Giunta Provinciale Amministrativa
Di Reggio Calabria
Per il Comune di Platì
resistenti
Contro il Sig. Oliva Francesco fu Rosario
Ricorrente
Dopo quanto
fu detto nella comparsa principale, la difesa del Comune – al cui timone il
ricorrente aspira con pertinacia e spasimo – potrebbe rinchiudersi nell’aurea
rosea del silenzio e attendere fiduciosa il responso di codesto on. le consesso.
Non insisteremo
nel lumeggiar meglio il passato dell’Oliva ch’è detto un incessante presso che
secolare conflitto col prossimo e coi cinque codici – perché rifuggiamo dai
facili successi e non amiamo incrudelire contro i nostri avversari quando anche
lo meritino come l’attuale.
Ci
limiteremo – e soltanto ad abundantiam – a ricapitolare sintetizzandole le
nostre ragioni.
Assume
l’Oliva che il suo buco – oggetto dell’attuale controversia – preesisteva alla
costruzione del pubblico mercato.
Verissimo. Però esso buco per la sua speciale conformazione, per le sue
dimensioni (un pentagono con il lato della lunghezza di un mattone) e per
l’inferriata che lo muniva, non poteva essere, come in effetti non era, che una
semplice presa di lume.
Presa di
lume imperfetta che mancava di alcuni dei requisiti voluti dal codice (
invetriata fissa, altezza dal pavimento ecc.) e che avrebbe autorizzato il
Comune a costringere l’Oliva a una più esatta osservanza della legge, ma che
non poteva mai autorizzare l’Oliva stesso
a trasformarla in finestra.
Una servitù
di lume non può essere trasformata in servitù di prospetto perché il nostro
codice vieta al proprietario del fondo dominante di aggravare le condizioni del
fondo servente – Né i trattatisti sono ambigui in proposito. Per citarne
qualcuno, dice Le vieil Cocu (Traite de droit. V. III ch. 27) “La luce e l’aria
son due cose distinte (!) e si può aver diritto alla prima senza poter fruire
della seconda. Perciò tra le due servitù, di lume e di prospetto, c’è un
abisso”.
La difesa
dell’Oliva alterando i fatti, si fa forte del capoverso dell’art. 587 C. C. che
sembra fatto apposta per compendiare le ragioni del Comune. Esso prescrive
infatti: “Non si possono aprire sedute dirette o finestre a prospetto né
balconi od altri simili sporti verso il fondo chiuso o non chiuso e neppure
sopra il tetto del vicino se tra il fondo di questo e il muro in cui si fanno
le dette opere non vi è la distanza di un metro e mezzo”. Poiché la striscia di
terreno che intercede tra il tetto del mercato e la finestra dell’Oliva, non è
larga un metro e mezzo non può costui mantenervela. E se anche la striscia di
terreno in parola fosse larga più d’un metro e mezzo, non potrebbe ugualmente
l’Oliva aprir la sua finestra, sopra un fondo chiuso del Comune perché realmente
è chiusa ad ogni transito.
Non esistendo quindi tra le due proprietà,
dell’Oliva e del Comune, una via pubblica il disposto del capoverso dell'art.
587 C. C. non può aver efficacia perché nel nostro caso si verifica la
condizione da esso richiesta. P. q. m.
la difesa del Comune chiede che l’on. G. P. A. neghi il ricorso dell’Oliva,
ordini la riduzione in pristinum della finestra abusivamente aperta dall’Oliva
sul tetto del pubblico mercato e lo condanni alle spese.
Con riserva
di chiedere ulteriormente al giudice civile la chiusura definitiva del buco
dell’Oliva.
Nota - Purtroppo è impossibile datare questo documento, probabilmente la disputa risale agli anni del Regime Fascista anni in cui gli Oliva entravano e uscivano dalla sede comunale.
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