Powered By Blogger

domenica 25 gennaio 2015

L'assoluzione (reg. Ulu Grosbard - 1981)



Ecco accontentati quanti cercano la storia del paese. E' roba di prima mano. E siccome  mi piace, sovrappongo allo zio Ernesto il vecchio (il prete) e a Don Peppe Zappia (il padrone della fortuna) i volti di Robert De Niro. Lo so, è poco.


In morte
Del Sig.r Giuseppe Zappia

        Signori –
Dinanzi alla bara che racchiude il cadavere di un uomo pratico, sobrio, equilibrato, nuovissimo – per accarezzare, forse, le orecchie dei puritani indigeni, dovrei stamattina recitare tutta di un fiato la confessione del povero Manfredi, dove dice:
“ Orribil furo li peccati miei “
Se non che, visto e considerato che una buona confessione, un ravvedimento, un pentimento sincero – anche in punto di morte – valgano a cancellare qualunque macchia, a rendere pura qualunque anima – mi affretto a completare la terzina dantesca che conchiude:
“ Ma la bontà divina ha si gran braccio
  Che accoglie ciò che si rivolge a lei “
Spero che come me, abbiate visto anche voi ravveduto e contrito quell’uomo forte che dinanzi alla maestà della religione, al supremo mistero della morte, piegava riverente la fronte e pregava!
L’avete veduto ? – Vi basta?
Ora, più che un sentimento di pietà cristiana, più che un generoso perdono  (che dopotutto non si nega ai morti ) più ch la magnanimità vostra, io voglio da voi il vostro rispetto, la vostra ammirazione, la vostra lode per colui che fu Don Peppe Zappia, al secolo, oggi un’anima pietosa che passa. Oh la livellatrice di tutte le disuguaglianze sociali, la Morte!
Intanto rivediamo un po’ la vita di quest’uomo e se non dite che ha fatto male a moltiplicare i suoi talenti – come quel servo dell’evangelo – io cercherò di mettere sotto terra il solo talento che abbia, unicamente per piacere a voi.
Fu un uomo d’azione.
Mentre i suoi coetanei marcivano beati, in questa valle amena e non spingevano la vista neppure alla marina … non curando d’uno sguardo tutto quel chiasso che faceva il vapore, quando passava ansimando per la prima volta … Egli facendo il commercio del bozzolo in tutta la provincia ed anche fuori, ritornava ogni anno carico di denari, destando la gelosia e l’invidia di non pochi. Un uomo che si trova nei traffici
 – massime se i primi successi l’incalzano – non si arresta così facilmente, ma viene assorbito, trascinato direi dalla corrente e vuole, ardentemente vuole arricchirsi.
S’arricchì coi fatti, lascia un patrimonio di parecchi milioni.
Peccato che questa sete dell’oro non si estingue mai e divora perennemente le viscere!
Non solo dunque il commercio del bozzolo, ma in ogni ramo dell’industria consacrò le sue virili energie. Il suo occhio esperto di conoscitore di uomini e di cose, il suo parlare franco, sincero, da padrone, la sua liberalità e generosità a tempo opportuno, gli valsero tanto che giunse e ottenne un premio, “ ch’era follia sperar “
Quando neghittosi, innamorati dal dolce far niente, stanchi dal fantasticare. O dal lavorare a balzi, a strappi, a furia, senza perseveranza, si accorsero dell’altezza vertiginosa su cui era salito quell’uomo nuovo, pur non avendo ciondoli e blasoni, affilate le armi della loro malvagità, con gioia beffarda si diedero a rinvangare la sua vita passata e rimproverargli il suo essere primitivo! Ma Giuseppe Zappia più che offendersi, menava vanto della propria origine, perché di là misurava il cammino che aveva fatto e non era poco!
O se di perdere il tempo catoneggiando, volessero i nostri uomini lavorare di più e muoversi, quante ricchezze non apparterrebbero in questo paesello querulo … di quante risorse, non sarebbe esso capace! Perché, alla fine, se procurate a voi ed ai vostri un benessere materiale e morale, non è detto che gli altri non ne possano indirettamente godere.

Ci sono di quelli che per compatire la propria ignavia, mettono in campo la fortuna. Noi rispondiamo: “ La fortuna esiste, ma non si fa vedere, non si lascia cogliere se non da coloro che hanno acquistato il diritto a vederla e a coglierla”.

Giuseppe Zappia era padrone della fortuna.
Egli col viaggiare continuo, aveva imparato tante cose, aveva perduto tanti preconcetti, tanti pregiudizi, si era spogliato di tante malfondate avversioni, di tante irragionevoli antipatie, ed aveva appreso a giudicar meglio le condizioni del nostro paese e a far giusta stima degli ostacoli che si frappongono al nostro avanzamento ed agli espedienti per superarli.
Non mi dite che la sua assunzione al sindacato sarebbe stata per noi una calamità.
Fu è vero retrivo a questa ambizioncella meschina. Ma se avesse dato alla barca tutto il vigore delle sue braccia robuste, se avesse voluto guidare il timone … non l’avremmo veduto, anni fa, sconquassata ed infranta sulla riva, come uno straccio.
Queste sono le considerazioni che faccio dinanzi a questa bara per ottenere da voi l’assentimento alla lode, alla stima, all’ammirazione per quest’uomo che s’estingue “ segno di immensa invidia e di pietà profonda”.
Non ve lo presento dunque quale un santo, come vedete. Ebbe peccati ma ebbe anche modo e tempo per espiarli.
Ma chi siete voi, chi son io, che sotto gli occhi del Mite Nazareno, osiamo parlare in questo modo acerbo, presente un’anima contrita, implorante il perdono?
Farisei, forse? – Chi sa!
Ricordate?
Irruppe attorno al Maestro un  giorno una turba fremente di punizione. Una povera donna tremava per l’imminente castigo. L’adultera! Una nube, densa di pietà per gli accusatori e l’accusata passa sulla fronte del Divino Rabbi. Scrive per terra. Indi si volta e dice: “ Chi non ha peccati scagli la prima pietra “. Si dileguano gli accusatori ad uno ad uno. Quando si vide solo e s’udivano ancora i palpiti di quella donna misera “ Dove sono, le dice, coloro che ti accusavano? Nessuno? – Va in pace! “
E così dico a voi, anime pie: Possiamo fare entrare sotto le arcate di questo tempio l’anima di Giuseppe Zappia? Non l’accusate nessuno? Siete venuti, è vero, per sentimento di ammirazione, per debito di gratitudine verso l’estinto o vivi? E’ perciò che non vi dileguate?
Anima di Giuseppe Zappia va in pace.
“ Suvvenite sancti Dei, intercedete angeli Domini, suscipientes eam in cospecta Altissimo “

Platì Novembre 1920
 Sac. Ernesto Gliozzi sen.

Eppure ... don Peppe ... Tutto si trasformava in mitologia sotto la penna dello zio. Oggi la mitologia è stata barattata con lo sperpero della personalità. pax Domini sit semper vobiscum, per citare il Robert De Niro del titolo.

Nessun commento:

Posta un commento