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DIVAGAZIONI IN CASA NOSTRA
Il rito nuziale
negli usi calabresi
Ad Africo, la cittadina dell'ultima
punta
della Penisola, il matrimonio assume la
più
vasta eccezione alla semplicità dei
popoli
Africo 19
gennaio
Ad Africo la citta più strana dell'ultima, punta dì Calabria il rito del matrimonio non poteva
che assumere la più vasta eccezione alla semplicità dei popoli rivieraschi. Nella
compagine della città chimerica, che vive appollaiata sul cocuzzolo di un
monte, come il purgatorio dantesco, distaccata quasi del tutto dalla gente, i
matrimoni avvengono solo tra parenti ed addizionano, così, i difetti — secondo una autorevole teoria fisiologica —
niella scala delle generazioni, tramandando ai nascituri tare ed infermità.
Sono i parenti a disporre delle parentele e così, in segreto che i soggetti da convogliare a nozze neppure lo
sanno. Cosi come nel Sesto di S. Martino a Firenze nel 300, gli sponsali servivano
ad integrare i rapporti di parentela, ugualmente ad Africo, le nozze non
volgono che a colmare partite vuote nei bilanci famigliari della gente più
in vista. Solo più tardi i designati
s'incontreranno nella loro qualità di fidanzati, che vale soprattutto a stabilire
in rapporti di reciproca suggestione da intensificare in un certo qual modo l’amore
attraverso gli sguardi ansiosi dei futuri fidanzati. Poi un distacco reciso,
fin tanto che i parenti non avranno sistemato le loro faccende, certamente più
serie. Quando è stabilito il giorno delle nozze la vicinanza dei parenti s'intensifica
ed i loro cori di gioia, si faranno sentire più da vicino. Viene così stabilito
da certi decreti intimi il giorno delle nozze ed in tal giorno, le donne,
completeranno nell'interno delle case agghindate a festa, l'abbigliamento della
sposa; mentre gli uomini, fuori estraggono con mossa fulminea delle tasche
castagnole ben dosate per scaraventarle con tutta forza contro le mura che
custodiscono il loro amato bene e le gravi detonazioni faranno trasalire la
verginità inquietante della sposa. I più vecchi scaricano di tanto in tanto in
aria vecchi archibugi dalle polveri antiquate ma efficienti, mentre i sumpesseri,
(i genitori dei rispettivi sposi), eseguono in aria lanci di confettini
variopinti e con la verga bastoneranno di santa ragione i monelli che non
vogliono allontanarsi.
Il corteo sfila davanti
alla Chiesa. In testa la sposa col velo bianco e le donne; dietro lo sposo con
la sempreviva al petto, e gli uomini. Al ritorno le madri spargeranno con
solerte premura il grano sulla soglia di casa, prima dell'ingresso dei nuovi
arrivati. Quindi i baci ed i convenevoli.
Ma, a sera, quando fa
buio tutto tace, la sposa entrerà di soppiatto nella casa del tuo uomo e li
riceverà ti bacio del primo incontro. Fuori, intanto, fervono le feste
danzanti. Una gran torcia arde nei cortili che richiama tutto il vicinato. La serata
è ad ingresso libero. La torcia, fatta di resina indiana e che l'uso popolare
chiama Leda, sprigiona nuove fiamme rischiarando i volti degli intervenuti accoccolati
intorno al fuoco, talvolta con aria stanca, se le libazioni della giornata sono
stati abbondanti. Poi intorno all'allegra fiammata si snoderà la tarantella.
ARTURO GIURLEO
Foto e testo: GAZZETTA
DEL SUD 20 gennaio 1957
Il
testo di Arturo Giurleo è un piccolo tesoro di scrittura che riporta alla luce
tradizioni ormai sepolte, anche tra i fogli di giornali di provincia, che
diventano patrimoni di cultura. Dell'autore, come di tanti altri che hanno scritto sulla locride nella Gazzetta del Sud, le tracce si perdono negli archivi dello stesso giornale.
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