DISCORSO tenuto dal Sig. GIOV. ANDREA
OLIVA
“Bonus pastor animam suam dat pro ovibus suis. (S. Giovanni)
SIGNORI!
E’ con animo affranto dal dolore
e dal pianto che mi serra la gola, che mi accingo a parlare del mio compagno di
studi dell’uomo dotto, del milite di Dio: dell’Arciprete ERNESTO GLIOZZI
La sua vita fu amore: amò Dio soprattutto, amò la famiglia con passione,
il popolo, i suoi filiani, gli amici.
Dal gentiluomo Francesco Gliozzi e dalla Signora Donna Rosa Fera, il
Rev.mo Arciprete D. Ernesto Gliozzi era nato il 1° gennaio 1884.
Memore e riconoscente, il padre, dell’amicizia che aveva contratto,
nella sua gioventù, con un compagno d’armi, nelle guerre del Risorgimento,
impose al bambino il nome dell’amico, Ernesto. Intelligente e proclive allo
studio, fu mandato nel Seminario Vescovile di Gerace Superiore, ove primeggiò
fra i suoi compagni e continuò a studiare, completandosi negli studi classici e
teologici, fino alla sua consacrazione Sacerdotale, avvenuta nel 1905, appena
ventunenne.
Fu scrittore e prosatore facile e perfetto; compose diversi opuscoli e
articoli sui giornali; non privo di estro poetico, scrisse poesie ed anche
molte dialettali in vernacolo; umoristici versi contro i viziosi tipi della
società del tempo, imitando graziosamente il Parini.
Nei momenti di riposo si dedicava all’agricoltura, tanto da trasformare
la sua proprietà in un ameno giardino.
Era stimato da tutti, e dal Clero era tenuto in gran conto ed
apprezzato, specie dall’Arciprete Saverio Oliva, che l’aveva caro e a lui si
affidava nelle sue mansioni religiose e negli affari privati, che portava a
compimento con precisione.
In famiglia quantunque Sacerdote, era obbediente ed ossequiente ai suoi
genitori, verso i quali mantenne un rispetto ed una devozione filiale non
superata da nessuno. Ammalato il padre d’una infermità incurabile, paralizzato
negli arti, divenne il suo infermiere di notte e di giorno. Adorava la madre “
Donna Rosa “, come egli la chiamava per renderle omaggio familiare ed
amorosità. Era ossequiente ai consigli ed ai pareri dei suoi germani che amava
con passione.
La sua vita, da quando salì all’altare del Nazareno fino a questo
giorno fatale, fu un apostolato che esercitò ininterrottamente con zelo e
abnegazione,, studiando e amando i suoi filiani ed il popolo tutto rispettando.
Quell’amore sacro verso Dio, che tanto in lui ardea come lampada soave che
accende come sole innanzi al Sole, nel sepolcro non si spegne, perché questo è
inaccessibile alla gelida mano della morte, ma si fortifica, si nobilita, si
purifica nei Giusti che si addormentano nel bacio del Signore, e nel cuore dei
suoi familiari cresce e si perfeziona verso di lui, che per essi non è morto,
ma addormentato nell’aureola della Giustizia e della Bontà celeste, che
accoglie nel suo grembo i soli buoni.
L’uomo è creato per amare. Il Vero, il buono, il bello, ne attirano il
cuore, l’animo la volontà. Ed il Buon Pastore fu attratto dall’Essere Infinito,
che amò con tutta la sua mente, con tutto il suo cuore, che a Lui si era
dedicato. E tale amore verso il Creatore, porta ad amare le sue creature, nelle
quali risplende la sua immagine. Ed io infatti lo vidi nella funesta, piovosa e
fredda mattinata del 28 dicembre 1908, quando la terra tremando e sussultando,
sospinta dalle forze telluriche, distrussero il nostro paese e seppellì con le
macerie uomini e cose, accorrere ed aiutare i feriti ed i morenti, dopo aver
posto in salvo i suoi vecchi ed ammalati genitori, prestandosi anche al
trasporto delle vittime dell’immane flagello. Virtù eroica d’altruismo che solo
la religione di Cristo può infondere negli animi dei suoi apostoli;
sacrificando la vita propria per salvare gli infelici colpiti dalla sventura.
Il pio Sacerdote, incominciò ad esercitare il suo Ministero
nell’Oratorio del Rosario, e per ventun’anno tenendo ed immacolata la bianca
stele del Nazareno, contribuì alla elezione del Tempio, al suo abbigliamento,
alla sua decorazione incoraggiando i fedeli e i soci della confraternita a
concorrervi; e ciò senza alcun compenso venale alle sue fatiche e schivando le
lodi. Ma a maggiore e più grave responsabilità era destinato da Dio: il Vescovo
di Gerace, che lo teneva d’occhio per la sua dottrina, pietà e virtù, lo elevò
all’Arcipretura di Casignana, sede difficile, e di buon animo accettò Egli il
peso della nuova missione e partì da noi lasciando un vuoto tra gli amici e
conoscenti e per ben venti due anni esercitò la cura delle anime di quel paese.
= E si disse, e si propagò nel raggio della Diocesi e fuori, quante lacrime di
derelitti asciugò, quanta pace apportò nelle famiglie ove regnava la discordia
e la lotta, quanta beneficienza elargì ai poveri, quante donne traviate dal
vizio ritornarono alle virtù domestiche e religiose, quanta gioventù cattolica
raccolta e inquadrata lanciò nella lotta in difesa della religione del Papa. Fu
ammirabile la sua opera, illustre il suo apostolato, che la dolce e mite sua
figura rendeva accessibile a tutti.
Fu suo merito ancora maggiore avere educato per la Chiesa nel domestico
giardino due elette pianticelle, che ora sono alberi vigorosi, belli di fiori e
di frutti, intendo dire dei suoi due nepoti Sac. Francesco e Arc. Prof.
Ernesto; ed ha avuto nelle ore estreme la consolazione di vedere proni al suo
origliere, di sentirli mormorare parole di pietoso conforto, di soavità quasi
filiale; poteva nell’aspetto dei suoi cari nipoti rispecchiare se stesso e
trovare oggetto di soddisfazione e di merito per le premure spese e le fatiche
durate nel renderli leviti del Signore. Partì confortato e assicurato di
lasciare il suo amato fratello Luigi e la sua sorelle alle cure affettuose dei
suoi tre nipoti, educati ad alte idealità religiose e sociali. Ed io vidi
all’ultimo mio incontro con l’affettuoso amico e compare la sua bianca faccia
alla vigilia della sua dipartita, sul letto fra i candidi lini, circondato dai
suoi familiari, dal suo fratello mesto e triste, con gli occhi arrossati dal
pianto, dai suoi amati nipoti, aventi a lato le due donne, l’addolorata sorella
e l’affettuosa cognata, che gli largiva le cure; e silente, con gli occhi
ancora vispi e intelligenti e neri, l’incoraggiava a sopportare il dolore, che
nei loro petti reprimevano e trattenevano negli occhi infuocate lacrime.
Oh! Celeste corrispondenza di umani ed amorosi sensi che Iddio ha
creato nei mortali e che sta a dimostrare ancora, o mio Dio, la Tua esistenza.
Ma all’alba, l’angelo della morte l’asportò in più mirabili aeri, inclinò il
capo sul fragile corpo, come il Cristo sulla Croce,e spirò, trionfando ancora
sulla morte che, saggio, aspettava tranquillo. La sua salma amorosamente
composta, fu deposta nel sepolcro della casa; na gran Croce la sormontava e fra
le mani stringeva il calice amaro della passione ed era rivestita dalla sacra
pianeta sacerdotale come in atto di offrire ancora una volta all’Eterno
l’ultimo sacrificio che ora per Lui non è più mistico rito ma celeste realtà
fra i beati. Così passò da questo esilio provvisorio mondano alla pace celeste,
eterna alla quale anelava.
Accostatevi, o compaesano, a questa tomba apertasi immaturamente, che
racchiude la salma del pio e buon Arciprete Gliozzi, che rappresenta il
vestibolo del Purgatorio,
“ ove l’umano spirito di purga
e di sali al Ciel diventa degno … “
(Dante – Purgatorio)
E sotto i cipressi ed i salici, agitati dai primi soffi boreali
curviamo il ginocchio e preghiamo …. Ed alle preci, aggiungiamo lacrime,
riponendo il fiore della riconoscenza e dell’affetto e sentiremo la Sua voce
ammonitrice che dirà: “ O mio caro, che piangi sul freddo mio avello, rasciuga
le lacrime … L’uomo non può morire. Io vivo e per me, negli spazi celesti,
raggiò l’eterno Sole. Io son salito, son salito con Lui nella casa della Luce,
sono abitatore di un mondo dove niente passa, io sono immortale! “
O Ernesto, attendici nella gloria di Dio che godi e prega per noi.
Platì, lì 25 sett. 1948
Giov. Andrea Oliva
Nota: nella foto Giovanni Andrea Oliva che legge il testo riportato. Egli era nato da Raffaele e Pasqualina Brancatisano il 10 novembre del 1884.