Grecia la natura si è manifestata con severa parsimonia: roccia e acqua! Ma queste rocce e queste acque sono una realtà, sono la materia di cui è formato l'uomo. Un paesaggio così luminoso, così deciso a rifiutare ogni accessorio, esige d’essere espresso in forme semplici e coraggiose; ci porta verso la terra, a cui apparteniamo; guarisce della malattia dell’introspezione e risveglia quella capacità che corriamo il rischio di perdere nella nostra morbosa malinconia iperborea: la capacità di un sincero disprezzo. Disprezzo per quella teoria-spauracchio che vorrebbe indurci a trascurare ciò che è terreno e tangibile. Che cosa è una vita ben vissuta, se non la felice liberazione dal caos primordiale, da quelle comode vaghezze intangibili che si celano intorno a noi, pronte a coglierci nei momenti di debolezza? 
Norman Douglas, Old Calabria, op.cit.

Le foto, per gentile concessione di Francesco di Raimondo, sono una sorpresa. Nella prima riconosco Pasqualino Violi, Duccio e mio fratello Saro, con la lingua di fuori, rebel without a cause. Nella seconda Pina, sorella di Duccio, miei cugini, e Maria, mia sorella, la prima alla vostra destra, seduta. Le altre e gli altri, volti fissati nel tempo cui poter dare un nome: paesaggio così luminoso, così deciso a rifiutare ogni accessorio che mi riporta verso la terra, a cui apparteniamo.




domenica 25 gennaio 2015

L'assoluzione (reg. Ulu Grosbard - 1981)



Ecco accontentati quanti cercano la storia del paese. E' roba di prima mano. E siccome  mi piace, sovrappongo allo zio Ernesto il vecchio (il prete) e a Don Peppe Zappia (il padrone della fortuna) i volti di Robert De Niro. Lo so, è poco.


In morte
Del Sig.r Giuseppe Zappia

        Signori –
Dinanzi alla bara che racchiude il cadavere di un uomo pratico, sobrio, equilibrato, nuovissimo – per accarezzare, forse, le orecchie dei puritani indigeni, dovrei stamattina recitare tutta di un fiato la confessione del povero Manfredi, dove dice:
“ Orribil furo li peccati miei “
Se non che, visto e considerato che una buona confessione, un ravvedimento, un pentimento sincero – anche in punto di morte – valgano a cancellare qualunque macchia, a rendere pura qualunque anima – mi affretto a completare la terzina dantesca che conchiude:
“ Ma la bontà divina ha si gran braccio
  Che accoglie ciò che si rivolge a lei “
Spero che come me, abbiate visto anche voi ravveduto e contrito quell’uomo forte che dinanzi alla maestà della religione, al supremo mistero della morte, piegava riverente la fronte e pregava!
L’avete veduto ? – Vi basta?
Ora, più che un sentimento di pietà cristiana, più che un generoso perdono  (che dopotutto non si nega ai morti ) più ch la magnanimità vostra, io voglio da voi il vostro rispetto, la vostra ammirazione, la vostra lode per colui che fu Don Peppe Zappia, al secolo, oggi un’anima pietosa che passa. Oh la livellatrice di tutte le disuguaglianze sociali, la Morte!
Intanto rivediamo un po’ la vita di quest’uomo e se non dite che ha fatto male a moltiplicare i suoi talenti – come quel servo dell’evangelo – io cercherò di mettere sotto terra il solo talento che abbia, unicamente per piacere a voi.
Fu un uomo d’azione.
Mentre i suoi coetanei marcivano beati, in questa valle amena e non spingevano la vista neppure alla marina … non curando d’uno sguardo tutto quel chiasso che faceva il vapore, quando passava ansimando per la prima volta … Egli facendo il commercio del bozzolo in tutta la provincia ed anche fuori, ritornava ogni anno carico di denari, destando la gelosia e l’invidia di non pochi. Un uomo che si trova nei traffici
 – massime se i primi successi l’incalzano – non si arresta così facilmente, ma viene assorbito, trascinato direi dalla corrente e vuole, ardentemente vuole arricchirsi.
S’arricchì coi fatti, lascia un patrimonio di parecchi milioni.
Peccato che questa sete dell’oro non si estingue mai e divora perennemente le viscere!
Non solo dunque il commercio del bozzolo, ma in ogni ramo dell’industria consacrò le sue virili energie. Il suo occhio esperto di conoscitore di uomini e di cose, il suo parlare franco, sincero, da padrone, la sua liberalità e generosità a tempo opportuno, gli valsero tanto che giunse e ottenne un premio, “ ch’era follia sperar “
Quando neghittosi, innamorati dal dolce far niente, stanchi dal fantasticare. O dal lavorare a balzi, a strappi, a furia, senza perseveranza, si accorsero dell’altezza vertiginosa su cui era salito quell’uomo nuovo, pur non avendo ciondoli e blasoni, affilate le armi della loro malvagità, con gioia beffarda si diedero a rinvangare la sua vita passata e rimproverargli il suo essere primitivo! Ma Giuseppe Zappia più che offendersi, menava vanto della propria origine, perché di là misurava il cammino che aveva fatto e non era poco!
O se di perdere il tempo catoneggiando, volessero i nostri uomini lavorare di più e muoversi, quante ricchezze non apparterrebbero in questo paesello querulo … di quante risorse, non sarebbe esso capace! Perché, alla fine, se procurate a voi ed ai vostri un benessere materiale e morale, non è detto che gli altri non ne possano indirettamente godere.

Ci sono di quelli che per compatire la propria ignavia, mettono in campo la fortuna. Noi rispondiamo: “ La fortuna esiste, ma non si fa vedere, non si lascia cogliere se non da coloro che hanno acquistato il diritto a vederla e a coglierla”.

Giuseppe Zappia era padrone della fortuna.
Egli col viaggiare continuo, aveva imparato tante cose, aveva perduto tanti preconcetti, tanti pregiudizi, si era spogliato di tante malfondate avversioni, di tante irragionevoli antipatie, ed aveva appreso a giudicar meglio le condizioni del nostro paese e a far giusta stima degli ostacoli che si frappongono al nostro avanzamento ed agli espedienti per superarli.
Non mi dite che la sua assunzione al sindacato sarebbe stata per noi una calamità.
Fu è vero retrivo a questa ambizioncella meschina. Ma se avesse dato alla barca tutto il vigore delle sue braccia robuste, se avesse voluto guidare il timone … non l’avremmo veduto, anni fa, sconquassata ed infranta sulla riva, come uno straccio.
Queste sono le considerazioni che faccio dinanzi a questa bara per ottenere da voi l’assentimento alla lode, alla stima, all’ammirazione per quest’uomo che s’estingue “ segno di immensa invidia e di pietà profonda”.
Non ve lo presento dunque quale un santo, come vedete. Ebbe peccati ma ebbe anche modo e tempo per espiarli.
Ma chi siete voi, chi son io, che sotto gli occhi del Mite Nazareno, osiamo parlare in questo modo acerbo, presente un’anima contrita, implorante il perdono?
Farisei, forse? – Chi sa!
Ricordate?
Irruppe attorno al Maestro un  giorno una turba fremente di punizione. Una povera donna tremava per l’imminente castigo. L’adultera! Una nube, densa di pietà per gli accusatori e l’accusata passa sulla fronte del Divino Rabbi. Scrive per terra. Indi si volta e dice: “ Chi non ha peccati scagli la prima pietra “. Si dileguano gli accusatori ad uno ad uno. Quando si vide solo e s’udivano ancora i palpiti di quella donna misera “ Dove sono, le dice, coloro che ti accusavano? Nessuno? – Va in pace! “
E così dico a voi, anime pie: Possiamo fare entrare sotto le arcate di questo tempio l’anima di Giuseppe Zappia? Non l’accusate nessuno? Siete venuti, è vero, per sentimento di ammirazione, per debito di gratitudine verso l’estinto o vivi? E’ perciò che non vi dileguate?
Anima di Giuseppe Zappia va in pace.
“ Suvvenite sancti Dei, intercedete angeli Domini, suscipientes eam in cospecta Altissimo “

Platì Novembre 1920
 Sac. Ernesto Gliozzi sen.

Eppure ... don Peppe ... Tutto si trasformava in mitologia sotto la penna dello zio. Oggi la mitologia è stata barattata con lo sperpero della personalità. pax Domini sit semper vobiscum, per citare il Robert De Niro del titolo.

mercoledì 21 gennaio 2015

Il grande truffatore (reg. Georg Marischka 1960)





Il Sor Mercurio

Ha testa calva e questo saria niente
se dentro avesse u’oncia di cervello;
bocca tutta menzogne e senza dente,
lupo rapace, si camuffa agnello.

Visse e vive alle spalle della gente
truffando co  sua brogli or questo or quello
e seco porta sin da adolescente
di reati e condanne il gran fardello.

Millantator di gesta portentose
nell’agone del foro, à infatuito
i gonzi e le tughine scrupolose

che tosto lo impastarono Avvocato!!!
di legge fece scempio e figlio spurio
dal foro or è chiamato il Sor Mercurio!!!

Luigi Gliozzi

Il nonno con l'avvocato Mercurio ( Alberto Emanuele Orazio fu Costantino) aveva, come si suol dire, il dente avvelenato, in una guerra che li vide opposti per anni, come quella di Troia. Qui Elena non c'entrava!




martedì 20 gennaio 2015

domenica 18 gennaio 2015

Ricorda il mio nome

G l i   Alias  (i soprannomi)  di  P l a t ì
                                   
         Libro dei Battezzati- vol.XVII°

-Perre Domenico(23.12.1934/12-136) di Rocco malavita e Romeo Elisabetta di Saverio.
-Catanzariti Elisabetta(6.1.1935/14-3)di Domenico giarruni e Perre Anna di Rocco.
-Trimboli Serafina(13.1.1935/14-5)di Giuseppe vajaneja e Perre Elisabetta di Antonio ciuciu.
-Barbaro Santa(21.1.1935/15-7)di Rocco zumpanu e Cutrì Anna di Antonio.
-Stalteri Pasquale(20.1.1935/15-8)di Domen. e Sergi Caterina di Domen.tri.
-Marando Giuseppa(26.1.1935/16-9)di Domenico Antonio e Catanzariti Elisabetta di Giuseppe guerra.
-Trimboli Giuseppe(3.2.1935/16-10)di Antonio piseja e Perre Caterina di Giuseppe santallino.
-Trimboli Caterina(9.2.1935/17-13)di Antonio foca e Barbaro Filom.di Pasq.
-Marando M. Grazia(10.2.1935/17-14)di Vincenzo pajuni e Pangallo Elisab. di Giuseppe zoru.
-Lentini Domenica(10.2.1935/18-15)di Dom. stràscinapèdi e Frisina Anna.
-Catanzariti Sebastiano(28.2.1935/19-19)di Dom. giarruni e Papalia Orsola.
-Grillo Giuseppe(3.3.1935/18-20)di Rocco e Romeo Rosa di Dom. roseja.
-Sergi Domenico(7.3.1935/20-21)di Pasquale tiriji e trimboli Nicolina di Francesco furna
-Catanzariti Giuseppe(10.3.1935/20-23)di Francesco 'mpastagrìa e Oliva Giuseppa di Francesco trinca.
-Ielasi Pasquale(14.3.1935/21-24)di Rosario carvuneju e Catanzariti Caterina di Saverio.
-Trimboli Rosa(17.3.1935/21-25)di Domenico vajana e Pelle Mariantonia.
-Trimboli Antonio(17.3.1935/22-27)di Franc.maluni e Callipari Conc.di Vinc.
-Murabito Caterina(24.3.1935/22-29)di Giuseppe mastrudatta.e Calabria Maria

Senza esagerare, questa è materia che le Soprintendenze dei vari Beni, i Musei e gli Archivi Storici,come dicono i buddaci,schifiano.
E ancora una volta lode e grazie allo zio Ernesto il giovane per il suo lavoro e la sua pazienza per portarlo avanti.