BOZZETTO CALABRESE
Le galline
selvagge dell’Aspromonte
Uno strano
cacciatore in una strana terra – Un carniere pieno e una contadina in pensiero
Sulle balze dell’Aspromonte, forse, c'erano cacciatori anche nell'età
del bronzo. Non cacciatori con l'arco e le frecce, ma col fucile, più o meno
perfetto, più o meno automatico.
E' tale e tanta la nostra abitudine di vederne sempre in giro su quelle
rocce, in mezzo a quelle boscaglie, che nessuno ci leverà dalla testa questa
convinzione. In ogni ora del giorno e della notte, qualcuno di essi cammina,
col freddo o col solleone, col vento o con la neve, il naso in aria a spiare
tra i rami degli olivi o delle querce il volo dei tordi o delle quaglie, o nei momenti di magra,
anche degli scriccioli. Hanno, d'inverno, il viso arrossato dal freddo, le mani
gonfie per i geloni, e i piedi doloranti; ma camminano imperterriti, e passano
sulle creste dei burroni, sempre col naso in aria; sulle spallette dei ponti,
sempre col naso in aria; sul ciglio di stradette insidiosissime, sempre col naso in aria; si
direbbero i... «pedoni dell’apocalisse»!
Uno di costoro è il mio amico Gianni. Egli ha trovato sull'Aspromonte
la sua palestra, e il suo Eden. Ci viene almeno sette volte la settimana, dopo
aver coperto col suo macinino il centinaio di chilometri, che
separa il suo paese dal nostro. Cento chilometri all'andata e cento al
ritorno, sempre in macchina; e duecento, trecento... quanti?... sempre a piedi,
col suo pesante «Browning» in ispalla e almeno tre chili di piombo disseminato sul suo corpo in lunghe- cartuccere.
Egli di solito spara tutte le sue cartucce; ma non torna mai a mani
vuote. Se non trova le pernici trova le quaglie; se non trova le quaglie trova
i tordi; e infine se non trova i tordi trova... le gallinelle selvagge!!!
Sicuro, le gallinelle selvagge.
Sono bestie che assomigliano stranamente alle galline domestiche, ma
vivono nei boschi, in libertà.
Mi trovavo un giorno in giro escursionistico su per l'Aspromonte,
quando incontrai Gianni che tornava da una battuta di caccia. Aveva il carniere
stranamente rigonfio.
Lo abbordai elogiandolo per il successo evidente. dalla giornata:
- Buona caccia, eh? Gli gridai da lontano.
- Già - mugugnò sottovoce - mica male…
E così dicendo fece un gesto di commiato.
Mi insospettì il suo strano comportamento, e cercai di trattenerlo un
poco. Pretesi di vedere la preda; ma Gianni si rifiutò energicamente di aprirmi
il carniere.
- Cosa vuoi vedere ... C'è qualche tordo e una ... una … cosa.
- Una che cosa? - mi incaponii.
- Una ... gallinella selvatica ...
Ora però debbo andare, ché sono sulle tracce di una beccaccia.
- E così dicendo, si allontanò, piantandomi in asso.
Non ci feci caso. Ma dopo circa un'ora, mentre scendevo, mi spiegai il
mistero della «gallinella selvatica» del mio amico Gianni.
A un centinaio di metri di distanza da una cascina, una contadina si
sgolava: «Cici, Cici, Cici ...»: «Cici» è il verso con cui le contadine
calabresi chiamano le galline; ma in questo caso, la contadina urlava al vento,
perché nessuna gallina rispondeva al suo verso.
E la verità mi passò in un lampo nella mente. Mi avvicinai. La donna mi
chiese subito se avessi visto la sua gallina: «Era bianca, col collo nero; si
dev'essere allontanata dalla cascina ...».
- Mi spiace, non ho visto niente - risposi. E proseguii il cammino.
Incontrai Gianni verso sera, in paese. Era in procinto di salire sul
macinino per tornarsene a casa. Aveva l'aria soddisfatta.
Mi avvicinai: - Gianni, per favore, mi fai vedere la tua «gallinella
selvatica»? – gli chiesi a bruciapelo.
E altrettanto a bruciapelo mi rispose: No!
Ma dal suo carniere. Che si appoggiava semi aperto sul sedile della
macchina, s'affacciava la povera preda, dal collo nerissimo, e dal corpo bianco
come l'avorio!! ...
MICHELE FERA
GAZZETTA DEL SUD, 5 Febbraio 1957
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