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mercoledì 3 agosto 2011

Roy Colt & Winchester Jack (reg. Mario Bava - 1970)

Mittiga Francesco - papà
Platì 19/08/1908 - Messina 24/12/1986


Era mio padre, reg. Sam Mendes - 2000
 Scrivere di mio padre è molto difficile, mi è più facile scrivere sulla mamma. Se devo parlare di papà non ho nessun problema, ma stare lì e cercare di descrivere una figura sempre presente, in vita o dopo la vita, mi fa soffrire, come induce tenerezza per non averlo capito e aiutato nei momenti della mia crescita.
 Ho sempre presente il giorno in cui, domenica, il prefetto mi buttò fuori dal collegio. Dopo la messa, a colazione, senza alcun sospetto, l’assistente del suddetto mi si avvicina e cerca di sussurrarmi qualcosa.Io non lo faccio parlare e dico: lo so, c’è mio padre. Gli avevano fatto percorrere 500 km su una linea ferroviaria ad un solo binario per prendermi e riportarmi a casa.  
Non era la stessa cosa che faceva John Wayne in Sentieri selvaggi quando si riprendeva Natalie Wood, ostaggio degli indiani, per riportarla in seno alla “civiltà”.
 Avrebbe dovuto essere arrabbiato con me, invece risulto molto comprensivo e per rompere il mio dramma addirittura mi portò al cinema nell’attesa del treno di ritorno. Il titolo di quel film e quello del post di oggi.
 Pur essendo la sua natura molto impetuosa ha sacrificato parte della sua vita, prima del suo matrimonio, al volere del nonno, facendo sposare due sue sorelle e cessare a poco a poco altre attività dopo, arrivato tardi, per sposare la sorella più piccola. Non ultimo, intuendo per tempo la piega che stava prendendo la vita del paese e la crescita dei figli, tra i primi, decise di allontanare tutti nella  prospettiva di un diverso avvenire; parafrasando Robert De Niro in C’era una volta in America: “andò bene ai figli ma non a lui”. Tra l’altro il trucco da vecchio dell’attore americano mi ricorda sempre la fisionomia di papà.
 La realtà della città ed i cittadini non erano fatti per lui, le delusioni si  assommavano quotidianamente e con un'altra parafrasi tratta questa volta da C’era una volta il west concludo: “il  futuro non apparteneva più a lui”. Stava ancora cambiando tutto: i figli, la politica del partito comunista, e più difficile per lui, trovare un dialogo e dire quello che sentiva dentro.

SDG

venerdì 29 luglio 2011

Uomini di Dio (reg. Xavier Beauvois -2010)


Zio Ernesto Gliozzi senior 1883 - 1949

 Prima dello zio Ernesto abbiamo avuto un altro zio Ernesto definito dal Canonico Protonotario Oppedisano nella sua Cronistoria della diocesi di Locri-Geraci  “colto e gentile poeta”.
Di cultura umanista e cultore delle lettere classiche fu dal 1926 al 1949, anno della sua prematura scomparsa, arciprete di Casignana, paese a monte di Bianco, quindi in piena Magna Grecia.
 Fratello minore della zia Serafina del nonno Luigi, visse in seno alla famiglia di quest’ultimo e diede i primi rudimenti scolastici a tutti i nipoti che, in quella casa, venivano al mondo, oltre che un valido sostentamento economico nei periodi di crisi che si abbattevano in quegli anni, dovendo il nonno assentarsi per gli obblighi militari.
 La sua figura sacerdotale la trasmise allo zio Ciccillo e allo zio Ernesto, questi la trasmisero a me, ma con poco successo, essendomi straviato, ma forse perché il sacerdozio di città è un’altra cosa.
Come detto, fu un letterato dedito a componimenti per la maggior parte di natura sacra, scrisse  anche delle scenette da rappresentarsi in chiesa durante il Natale o la Quaresima, come molti elogi funebri, di moda a quei tempi e vari bozzetti. Leggendo la sua prosa, sembra avvicinarsi ad Antonio Fogazzaro, molto letto in quegli anni.
 A Platì fondò un’istituzione per i fanciulli detta “Luigini”, una confraternita fatta per i piccoli di cui a suo tempo ne feci parte anch’io. In processione o alle volte negli accompagnamenti funebri,venivamo dopo la croce portata dai chierichetti e precedevamo la vera e propria confraternita del Rosario, fondata il 1° giugno del 1888. Le due istituzioni avevano sede nella chiesa del Rosario, anticamente detta di San Pasquale. Noi Luigini vestivamo un saio bianco con una fascia azzurra a tracolla e un cordone rosso per le processioni oppure una fascia nera ed un cordone anch’esso nero per i funerali  ma anche per la processione al calvario del venerdì santo.
 Amabile con tutti, letterati, amici, parrocchiani, la sua persona incuoteva rispetto: ricordo che papà quando si parlava di lui si esprimeva con termini di riverenza ma anche di elogio per una figura fuori dal “comune” e da ogni riferimento.
 In ultimo, in casa esisteva una biblioteca di testi sacri e profani risalenti al XVII secolo, ora in possesso del seminario arcivescovile di Locri, dove dovrebbe esserci un fondo Gliozzi che andrebbe visitato.
SDG





giovedì 28 luglio 2011

Per chi suona la campana (reg. Sam Wood - 1943)



Ciurrame beach

Un netto contributo al miglioramento della vita di tutti i giorni nei villaggi di Messina  - Giampilieri, Molino, Altolia, Briga Superiore e Pezzolo - colpiti dall'alluvione del 2009, è certamente la diffusione , da supporto digitale, dell'Ave Maria schubertiana,  a mezzogiorno in punto, dopo lo scampanellare, anche questo non manuale bensì meccanico, legato allo scoccare delle 12 dell'orolgio atomico e che fa partire il meccanismo delle martellate alle campane, in qualche paese anche queste digitalizzate. I campanari, disoccupati, affollano le periferie urbane in cerca di qualche altro tipo di occupazione.
Dono tutto questo, dell'amministrazione comunale in accordo con quella arcivescovile. Sensibili tutte e due  le amministrazioni alla vita terrena, civile, e celeste delle popolazioni. Quasi un'eco di quanto avviene a quell'ora nella piazza antistante il duomo della città dello stretto ed ulteriore eco di quanto accade nella città pontificia.
Si direbbe un "memento mori",  ricordare il "brevitate vitae" senechiano che è comune a tutti su questa terra, per altro ogni giorno sempre più desolata.

venerdì 22 luglio 2011

This land is your land - Woody Guthrie




                                                                           
La gestione della terra da parte dell'uomo deve essere principalmente orientata verso tre obiettivi: salute, bellezza e stabilità. Il quarto obiettivo, la produttività sarà conseguito quasi come un sottoprodotto. Aprire la terra all'occupazione, sia a tempo pieno sia part-time, di un maggior numero di persone e per orientare tutte le nostre azioni sulla terra verso quel triplice ideale.
Lungi dall'essere nobilitato e umanizzato dalle attività agricole, il più vasto abitato umano viene standardizzato fino alla desolazione o addirittura degradato fino alla bruttezza.
Ernst F. Schumacher, op. cit.

giovedì 21 luglio 2011

Il pranzo di Babette (reg. Gabriel Axel 1987)





IL PIATTO DELLA MEMORIA



Il 26 dicembre Peppe faceva il compleanno, la madre si alzava presto perché, cascasse il mondo anche se l’intera famiglia stremata da cenone e pranzo boccheggiava, quello era il giorno del timballo di riso,il piatto di Peppe.
 La preparazione era laboriosa, il risultato maestoso, il finale edilizio nel senso che il detto timballo ti si piazzava a mò di pietra tombale sullo stomaco come a chiudere a ogni altro elemento estraneo che avesse voluto avere accesso allo stomaco.
Per Ginevra,la madre, tutti i compleanni erano un piatto particolare preferito dal festeggiato e siccome la famiglia era numerosa  e le ricorrenze personali si intrecciavano sempre armoniosamente con le festività e le ricorrenze generali si può dire che nella casa quasi ogni giorno c’era un impegno gastronomico da osservare.
E così i giorni e i mesi e gli anni si susseguivano tra ragù con l’agnello, parmigiana, pasta al burro, patate bollite,nocatili e pignolata, guti, e fagioli con le cicorie(minestra fumante a pranzo e passati in padella col pane a pezzi la sera).
 Per non dimenticare gli apporti esterni alla cucina di Ginevra che di solito erano falsi magri  imbottiti col sugo, funghi trifolati.
Tutto era rituale ,il brodo( che si mangiava anche d’estate) era arricchito con polpettine di pollo.
Anche i funerali diventavano un rito culinario sia che il trapassato appartenesse alla famiglia( e in quel caso il pranzo completo veniva portato per più giorni da amici e parenti e si approfittava per criticare, scambiarsi ricette  e avere anche problemi di stomaco oltre al dolore della perdita) sia che ne fosse estraneo in quel caso spettava a Ginevra e&c preparare portare apparecchiare.
Fidanzamenti ,matrimoni,nascite, battesimi,giornate di purghe, febbri, mestruazioni, dolori di cuore, promozioni o bocciature , partenze e arrivi, giornate di mare, serate di bufera, Pasqua, Natale, Ferragosto, I morti ognuno aveva il suo piatto di Casa non scritto ma tramandato come una storia cucinata che la matriarca alimentava, le altre donne : figlie e nuore assimilavano nella certezza che tutto sarebbe sempre rimasto uguale a se stesso che i giorni si sarebbero susseguiti e con essi i piatti in una storia ciclica nuova e vecchia sempre.
Non si era considerata una cosa: la morte, che piano piano, avrebbe portato via le donne della casa e con esse i piatti la lingua e la storia.

Foto e testo di mia sorella Maria. Una scrittura che la Agnello Hornby manco si sogna.

mercoledì 20 luglio 2011

L'uomo del west (reg. William Wyler - 1940)

Cormac McCarthy (20/07/1933) con i fratelli Coen

La scoperta del più grande scrittore dei nostri tempi è avvenuta proprio a Platì, leggendo una recensione su Famiglia Cristiana di Cavalli Selvaggi alla sua prima pubblicazione italiana.
Lo ricordo con queste parole di Alessandro Baricco tatto da una sua raccolta citata spesso da Marilisa su questo blog.
«E adesso ci starebbe bene un bel paragrafo per spiegare cosa secondo me bisognerebbe portare in salvo nella mutazione. Ma il fatto è che non ho le idee molto chiare, al proposito. So che c’è sicuramente qualcosa, ma cosa, è difficile dirlo, adesso, con esattezza. Difficile. L’unica cosa che mi viene in mente è una pagina di Cormac McCarthy. E’ proprio al fondo di quel libro che già vi ho citato nelle epigrafi, ve lo ricordate? La storia dello sceriffo e del killer. “Cosa si dice a uno che per sua stessa ammissione non ha l’anima?” Ve lo ricordate? Bene. Quello è un libro davvero senza speranza, sembra la resa incondizionata a una mutazione rovinosa, nessuna speranza, nessuna via d’uscita. Però ad un certo punto lo sceriffo passa vicino a una strana cosa, una specie di abbeveratoio scavato nella dura pietra a colpi di scalpello. E’ proprio nell’ultima pagina. Vede l’abbeveratoio e si ferma. E lo guarda. Una cosa lunga quasi due metri, e larga mezzo, e profonda altrettanto. Nella pietra si vedono ancora i segni dello scalpello. Sarà stato lì da cento, duecento anni, dice lo sceriffo. Così, dice, mi è venuto da pensare all’uomo che l’aveva fabbricato. Si era messo lì con una mazza e uno scalpello e aveva scavato un abbeveratoio che sarebbe potuto durare diecimila anni. Ma perché? In che cosa credeva quel tizio? Dovete pensare che a quel punto lo sceriffo è davvero stanco, non crede più in niente, e sta per chiudere la sua stella in un cassetto per sempre. Dovete immaginarvelo così. Mentre si chiede perché diavolo uno si dovrebbe mettere a scavare un abbeveratoio di pietra con l’idea di fare qualcosa che dura diecimila anni. In cosa bisogna credere, per avere idee del genere?
In cosa crediamo per avere ancora questo istinto cieco a mettere al sicuro qualcosa?
McCarthy, lui l’ha scritta così: “penso a quel tizio seduto lì, con la mazza e lo scalpello, magari un paio d’ore dopo cena, non so. E devo dire che l’unica cosa che mi viene da pensare è che quello aveva una sorta di promessa dentro al cuore. E io non ho certo intenzione di mettermi a scavare un abbeveratoio di pietra. Ma mi piacerebbe essere capace di fare quel tipo di promessa. E’ la cosa che mi piacerebbe più di tutte.

martedì 19 luglio 2011

Ricordare - Gerard Depardieu


Donna Bettina Gliozzi nata Mittiga from gino on Vimeo.

Buon compleanno nonna.

Per Te nonna,se in Italia ci fosse stata la discendenza femminile il mio cognome sarebbe stato sempre Mittiga, e per me questa é una certezza su
chi sono io.


lunedì 18 luglio 2011

venerdì 15 luglio 2011

Sole giallo, sole nero - Formula tre





 Per chi vive in città sembra una contraddizione, ma è così. Ora che l’estate è entrata nella fase più calda , la terra nella sua orbita attorno al sole al punto più vicino ad esso, si cerca, dove possibile, il rinfresco per i corpi.
 Per chi fa vita di campagna, diversamente, è tempo di pensare a cosa accadrà nei prossimi mesi, a partire da quelli autunnali.
 In questi giorni nell’orto le piantagioni si avviano alla piena maturazione, quelle sopravvissute,  che non hanno subito gli assalti di insetti di tutti i colori o di agenti atmosferici, con la conseguente raccolta e conservazione secondo i propri gusti.
 E’ questo anche e il  tempo di programmare il prossimo calendario di seminagioni e colture invernali, ed i conseguenti lavori in vista di una fase che sembrerebbe comportare un calo di attività sia per le giornate più corte, sia perché il lavoro di irrigazione, il principale nelle giornate estive, dove possibile, anche perché il tipo di colture lo richiede, è quasi demandato alle piogge che si spera copiose ma non distruttive come da qualche anno a questa parte.
 E’ un tempo in cui,  chi coltiva senza l’apporto di sostanze assemblate in laboratorio si procura il letame da distribuire sotto gli alberi, là dove c’è carenza di humus,e quello da far riposare per l’uso che se ne farà la prossima primavera.
 E’ anche il tempo dell’approvvigionamento della legna da ardere nei camini per il riscaldamento o per cuocere i cibi chi ne ha la possibilità.
 E’, in ultimo, dalle nostre parti, tempo di previsioni sia per la raccolta degli agrumi che per quello delle olive, e chi conduce un vigneto si assicura giorno per giorno della maturazione dell’uva, uniche attività queste che restano in piedi - ancora per poco? -  retaggio di un’epoca ormai remota, durante la quale questi luoghi fornivano le materie prime per il nutrimento delle città affamate.